Un bravo cristiano

Non molto lontano da noi abitava un bravo cristiano di nome Bob. Bob abitava in una bella casa. Fuori dalla casa c’era un bel giardino. Oltre il giardino splendeva l’asfalto di quella che si poteva definire una ridente cittadina. Sul balcone di casa, in bella mostra, deliziose schiere di fiori di stagione venivano quotidianamente accudite dalla dolce moglie di Bob: Sarah. Bob e Sarah erano una bella coppia, molto stimata e rispettata nel nostro quartiere. Parte della stima era dovuta alla cieca disponibilità dei due verso la piccola comunità. C’è un lavandino che perde? Chiama Bob. Un vestito da rattoppare? Ci pensa Sarah. Passeggiando per strada, spesso mi era capitato di ascoltare involontariamente discorsi di vecchie comari. Erano sempre lì che sprecavano lodi e superlativi per dire quanto era bravo Bob oppure quanto era a modo Sarah.

Poi c’erano quei due splendidi pargoli che ruzzolavano in giro portando gioia e felicità. Un maschio ed una femmina rispettivamente di 4 e 3 anni. Figli perfetti per una coppia perfetta.

Le donne del quartiere uscivano fuori di testa quando potevano avere a che fare con quelle due simpatiche canaglie. Avessero avuto anche solo 18 anni si sentivano già nonne. E allora vai con i Miao, i Bau, i Pucci Pucci, i Puri Ciri Piri Pa e tutto il repertorio di suoni che può essere in grado di emettere una persona umana.

Amato, stimato e un po’ invidiato, nessuno si era mai posto la questione di cosa facesse realmente nella vita Bob. Nessuno sapeva che lavoro andasse a fare Bob quando si alzava presto la mattina. Il grande Bob che con un bacio sulla bocca della dolce Sarah si congedava da lei e da quel piccolo microcosmo ovattato che è la colazione. Un bacio ed una promessa rubata anche ai due piccoli ed era ora di andare. Bob si dirigeva verso ciò che per noi non esiste.

Fu così che una volta decisi di seguirlo. Mi ero alzato di buon ora, doveva essere proprio presto se anche mia madre sconcertata mi chiese se stavo bene. Superato l’ostacolo Mamma che mi esortava a più riprese a consumare la colazione ( patrimonio di ogni uomo o donna che voglia iniziare con il giusto piglio la giornata ), mi affrettai ad uscire di casa, senza dare spiegazioni precise sulle mie intenzioni. Mi appostai ed aspettai come un felino la mia preda. Ecco, Bob che sale sulla sua bella macchina e si dirige verso Nord. Io non mi feci certo pregare e con la mia brutta macchina lo seguii.

Dopo una buona mezz’ora di strada Bob si fermò in uno spiazzo sulla destra. Io, che ero rimasto a debita distanza, quando lo vidi fermo feci finta di proseguire oltre e mi fermai poco più avanti. Lo vidi entrare in una specie di caserma di cui a dire il vero non conoscevo nemmeno l’esistenza. Quando mi avvicinai all’entrata una guardia mi intimò l’alt con espressione severa. Fu allora che compresi la fine della mia avventura. Era durata davvero poco. Un altro fallimento nella mia vita già ricca di soddisfazioni in questo campo. Ciao, Ciao Bob. Beh, dopotutto forse la tua vita, caro Bob, non è così interessante e diversa da quella che fanno i poveri cristi come me e tutta la gente di questa ridente cittadina.

Bob entrò di buon umore in quello che si poteva definire il suo ambiente di lavoro. Baldanzoso si diresse verso gli spogliatoi, lì trovò subito i suoi due inseparabili amici Sonny e Larry altrettanto baldanzosi ed allegri. Naturalmente c’erano altre persone negli spogliatoi, altri amici. Ma Sonny e Larry erano proprio ganzi. Molte volte era capitato che la sera i tre si ritrovassero, andavano giù in centro a bersi una o due birre in compagnia, scherzando insieme su quello che era successo durante il giorno sul posto di lavoro. Quel giorno quando Bob vide Sonny e Larry negli spogliatoi stavano parlando di lavoro, affermavano che oggi sarebbe stato uno scherzo, c’erano solo una decina di pratiche da preparare e poi sistemare accuratamente.

Attrezzati di tutto punto si diressero verso un’ampia stanza rettangolare. In fondo alla stanza, schierati in due file, c’erano una decina di persone di varie nazionalità. Le persone erano ammanettate. Bob, che era l’ultimo entrato nella stanza, chiuse la porta dietro di se.

Silenzio.

Rumore.

Rumori.

Frastuono.

Silenzio.

La porta si riaprì e tutti uscirono insieme, vicini gli uni a gli altri, come se carcerieri e carcerati fossero la stessa cosa. Ma non poteva essere così perché, ad un esame più attento, si notava subito che i carcerati non erano più in splendide condizioni.

L’allegra combriccola proseguì la sua strada fino ad un grosso spiazzo all’aperto, che poi non era nient’altro che il cortile del caseggiato.

Carcerati da una parte. Carcerieri dall’altra.

I visi dei carcerati impauriti e madidi di sudore. Quelli dei carcerieri con l’aria di chi è dalla parte del giusto.

Bob, all’ordine di una persona con un grado evidentemente superiore al suo, alzò il fucile che stava impugnando.

Una decina di fucili uguali al suo come mossi da fili invisibili si mossero tutti insieme.

Qualcuno giurò di aver sentito gridare:

FUOCO

Nemmeno un fiato fece in tempo ad uscire dalle labbra dei condannati. Labbra ora rattrappite in ridicole smorfie. La persona superiore di grado si complimentò con i suoi ragazzi per l’ottimo lavoro svolto prima di sciogliere le righe.

I cadaveri furono cremati.

Quella sera Bob, Sonny e Larry uscirono a bere. Risero e bevvero molto. Bob si vantò con gli amici di essere stato lui il primo ad esplodere il colpo quel giorno.

Sarah, i suoi figlioli e l’intero quartiere lo aspettavano a braccia aperte.

 


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