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Furore
(John Steinbeck)

Torno a Steinbeck a distanza di moltissimi anni dalla prima lettura, ed è un bene. E' troppo tardi, a questo punto, per ricordare le sensazioni provate allora, nell'adolescenza, ma giurerei che più forti (quasi inattese) sono le mie di oggi, malgrado creda di potermi definire una lettrice ormai smaliziata. Eppure, con Furore mi è capitato, come capita solo con certi libri davvero grandi, di chiudere il libro dopo l'ultima pagina e desiderare di spegnere subito la luce per restare un po' al buio e da sola, a tentare di riassorbire qualcosa che assomigliava fin troppo a un pugno allo stomaco. Sì, qualcosa che fa male, che lascia un segno pesante.
Di Furore si sa tutto: la storia, ben nota, è quella di una famiglia che migra attraverso l'America della Grande Depressione, argomento dunque che induce a una lettura per così dire sociale del testo di Steinbeck, peraltro osservatore appassionato della miseria e dell'emarginazione e reduce egli stesso da esperienze di lavoro umili e faticose in giovane età. Ma poiché di questo libro tanti hanno già scritto, non voglio - né potrei - aggiungermi a loro, ma limitarmi a buttar giù poche note personali sulle emozioni di cui gli sono debitrice.
Due sono, per il mio sentire, i protagonisti: uno è la Natura, cui S., l'Uomo quanto l'Autore, e qui come in quasi tutta la sua produzione, riserva la sua riverente commozione davanti alla forza e alla sensualità dei suoi cicli vitali. L'altro è la Donna, meglio la donna-madre, madre sempre, a ogni età, e simbolo essa stessa della fecondità e del vigore della Terra. E la Natura e la Donna, la Terra e la Maternità si fondono in un'unica identità, che rappresenta lo spirito instancabile della vita e della sopravvivenza. Il senso della narrazione è un richiamo alla naturale comunione dell'uomo con la terra da cui ogni cosa ha origine come da un grembo materno, e la cui dissipazione non può che condurre all'annientamento. Contro questa minaccia sempre presente, ogni istintiva energia dei personaggi femminili combatte con la viscerale tenacia propria delle specie viventi, che culmina nella scena finale, la cui cruda dolcezza mette in ginocchio il lettore, ormai immedesimato fino allo stremo.
Grandi e potenti le descrizioni dei paesaggi e dei frutti della natura; realismo venato di tenerezza nelle scene familiari e corali; nessuna retorica faziosa nell'affrontare un tema di denuncia così intenso. Solo lo stato di grazia di un grande scrittore capace di cogliere il legame imprescindibile degli esseri umani con la natura e il valore senza tempo né leggi dell'umana solidarietà.

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Vicolo Cannery


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