Percorsi di Fede |
Una guarigione che ha del Miracoloso
Fonte: Giuseppe Barbero, Il sacerdote Giacomo Alberione, un uomo, un’idea – SSP 1991 (2)
Dopo la morte della mamma avvenuta il 13 Giugno 1923
A 30 anni compiuti Don Giacomo Alberione, fonda la "Tipografia Piccolo operaio". E' il 20 Agosto 1914: sono gli inizi della grande Famiglia Paolina. Ma 9 anni più tardi, dopo la morte della mamma il 13 Giugno 1923, si ammala gravemente di Tubercolosi polmonare. Appena si sentiva senza febbre e con un poco di forza, si comportava come se fosse robusto e in perfetta salute. Succedeva allora una ricaduta nella malattia, peggiore di prima: questa altalena si ripeté diverse volte, sia prima della degenza a Benevello, sia dopo. I medici erano sempre più pessimisti: gli davano ancora un anno e mezzo di vita, e poi si ridussero a concedergli ancora qualche mese.
Il fedele collaboratore di Don Alberione, il sacerdote G. Timoteo Giaccardo, pensò a trovargli un luogo di cura fuori di Alba, e si scelse Benevello, presso il Parroco, amico e benefattore della Pia Società di San Paolo, e specialmente di Don G. Alberione. Se non fosse bastato si sarebbe poi pensato ad un sanatorio per tubercolotici.
Leggiamo ora quanto narra Suor Angela Teresa Raballo FSP nelle Memorie: Qualche tempo dopo l'arrivo delle Figlie di San Paolo da Susa ad Alba (5), il Signor Teologo andò a predicare in un paese della diocesi; salì sul pulpito sudato e si trovò tra una corrente di aria fredda. Tornato a casa si mise a letto. I medici consultati dissero che si trattava di una tubercolosi... Il parroco di Benevello, Don Luigi Brovia, si disse contento di ospitarlo in casa sua, purché qualcuna delle Figlie di San Paolo andasse a Benevello a fargli da infermiera. La sorte toccò a me.
Si partì su di una vettura, nel mese di luglio del 1923, e si stette là tutto il mese di agosto. Il signor Teologo non celebrava più la Messa e neppure poteva recitare il Breviario. Stette per quindici giorni a letto e faceva la Comunione a letto. Ogni giorno si faceva leggere un brano del libro degli Esercizi spirituali di S. Ignazio, che si era portato appresso. Leggevo fino a quando lui mi diceva: «Basta ora, ne ho fino a domani». Aveva perso la voce, e aveva sempre la febbre... Non dimostrava segni di miglioramento. Se io piangevo, mi diceva: «Perché piangere? Non sai che al mio posto verrà uno che farà meglio di me!». Soleva ripetere: «Non potendo più tornare in comunità, a causa del mio male, che mi costringe a stare isolato, andrò al Cottolengo di Torino, e là finirò i miei giorni»... Un sacerdote paolino venuto a trovarlo lo sgridò per questi discorsi che faceva anche a lui. Da quel giorno non parlò più di andare al Cottolengo ...
Quando si senti un po' meglio cominciò a scrivere le Costituzioni della Pia Società di San Paolo, usando per questo una matita che gli avevo prestato. Nel pomeriggio andava un poco nella chiesa parrocchiale; poi cominciò a celebrare la Messa. In settembre ritornammo ad Alba (6).
Al ritorno dalla cura, Don Alberione fu festeggiato per il suo ritorno e lo si sperava guarito. Vi furono però ancora strascichi e ricadute nella malattia. Un bel giorno però - si disse dopo una visione avuta di Gesù Maestro - Don Alberione non ne volle più sapere né di medici né di medicine, e cominciò a lavorare come prima e anche più di prima. A qualche confidente disse che sarebbe ancora vissuto almeno altri quarant'anni. Don Alberione poté essere tuttavia presente e benedire tutti i Paolini quando partirono in treno da Alba per Genova per presenziare alla solenne giornata conclusiva del settimo Congresso eucaristico nazionale, ed alla trionfale processione del 9 settembre 1923 (7). I Paolini erano allegri e la loro allegria esplodeva in mille maniere: cantavano, pregavano, urlavano e ad ogni stazione ferroviaria distribuivano stampati inneggiano a Gesù eucaristico; al braccio avevano un bracciale che li distingueva come pellegrini. Tornarono ad Alba alla sera molto tardi, stanchissimi, ma con in cuore una gioia profonda, indimenticabile, che alimentò per molti anni in avvenire la loro devozione e la loro fantasia.
Don Alberione nel 1923 potè avere un valido aiuto in alcuni novelli sacerdoti paolini: ricordiamo Alfredo Manera e Cesare Robaldo, ordinati il giorno 29 giugno; Desiderio Costa, Pietro Borrano, Giovanni Chiavarino, ordinati il 22 dicembre 1923.
(Don Giacomo Giuseppe Alberione è poi vissuto fino al 26 Novembre 1971 ndr)
«Non temete... Io sono con voi...»
Sarà arduo chiarire tutti gli elementi che si riferiscono alle malattie di Don Giacomo Alberione ed anche stabilirne la loro successione cronologica. Così sarà quasi impossibile analizzare alcuni fatti straordinari che lo riguardano e che lui propose come «sogni», forse seguendo la falsariga dì San Giovanni Bosco. Lo stesso Alberione ebbe a dire che «natura e grazia operano così associate da non lasciar scoprire la distinzione tra esse» (AD, 28).
Don Giovanni Evangelista Morene (1885-1970), arciprete di Guarene (Cuneo), sentì un giorno dalla bocca di Don Alberione queste parole: «Temo solo due cose per la nostra Congregazione: il peccato e le ricchezze». Lo stesso arciprete narrò di essere andato un giorno ad Alba per vedere Don Alberione, e gli dissero che stava facendo gli Esercizi spirituali nella sua cameretta. Egli allora salì alla camera di Don Alberione, bussò, e senza attendere risposta entrò. Vide che Don Alberione aveva sul tavolo un teschio di morto autentico, e che se ne serviva per fare la meditazione sulla morte. Don Alberione soffrì grandemente per coloro che erano stati chiamati da Dio e poi avrebbero abbandonato la vocazione, avrebbero defezionato. Lo manifestò a distanza di tempo, nel 1938, durante un corso di Esercizi spirituali da lui predicato ai Sacerdoti paolini più anziani. Egli disse al riguardo: "Quando si doveva acquistare questo terreno (8), i giovani son venuti a ricrearsi in questo luogo: io guardavo in su e in giù questo orto e questo prato e pensavo se era volontà di Dio che affrontassi queste spese, data la nostra infanzia. E mi è sembrato di essermi un momento addormentato: il sole splendeva finché le case si costruivano; poi il sole si oscurava, e io vedevo che il dolore più grande era dato da quelli chiamati da Dio, che poi avrebbero abbandonato la vocazione; e specialmente da uno, il quale, acquistando un certo potere, se ne sarebbe servito ben grandemente contro la casa paolina; poi il sole ritornò a risplendere... E si incominciò a fabbricare (9).
Ritornò più tardi sullo stesso argomento, quando nel 1953 scrisse:
Circa il 1922 cominciò a sentire la pena più forte, appena entrato nella prima casa costruita (10). Ebbe un sogno. Vide segnato il numero 200; ma non comprese. Poi sentì dirsi: «Ama tutti, tante saranno le anime generose. Soffrirai però per deviazioni e defezioni; ma persevera; riceverai dei migliori». Il duecento non aveva alcuna relazione con quanto sentì. Tuttavia tale pena sempre gli rimase come una spina affondata nel cuore (AD, n. 26).
Tra tante pene fisiche e morali, non mancò il conforto di Gesù Maestro, che rassicurò il suo servo fedele. Così disse Don Alberione, nel medesimo corso di Esercizi spirituali predicati ad Alba, nel mese di giugno 1938:
Come mi è chiaro quello che ho visto in fondo alla casa, in quella camera (11), in uno di quei giorni in cui io non lavoro: il Divin Maestro passeggiava ed aveva vicino alcuni di voi ed ha detto: «Non temete, io sono con voi; di qui io voglio illuminare; abbiate il dolore dei peccati...». Se noi amiamo Iddio. Iddio e con noi (12). Questo episodio non è chiaramente collocato in un tempo determinato; si sa che dopo questa visione egli ne parlò ai suoi, in una meditazione, ma essi non diedero importanza alla cosa, e ne fecero oggetto di curiosità più che di preghiera; interrogarono il Teologo Alberione su alcuni particolari della visione, ed egli fu indotto a proibire loro di parlarne ancora. Ne parlarono però ugualmente, ed alcuni sacerdoti paolini che avevano ascoltato quella meditazione, e che andavano a celebrare Messa nei paesi dell'albese, narrarono il fatto meraviglioso ad alcuni parroci. Don Giovanni Battista Morone, parroco di Grinzane Cavour (Cuneo), disse di aver saputo l'episodio da Don Sebastiano Trosso, poco tempo dopo l'avvenimento singolare e misterioso.
Per chiarire alcuni aspetti dell'episodio stesso. Don Alberione ne scrisse più ampiamente nell'anno 1953, inquadrandolo nella situazione storica del momento:
In momento di particolari difficoltà, riesaminando tutta la sua condotta, se vi fossero impedimenti all'azione della grazia da parte sua, parve che il Divin Maestro volesse rassicurare l'Istituto incominciato da pochi anni.
Nel sogno, avuto successivamente, gli parve di avere una risposta; Gesù Maestro infatti diceva: «Non temete, io sono con voi. Di qui voglio illuminare Abbiate il dolore dei peccati» (13).
Il di qui usciva dal tabernacolo; e con forza; così da far comprendere che da Lui-Maestro tutta la luce si ha da ricevere.
Ne parlai col Direttore Spirituale, notando in quale luce la figura del Maestro fosse avvolta. Mi rispose: «Sta' sereno; sogno o altro, ciò che è detto è santo; fanne come un programma pratico di vita e di luce per tè e per tutti i mèmbri» (14).
Di qui sempre più si orientò e derivò tutto dal Tabernacolo.
Come egli intese nel complesso delle circostanze tali espressioni:
a) Né i socialisti, né i fascisti, né il mondo, né il precipitarsi, in un momento di panico, dei creditori, né il naufragio, né satana, né le passioni, né la vostra insufficienza in ogni parte... (15): ma assicuratevi di lasciarmi stare con voi; non cacciatemi col peccato.
«Io sono con voi», cioè: con la vostra Famiglia, che ho voluta, che alimento, di cui faccio parte, come Capo. Non tentennate! Se anche sono molte le difficoltà...; ma che io possa stare sempre con voi: non peccati!
b) «Di qui voglio illuminare». Cioè, che Io sono la luce vostra, e che mi servirò di voi per illuminare; vi dò questa missione e voglio che la compiate. La luce in cui era avvolto il Divino Maestro, la forza di voce sul voglio e da qui e l'indicazione prolungata con la mano sul Tabernacolo furono così intesi: un invito a tutto prendere da Lui, Maestro Divino abitante nel Tabernacolo; che questa è la sua volontà; che dalla allora minacciata Famiglia doveva partire grande luce... Perciò, egli credette di sacrificare la grammatica al senso, scrivendo «Ab hinc»; si capisca e ognuno pensi che è trasmettitore di luce, altoparlante di Gesù, segretario degli evangelisti, di S. Paolo, di S. Pietro...; che la penna della mano con la penna del calamaio della stampatrice fanno una sola missione.
«Il dolore dei peccati» significa un abituale riconoscimento dei nostri peccati, dei difetti, insufficienze. Distinguere ciò che è di Dio nella nostra vocazione, da quello che è nostro: a Dio tutto l'onore, a noi il disprezzo. Quindi venne la preghiera della fede:
«Patto o Segreto di riuscita» (16).
Come nei racconti evangelici, dal semplice testo rilasciato da Don Alberione non si può avere certezza sul luogo in cui avvennero questi fatti straordinari, ne sulla data, e su altri particolari che accontenterebbero la nostra curiosità, ma che probabilmente non cambiano nulla della assoluta verità dei fatti, e sul loro insegnamento essenziale. Don Alberione, nell'ultimo suo anno di vita, tenne a precisare che le parole udite dalla bocca di Gesù Maestro erano state pronunziate in lingua latina. Esse in breve furono trascritte sia in latino come in italiano e poi in diverse lingue, a destra e a sinistra del Tabernacolo, perché fossero sempre presenti durante la celebrazione della Messa e durante la Visita eucaristica. Inoltre, in latino, alla quale lingua bisogna riferirsi per una precisa esegesi, queste parole «Nolite timere, Ego vobiscum sum - abhinc (ossia dal Tabernacolo) illuminare volo - poenitens cor tenete», contengono una ricchezza spirituale maggiore. L'ultima raccomandazione di Gesù Maestro è molto più comprensiva ed estesa della semplice esortazione in italiano: abbiate il dolore dei peccati; «Cor poenitens» poteva averlo anche Maria SS., per i peccati del mondo, mentre non poteva avete un dolore dei propri peccati, che, essendo Immacolata, non aveva, né (peccati) originali, né attuali.
Che si trattasse di cosa seria e non di una semplice allucinazione, lo si può dedurre dalla condotta successiva tenuta dal Fondatore. Volle che le parole pronunziate da Gesù Maestro fossero scritte, in maniera più o meno artistica ed elegante, in italiano o latino o in lingue diverse, sulle pareti delle cappelle paoline, in alto, nel presbiterio, e visibili da tutti, e da ogni angolo del tempio. Ancora trent'anni dopo, mentre a Roma si stava studiando una bella frase da incidere a caratteri grandi sul cornicione esterno del Santuario della Regina degli Apostoli, venne recapitato all'ingegnere architetto del Santuario Giuseppe Forneris (1899-1955), progettista e direttore dei lavori, una lettera raccomandata di Don Alberione, proveniente dal Giappone, dove lui si trovava allora in visita alle Case Paoline di quella nazione, che conteneva, senza giri di frase, quest'ordine perentorio: «Sul fregio si dovrà incidere questo: Nolite timere, ego vobiscum sum - abhinc illuminare volo - poenitens cor tenete». Firmato: Don Alberione» (cf MP, pag. 67). Alcuni dissero: “Che c'entra questa iscrizione con una chiesa dedicata a Maria SS., Regina degli Apostoli?” La disposizione del Fondatore però non venne mutata.
Un'altra prova della serietà e certezza dell'episodio dell'apparizione si ebbe poco dopo, nella istituzione del ramo femminile delle Pie Discepole del Divino Maestro, separato di fatto e successivamente anche di diritto dalle Figlie di San Paolo. Alle Pie Discepole doveva essere affidato, in modo del tutto particolare, come delegate di tutta la Famiglia Paolina, il compito di attuare la divina volontà nel mandato: Dal Tabernacolo, ossia dalla SS. Eucaristia, voglio illuminare... Il compito principale delle Pie Discepole è quello dell'Adorazione eucaristica continua, davanti al Tabernacolo: con la preghiera devono attingere di qui la grazia e la luce per tutti i mèmbri della Famiglia Paolina, organizzati in Congregazioni religiose, Istituti e nel gruppo dei Cooperatori.
Note - Citazioni - Fonti - Studi
(5) Data probabile di questo arrivo delle Figlie di San Paolo da Susa ad Alba è il 23 marzo 1923.
(6) Raballo Angela (Suor Teresa, F.S.P), Memorie del Primo Maestro rev. Teologo Giacomo Alberione. Opera inedita. (7) Su questo Congresso eucaristico, si veda: Rosa Enrico, Il settimo congresso eucaristico nazionale di Genova (5-9 settembre) [1923], in CC 1923-IV-31-49.
(8) E' il terreno dove sorsero le costruzioni dell'attuale Casa Madre della Pia Società di San Paolo, in Alba (Cuneo), e il Tempio dedicato a San Paolo Apostolo. Erano campi, prati, alcune costruzioni rustiche di proprietari diversi.
(9) Alberione G., Opera omnia, volume 2: «Mihi vivere Christus est», n. 138.
(10) E' il primo tronco di Casa San Paolo, costruito in Alba (Cuneo). Il trasloco dalla casa in affitto di via Vernazza, n. 6, alla nuova sede fu iniziato nel mese di agosto del 1921.
(11) II primo redattore di questo testo, il Teologo Giuseppe Timoteo Giaccardo mise qui, tra parentesi, questa precisazione: «L'ufficio che il Primo Maestro teneva nella Casa San Paolo, nei primi anni che fu costruita».
(12) Alberione G., Opera omnia, volume 2: «Mihi vivere Christus est», n. 139.
(13) Queste parole vennero udite in lingua latina: «Nolite timere, Ego vobiscum sum. Abhinc illuminare volo; cor poenitens tenete».
(14) Nel manoscritto questo brano è in prima persona.
(15) Qui è sottintesa la frase: «Nulla vi può fare del male».
(16) Questo lungo brano è tolto da AD, nn. 151-158. - II «Patto» si recitava già prima; forse qui si intende riferirsi al libro Le Preghiere della Pia Società S. Paolo. Alba, Scuola Tipografica Editrice, 1922.
Fonte: Giuseppe Barbero, Il sacerdote Giacomo Alberione, un uomo, un’idea – SSP 1991 (2) pp. 359-364
Il Miracolo per la sua beatificazione
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