Folco Fendero

Folco Fendero. Era il suo nome. Folco Fendero. Aveva trentasette anni, trentasette anni più che sprecati lavorando come barman in un piccolo locale di provincia. Alzandosi tutti i giorni all’una di pomeriggio con i crampi alle gambe ed un litro di acido solforico nello stomaco. Non riuscendo a sostenersi, non più, non a trentasette anni solo come un cane.

Quattro donne nella sua vita: una stronza, una troia, la madre della sua unica figlia ed una cassiera. Tutte sfortunatamente finite nello stesso corpo, quello di Rita.

Affanculo Rita. Ormai era sparita, finita, dimenticata, era con un altro uomo. Stronzo.

Tutti i giorni al bar dalle tre fino alle due di notte. Vedendo passare fior di loto, rose, mangrovie, radicchi, melanzane, cassonetti dell’immondizia, sanguisughe, promoter finanziari, puttane, alcolizzati, polizziotti in borghese, finti amici, finte donne: “mi fa un Martini con ghiaccio senza limone”, “ si subito”; “mi fa un Martini con limone senza ghiaccio”, “si subito”; “mi fa un Martini senza ghiaccio e senza limone”, “siii subito”; “mi fa…”, “siii…….”.

Folco ne aveva di pazienza. Si considerava un sant’uomo, mai un tradimento, mai una parolaccia con Rita, mai uno schiaffo alla bambina neanche quando se lo meritava, mai niente di niente eppure quella … aveva preso da un giorno all’altro a fargli le corna con uno spazzino. Uno spazzino incredibilmente fortunato: propietario della xxx pulizia stradale spa, sessantadue camion a disposizione, centocinquanta dipendenti, miliardi di fatturaro…cazzo.

Non si può competere con il dio denaro. Folco diceva sempre:” Offri ad una donna la possibilità di vivere nel lusso e vedrai dove mette il suo matrimonio”. Era ormai un anno che Folco viveva in un monolocale al secondo piano di una palazzina rosa ed il suo matrimonio se lo sentiva ancora ben fermo tra le chiappe.

Certo era un bravo barista, questo era il suo unico punto fermo. Una volta era stato anche barista Bacardi e le bottiglie le sapeva maneggiare bene ma adesso chi assumeva un quasi quarantenne per stare al banco di un locale In. I giovani vogliono che il loro annacquatissimo Martini scenda dalle sottilissime mani di una Sirena appena ventenne o da un Marcantonio di un metro e novanta che fa ottanta chili in panca piana.

Era rassegnato. Rassegnatissimo. Chi l’avrebbe mai detto, che la vita, l’unica vita che gli era capitata, l’avrebbe preso a calci in faccia, a bastonate sul collo. Non era possibile.

Invece si, sembra che le cose fossero davvero finite così, finite male. Ma può essere già tutto finito a trentasette anni. Può un uomo avere finito tutte le sue energie? Può aver perso le ambizioni giovanili? Può aver perso una moglie ed una figlia.

Folco si rese conto la mattina di un due settembre, rivoltandosi nel letto come scosso da un defibrillatore, che affrontare l’impresa di ripartire da capo non era un peso ma una fortuna. Era solo, aveva un po’ di soldi in banca, non doveva mantenere nessuno tranne che se stesso, alla bambina ci avrebbe pensato il miliardario e poi l’avrebbe vista due volte alla settimana. La vita non era stata poi così cattiva, ora c’era la possibilità di fare quelle cose che un matrimonio, se pur felice, non ti permette di fare cioè vivere. Alla una si alzò come d’abitudine, ma non si sentiva per niente male. Lo stomaco sembrava chiedere birra e le gambe una bella corsa, miracolo. Andò verso il frigorifero, lo aprì, prese una bottiglia di Heineken, ci si specchiò e l’avvicinò alle labbra secche. Si sentì per un secondo in paradiso, erano anni che non provava più quella straordinaria sensazione di libertà. Disse:” devo essere stato matto, dove sono stato per tutti questo tempo?”, poi chiuse il frigo e si avvicinò alla finestra. Alzò la tapparella e sbirciò fuori, il tempo era pessimo. Andò vicino al letto bevve l’ultimo sorso di birra e si sedette. Dal cassetto estrasse un pacchetto di Samson e si rollò una sigaretta. Erano due anni che non ne fumava una. Si chiese per una frazione di secondo perché gli uomini quando vogliono sentirsi ribelli bevono birra e fumano sigarette ma se ne dimenticò subito dato che nei suoi pensieri si era infiltrata l’idea di licenziarsi.

Stava pensando ad una nuova prospettiva: diventare quello che avrebbe voluto essere da ragazzo cioè uno scrittore. Folco non scriveva più una riga da quando si era sposato, si chiese il perché. Sicuramente tutta colpa di Rita. La solita storia: l’artista che si innamora e perde la vena creativa. Folco cercò di ricordare se avesse mai avuto una vena creativa, ma del suo passato si ricordava ben poco, la routine gli aveva rubato il cervello.

“ E adesso?” pensò, adesso era uno scrittore, bisogava subito iniziare a pensare da scrittore, non poteva certo confondersi con un semplice barista, giusto, doveva ancora licenziarsi; ci pensò subito, alzò il telefono compose il numero del bar:” pronto è il Karma-sutra? – si sono Folco ciao- volevo avvertirti che mi licenzio da adesso, ciao!”, fatto!

Rimase tutto il giorno davanti allo schermo del computer cercando di estrarre con le pinze dei ricordi offuscati dalla sua memoria ormai compromessa. Alle sette di sera realizzo di essere completamente ubriaco e di aver scritto ben poco. Si mise a leggere. La prima bozza parlava del suo amico Tulio. Di quando al bar per non passare per vigliacco aveva accettato una sfida: bere quattro litri di birra in due ore. La bozza finiva con Folco che trasportava Tulio a casa con una cariola. Una schifezza illeggibile. La seconda ripercorreva grossolanamente il distacco da Rita. Una sviolinata a favore della superiorità dell’uomo sulle donne. Schifezza. La terza era la più interessante. Parlava di come da piccolo si fosse innamorato di una sua compagna di scuola e di come quel rapporto gli avesse provocato delle nette preferenze sessuali per il resto della vita. Citando Freud e frasi di Donne di Bukowski giungeva alla conclusione che ora era unicamente attratto da ragazze bionde di diciannove anni. Bello.

Alle undici di sera, riuscendo ad uscire dal tunnel dell’alcol analizzò accuratamente il suo stile. Era prolisso in alcuni punti, troppo sintetico in altri. Non somigliava per niente al suo modello John Fante. “Vediamo gli argomenti…”disse. Aveva capito già tutto dopo due ore di profonda riflessione. Doveva scrivere di sesso. Era l’unica cosa di cui gli venisse naturale scrivere. L’unico problema era quello di scavare ancora nei ricordi per far riaffiorare dei particolari. Troppo difficile, aveva avuto poche esperienze, ed erano state di una scontatezza imbarazzante. Parlare di Rita proprio non gli sembrava il caso. Disse:”sono fregato, di cosa scrivo adesso. Mica posso scrivere delle cose inventate, si capirebbe subito. Cazzo!”.

Andò a letto, la prima giornata da scrittore lo aveva impegnato moltissimo. Aveva bisogno di rielaborare le idee. Si svegliò alle tre di notte senza avere più una goccia di sonno. Si accorse di aver già perso l’abitudine dei vecchi orari. Si alzò, fuori era buoi pesto. Il completo silenzio della camera lo trasportò in uno stato di galleggiamento. Iniziò a pensare alle donne, non era mai stato facile con loro. A vent’anni si era perdutamente innamorato di una amica ma aveva dovuto dimenticarsene presto dato che la madre di lei li aveva scoperti sul divano del salotto nel bel mezzo di una bella galoppata. Che sfortuna. Poi a ventotto era arrivata Rita e vedendola come l’ultima possibilità non se l’era lasciata scappare; lei ne aveva appena ventidue e lavorava come cassiera in un grosso centro commerciale di una catena francese.

Folco ne era consapevole già dai tempi delle prime feste a scuola, le ragazze non lo preferivano. Forse per il suo carattere schivo, forse per quell’alone di squallida conformità.

Alle superiori qualcuno lo aveva chiamato addirittura “ragazzo medio”.

Si guardò nel riflesso della finestra. Non lo vedeva più quel ragazzo medio, era sparito. Era uno scrittore, trentasette anni, affanculo le superiori, aff… tutte quelle ragazze che segretamente non parlavano di lui come quello da cavalcare. Si guardò ancora alla finestra e cercò di spiegarsi tutta quell’energia che sentiva dentro. Non aveva mai provato niente di simile prima. La carica di cento cavalli in calore durante una monta. L’orgasmo di mille lesbiche che si assaggiano. La liberazione. Non aveva più paura del futuro. Lo dominava, ci giocava, si divertiva pensando alla vita di Hemingway, a quella di Miller e di Celin. Ormai era uno di loro. Non era importante scrivere tutto subito, sapeva che aveva fatto poche esperienze di cui valesse la pena parlare. Attaccò con il vino, Moscato d’Asti gelato. Bisognava cambiar vita, trovarsi un lavoro part-time per poter scrivere, mandare a quel paese gli orari, le persone. Vivere tutto più intensamente, non rimanere nel limbo ad aspettare, aspettare, aspettare cosa...

Pensò :“ Tante grazie Rita, è tutto grazie a te”. Rimase seduto sul divano a guardare pubblicità pornografiche per ore. Era compiaciuto della sua nuova condizione, sapeva che non tutti hanno la fortuna di sentire quella molla scattare, e di ritrovarsi improvvisamente proiettati nella realtà. Era un miracolato, se ne stava autoconvincendo. Non era mai stato religioso, anzi vedeva tutto come un fanatismo di massa. Per Folco l’unico miracolo che fosse degno di tale nome era quello di capire che i miracoli non esistono.

La bottiglia era finita. Iniziò a cantare:” grazie moscato…tatatà…sono un pinguino…tatatà…grazie moscato…tatatà…sono un budino…tatatà…grazie moscato…sono ciuco tranato”. Si addormentò.

Per dodici ore rimase morto sul divano, poi suonò il telefono che lo svegliò di colpo. Rispose:” pronto !”.

“Ciao Folco! Sono Giuliano”. Era il proprietario del Karma-sutra.

“Ciao Giuliano come va?”.

“A te come va, cazzo! Lavori qui per dieci anni, poi da un giorno all’altro mi chiami e in un secondo ti licenzi e non ti fai più sentire. Che cazzo ti è capitato Folco? Hai una voce del cazzo. Se hai bisogno di aiuto io ci sono, hai capito?”.

“Hahaha Giuliano! Non preoccuparti per me, non mi è successo niente, anzi…ho fatto un grande salto!”.

“In che senso Folco? Non fare cazzate hai capito!”.

“Ieri mi sono trasformato in uno scrittore! Ma ti rendi conto! Folco Fendero barista per anni diventa scrittore! Che ne dici è?”.

“Oh cazzo ma ti sei rincoglionito tutto ad un tratto? Non fare il pistola, guarda che se non vieni stasera ti licenzio davvero hai capito?”.

“Giuliano ma guarda che io dico sul serio, e poi mi sono già licenziato se non sbaglio! Ormai è cambiato tutto. Non potrei più farlo. Dico fare il barista”.

“Folco ma dici davvero?”.

“Si, si sono uno scrittore ormai”.

“Ma Folco capisco che ti sia magari stancato di lavorare qui, ma non si diventa scrittori da un giorno all’altro, così, perché non hai più voglia di fare il barista. Come farai a mantenerti? Non sarà mica a causa di Rita che stai facendo questa stronzata?”.

“Si, lei mi ha aiutato molto a capire quento sono stato scemo per tutti questi anni”.

“Folco non ti riconosco. Aspettami che vengo da te”.

“No Giuliano davvero non ho niente. Mi sono solo svegliato da un lungo sonno. Ti dico che sto benissimo. Ti faccio gli auguri per il bar. Magari tra un po’ mi faccio vivo io, va bene?”.

“Folco non so cosa dire. Se tu hai deciso così ti aspetto, ciao!”.

“Ciao Giuliano”.

Abbassò la cornetta. Era turbato. La voce del suo vecchio amico lo aveva messo alla prova. Il passato non voleva ancora arrendersi, non gli stava bene che Folco avesse capito, che fosse riuscito a strappare quella benda troppo presto, le stessa benda che la maggior parte della gente si accorge di avere sugli occhi quando è troppo tardi, quando non c’è più tempo.

Cercò di immaginarsi la copertina del suo primo romanzo. Lo avrebbe intitolato:” Sangue di un ragazzo medio”. La prova era superata. Aveva vinto. Ogni turbamento era sparito. Era uno scrittore a costo di dover patire la fame.

Donne. Doveva procurarsi materiale su cui scrivere. Donne. Tutto il segreto era li. Raccontare la carne, parole sudate, posizioni impensabili, tradimenti, sbronze. Anche gli scrittori più famosi probabilmente facevano la stessa cosa. Non aspettavano che la situazione paradossale gli cascasse dal cielo. Andavano a cercarsela e ci entravano di prepotenza. Folco sapeva quale era il posto migliore per fare una cosa simile. Un luogo dove la gente è disponibile a socializzare. Dove si possono incontrare donne di tutti i tipi. Il tempio della bellezza: la palestra.

Di sicuro non gli avrebbe fatto male. Avrebbe associato l’utile al dilettevole. Prese le Pagine Gialle ed iniziò la ricerca. C’erano cinque palestre nel raggio di sei chilometri. Telefonò a tutte facendosi dare i prezzi e le possibilità di allenamento. Decise per quella più cara, dove pensava di poter trovare più donne. Era già eccitato all’idea di mettersi alla prova. Il suo nuovo senso di sicurezza non avrebbe fatto fiasco.

Arrivò all’ingresso verso le due di pomeriggio del giorno seguente. La palestra non era niente male, si chiamava Doctor Gimm. Entrò e si diresse verso la ragazza della reception:

“Buon giorno sono Folco Fendero, ho telefonato ieri perché volevo iscrivermi…”.

“Ha buongiorno mi ricordo di lei” rispose la ragazza con tono particolarmente interessato.

“Bene cosa devo fare allora?”.

“Lei signor Folco non ha mai frequentato una palestra?”.

“ No, questa è la prima volta”.

“Ok, allora compili questo modulo, poi mi serve un suo documento d’identità ed il certificato di sana e robusta costituzione”.

“Il certificato di sana e robusta costituzione?”.

“Si è obbligatorio, sa comè per l’assicurazione. Forse non glielo avevo detto ieri?”.

“No. Va bè niente allora ripasso quando ho fatto il certificato”.

“Guardi che non è un problema, noi abbiamo il nostro medico che viene tutti i giorni alle quattro per i certificati, se vuole lo può fare anche oggi stesso da lui”.

“Va bene allora proseguiamo. Ce l’ha una penna?”.

Folco si mise a compilare il questionario. Hai mai fatto palestra…hai mai subito operazioni…se si quali…fai uso di alcolici…fai uso di droghe…

Rispose a tutto e riconsegnò il foglio nelle mani della ragazza che disse:

“Abita qui vicino?”.

“Si a qualche chilometro”.

“Sa, mi sembra di averla già vista da qualche parte”.

“Be forse…è mai stata al Karma-sutra?”.

“Si, un sacco di volte, perché?”.

“Ho fatto il barman li per anni”.

“Sa che adesso che mi ci fa pensare ha proprio ragione, l’ho vista lì. Adesso non ci lavora più?”.

“No adesso basta con il bancone. Faccio lo scrittore”.

“Scherza! Fantastico, ho sempre voluto conoscere uno scrittore. Quanti libri ha scritto?”.

“Ma! Diversi, l’ha mai letto “Sangue di un ragazzo medio”?”.

“No, a dire il vero io leggo pochissimo. Perché l’ha scritto lei?”.

“Si, è il mio primo romanzo”.

“Complimenti…è bello?”.

“He, lei mi fa una domanda a trabocchetto. Non devo essere io a giudicarlo. Però ha venduto abbastanza bene devo ammettere”.

“Ma di cosa parla?”.

“Di sesso”.

“Uhao! Bello. Dovrò leggerlo allora”.

“Certo” rispose Folco sicuro che non la ragazza non lo avrebbe mai neanche cercato.

“Però iniziamo bene” pensò Folco. Era particolarmente soddisfatto della conversazione. Sapeva benissimo di aver gonfiato un pò le cose, ma di certo la ragazza non avrebbe fatto altro che dire alle sue colleghe –guarda quello là fa lo scrittore. Ha scritto un libro di sesso, ma non mi ricordo il titolo. Niente male è…- si, sarebbe senz’altro andata così.

Folco la guardò attentamente, non era niente male. Sui ventiquattro, bionda, fisico tonico e longilineo, occhio verde, labbra carnose. Voto sette. La prima della lista.

“Signorina, mi diceva, come si chiama lei, scusi?”.

“Sofia, ma mi dia pure del tu. Se ci vedremo spesso non vorrà mantenere questo tono formale?”.

“Va bene Sofia diamoci del tu”.

“Allora per l’iscrizione…non mi hai detto quante volte alla settimana puoi venire a trovarci. Per dire, puoi fare un abbonamento mensile o annuale, oppure a gettone, cioè per esempio dieci volte al mese, dipende da quanto tempo vuoi dedicare”.

“Mensile. Per adesso mensile poi vedo come vanno le cose”.

“Va bene…Hai intenzione di fare solo pesistica oppure vuoi frequentare qualche corso in particolare, oppure la sauna. Ti piace la sauna?”.

“Pesi e sauna. Può andare più che bene”.

“Perfetto. Allora per adesso, cioè per il prossimo mese a partire da oggi puoi venire quando vuoi, anche tutti i giorni. Sono centonovantacinquemila”.

“Tieni. Ma posso incominciare anche adesso?”.

“Si, sarebbe meglio che aspettassi il dottore per il certificato. Ah dimenticavo per il certificato sono cinquantamila”.

Folco non pensava ai soldi. Era solo un investimento. Pensava alla ragazza. Sofia. Prima o poi avrebbe scritto di lei.

Folco vedendo che era troppo presto per il dottore decise di andare a fare un giro turistico nella palestra per vedere se era di suo gradimento. Disse:

“Per fare il certificato è troppo presto, posso vedere la palestra?”.

“Si, ti faccio fare subito un giro, anzi ti accompagno io”. Sofia chiamò subito al telefono un’altra ragazza per sostituirla. Folco rimase ghiacciato nel vedere la sostituta arrivare sinuosamente dal corridoio. Era la sorella gemella. Uguale!. Quando la ebbe davanti tutte le fantasie possibili erano già state vagliate. Sofia educatamente disse:

“Folco non preoccuparti, fanno tutti la stessa faccia quando ci vedono insieme. Ti presento Sonia, lei è mia sorella”.

“L’avevo intuito. Ma lavorate entrambe qui?”.

“Si la palestra è di nostro padre”.

“Piacere io sono Folco Fendero, neoiscritto”.

“E’ uno scrittore. Ha scritto un libro di sesso. Come si intitolava?” disse repentinamente Sofia.

“Sangue di un ragazzo medio” rispose Folco particolarmente soddisfatto per la conferma avuta.

“Davvero? Che bello! Piacere mio” disse Sonia colpita dalla notizia.

Folco sapeva che fino a quando il gioco avesse retto lo avrebbero trattato con un occhio di riguardo.

Sofia fece cenno di seguirla. Folco più che seguire lei seguì la vista del suo corpo. Nel giro di venti minuti la palestra era stata visitata scrupolosamente. Ogni attrezzo era stato descritto. Ogni persona era stata presentata. Ogni amo era stato lanciato.

Si sentiva bene. Le due ragazze lo stimolavano fino all’ultima cellula. Parlò e parlò. Si fece gioco di tutti e di se stesso. Era fatta, il suo ego rispondeva a pieni giri. La gente pendeva dalle sue labbra. Era facile, perché lo aveva capito solo adesso. Ripensò, ridendo tristemente, a quando nella sua infelice carriera da uomo aveva fallito. A quando non riusciva neanche a trovare il coraggio per conoscere una ragazza.. Eppure il lavoro che faceva era uno dei più favorevoli. Migliaia di volte. Le aveva guardate fino a consumarsi gli occhi. Donne sedute al banco, ai tavoli. Sole, accompagnate. Si era innamorato senza conoscerle. Si era innamorato dei loro volti, dei loro seni. Ma di approcciare niente, non era mai riuscito a superare l’inerzia data dalla timidezza. E adesso era diventato tutto così facile. Se solo fosse stato sempre così. Si accorse di avere gli occhi lucidi. Era felice.

Erano già le quattro. Il medico arrivò puntuale. Sofia disse:

“Dottore buongiorno, come va?”.

“Bene Sofia, e tu?”.

“ Benissimo, oggi ci sono quattro persone che devono fare il certificato. Per ora però c’è solo il signore” disse la ragazza indicando Folco.

“Ah bene, buongiorno io sono il dottor Milon”.

“Buongiorno, Folco Fendero”.

“Venga che sbrighiamo subito la faccenda”.

“La seguo”.

Folco rientrò a casa alle sette. La palestra lo aveva stancato. Dopo aver fatto il certificato aveva passato due ore con l’istruttore ad imparare gli esercizi. Il pensiero delle gemelle era ancora vivo. Se lo sentiva girare per le vene. Se lo sentiva soprattutto nelle pelvi. Si disprezzò per avere una visione così materialistica della donna ma il desiderio di strisciare tra quei corpi lo portò nuovamente nel trascendente limbo della lussuria.

Suonò il telefono:

“Pronto?”.

“Ciao papà”.

“Ciao piccola come va?”.

“Bene papà e tu come stai? Quando vieni a trovarmi? La mamma mi ha detto che posso venire io domenica, se vuoi”.

“Certo amore. Volevo chiamarti ieri ma ho avuto da fare. Mi sono licenziato sai, adesso faccio lo scrittore. Bello è?”.

“Ma papà dici davvero? Che bello! Lo dico subito alla mamma che sei uno scrittore. Mamma, mamma il papà è diventato uno scrittore!”.

“Ascolta Nicole! Lascia stare la mamma non ha tempo di pensare a queste cose”.

“Aspetta papà ha detto che vuole parlare con te, te la passo…”.

“No…Nicole…”.

“Pronto Folco sono Rita. Cos’è questa storia dello scrittore?”.

“Ciao Rita. Niente cosa vuoi che sia. Stavo scherzando con la bambina, perché ci sarebbe qualche problema se decidessi di fare lo scrittore?”

“Per me puoi fare quello che vuoi! Solo non permetterti di coinvolgere Nicole se no ti faccio…”

“Ti faccio cosa! Ripassami Nicole e non rompermi più i coglioni, non ho nient’altro da dirti!”

“Stronzo…vieni Nicole vuole parlare con te”.

“Papà sempre a litigare con la mamma. Fate un po’ i bravi. Quando parla al telefono con te finisce sempre che piange”.

“Lo so piccola, scusami. Ma lo sai come vanno le cose. Piuttosto tu come stai, vai sempre alle tue lezioni di chitarra?”.

“Si papà sempre. Poi lo spazzino mi ha regalato una chitarra nuova, lo sai? Una Fender rossa”.

“Bella! Suona bene? Mi raccomando non te ne approfittare troppo di quell’uomo”.

“Ma papà è un povero scemo. Più soldi spende più crede che gli voglia bene. Non preoccuparti, non riesco a capire cosa ci trovi la mamma in questo qui”.

“Lo sai che la mamma ha questa particolare attrazione…per i soldi. Stai attenta, curala, non perderla mai di vista”.

“Si papà ci penso io. Adesso vado che devo fare i compiti. Ti chiamo. Ciao”.

“Ciao Nicole”.

Folco appoggiò lentamente la cornetta. Si diresse al frigorifero. Prese una bottiglia di birra. Fece un sorso. Questa volta non funzionò. Si mise a piangere. La piccola gli mancava da morire.

Fare lo scrittore. Forse era solo per fuggire. Cercare di non sentirsi più addosso quell’abito da disadattato. L’alternativa all’autocommiserazione.

Decise di non pensarci più. Ormai l’onda l’aveva travolto, affanculo da dove era arrivata. Gli capitava spesso di avere ripensamenti, momenti di completa insicurezza, ma difficilmente duravano più di un’ora. Questa volta durò tutta la notte. Bevve, bevve. Vomitò come un cane. Decise otto volte di suicidarsi. Con una pistola, con l’acido, con una corda, buttandosi dal balcone, con i sonniferi, con una lametta, sotto un treno, nel lago. Decise di morire di coma etilico. Prese una bottiglia di Martini, erano le due di notte. Se proprio doveva ammazzarsi lo avrebbe fatto con stile. Attaccò. Alle due e trenta era finita, ma ancora ci vedeva. Prese una bottiglia di vodca liscia, e la tracannò in un’ora. Non ci vedeva più, non ci sentiva più. Era morto. Alle quattro si svegliò. Era ancora vivo. Prese una bottiglia di grappa al mirtillo. Vomitò. La finì alle cinque. Quella notte di morire proprio non c’era verso.

Maledetto carattere border-line. Psicopatico, superficiale. Tragico, svogliato. Non era facile conviverci. Svegliarsi alle due del pomeriggio con la vaga sensazione di essere un fungo trifolato. Cercò di lavarsi i denti guardandosi allo specchio, ma al solo incontro con la setola mentolata crollò nel conato più forte che avesse mai avuto. Pensò: ” Folco dove sei. Scrittore del cazzo?”. La notte lo aveva provato. Questa volta era andato troppo in là. Promise a se stesso di non farlo più. Tipico. Come dopo la masturbazione. Ma si sa come va a finire.

Quel giorno non riuscì nemmeno a pensare alla palestra, ma il giorno seguente ci andò scodinzolando. Sofia lo vide entrare dalla porta vetrata con le occhiaie ancora ben scolpite sopra gli zigomi. Folco la salutò e le si avvicinò cercando di intraprendere un qualsiasi dialogo con lei. Ci riuscì.

La ragazza era visibilmente interessata. Folco decise di fare una mossa senza pensarci troppo. La invitò a bere qualcosa quella sera stessa. Lei incredibilmente accettò. L’allenamento quel giorno fu particolarmente felice. I pesi salivano da soli spinti dal testosterone che schizzava ad ogni contrazione muscolare. Pensava al modo in cui si sarebbe comportato. Alla danza per l’accoppiamento. Quella che ciascun uomo segue scrupolosamente per arrivare tra le gambe della propria...partner. Avrebbe improvvisato. Era la cosa migliore.

All’uscita, verso le sei di sera, si soffermò con Sofia per accordarsi più precisamente sugli orari. Lei decise per le nove e quaranta. Perfetto.

Tornò a casa in forma smagliante. Le occhiaie erano sparite. Si sentiva tonico, anche se era entrato solo due volte in una palestra. Si fermò da un fiorista e comprò un mazzo di dodici bellissime rose. Erano care come il fuoco. Si sentì come un ragazzino al primo appuntamento. Improvvisamente avvertì nel petto un calore così confortante da sembrare irreale. Era come ai tempi di Rita. Un’altra donna le stesse azioni. Danza del corteggiamento. Ripensò alla facilità con cui la ragazza aveva accettato la sua proposta; ne rimase particolarmente sorpreso, era chiaro che anche lei provava una certa attrazione fisica. Era fatta. Alle nove era già sotto casa di Sofia, e come da accordo, le fece uno squillo al cellulare. Lei rispose con un altro squillo. Stava arrivando. Folco scese dalla macchina. Era molto elegante. Prese i fiori e si avvicinò al portone di ingresso. Sofia scese i tre gradini che portavano all’altezza della strada. Indossava una gonna di Jeans che le arrivava fin sotto il ginocchio fasciandole perfettamente i fianchi, dei sandali rossi con il tacco a spillo abbinati ad un maglioncino rosa che sembrava cucito direttamente sul suo seno. Il trucco era praticamente perfetto. Non aveva niente che non andasse.

Folco disse porgendole delicatamente le rose:

“Non vorrei dire una cosa retorica, ma non ha mai visto una donna così bella”.

Lei arrossì nascondendosi dietro un sorriso d’imbarazzo. Poi rispose maliziosamente: “ anche tu non sei niente male sai”.

Folco le aprì la portiera e la accompagnò prontamente sul sedile.

Si stava prospettando una di quelle serate che difficilmente si dimenticano, e lui se ne rendeva talmente conto da non riuscire a crederci. Sofia rappresentava la realizzazione di un sogno. Quello di riuscire ad avere almeno una volta nella vita una donna bellissima. Ed ora lei era lì, compostamente seduta sul quel sedile come se stesse solo aspettando che gli eventi maturassero. Che le due anime in quell’abitacolo si avvicinassero sempre di più fino a sfiorarsi, fino ad incendiarsi. Folco le parlava con sottile ironia lasciando intatto quello strato di finta indifferenza che le donne usano per aumentare il desiderio maschile. Poi, quando vide che il suo scudo iniziava a cedere, la addolcì con racconti sempre più personali, fino a quando anche lei si liberò totalmente facendo sfociare il suo vero carattere. La serata era bellissima: la luna, le stelle, i riflessi del lago, la brezza frizzante di fine estate. Andarono in un locale romantico. Sorseggiarono due Guinness travolti da un’inaspettatta complicità, poi fecero una lunga passeggiata lungo la riva illuminata del Lario. Si baciarono come fosse una liberazione. I loro spiriti sfuggirono al controllo contorcendosi a pelo d’acqua, giocando come impazziti nelle tenebre. Folcò si perse tra le sue labbra e tra l’inebriante profumo fruttato del maglione rosa. Si accorsero di essere stati abbracciati per un’ora come ipnotizzati. Folco a quel punto decise di tentare il tutto per tutto. Le chiese di venire a bere qualcosa a casa sua. Lei rispose: “Speravo me lo chiedessi”. Folco sorrise compiaciuto.

Entrarono nell’appartamentino al secondo piano della palazzina rosa. Erano le undici e quaranta. Folco aveva sistemato tutto con cura nell’evenienza che le cose fossero andate bene. Mise un pò di musica. Solo per fare un pò di atmosfera. Blues. Le piaceva. Stappò una bottiglia fresca di Fragolino. Le piaceva. Si accomodarono entrambi sul divano di pelle nera. Si guardarono reciprocamente come nell’attesa di prendere l’iniziativa, poi Folco la baciò appassionatamente sentendosi travolto da un irrefrenabile desiderio. Sofia non perse tempo. Iniziò a spogliarlo lasciando trasparire tutta la sua eccitazione. Si ritrovarono presto completamente nudi. Folco sapeva che la serata si sarebbe conclusa in questo modo, l’aveva capito già dal primo sguardo di Sofia. Le donne riescono ad essere così trasparenti solo quando sono veramente interessate, altrimenti fanno le difficili. Certo, dopotutto il potere decisionale sta dalla loro parte.

Folco si rese conto di essere veramente lì. Successe improvvisamente, come una folgorazione. Fino a quel momento era semplicemente stato travolto dagli eventi, si era comportato come in teoria avrebbe dovuto comportarsi. Ma il fatto di essere su quel divano con una bellissima donna senza nessun altro problema al mondo lo catapultò in uno stato di ebrezza. La pelle di Sofia era rovente, le sue guance visibilmente arrossate, i suoi occhi leggermente chiusi come in uno stato di estatico godimento. Folco si sentì come un Cavalliere errante. Scese lungo il collo, seguì la clavicola, trovò un capezzolo irrigidito. Sembrava di lattice. Lo assaggiò: sapeva di fragola. Vide l’altro: “ciao come stai?”, lo succhiò lasciandolo infiammare. Un seno perfetto, una quarta scarsa. Naturale, turgido, sostenuto di natura, Folco avrebbe voluto tenerselo tra le labbra, mordicchiarlo per sempre, ma c’era qualcos’altro che lo attirava come se avesse gravità propria. Fece scivolare lentamente la lingua sul ventre piatto della ragazza attraversando l’ombelico. Superò una peluria bionda appena accennata e si perse. Sofia ansimò ed il suo respiro si fece intenso. Prese tra le mani la testa dell’uomo come fosse un oggetto di piacere e se la spinse tra le gambe accarezzandola. Si irrigidì improvvisamente come se un onda di godimento assoluto avesse oltrepassato il suo corpo per poi disperdersi nell’aria. Folco la assaggiò fino a quando il suo desiderio non fu più contenibile. Si sollevò da terra e la trafisse. Sofia morì. Il piacere si impadronì di lei.

L’unica fonte di luce era una candela vibrante vicino al divano. Sembrava doversi spegnere ad ogni colpo inflitto, ma subito si rinvigoriva al dolce suono della voce di Sofia. Un colpo, un gemito, un colpo, un gemito. La cosa si fece sempre più frequente fino a quando la candela si spense. Folco si era acceso come un motore a scoppio. Si sarebbe fermato solo al finire della benzina, ma ne era decisamente pieno. Il buio permise ai due di inoltrarsi lungo la strada della lussuria. Sofia non sembrava essere in imbarazzo, anzi era particolarmente intraprendente. Folco era felice di aver trovato una donna così disinibita. Lei rappresentava il suo partner sessuale ideale, per lui infatti esistevano due categorie di donne: quelle a cui piace fare sesso come nelle telenovela, e quelle a qui piace fare sesso come nei film porno. Sofia faceva parte della seconda, quella fondamentalmente apprezzata dalla stragrande maggioranza degli uomini. Quanta grazia. Ci sono quattro cose che un uomo deve fare prima di morire: scrivere un libro, fare l’amore con una donna bellissima, capire di non essere troppo comune e fare un figlio. Folco era a metà. La donna bellissima l’aveva trovata, era Sofia, non certo Rita, ma mancava forse la cosa più importante, essere diverso dalla massa, cosa voleva dire, in cosa si è diversi, forse nel pensare, e come si può saperlo, tutte supposizioni; nessuno potrà mai saperlo, Folco ne era consapevole. Si lasciò trasportare dall’ascolto della pelle sudata di Sofia che aderiva al divano. Era il paradiso, se fosse veramente esistito, era il paradiso. Il sesso, era tutto. Non poteva esistere qualcosa di più trascendente, Folco sentì le labbra della ragazza fondersi con le sue, si avvolse a quel corpo perfetto. Estasi. Grazia. Un uomo cosa può avere di più. Sentirsi presenti in un momento qualsiasi, e sentirsi accanto a qualcuno che si è desiderato profondamente può cambiare tutto. Folco le prese delicatamente una mano , la baciò e le disse: ”Sofia forse mi dirai che sono matto, ma io ti amo”.

La ragazza rise, poi cercò nel buio qualcosa di turgido. Lo trovò. Folco si sentì amabilmente violentato. Niente può eguagliare il suono della lingua di una donna. Niente. Sofia suonò, benissimo. Quante notti sprecate, Folco pensò: ”perchè non sono tutte così le donne, perchè?”. Facili pensieri, ma la realtà era quella, dava da pensare, dava da godere, dava tutto.

 


colombo

 

 


Racconti

Esplora L'ARCHIVIO