Cercenà
Vieni, or ti conduco lontano,
e tu apprestati a godere
uno spettacolo ben raro.
Cercenà, un colle che s'affonda
nel cielo dolcemente, una chiostra
di monti intorno intorno,
ciocche di larici per prati,
quattro fienili sparsi:
null'altro. Ma senti l'incanto
delle genziane che alitano
nell'aria, e i ginepri che odorano
acremente
tra i rododendri infiore?
Odi la lenta armonia
dei campanacci
lontani? L'armento bruca
tranquillo dall'alba di stamane,
e il cielo di mezza estate ride
sopra il colle come d'aprile.
Guarda, ora il muschio verdeggia
sulle porte dei fienili antichi...
A tratti c'è un così profondo
silenzio che ti par vivere
in un paesaggio lunare.
Poi uno stormir difronde,
ma quieto, quasi un sommesso
ragionare dei larici col vento;
poi un chioccolare lontano
d'invisibile fonte.
Ricordi ora quella fontana
fatta di zolle ed arboscelli
intrecciati con le nostre mani?
Oggi non c'è più. Ah il tempo!
Eppure specchio più limpido
ai nostri occhi non c'era,
né acqua più fresca alle nostre
labbra ardenti di fanciulli.
E su quel breve spiazzo,
sopra quel timo vellutato,
quante capriole, e quante
gracili uova color di cielo
rubammo dai nidi!
Ora sotto le gronde dei fienili
le rondini allevano la già
esperta prole, e poi partiranno.
Vieni, dunque, andiamo anche noi,
perché restare? Troppo oggi
amammo il passato; chè - zitto! -
il presente si potrebbe vendicare.
Silvio De Bernardin Stadoan