Orientamenti
pastorali dell’Episcopato italiano
per il primo decennio del 2000
Introduzione
«Ciò
che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito…
il
Verbo della vita… Queste cose vi scriviamo,
perché
la nostra gioia sia perfetta» (1Gv 1,1.4)
1.
– Amatissimi fratelli e sorelle in Cristo, ci rivolgiamo a voi, all’inizio
di questo nuovo millennio, con sentimenti di lode
e di ringraziamento al Signore, perché
ha operato e continua a operare meraviglie in mezzo a noi: è il Signore
vivente, il Dio con noi, la nostra speranza. Ci rivolgiamo a voi anche con
sentimenti di profonda gratitudine per il cammino che, grazie a voi tutti, le
Chiese di Dio che sono in Italia hanno compiuto dal Concilio Vaticano II ad
oggi. Insieme a voi abbiamo cercato di condividere il peso delle tristezze e
delle angosce dei nostri contemporanei[1],
convinti che compito primario della Chiesa
sia testimoniare la gioia e la speranza
originate dalla fede nel Signore Gesù Cristo, vivendo nella compagnia degli
uomini, in piena solidarietà con loro, soprattutto con i più deboli.
Come
pastori, vorremmo essere soprattutto i «collaboratori
della vostra gioia», senza «far da padroni sulla vostra fede» (2Cor
1,24). Non abbiamo la presunzione di credere di non avervi mai dato giusto
motivo di lamentarvi di noi nel nostro servizio episcopale[2];
perciò chiediamo perdono al Signore e a voi per tutte le mancanze a questo nostro
ministero, e desideriamo rinnovare il nostro impegno di confermarvi nella fede e
di alimentare in voi con tutte le nostre forze la gioia evangelica, per essere
insieme a voi portatori della gioia a ogni uomo.
2.
– A tutti vogliamo recare una parola di
speranza. Non è cosa facile, oggi, la speranza. Non ci aiuta il suo
progressivo ridimensionamento: è offuscato se non addirittura scomparso nella
nostra cultura l’orizzonte escatologico, l’idea che la storia abbia una
direzione, che sia incamminata verso una pienezza che va al di là di essa. Tale
eclissi si manifesta a volte negli stessi ambienti ecclesiali, se è vero che a
fatica si trovano le parole per parlare delle realtà ultime e della vita
eterna.
C’è
poi la tentazione di dilatare il tempo presente, togliendo spazio e valore al
passato, alla tradizione e alla memoria.
A volte abbiamo paura di fermarci per ricordare, per ripensare a ciò che
abbiamo vissuto e ricevuto. Preferiamo fare molte cose, o cercare distrazioni.
Eppure sono l’ascolto, la memoria e il pensare a dischiudere il futuro, ad
aiutarci a vivere il presente non solo come tempo del soddisfacimento dei
bisogni, ma anche come luogo dell’attesa, del manifestarsi di desideri che ci
precedono e ci conducono oltre, legandoci agli altri uomini e rendendoci tutti
compagni nel meraviglioso e misterioso viaggio che è la vita.
Vorremmo
perciò invitare con forza tutti i cristiani del nostro paese a riscoprire,
insieme a tutti gli uomini e le donne di buona volontà, i fili invisibili della
vita, per cui nulla si perde nella storia e ogni cosa può essere riscattata e
acquisire un senso.
Attingendo
alla Parola della vita
3.
– Ma dove potrà mai volgersi il nostro cuore per indicare prospettive reali e
concrete di speranza a ogni uomo? Dove potremo, noi pastori, attingere le forze
per vegliare su noi stessi e su tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito
Santo ci ha costituiti vescovi per pascere la Chiesa di Dio (cf. At 20,28), per
essere servitori della gioia? Non possiamo far altro che sentirci affidati, come
gli anziani di Efeso, «al Signore e alla parola della sua grazia che ha il
potere di edificare e di concedere l’eredità» (At 20,32), cioè il suo
regno, vero orizzonte di speranza.
Risuonano
ai nostri orecchi le parole dell’apostolo Giovanni: «Ciò che era da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi
abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che
le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita (poiché la vita si è
fatta visibile, noi l’abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi
annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi),
quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche
voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio
suo Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia perfetta»
(1Gv 1,1-4).
«Ciò
che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito…»: la fede nasce
dall’ascolto della
parola di Dio contenuta nelle Sante Scritture e nella Tradizione, trasmessa
soprattutto nella liturgia della Chiesa mediante la predicazione, operante nei
segni sacramentali come principio di vita nuova. Non ci stancheremo mai di
ribadire questa fonte da cui tutto scaturisce nelle nostre vite: «la parola di
Dio viva ed eterna» (1Pt 1,23).
«…ossia
il Verbo della vita»: l’ascolto dei cristiani è rivolto soprattutto alla
Parola fatta carne, a colui che secondo l’evangelista Giovanni è la
narrazione, la spiegazione, cioè la rivelazione del Padre (cf. Gv 1,18). Tale
ascolto apre a una conoscenza
esperienziale e amorosa, capace di
incidere profondamente sulle nostre vite trasmettendoci la vita stessa di Dio:
«È apparsa la grazia di Dio», dice l’apostolo Paolo, «apportatrice di
salvezza per tutti gli uomini, che ci insegna… a vivere… in questo mondo» (Tt
2,11-12).
«Ciò
che noi abbiamo udito… lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in
comunione con noi… Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia [di
noi e di voi tutti] sia perfetta»:
grazie all’ascolto, all’esperienza e alla contemplazione del Verbo, i nostri
cuori si trasformano, sino a plasmare le nostre vite, sino a farle diventare a
loro volta capaci e desiderose di offrire e comunicare
la vita ricevuta. Nel cuore di chi ha
aderito al Signore Gesù Cristo, non può non nascere il desiderio di
condividere il dono ricevuto, di «amare come siamo stati amati».
4.
– L’itinerario dall’ascolto alla
condivisione per amore – tratteggiato nel prologo della prima lettera di
Giovanni e tipico della fede cristiana – è la via che Cristo ci ha indicato,
è ciò per cui è stato inviato dal Padre, è la ragione ultima per cui si è
fatto «obbediente fino alla morte, e alla morte di croce» (Fil 2,8). Ma un
tale itinerario è in realtà eloquente per ogni uomo, perché è una
via che conduce alla speranza e alla gioia. Permette, infatti, che gli uomini
possano trovare un senso nella tribolazione e nella sofferenza, confortandosi e
perdonandosi a vicenda, e rende loro possibile godere pienamente della gioia:
perché, altrimenti, l’uomo avrebbe l’irresistibile bisogno di far festa, se
non per quel «di più» di gioia che soltanto la condivisione può permettergli
di vivere?
Per
questo, ci pare che compito
assolutamente primario per la Chiesa, in
un mondo che cambia e che cerca ragioni per gioire e sperare, sia e resti
sempre la comunicazione della fede,
della vita in Cristo sotto la guida dello Spirito, della perla preziosa del
Vangelo.
5.
– Guardando agli anni dal Concilio
– «la grande grazia di cui la Chiesa ha beneficiato nel secolo XX»[3]
– fino a oggi, ci pare di poter dire che la
Chiesa italiana ha cercato di
interrogarsi in profondità, e l’ha fatto seguendo l’itinerario poc’anzi
ricordato, ossia il cammino della fede che nasce dall’ascolto e che attraverso
l’esperienza vissuta si fa testimonianza dell’amore di Dio e condivisione
con tutti gli uomini della speranza e della gioia cristiane.
Nel
contempo si è sviluppato e ha preso corpo l’insegnamento
del Santo Padre Giovanni Paolo II,
che continuamente invita la Chiesa a riflettere sul mistero di Cristo, per
porsi, sotto la guida dello Spirito, al servizio della missione dell’Inviato
del Padre. Il successore di Pietro ha invitato in questi anni tutte le Chiese,
soprattutto quelle dei paesi occidentali, a ripartire da una profonda opera di
evangelizzazione e catechesi[4],
tesa a rendere sempre più salda la fede e l’esperienza spirituale dei
cristiani, al fine di renderli testimoni del Vangelo in un mondo che sta
attraversando profondi mutamenti culturali.
6.
– Negli ultimi anni, in particolare, ci siamo sentiti fortemente coinvolti
nell’itinerario di preparazione all’evento
giubilare. La lettera apostolica Tertio
millennio adveniente ci ha aiutati a riporre al centro Cristo, salvatore ed
evangelizzatore, invitandoci a un rinnovato studio del Vangelo, per approfondire
la figura di Gesù, la sua storia, fino a comprendere con sempre maggiore
profondità la sua vera identità[5].
Siamo stati quindi guidati a riscoprire la presenza e l’azione dello Spirito,
che costituisce il culmine del mistero dell’Incarnazione e che compagina i
cristiani nella Chiesa, rendendoli testimoni della speranza nell’avvento del
Regno[6].
Infine, nell’ultimo anno di preparazione al Giubileo, il nostro sguardo si è
rivolto al Padre, verso il quale tutti gli uomini – quale che sia la loro
razza, la loro cultura o la loro religione – sono incamminati e nel cui
abbraccio si incontreranno alla fine della storia[7].
7.
– Occorre aggiungere che il Giubileo,
tempo di grazia e di misericordia, ci ha lasciato anche impressa nella
memoria la necessità di purificazione
che sempre permane nella Chiesa[8].
Come non pensare a immagini che hanno colpito il mondo intero, quali quella di
Giovanni Paolo II che abbraccia la croce invocando la misericordia del Signore,
o quella del Pontefice pellegrino al muro del tempio di Gerusalemme, per
chiedere perdono a Dio per le sofferenze che alcuni figli della Chiesa hanno
inflitto al popolo d’Israele? L’anno giubilare è stato così occasione per
riscoprire che la vita cristiana è sì tesa all’annuncio, alla condivisione
della Buona Notizia di Cristo, ma che ciò è possibile solo se la Chiesa per
prima si lascia purificare e santificare dall’amore misericordioso di Dio,
dall’ascolto della Parola della croce. Ogni cristiano, nel Giubileo, ha potuto
vivere un’esperienza forte della misericordia di Dio, riscoprendosi, con tanti
fratelli, popolo pellegrinante verso la sorgente del perdono e della
riconciliazione.
La
risposta libera e responsabile a tale appello del Signore, con la conversione
e nella perseveranza fino al martirio, è e rimane il messaggio più forte e
convincente che la Chiesa può trasmettere nella storia. Non a caso, altro
momento fondamentale dell’anno giubilare è stata la celebrazione della
moltitudine di testimoni della fede,
la cui vita nel corso del XX secolo
è stata pienamente conformata a quella dell’Agnello. Ed è stato importante
accorgersi che i martiri hanno già saputo vivere quell’unità della Chiesa
che noi oggi purtroppo non sappiamo ancora realizzare, sebbene tale desiderio
abiti nel cuore del Signore che noi diciamo di amare (cf. 1Pt 1,8). «Circondati
da un così grande numero di testimoni» (Eb 12,1), ci sentiamo accompagnati e
incoraggiati in un cammino di costante e profonda conversione verso la gioia e
la speranza[9].
8.
– Consapevoli del bisogno di senso dell’uomo d’oggi, teniamo «fisso
lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede» (Eb 12,2). Nel
contempo, vogliamo custodire nella memoria e nei cuori come un bene prezioso i
tesori di sapienza e i moniti accumulati negli oltre trent’anni trascorsi dal
grande evento del Concilio. Tutto questo ci fa avvertire l’urgenza di
rinnovare e approfondire la nostra collaborazione alla missione di Cristo. L’amore di Cristo ci
spinge ad annunciare la speranza a tutti i fratelli e le sorelle del nostro
paese: Cristo è risorto, la morte è vinta, e vi sono ancora migliaia di uomini
che accettano di morire per testimoniare la verità della risurrezione del
Signore.
Ora sta a noi metterci al servizio della missione
dell’Inviato del Padre, assumendo la vocazione battesimale alla santità. Ci
potranno accompagnare ed essere di stimolo le parole di John Henry Newman, che
così amava rivolgersi in preghiera al Signore:
«Stai
con me, e io inizierò a risplendere come tu risplendi;
a risplendere fino ad essere luce per gli altri.
La luce, o Gesù, verrà tutta da te: nulla sarà
merito mio.
Sarai tu a risplendere, attraverso di me, sugli
altri.
Fa’ che io ti lodi così, nel modo che tu più
gradisci,
risplendendo sopra tutti coloro che sono intorno a
me.
Da’ luce a loro e da’ luce a me;
illumina loro insieme a me, attraverso di me.
Insegnami a diffondere la tua lode, la tua verità,
la tua volontà.
Fa’ che io ti annunci non con le parole ma con
l’esempio,
con quella forza attraente, quella influenza solidale
che proviene da ciò che faccio,
con la mia visibile somiglianza ai tuoi santi,
e
con la chiara pienezza dell’amore che il mio cuore nutre per te.»[10].
9.
– Gli orientamenti pastorali che
seguono scaturiscono da queste considerazioni introduttive e, nel medesimo
tempo, vogliono essere una risposta all’invito formulato da Giovanni Paolo II
a guardare avanti, a «prendere il largo», con un dinamismo nuovo e nuove
iniziative concrete[11].
Lo
stesso Santo Padre, nella lettera apostolica Novo millennio ineunte, invita esplicitamente le singole Chiese a
raccogliere le indicazioni pastorali che emergono dall’esperienza giubilare e
a incarnarle nella loro situazione culturale ed ecclesiale, avvalendosi anche
del lavoro collegiale svolto nelle Conferenze episcopali[12].
Abbiamo accolto tale invito e, senza fare un nostro diverso cammino, ci siamo
inseriti nel solco aperto dalla lettera apostolica di Giovanni Paolo II, per
meditarla, cogliervi le indicazioni più pertinenti per la situazione italiana e
favorire così, da parte di ciascuna diocesi, la formulazione dei veri e propri
itinerari pastorali.
La
Novo millennio ineunte è da
considerarsi pertanto il testo di primario
riferimento di questi anni. Gli orientamenti pastorali che seguono ne sono una lettura e uno
sviluppo, per meglio accoglierlo e
attuarlo. Nella prima parte, stimolati dalla celebrazione del Giubileo,
concentreremo l’attenzione su Gesù Cristo, l’Inviato del Padre. Quindi,
partendo da alcuni elementi di analisi dell’ambiente culturale in cui viviamo,
offriremo indicazioni ecclesiologiche e pastorali per la comunicazione del lieto
annuncio cristiano, centrandole sul mistero dell’Incarnazione. Solo guardando
ad esso le nostre Chiese particolari potranno riprendere con rinnovato slancio
la propria missione evangelizzatrice, a servizio della missione di Cristo.
[1] Cf. Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione pastorale Gaudium et spes, 1: AAS 58 (1966) 1025-1026.
[2] Cf. Sant’Agostino, Sermo 383, 3.
[3]
Giovanni
Paolo II, Lettera apostolica Novo
millennio ineunte, 57: OR, 8-9 gennaio 2001, 6.
[4] Cf. Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica Catechesi tradendae: AAS 71 (1979) 1277-1340; Id., Lettera enciclica Redemptor hominis, 15-16: AAS 71 (1979) 286-295.
[5] Cf. Giovanni Paolo II, Lettera apostolica Tertio millennio adveniente, 40-42: AAS 87 (1995) 31-32.
[6] Cf. Ibidem, 44-46: AAS 87 (1995) 33-34.
[7] Cf. Ibidem, 49-53: AAS 87 (1995) 35-37.
[8] Cf. Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione dogmatica Lumen gentium, 8: AAS 57 (1965) 12.
[9] Cf. Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo millennio ineunte, 48: OR, 8-9 gennaio 2001, 5.
[10] Cf. J.H. Newman, Meditations and Devotions, London - New York - Bombay, 1907, 365.
[11] Cf. Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo millennio ineunte, 15: OR, 8-9 gennaio 2001, 3.
[12] Cf. Ibidem, 29: OR, 8-9 gennaio 2001, 4.