L A  C I T T A'  D I   S A L E M I

 

 

 

 

 

 

P I C C O L I    P E Z Z I    D I    S T O R I A 

 

 

Cose e storie di Salemi

E la mongolfiera si impigliò

 

 

 

Dalle nostre parti quando qualcosa va a rotoli si usa dire che " ... finiu comu la festa di Vita e lu palluni di Salemi Come finì la festa di Vita non lo sappiamo, disponiamo di documentazione fotografica sul "palluni" di Salemi. Si era al primi anni di questo secolo, le donne mettevano al mondo nidiate di figli e i mariti dovevano lavorare sodo per mantenere la famiglia. Le USI‑ non erano state ancora inventate e a provvedere alla salute della gente erano i Santi. A Salemi, sotto questo aspetto, si stava piuttosto benino. Di chiese e di conventi se ne contavano una trentina e in tutti i luoghi di culto si veneravano miracolose immagini che provvedevano al bisogni altrui. Tra questi Santo Antonio da Padova che godeva di particolari devozioni perché si occupava dei più poveri e bisognosi. Naturale e conseguente il tripudio popolare in occasione della Sua festa il 13 giugno che era solenne in chiesa e spettacolare all'esterno. Ci informa il Cremona, scrupoloso cronista del '700, che"…specialissimo finalmente è il concorso di popolo che va in tutti i dodici giorni previ alla Sua festa a farli divoti ossequi...”. Nell'anno in cui avvenne il fatto che vi raccontiamo e che fa parte della storia di questa cittadina, nella piaz­za antistante la chiesa, inserita nel corpo del quattro­centesco convento, era in programma ‑ tra l'altro ‑ il volo di una mongolfiera che per la gente di allora, ignara non solo della mitica impresa di Icaro, ma anche delle realizzazioni di Mongolfiera e dei fratelli Wright, era un avvenimento ritenuto "incredibile". I festanti cittadini pensavano che le uniche cose che potessero liberarsi nell'aria ‑ oltre naturalmente agli uccelli e agli insetti, creature divine ‑ erano i pal­lini, le palle e i pallettoni di cui si faceva abbondante spreco e che avevano specifiche destinazioni. Per cui nessuna meraviglia destò il fatto che il pallone  appe­na liberato andò ad impigliarsi nel campanile della chiesa e non raggiunse le alte vette, quella degli angeli e dei santi, chiuse ‑ si disse a commento ‑ alle invenzioni degli uomini perché suggerite dal maligno..

 

                                                                                        

 

Il CASTELLO TRA MITO E STORIA

 

Accovacciato sulla collina,"...disteso come un vecchio addormentato..." l'abitato di Salemi ha vissuto lo stato di torpore che colpisce i paesi provati da dure calamità. Rimarginate alcune delle ferite che gli ha inferto il sisma di ventiquattro anni fa, riapre lentamente gli occhi per accertarsi che ancora vive, col gran desiderio di ridestarsi. Fa da corona all'abitato una antica fortezza che, da secoli, sembra prossima, a rovinargli addosso. Cerchiato come una botte, il millenario castello-testimone di audaci imprese che lo hanno avuto come obiettivo di conquista-rimane il punto di riferimento del centro storico. La fortezza, che non fu tanto facile espugnare per la validità della muraglia e i forti baluardi, che ospitò re e regine, è invaso da squadre di muratori per i necessari restauri e l'urgente consolidamento. Non più sede di regnanti e castellane, sarà il degno sito per attività culturali fra le mura di quella che fu definita "la seconda Pontida". Non è tra le pagine della storia che vogliamo cercare il suo atto di nascita, ma nel fecondo mondo della fantasia popolare che vuole la costruzione del maniero alla iniziativa di una bellissima donna. Si racconta che arrivò su queste verdi e boscose colline prima dell'anno mille in compagnia di due sorelle, a capo di una tribù. La ricchezza delle sorgenti e la fertilità del terreno la invogliarono a mettere su casa. Non tutte, però, furono d'accordo sulla scelta dell'altura su cui erigere la dimora: la grande voleva stabilirsi a Mokarta, la mezzana a Settesoldi, la più piccola che era la più bella e la più furba, insisteva per restare sul posto. Si accapigliarono, si insultarono e, per poco, non misero mani alle armi. A questo punto, la più giovane lanciò una sfida: si costruisca una fortezza sul sito che ci aggrada di più. Chi per prima metterà l'ultima pietra, sarà proclamata regina. Anni di dura fatica fecero sorgere tre castelli. La giovin pulzella, calcolando il tempo che avrebbero impiegate le germane a coprire la distanza tra i loro insediamenti ed il suo, diede anzitempo il segnale della fine del suo lavoro. Riuscì a collocare le ultime pietre prima che arrivassero le sorelle. Fu proclamata regina. Sui colli di Mokarta e Settesoldi restano ancora i ruderi dei castelli non completati; sull'altura di Salemi troneggia l'antico maniero, protagonista e testimone di mille e più anni di storia.

 

 

ALONZO DE MONROY, PRINCIPE DI PANDOLFINA

 

Una palla tirata con estrema precisione da anonimo schioppo colpiva al petto, nella primavera del 1794, don Alonzo de Monroy, principe di Pandolfina, marchese di Gargigliano, barone e signore di molti feudi. Quando venne assassinato, il nobiluomo, passeggiava scortato dai suoi sgherri, lungo le mura del convento dei Cappuccini a Valle del paese di Salemi. La sua morte, avvenuta nel vicino convento, non fu salutata da giubilo perché non si poteva, ma portò sollievo nell'animo dei cittadini. Era da tutti temuto per le nefandezze di cui era capace e delle quali - si sosteneva - si era macchiato. Secondo il Catania, ad averlo ucciso in quel passo che conduceva alle sue tenute - ora detto "Passo del Principe - sarebbe stato un "santo sacerdote" a cui il nobile aveva disonorato la cognata; la fantasia popolare vorrebbe, invece, una donna come vendicatrice del proprio onore. Il Cremona che del principe fu contemporaneo " ... per non offendere la di lui modestia..." ne elenca i meriti e per timore non fa cenno alle imputate scelleratezze. Ma quante altre cause - visto quanto tristo fosse il suo vivere - poterono armare la mano dell'assassino? Di lui si tramandano storie, affidate al racconto popolare, che evidenziano quanto non fosse amato dai salemitani. In un anno imprecisato, ma successivo al marzo del 1740, avrebbe tentato una spoliazione di poderi dopo che quei terreni rimasero liberi dai fabbricati di due conventi scivolati a valle a seguito di una grossa frana che interessò le falde di Monte delle Rose. I proprietari rimasero molto indispettiti dalla prepotenza del principe. Si racconta pure che, essendo il nobile un cacciatore impenitente e maniaco di schioppi e miscele, fabbricava da solo le cartucce per la selvaggina la cui efficacia provava sui contadini che lavoravano i campi, o su quelli di passaggio dalle sue tenute, a Settesoldi. Verginelle e maritate se le faceva portare, con la forza, nel palazzotto che si affacciava (è ancora esistente) di fronte all'ingresso laterale della chiesa Madre. A mariti e genitori imploranti faceva conoscere il carcere, la berlina e la tortura. Il "santo sacertote" (mai ufficialmente incolpato) visto come esecutore della vendetta, probabilmente, non commise il delitto. Nessuno ebbe mai certezza su chi e sui perché venne assassinato " ... il degnissìmo ... per i suoi grandi meriti onorato dalla Maestà di Carlo Terzo re delle due Sicilie ... colla nobile insegna di Cavaliere della Chiave d'oro ......".

 

Per il momento mi fermo qui, ma vi prometto che presto arricchiremo il sito con nuove pagine e più interattività, ci vediamo presto......CIAO

RITORNA ALLA HOME PAGE