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Chissà com'è Belleville.
So di molte persone - lettori e ammiratori di Pennac - che approfittano
di un viaggio a Parigi per andare a conoscere il quartiere dove il popolare
scrittore ha ambientato i romanzi della saga dei Malaussène, ma
io non ci sono mai stata. Anche l'ultima volta che ho visitato la città,
chi mi accompagnava me ne ha dissuasa con la scusa che si tratta di un
posto brutto, sporco e mal frequentato, e per educazione non
ho insistito, ma poi, sul treno del ritorno, ho molto invidiato la ragazza
seduta di fronte a me che, guardacaso, raccontava con molto brio a un
altro passeggero di essere reduce proprio da un pellegrinaggio letterario
a Belleville. E io invece me ne tornavo in Italia con molte curiosità
inappagate, non ultima quella di assaggiare un cuscus nordafricano cucinato
e servito a regola d'arte.
Così, Belleville per me resta solo nell'immaginario, ma forse è
meglio: posso dire di conoscerla così come l'ha descritta Pennac
nei suoi libri, e lo ha fatto in modo tanto colorato da collocarla fra
i luoghi mitici della letteratura. Quelli che ai passanti con la puzza
sotto il naso sembrano i lati peggiori, per l'Autore ne diventano i privilegi:
il clima da periferia popolare e precaria e l'inquietante multietnicità
dei suoi abitanti ne fanno un mondo ideale per rappresentarvi storie grottesche,
complicate, imprevedibili. Gli eroi di questo ghetto felice sono persone
all'apparenza poco raccomandabili, per lo più extracomunitari chiassosi
o stravaganti, ma fin dall'inizio Pennac ne mette in luce le doti di umanità
e realismo in confronto al sussiego vacuo e cinico dei cittadini per bene,
legittimati dal giusto colore della pelle, dalla giusta militanza politica
o ideologica, dalla giusta posizione sociale. In quest'isola di emarginati,
che in realtà possiedono un codice morale e un contatto con la
vita più solidi e limpidi dei benpensanti loro detrattori, cresce
e prospera la famiglia Malaussène, formata da personaggi tra i
più improbabili, estrosi e teneri.
Li conoscete tutti, vero? La mamma sempre innamorata e quindi sempre latitante,
che di quando in quando ritorna a casa come un'apparizione (e ogni volta
nuovamente single e allegramente incinta); il figlio maggiore, capofamiglia
e io narrante, Benjamin, specializzato nel ruolo di ingenuo capro espiatorio
al quale capitano di continuo tra capo e collo le avventure più
impensabili; le tre sorelle, Louna l'infermiera, Clara la fotografa e
la saggia di casa, Thérèse l'astrologa sensitiva; i fratellini
Jérémy lo scatenato e il Piccolo sognatore; l'ultimo frutto
della passione di mamma, l'incazzosissima neonata Verdun; il dolce bebè
di Clara, che si è meritato il nome di E' un angelo; e il più
recente arrivo, Signor Malussène, nato in modo rocambolesco dall'amore
tra Benjamin e la sua compagna pasionaria Julie. Non manca un cane, Julius,
invenzione spassosa e inquietante, con le sue abitudini cialtrone e le
sue apocalittiche crisi epilettiche. Ma la felice, unitissima e incasinata
tribù è una famiglia allargata, che comprende altri personaggi
del quartiere in veste di parenti adottivi, scelti fra gli immigrati delle
più varie nazionalità e dei più strampalati usi e
costumi, sempre presenti e risolutori nelle emergenze che caratterizzano
la vita turbolenta dei Malaussène. Tutti insieme si trovano regolarmente
al centro di avvenimenti strabilianti e paradossali, innescati di volta
in volta da pensionati kamikaze, vecchiette pistolere, killer psicopatici,
secondo un copione imprevedibile che ad ogni pagina sorprende e cattura
per le continue trovate, i colpi di scena, gli escamotage fantasiosi come
in una lunga storia a fumetti, in un cartone animato ricco di movimento
e sorprese.
Pennac tratta il noir con tono surreale, esilarante, originalissimo, e
lo alterna a pagine gustose di cronache meno nere e più rosa, ma
sempre sotto il segno di uno humour geniale, quasi a ricordare al lettore
che gli sta offrendo solo un gioco di prestigio, il piacere di una storia
inventata, l'invito a lasciar correre la fantasia e a seguirla, come nelle
favole per bambini. A questo autore non manca alcuno degli strumenti del
mestiere: la curiosità, la vivacità, una fertilissima inventiva,
l'unitarietà di stile, la padronanza del linguaggio che gli permette
di farne un uso innovativo, la tecnica con la quale tiene sotto controllo
il registro generale e non disperde il filo delle innumerevoli e complicate
vicende, il senso del ritmo, che sa rendere di volta in volta onirico
oppure frenetico. Il prodotto letterario che ne esce è godibilissimo
nel suo umorismo, ma soprattutto è intelligente, avvincente e nuovo.
Quindi, per favore, non definiamolo uno scrittore comico, come ho letto
da qualche parte. Mi sembra molto riduttivo, molto ingeneroso nei confronti
della sua versatilità. Uno Scrittore, e basta.
Parte del merito va riconosciuto anche a Yasmina Melaouah, che di Pennac
è la traduttrice storica e probabilmente simbiotica, la quale ha
restituito in un italiano scorrevolissimo la prosa francese anche quando
gergale.
A margine, voglio citare un altro notissimo
scritto di Pennac, che non appartiene né alla saga Malaussène
né al genere narrativa: il saggio Come un romanzo,
una lunga, spiritosa, pacata e convincente conversazione sulla lettura,
raccomandabilissima ai ragazzi pigri e demotivati di oggi e agli ancor
più pigri e demotivati loro educatori, che non sanno più
a che santo votarsi per invogliarli a leggere. Ne troverai la recensione
qui.
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