Il
popolo che inventò il deltaplano
Immaginate
di vivere in una landa sassosa, dove non piove da diecimila
anni. Terra spaccata, arida ed impenetrabile; roccia durissima,
compatta ma levigata dal tempo. Vi trovate, dunque, di fronte
ad una fila in rilievo di ciottoli neri, perfettamente diritta,
posati a mano chissà quando e da chissà chi,
ma perfettamente in asse. La seguite per qualche decina o
centinaio di metri, e vedete che la linea svolta. Poi altre
linee rette ed altre piegano a gomito,in un susseguirsi di
intricati rettifili o di grovigli tortuosi e disordinati.
E un disegno che sembra non avere senso. Sembra che
lo schema non abbia mai fine se non che, viste dallalto,
queste lunghe linee di ciottoli si trasformano in aquile giganti,
pronte a spiccare il volo. Come un grande e sofisticato marchingegno
ipnotico, queste raffigurazioni, riescono a portarvi in unaltra
dimensione spazio-temporale dove larsura iniziale ha
assunto le sembianze di un dolce tepore primaverile. Vi sedete
su uno di quei ciottoli neri, forse il più grosso e
mastodontico e, animati da un senso di assoluta leggerezza,
immaginate di volare tranquilli sopra questa landa desolata.
Addirittura immaginate di essere accompagnati da altri esseri
viventi che, come voi, volteggiano nel cielo compiendo i più
acrobatici movimenti possibili. Intanto il sole e il caldo
secco del deserto vi procurano sintomi sempre più preoccupanti,
sprigionando nella vostra mente un controproducente senso
di insoddisfazione corporea, così da farla librare
(la mente) in modo sempre più autonomo e distaccato
dai pensieri terreni.
A
questo punto è lecito da parte vostra fermarvi a riflettere
ed una domanda vi sorge prorompente e spontanea: ma
perché mai mi sono mangiato tutto quel cazzo di peyote?
roberto