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La lingua rubata
(Sheri Holman)

Ecco un romanzo strano, in bilico fra grottesco e tragedia, ambientato nel tardo medioevo, un periodo storico che da qualche anno tiene banco fra i temi della narrativa. Anzi, è proprio per questo motivo che l'ho comprato (nel 2001), e anche perché incuriosita dall'opera prima di un'autrice giovane e sconosciuta in Italia. In quel periodo era uscito (e avevo letto) anche il Baudolino di Eco, che con questo libro ha in comune ambientazione e ricchezza di linguaggio, ma il registro impiegato dai due autori è differente: ironico e dissacrante quello di Eco, più psicologico e intimista, malgrado la trama altrettanto o forse più ancora d'azione, quello della Holman. Due diverse sensibilità, riconoscibilmente maschile e femminile, a interpretare una materia ricorrente: la simbologia del viaggio medievale.
La struttura è quella del giallo, o meglio del racconto misterioso, forse si potrebbe dire addirittura del mistery. In verità, la ricostruzione del tempo, dei personaggi e del costume è resa con buona e documentata precisione, ma il pregio sta nella capacità di trasfigurare dei dati realistici in un'atmosfera a metà fra il fumettone e l'incubo, con molta e femminile sensibilità. Ci si sente trasportati in un mondo dai contorni fluidi e dai contenuti oscuri, come se si avvertisse il peso culturale delle superstizioni e dell'ignoranza che lo caratterizzava e che lo rendeva misterioso e minaccioso agli occhi degli stessi contemporanei. Era un'epoca di domande e incertezze non suffragate da risposte chiare e verificabili: ci si rifugiava nelle credenze, nelle leggende, nelle supposizioni, spesso fondate sulla fede, che conteneva forzatamente la spiegazione di ogni cosa.
Questa fede è tanto forte e consolatoria nel protagonista, il frate Felix da Hulm, da spingerlo pellegrino in Terra Santa alla ricerca delle reliquie della sua santa protettrice, il suo spirito guida, la sua sposa celeste Caterina d'Alessandria, nella cui venerazione ripone ogni sua speranza e forse… qualcosa di più. Sì, azzardo: questo romanzo contiene in fondo una grande storia d'amore, e la passione che lo attraversa è tangibile e condivisibile almeno quanto la tensione da thrilling della vicenda, ricca d'azione e di eventi imprevedibili. Ma lo stile è di qualità e non scade mai nel feuilleton: al contrario, spesso impegna il lettore a seguire con umiltà e attenzione una narrazione che si svolge con toni mistici e ispirati.
Felix Fabri, benedettino tedesco, è realmente vissuto alla fine del '400, e reale e documentato è quel suo viaggio, ma nella trasposizione della Holman mi pare di riconoscere una chiave di lettura acuta e interessante. Partito dal suo ordinato monastero di Hulm col sostegno di una fede certa e luminosa, le vicende in cui è coinvolto lo inducono a dubbi e tentazioni alquanto moderne: le sue convinzioni, nel corso di questo viaggio non tanto fra paesi e civiltà diverse ma tra due diverse epoche dell'Uomo stesso, si scontrano ben presto con realtà che la ragione non può equivocare, come quando tocca con mano la truffa storica che si nasconde sotto il culto delle reliquie o quando incontra l'ipocrisia patente di suoi correligionari. La sua strada è un percorso di formazione, durante il quale si imbatte in ogni sorta di esperienza, dagli incidenti inspiegabili, alle menzogne, ai prodigi, ai miraggi nel deserto, alla promiscuità con ladri, assassini, infedeli, beduini, profanatori di tombe, mitomani. Credo non sia un caso se le figure femminili, a cominciare da quella della stessa Santa, vengono interpretate secondo un canone diffuso, quello del sospetto di malignità, di simbolo dell'inganno e del disordine, di potenziali emissarie del Male, in contrapposizione alle passioni limpide e sotto qualche aspetto ingenue dell'austero frate Fabri e dei suoi compagni di ventura. Un corteo di personaggi degni di un bestiario miniato, interpreti simbolici di caratteri e vizi dell'umanità di ogni tempo e soprattutto delle sue grandi paure, dei suoi atavici e mai risolti fantasmi.
Fanno da contraltare a questo brutale scenario i momenti di mistica estasi in cui lo spirito si rifugia alla ricerca di un confortante contatto con quel Dio che a tutto ridà un senso, ma il tempo per approfondire questo raccoglimento e trarne nuova convinzione è sempre incalzato dagli avvenimenti, dall'incombere del pericolo, dall'ansia di proseguire il viaggio e di sfuggire alla Grande Inseguitrice: la Morte.
Non v'è dubbio che lo spettro dell'inconosciuto e la presenza della morte, temi costanti nel medioevo, in questo libro siano stati riprodotti con efficacia. Più che la storia in sé e la sua soluzione, giova cogliere e godere il talento insito nella scrittura; in me ha suscitato, accanto al piacere letterario, una sensazione privata di sottile inquietudine, e una partecipazione che ha dato luogo, alla fine, a una strana malinconica nostalgia.


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