Il volumetto (disegno di copertina di L. Regianini),
96 pagine ciclostilate, edito dalla Redazione di "Da Postauta a Giò Auto" negli anni '70,
presenta una raccolta di poesie del "maestro Silvio",
precedute da una "Premessa" e da un "Ricordo di Silvio della maestra Maria De Villa",
che riproduciamo di seguito.

PREMESSA
"Divenni più uomo. Ma più puro anche divenni,
che quando si vive lungamente in seno alla natura l'animo si rifà fanciullo".
Questo scrive Silvio De Bernardin in uno scritto autobiografico.
Le sue poesie, che in questo libro pubblichiamo per gran parte, sono espressione di umanità.
Autentica umanità di chi soffre, di chi cerca, di chi spera, di chi ama.
La natura vive nei suoi versi e rende limpido lo sguardo, come l'azzurro del cielo di settembre.
La solitudine ed il dolore non sono fine a se stessi, ma hanno valore liberatore
per chi, leggendo i suoi versi, vi coglie l'anelito a qualcosa di più vero, di più bello, di più grande.
Limpidezza che fa nascere un desiderio di amore.
(La Redazione di "Da Postauta a Giò Auto")

RICORDO DELLA MAESTRA...
A dieci anni dalla morte ho ancora molto vivo il ricordo di Silvio.
Era nato nel 1923: si viveva nella stessa casa e fin d'allora cominciai ad affezionarmi a questo bambino
che dimostrava una intelligenza precoce ed una delicatissima sensibilità.
Fui sua insegnante per alcuni anni:
era amante dello studio personale, a casa, dove la sua capacità lo portava a riuscire ottimamente.
Era un ragazzo timido, Silvio: aveva bisogno di essere compreso ed amato.
Pur avendo un carattere chiuso, introverso, più amante della solitudine che non della compagnia,
non disdegnava però le amicizie.
Ricordi di scuola!
Silvio si esprimeva molto bene nella pittura.
Assieme a Giovanni De Bettin, che fin dall'infanzia rivelava lo stile con cui si è affermato,
mi sostituiva nell'insegnamento del disegno sia alla lavagna che correggendo gli album dei compagni.
Le pitture di Silvio erano tristi: paesaggi autunnali dai colori smorti, chiara espressione del suo animo.
Affrontò gli studi delle Magistrali praticamente da solo, con lo studio fatto a casa,
anche per la sua salute poco stabile.
Si presentò agli esami come privatista e sempre li superò brillantemente,
ottenendo il diploma di maestro nel 1943.
Insegnò per alcuni anni in un paese sul lago di Garda, che descrive in alcune poesie,
poi a Costalta ed infine, negli ultimi anni, a Zorzoi di Sovramonte.
Ricordo la sua facilità di parola e la capacità fuori del comune di insegnare,
per avere assistito ad alcune lezioni private che egli impartiva a molti ragazzi.
Un altro aspetto che rivela la versatilità della sua mente
è il superamento dell'esame di Segretario comunale,
professione che egli esercitò per qualche anno.
Delicato e sensibilissimo, Silvio esprimeva anche nella musica il suo mondo interiore,
suonando vari strumenti: chitarra, fisarmonica e mandolino.
La sua vita interiore era ricchissima: egli meditava molto.
Passava intere giornate chiuso in camera dove confidava alle pagine i suoi pensieri, le sue pene.
Ed è appunto negli scritti, nelle sue poesie, che egli esprime la sua personalità.
Era un conoscitore della letteratura italiana e latina, amante di Leopardi e di Catullo.
Spesso mi mostrava le poesie che scriveva per sentire un mio giudizio,
e posso dire che esse mi ispiravano profonda tristezza,
ricordandomi il poeta crepuscolare Guido Gozzano.
Proprio perchè gli volevo bene soffrivo con Silvio delle sue sofferenze,
mi sentivo partecipe delle sue pene e della sua tristezza:
era profondamente vero quanto poeticamente esprimeva, la solitudine, la tristezza,
l'amore so£ferto, l'ansia di comunicare con gli uomini, spesso non realizzata,
l'amore per la natura, che sapeva descrivere con sensibilità molto alta.
Piansi la sua morte, ed ancora mi è vivo il suo ricordo.
(Maestra Maria De Villa)


Ed ora un piccolo saggio
della vena poetica di Silvio...

 RITORNO

Nulla è cambiato qui intorno.
Il sole mette ancora
un sospiro tenero di genziane,
l'acqua del torrente parla
sempre tra rive profumate,
e pini e abeti tessono
tuttora in cielo glauche trame
come in quel giorno lontano!
Ma come pallide oggi
come sfumate son per me
tutte queste cose!
Io solamente sono mutato,
dunque, aspro e duro
fatto a me stesso e agli altri,
sol perchè mi manchi tu,
luce del mio passato.

SEMPLICITA'

Alzarsi all'alba ad ascoltare
le armoniose voce degli uccelli
che sciolgono un inno al sole,
percorrere con quieto passo
i boschi assaporando l'aroma
del muschio fresco e dei fiori,
leggere un libro che s'ama
tra i grandi libri del mondo,
udire la vita che d'intorno
vibra e ronza come un alveare
d'oro: o semplice saggezza umana!
Molte cose hai ancora, o uomo,
che credi aver perduto ogni cosa:
e forse non lo sai.
Forse rincorri ancora, ogni giorno,
la giostra fuggente dei consueti
inganni lontano dalla natura.
Alzati all'alba: e lo saprai.
Mantieni puro il cuore: e t'illuminerai.


TRAMONTO SULL'ALPE

Uno spicchio di fuoco
e d'oro che tremulo barbaglia
all'ultimo orizzonte:
polvere rosata effusa
tra monte e monte.
Odi lontano un fioco sonar
di campanacci e grida di pastori
e il muggir dell'armento:
crescono i rumori
forti più forti e poi via via
s'espandono col vento
e l'eco li ripete dolcemente
di monte in monte.
L'aria s'imbruna,
e nelle malghe le vacche
sonnecchiano ruminando...
Ormai nessuna voce intorno
nessuna luce oltre
quel lontano fuoco laggiù
dove i pastori stanno bivaccando.

 PREGHIERA

O Signore, tu che dall'immobile
sfera celeste divinamente ci guardi
tu vedi come tra mari sconfinati,
tra monti ergentesi al cielo in perenne
preghiera, come tra placidi fiumi
scorrernti per vallate feconde,
come tra metropoli sfavillanti
si muova eternamente il nostro dolore.
Oh quanto s'ingannano, quanto
per un nonnulla s'accapigliano
le debolezze umane, come fieramente
s'odiano i fragilissimi cuori
e per un'ombra fuggente si crucciano
le menti! Signore, tu che con un solo
sguardo degli amorevoli occhi
vegli il silente rotare delle stelle,
tu guida ad ogni istante gli incerti
passi dei figli tuoi; sì che
fuor dal tuo cammino non possano
più perire per le ferite che si danno.


UN'ALTRA VITA

Continuità dei monti
alti disegnati nel cielo
avvinti dalle valli ombrose
in eterno abbracciamento;
continuità delle nuvole
sfilanti all'orizzonte
sospinte dalle ali del vento:
legame ininterrotto delle cose
di tutte le cose al mondo
nate dalla natura
che ignora intervalli e fratture;
vicenda ininterrotta delle idee,
della storia e dell'arte,
e delle religioni
-sorgenti di conforto all'anima-
e dei miti e della filosofia
-pallida di lumi dispensatrice-
e degli inganni e delle illusioni
che velenano all'uomo il vero
come il miele all'ignaro
fanciullo nasconde il farmaco amaro:
vicenda perenne di speranza
che regge la trama della vita
e vince l'abbandono
fino all'ultimo giorno,
fino all'ultimo istante,
quando non più in questa
ma in un'altra vita ancora
l'uomo confida
eternamente.
6.8.63


Concludiamo
con una poesia fornitaci
da Duilio Casanova De Marco...

EQUINOZIO SULL'ALPE

Il tramonto fiammeggiava
ardente
all'estremo orizzonte:
fuoco morente
che barbagli di porpora
e d'oro traeva
dalle guglie del monte.
Scendeva lento il pastore
giù per la china
selvaggia
odorosa di mentastro
e d'uva ursina:
scendeva e trotterellando
il gregge lanuto
lo seguiva
belando dolcemente.
Nella purisima aria
settembrina
si spandevano suoni
e aromi silvestri
intorno intorno.
Da lontano una squilla
annunziava
il tranquillo morir
d'un altro giorno.
M'apparve il pastore
come antico
suonator di zampogna,
balzato a un tratto
da qualche anfratto
dei monti greci
e dalle aride
gole siciliane,
quando Teòcrito
le dolcezze cantava
della vita agreste
e i semplici amori
dei pastorelli
con le brune villane...
Dalla valle,
tessuta di penombre,
altra eco venente
di campane.
Poi silenzio:
e il trapestio del gregge
e il belar quieto
e il ritmo del bastone
patriacale
contro i sassi del greto.
Io non fui giammai
così felice
come in quella sera
di settembre,
a sommo il colle,
come in quell'ora
vespertina
in cui la brezza autunnale
pareva di primavera.
La mia anima sola,
la mia anima
sempre più sola e smarrita,
udì chiaramente
dal cielo, quella sera,
un invito ineffabile e misterioso:
"Vieni, orsù vieni!
Qui è la pace
che tu affannosamente
ricerchi altrove,
qui l'unico
possibile riposo
all'inquieta tua vita.
Che attendi ancora?".
Io m'inginocchiai allora
in faccia al sole
del mite equinozio
di settembre,
dinnanzi all'ultimo
raggio di sole
fiammeggiante
porpora e oro.
E l'adorai
come un antico egizio.

(Silvio De Bernardin, novembre 1960 )



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