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Il Premio


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28 maggio 2005

Oggi pomeriggio ho preso la macchina e sono andata in giù verso Venezia, per strade di campagna che attraversano di continuo piccoli centri con la piazza e il leone di san Marco, molte distese di papaveri e alcuni passaggi a livello.
Appena passata Mirano, cittadina di grande e veneta grazia, si entra in Spinea, che forse come estetica soffre già la prossimità a Mestre, ma è comunque animata e in questa stagione anche molto fiorita. Sono entrata in un teatro e mi hanno fatto sedere molto avanti, sulla prima poltroncina della seconda o terza fila. Per fortuna c'era l'aria condizionata, così intanto che aspettavo mi sono distesa e rinfrescata perché fuori c'era un sole che batteva come fosse domenica di mezzogiorno.
Dopo un po', che io mi stavo annoiando a leggere solo dépliants, un tipo mi chiama, sì, chiama il mio nome e mi indica tre gradini per salire sul palco.
Io tranquilla ci sono andata, perché sia lui che gli altri presenti mi parevano gente a posto, gente studiata, tutti con libri e fogli in mano, tutti a leggere e parlottare sottovoce, infervorati ma con molta buona creanza.
Il tipo sorrideva di gusto e sai cosa mi ha detto? "Siamo qui riuniti per dirti che hai scritto un libro proprio bello, proprio veneziano, ciò, e per premio abbiamo deciso di pubblicarlo, perciò fa' una bella cosa, firma qua per il contratto e poi già che ci sei beccati anche questa pergamena, questa targa e questo quadro a olio con autentica dell'autore, e per finire portati a casa anche questo applauso".
Io ecco mi veniva da dire solo "Non c'è più religione", invece ho pensato che sono passati più di quarant'anni dall'ultimo concorso che ho fatto e che mi poteva anche andare più che bene, dato che allora ero arrivata seconda, essere prima stavolta. Così ho detto tante tantissime grazie, fatemi sapere, il cellulare lo avete, e poi c'è stato un catering in un afoso cortiletto cementizio, con pizzette mosce e tramezzini dall'aspetto criptico (meno male che lo spumantino era in regola, temperatura azzeccata), e poi ancora me ne sono venuta via col quadro, la targa, la pergamena e un pacco di libri omaggio legati con un nastro.
Dietro il campo sportivo, su un muro che veniva giù, c'erano delle scritte molto venete: "forza Cunego", "Gigi mona", "Gessica ti amo". Mi sono fermata un attimo perché mi pareva giusto lasciare un contributo anche io. Sotto, in piccolo, con un coccio ho scritto "viva me".
E sono tornata a casa che i platani sui rettilinei e di fianco ai fossi erano ormai nitide ombre nere contro il cielo ancora chiaro.

Avrei potuto stupirvi con effetti speciali, ma è così che è andata.
E' andata da dio.

camilla

ps: vuoi leggere un pezzetto del mio libro?
Qui trovi un frammento del capitolo XI.


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