La guerra
di Lorenzo Berti


Cap. I – Nel quale si racconta di come e perché la guerra scoppiò
Una bella mattina di primavera, col sole che già scaldava più di quanto ci si sarebbe potuti aspettare, cominciò la guerra. Nelle lontane terre di Mediolandia, nel distretto di Mondo Terzoriente, il locale comandante di quei paesi, il Visir Sanguinario III, si trovava a irrisolvibile conflitto con il resto del pianeta e, pareva, anche con la sua stessa popolazione. Nessuno, fra la gente normale, avrebbe saputo dire di preciso di cosa si nutrisse questo irrisolvibile conflitto, tanto eran vaghi i giornali; tuttavia questi strepitavano e tuonavano, e tutti, sempre, dipingevano il Sanguinario come un crudele tiranno, autore dei peggiori eccessi e dei più cruenti abominî.
Quelli che non ci credevano, negavano addirittura che il Sanguinario avesse quel nome, che fosse anch’esso inventato; ma calavano sempre di più, conquistati man mano dalla frenetica e frizzante fanfara dei mezzi di comunicazione. Una via di mezzo non c’era, e sul Sanguinario era tutto un aggiunger difetti: l’ultima cosa, quella che fu fatta passare come Antecedente Logico e Giusto del Fatto – la Guerra, appunto – era che il Sanguinario possedeva e nascondeva chissà dove interi depositi di Armi Proibite, usandole sulle inermi popolazioni confinanti e perfino sulla sua, per proprio capriccio e sfizio. Minacciava, anzi, di usarle anche contro gli altri distretti. Questo era, si diceva, il motivo per cui il Principe Guerrafondaio II, signore dei paesi di Verdericchezza, nel distretto di Mondo Primoccidente, non poteva esimersi dal muovergli guerra. E il Fatto, così come lui lo chiamava, accadde. Anzi, scoppiò.

Cap. II – Nel quale si chiarisce come a questo si giunse
Non erano stati certo giorni facili, quelli. Estenuanti discussioni li avevan percorsi, da più di tre mesi, e tutto in virtù di una legge che stabiliva: per decisioni importanti bisogna trovarsi e parlarne. Tutti insieme, sebbene al Guerrafondaio la cosa paresse esser solo un’inutile perdita di tempo. Ma non era una considerazione presuntuosa o cinica, la sua; no, perché gli altri di fatto non prendevan mai decisioni: così ad esempio avveniva che l’allegra Terra dei Canti, del distretto di Mondo Secondoccidente, non muovesse un dito senza che da Verdericchezza fosse espressamente richiesto e deciso; la pia Terra dei Balli, dello stesso distretto, non poteva dirsi da meno, e così facevano pure l’Unito Regno di Algidalbiòne, le Vaste Distese del Nord e anche, nel distretto di Mondo Terzoccidentalesud, la totalità o quasi dei singoli Regni e Reami. Grandi amici eran sparsi qua e là anche nei distretti di Mondo Quartosud e in quello, immenso, di Mondo Terzoequatoriale – ma di questi poco importava, a dire il vero: eran così lontani, e così deboli, che niente potevano offrire né aggiungere al Fatto in questione.
Comunque stesse la cosa, della Guerra era già da un bel po’ che si dibatteva, nelle Grandi Aule dei Signori (spesso a queste assemblee il Guerrafondaio mancava, e mandava i suoi Secondi o anche Terzi, dai quali poi si faceva riferire – tanto si sapeva che lì non si sarebbe concluso mai nulla, e quindi perché perderci tempo?): il Visir Sanguinario III era un tiranno dichiarato, un padrone nel senso vero della parola, e si comportava in modo troppo crudele, pascendosi del sangue dei suoi sudditi e anzi divertendocisi un mondo. Non certo come il Principe Guerrafondaio, democraticamente eletto dal popolo tutto; signore sì, ma del Mondo Libero. No: l’altro andava combattuto; combattuto e sconfitto, una volta per tutte. Dicevano così, in coro o quasi – lievi sempre erano i dissensi, e lievi le irritazioni; peraltro il Guerrafondaio dava chiara mostra di non sopportare le deviazioni rispetto alla sua autorità, punendo i dissidenti con una ferma freddezza nei rapporti fra Stati, cui spesso seguivano, ben camuffate, piccole ritorsioni di varia natura – tutti i membri provenienti dai vari Paesi e Distretti, e poi si zittivano, fermi a guardare cosa avrebbe fatto e deciso il loro amato Guerrafondaio II. Secondo, poiché era il figlio del primo: e se la cosa può sembrar tanto ovvia, si sappia subito che invece non lo è affatto. Al contrario dei mondi Terzi, in cui spesso il potere è una questione familiare e barbarica, da tramandarsi in via esclusiva perché l’Ente Supremo così vuole e desidera – ogni singolo Distretto, da sempre, ha un suo Ente Supremo, che sempre è migliore degli altri – nei più civilizzati mondi Primo e Secondo, il potere è il frutto di approfondite discussioni e valutazioni, scrutini e verifiche pubbliche, e non appena qualcuno ne ha troppo nelle sue mani, subito bada a dividerlo per le mani di altre persone amiche, cui si chiede sì obbedienza (semplicemente!), ma anche controllo, per dio! Inoltre, esso reca ben incisa e visibile su sé, la data di scadenza. È così che vanno le cose, da noi: ragion per cui, se c’era stato un Guerrafondaio I, padre dell’attuale signore di Verdericchezza e adesso in pensione, è solo perché entrambi, tempo addietro si eran messi in politica, e col tempo il volere del popolo prima era caduto su uno, poi sull’altro. A dimostrare ancor più la casualità del fatto, basti dire che tra un Guerrafondaio e l’altro erano passati, parimenti comandando, almeno altri due o tre Presidenti, del tutto senza legami fra loro. Ah, particolare trascurabile, infine: già al tempo di Guerrafondaio I si era tentata la Guerra contro il Visir Sanguinario III (vedete? Lui a quei tempi c’era già! E ancora oggi, un sacco di tempo più avanti, continuava ad esserci!); ma dopo alcuni successi parziali, la cosa si era arenata di fronte ad una pace: buona e favorevole ai mondi Primo e Secondo, ma non tale da sbarbare definitivamente il crudele Tiranno, che difatti adesso tornava a far parlare di sé.
E appunto, digressioni a parte, eravamo rimasti al dibattito che ferveva su lui. Nella Grande Aula dei Signori, quel giorno, un giorno qualunque, poco prima della primavera, era eccezionalmente presente anche il Guerrafondaio II. Queste le posizioni principali: 1) un simile abominio non può esser tollerato, è un affronto di una Civiltà Inferiore che oggi sta colpendo gente al suo interno, ma che domani certo rivolgerà le sue terribili Armi Proibite contro di noi; 2) è vero che il Sanguinario abusa e anche troppo del suo potere, ma verifichiamo la cosa per certo, e poi, una volta che avremo dati scritti e sicuri, ché per adesso la prova delle Armi Proibite ci manca, cerchiamo di mediare la cosa. Con le parole si può risolvere tutto, e la guerra, di fatto, non conviene a nessuno. A margine, la posizione del Sanguinario stesso, che lui rilasciava direttamente alle sue televisioni e ai suoi giornali (era tutto così dichiaratamente e sfacciatamente suo, laggiù, dicevano i sostenitori del punto uno!) “io non ho fatto niente, sono tutte menzogne, non violo nessuna norma scritta né possiedo Armi Proibite, e quelli che voi, ingigantendoli, chiamate crimini verso altre genti non sono altro che legittime difese da criminali e rivoluzionari che voglion portare lo scompiglio nel mio Paese! Il vostro Guerrafondaio non ha mai fatto cose del genere, forse? State solo cercando un pretesto per attaccarci e portarci via i nostri tesori e le nostre ricchezze. Ma il mio popolo resisterà, perché il mio popolo è con me, e contro di voi; e perché, più di tutto, così vuole il nostro Ente Supremo!”
Era vero che il Guerrafondaio aveva una effettiva posizione di responsabilità, nel mondo, e a lui toccò di sintetizzare e ridurre le varie voci a una sola. Così disse: “la nostra posizione di responsabilità è tale che non possiamo tollerare simili affronti al comune consorzio umano e civile! Ricordate, amici? Già nel passato, anni e anni fa, le terre di Verdericchezza si mossero contro chi minacciava la Libertà, e proprio qui, nel distretto di Mondo Secondoccidente. Anche allora, come oggi, come in ogni altra occasione, solo la nostra coscienza ci muoveva! Ci costò tantissimo, in lacrime, sangue, dolore; è vero: ma non ne valse forse la pena? Oggi il Nemico ha un altro nome, forse, ma il problema è esattamente lo stesso. Il Visir Sanguinario è un tiranno, e un tiranno va combattuto. Le Armi Proibite che nasconde sono un chiaro monito, per tutti. Tuttavia, poiché come molti di voi hanno fatto notare, non abbiamo ancora la certezza di questo fatto, stabiliamo un confine alle cose: se effettivamente troviamo traccia di queste, l’attacco sarà imminente. Imminente, ma doloroso, su questo siamo tutti d’accordo. Una guerra non conviene a nessuno!”
Si nominarono degli ispettori segreti, che andassero a controllare di nascosto nelle terre di Mediolandia come andavano le cose. Se, più di tutto, il Visir Sanguinario opprimesse il suo popolo, e nascondesse quelle Armi temute, e dove. Passò un po’ di tempo, e gli ispettori segreti tornarono. Non avevano prove nette e concrete, ma solo sospetti, ancora. Al Guerrafondaio bastò. A molti altri nell’Aula dei Signori bastò.
E così, senza nominare il proprio Ente Supremo (non usava più, in quella parte di mondo!), o nominandolo appena, il signore dei paesi di Verdericchezza, nel distretto di Mondo Primoccidente, diede il via alle operazioni. Era una bella mattina di primavera, col sole che già scaldava più di quanto ci si sarebbe potuti aspettare…
ah, a proposito: ci furono anche coloro ai quali non bastò. E quelli non possono metter più piede nella Grande Aula dei Signori. Ma non furono minacciati o diffidati, in questo senso; solo invitati a farlo, e trattati con freddezza quando ancora c’erano. In quella parte di mondo si è così: democratici, ci si chiama. E abbiamo tante di quelle garanzie…

Cap. III – Quel che si disse e quel che seguì
Velocemente, dall’alto, si portarono a termine i preparativi. Ora che era tutto deciso, Mediolandia aspettava: quanti uomini si sarebbero mandati? Quali territori amici sarebbero stati occupati, lì intorno? Quali e quanti paesi avrebbero partecipato, e con che strategie? Ovviamente, a capo di tutto c’era il Guerrafondaio, ma i più fedeli alleati, quelli che avevano messo in piedi la tesi del punto uno, gli facevano intorno cerchio e corona, smaniando per esser presenti. Il fatto è che in una guerra c’è sempre un bottino, e solo chi partecipa e vince, poi, può metterci mano? Beh, è tutto possibile, in fondo; tutto e il contrario di tutto: ma quel che più conta è che sul momento ogni cosa era solo una voce. Quella di giornali e TV, dei liberi giornali e delle libere TV dei mondi Primo e Secondo, che ci informava di ogni più piccola cosa accadesse, con un occhio speciale a quel che accadeva “da noi, alle nostre reazioni”; quella di giornali e TV, servi, di Mediolandia e Mondo Terzoriente in genere, che si ostinavano a dire la propria verità, esattamente l’opposto di quel che si diceva di là. Sempre, ognuno aveva ragione; ognuno avrebbe vinto. Questo, prima di iniziare. Una volta scoppiato il conflitto, alla fine di ogni battaglia, ognuno l’aveva vinta, secondo il rispettivo giornale. Una rapida descrizione e poco più, a dire il vero; perché poi si tornava subito a dire che ognuno aveva ragione, che ognuno avrebbe vinto. Più che la Guerra, pareva, contava il parlarne. E dare opinioni, a tutti i livelli. Ciascuno secondo le sue possibilità: gli studenti ne avevano approfittato per fare un bello sciopero a scuola, con tanto di marcia dimostrativa, cartelli e slogan. Una marcia Contro, come si ama definirla in genere, in questi casi; e chi non si schierava era una vergogna per tutti. “VOGLIA-MO LA PACE / LA GUERRA NON-CI-PIACE! / VOGLIA-MO LA PACE!”, scandivano, e qualcuno ne approfittava pure per lanciare qualcosa al Palazzo dell’Autorità Costituita del luogo in questione. Per loro, poi, c’era pure da metter sul piatto la questione della legalizzazione delle droghe leggere, insomma. Ogni occasione era buona. Gli operai e i venditori al dettaglio si erano uniti, rispettivamente con uno sciopero dimostrativo e una serrata programmata. I primi, inoltre, erano assai preoccupati dagli abbassamenti di stipendi previsti con la guerra, o dai relativi rincari dei prezzi, non si è mai capito bene. Però (o perciò? Nemmeno questo si è mai capito bene…) i secondi, nel dubbio, nei giorni successivi la serrata, pensarono di uscirne aumentando i propri prezzi.
I cantanti e gli show-men cantarono canzoni di protesta, rigonfie parole di sdegno, ché la guerra mai sarà giusta, e a farne le spese son sempre le genti innocenti. Loro, forse, avevan risposte. Fecero raduni, concerti per beneficenza, si unirono in gruppi straordinari e del tutto improvvisati: e i loro proventi – ma era ovvio! – nel caso in questione, erano tutti devoluti a favore dei familiari delle vittime di guerra. E in qualche caso pure alle vittime della “fame nel mondo”. Era ingiusta anche quella, no?
Più in alto, imprenditori o rivenditori all’ingrosso insomma, non fecero alcuno sciopero o dimostrazione o serrata. Solo, erano preoccupati per i loro titoli in borsa: la guerra li faceva colare a picco. Tuttavia scoprirono presto che era solo questione di qualche maneggio: qualche cambiamento là, qualche vendita improvvisa qui, qualche transazione rischiosa laggiù. E il gioco era fatto. Naturalmente, non a tutti riusciva, ma così andavan le cose, guerra o non guerra, da sempre. Per quelli che perdevano onestamente, c’era sempre (forse – cadere di casta può anche far troppo male!) un bello sciopero che li aspettava, o una serrata. Una casa più piccola, in definitiva. Invece, per quelli che avevano perso barando, ci poteva esser la galera, e nulla più.
Le signore di mezza età, di buona famiglia, non si capacitavano del perché ci debbano essere ancor oggi delle guerre, di quando insomma l’uomo riuscirà a capire, a rendersi conto, e la smetterà di vedere nell’uccisione di un suo simile la risoluzione di ogni contrasto; e temevano per i bambini di laggiù (che avrebbero anche adottato, ma a distanza), e per “quei bravi nostri soldati”, che potevano cadere nell’adempimento di un dovere doloroso ma necessario, perché “quello là è un affamatore del popolo; basta vedere come permette che vengano trattati tutti quei bambini”.
Agli impiegati della piccola e media impresa privata e pubblica (ma in più, questi ultimi poterono starsene in strada a godersi il passaggio del corteo), fu concesso di fare un minuto di silenzio e di raccoglimento il giorno che la guerra era scoppiata. Anche loro, spesso, erano preoccupati per i loro risparmi, e per il calo del relativo tasso di interesse che di sicuro sarebbe avvenuto, causa la Guerra.

Cap. IV – Come qualmente la cosa finì
Già, la Guerra. C’era anche quella, laggiù. Ogni giorno, il mondo ne veniva informato, più o meno. Prima si diceva che ormai c’eran soldati dei mondi Primo e Secondo sparsi per tutta Mediolandia, e che il Sanguinario aveva le ore contate, finalmente. Poi, invece, che Mediolandia reggeva, e non solo: preparava pure il contrattacco! Che la popolazione locale osteggiava i soldati stranieri. Che i soldati stranieri erano accolti come dei liberatori dalla popolazione locale. Che il dittatore era già fuggito, di nascosto. Che mai come oggi era saldo, e il dittatore era l’altro. Tutto e il contrario di tutto, e la verità non era mai una sola. Bastava dire, e non a caso seguiva dibattito, in tutte le salse, con varie opinioni, salvo quelle più estreme, che non erano ammesse, in un consorzio civile. Ogni TV aveva mandato inviati; ogni giornale, reporter. Un esercito parallelo: il mondo aveva il dovere di essere informato, che diamine! Di quando in quando ne cadeva qualcuno, o veniva catturato, proprio mentre stava realizzando uno scoop, spingendosi con sprezzo totale del pericolo (e alto senso del dovere) in zone rischiose e altamente proibite. Tutti allora lo piangevano al volo, come un eroe, caduto nell’esercizio delle proprie funzioni. Del resto, non c’era modo di piangere i propri soldati, perché secondo entrambe le fazioni, nessuno tra i loro era caduto. I giornali di Primo e Secondo Occidente arrivarono a dire – fonti, i vari governi – che al quinto giorno di Guerra i morti accertati nei nostri eran tre, e tutti caduti durante esercitazioni. In pratica si erano sparati addosso a vicenda, e c’eran rimasti solo per tragico errore. Il nemico, d’altronde, mai li avrebbe potuti colpire. Da Mediolandia invece, silenzio sul punto in questione: tutto a vele spianate, e vento forte da dietro. Quando poi cominciarono a trapelare notizie sui prigionieri, fu scontro anche lì. Il Mondo fu presto informato che Mediolandia non rispettava le convenzioni internazionali, e per estorcere informazioni segrete (quali, poi? Era solo gusto perverso, di certo…) ai reclusi, torturava e affamava. Cresceva lo sdegno: giusto combatterlo, certo, perché il Sanguinario davvero era tale. Qualche umorista-opinionista in TV riprese per questo una vecchia massima di un popolo estinto: nome nomen! Tutti risero, e lui parve pure colto, oltreché spiritoso. Ma lo sdegno cresceva anche di là, perché non c’era giorno che Verdericchezza non bombardasse un obiettivo civile, e poi – questa era l’accusa – non ne parlava, o diceva che eran stati i nemici, per far terra bruciata intorno a loro.
Su tutto, una regola: grande strepito, solo per le notizie positive. E ciascuno dava le sue.
Passavano i giorni, e divennero mesi. Si continuava a combattere anche con le armi, anche se di quelle proibite, tanto sbandierate e temute, nessuno parlava più. Cioè, ne parlavano ancora i pacifisti, che marciavano e cantavano slogan, abbracciati, sempre fermi sulle loro posizioni. Ma i pacifisti, si sa, esiston perché esiston le guerre, e le guerre ci sono da quando c’è l’uomo. Un tempo però se ne sapeva di più; o è solo l’idea che abbiamo della Storia e del Passato, a farci più chiare le idee. Oggi, gli alleati avanzavano, gli alleati eran fermi; il tiranno era stato catturato, il tiranno era libero; i figli del tiranno eran caduti, i figli del tiranno si facevan vedere alla loro TV. Quando, ed era già inverno, le televisioni di Primo e Secondo Occidente mostrarono poi le immagini del tiranno in prigione – catturato, finalmente! – di là dissero che quello era un sosia, e Lui, quello vero, si mostrò e tenne pure un discorso. Allora, Primo e Secondo Occidente dissero invece che quello era un sosia, non certo il loro. E poi mostrarono al mondo i loro bravi soldati, quelli che, prigionieri, avevano liberato con un’azione di forza. Terzoriente rispondeva con altri attacchi, verbali e non, perché i nemici erano sempre ben al di là della linea strategica fondamentale per prender possesso del loro paese.
Sembrava non dovesse finir più (e passarono altre catture, notizie, altri sosia, smentite, battaglie), e ciascuno continuava ad aver la sua fetta di ragione: Guerrafondaio II, figlio del I, nel dire che il Sanguinario era cattivo; il Visir Sanguinario III, di antica stirpe di Sanguinari regnanti, nel dire che il Guerrafondaio era mosso da ben altri interessi che non la coscienza; i pacifisti e i cantanti, nel dire che la guerra era male; le signore di mezz’età, nel preoccuparsi per i soldati e i bambini; gli operai e gli impiegati, nel temere per gli aumenti dei prezzi dovuti alla Guerra; gli affaristi e i padroni, gli studenti e i politici, gli intellettuali “di pace” e quelli “di guerra”. Ognuno deteneva un frammento, anche piccolo, di verità. E ognuno voleva sovrapporlo a quello degli altri. Perché la verità è soltanto una; perché la propria verità è sempre la migliore. Ognuno avrebbe vinto, ognuno aveva ragione.
Nel frattempo – previdenti! – si parlava pure del dopo, dall’alto. Entrambe le sponde. Ed entrambe, al loro interno, litigando per spartirsi o le immense ricchezze o quel che restava del potere.
Piano piano, stava per tornar primavera, si capì che la Guerra era finita. Lo si capì da come scivolava indietro sulle pagine dei giornali e nei servizi in TV. E soprattutto, lo si capì quando i vari reporter, giornalisti, cronisti, cameraman, tornarono in patria, ognuno la sua. E tutti scrissero un libro, su quel che avevano visto e vissuto. Sì, ci scrissero sopra un bel libro che – ciascuno secondo le proprie possibilità – fu pubblicizzato presso la Testata per cui lavorava l’autore. E tutti ci tirarono su un bel po’ di soldi e di fama. I giornalisti che li avevano scritti furono intervistati dagli altri giornalisti o scrittori, i quali peraltro (restando in patria, ciascuno la sua) avevano scritto anch’essi un libro, meditazioni su quella cosa lontana, che si chiamava Guerra. Che tutti aborrivano, come in un tema per bambini. Che era assai ingiusta, e che ispirava riflessioni amare e profonde, e quanto mai giuste. Che adesso, tra l’altro, era finita, forse.
Solo che la gente era morta.
E, tra l’altro… Guerrafondaio II, signore dei paesi di Verdericchezza, nel distretto di Mondo Primoccidente, ce le aveva, lui, le Armi Proibite?

 

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