L’attesa

Dave allungò la mano, afferrò la bottiglia e si versò da bere. Lanciò un’occhiata fuori dalla finestra, la strada principale era deserta, la gente se ne stava già davanti ai caminetti per la veglia di fine anno. Fece un grosso respiro, buttò giù un sorso di whisky e andò a sedersi su una delle grosse poltrone del soggiorno. Non si sentiva tranquillo, doveva almeno vederla, parlarle e sistemare una volta per tutte quello che era successo pochi giorni prima. L’avrebbe cercato Vivian o avrebbe dovuto fare lui la prima mossa? Quanto avrebbe dovuto aspettare? Tutto ciò lo metteva in completa agitazione e non faceva altro che girare per casa attaccato alla bottiglia di J&D .

Anche Donnie si trovava in casa quella sera. Era alle prese con l’impianto elettrico che continuava a dare problemi. Armato di cavi, pinze e parecchia pazienza, stava cercando per l’ennesima volta di ridare luce a quell’enorme salone.

- Come cazzo dovrei comportarmi Donnie? - chiese Dave.
- Dovrei andare subito da lei, inginocchiarmi e prometterle eterna fedeltà? Dirle che l’amo, che posso cambiare e cazzate del genere? Oppure dovrei mandarle dei fiori, delle rose, magari con un bigliettino di scuse, o non dovrei farmi più sentire? O forse dovrei solamente puntarle una pistola alla testa? Dovrei chiederle di farsi i cazzi suoi e di non ficcare il naso nella mia vita?

Donnie stava ad ascoltare, non lo guardava nemmeno, sommerso com’era da quel rabbioso fiume di parole che straripavano dalla sua bocca.

Alla fine avrebbe fatto come al solito, avrebbe aspettato ancora un po’, magari ancora qualche giorno, e poi, calmate le acque, sarebbe andato di persona a parlarle.
Niente di nuovo quindi, il problema era semplicemente l’attesa...

All’improvviso squillò il telefono. Dall’altra parte del cavo una voce aggressiva lo assalì. Era la sua ragazza .
- Brutto stronzo sono stanca delle tue sbornie, dei tuoi casini, di come mi tratti ogni volta che incontri una puttanella da quattro soldi …
- Non ti sembra di esagerare?- la interruppe Dave - è stata una bravata tra amici, volevamo solamente divertirci e anche quella ragazza era d’accordo e poi nessuno ci ha rimesso niente …
- Sono stufa Dave, non intendo tollerare altre situazioni simili… tra noi è finita, chiaro?- e riagganciò.

Dave andò in cucina a versarsi un doppio whisky. Stava esagerando, ne era consapevole, avrebbe finito per rovinare tutto di nuovo. Proprio non ci riusciva, era più forte di lui. Rimanere senza alcol era proprio l’ultima cosa che gli sarebbe passata per la mente.
- Affanculo Vivian - pensò. Si tolse la giacca di tweed e si apprestò a passare le ultime ore dell’anno in completa solitudine.

Donnie, dal canto suo, non si rassegnava. Si era imposto di sistemare quell’ammasso di circuiti elettrici e non avrebbe smesso se non a lavoro ultimato!
Donnie era un bravo ragazzo. Tutto il contrario del fratello maggiore, sempre casa e lavoro, mai un eccesso, nemmeno un’imprecazione di tanto in tanto. Eppure anche Donnie aveva i suoi scheletri nell’armadio.
Condannato a dieci anni di carcere, era stato assolto in appello “per non aver commesso il fatto”. Questo è quanto risultava dagli archivi del palazzo di giustizia alla richiesta di informazioni su Donnie, condannato per errore con l’accusa di violenza sessuale. Ma una volta che le voci cominciano a circolare…

Per Dave il sesso era una necessità, come l’alcol e la violenza. Di tanto in tanto.

L’attesa era interminabile, ma ancora qualche ora e tutto sarebbe tornato come prima. Anno nuovo vita nuova, come si dice... Buttarsi tutto alle spalle. Dopo una bottiglia di scotch Dave iniziava a convincersene, esaltato com’era da tutto quell’alcool diventava sempre più sicuro di sé. Si sarebbe fatto di nuovo Vivian.
Si girò sulla poltrona rovesciando il contenuto dell’ultimo bicchiere. Il liquido creò una piccola chiazza scura sulla moquette color avena… così l’aveva chiamata il suo arredatore.
Poi il campanello suonò.
- Dave?- chiamò qualcuno -ehi, Dave, sei in casa?- continuò insistentemente la voce.
E adesso cosa cazzo c’è, pensò.
- Si, arrivo - rispose, senza muoversi minimamente dalla poltrona.
- Ehi Dave, cosa stai facendo? Vieni ad aprirmi la porta, fa freddo qui fuori!
- Un attimo, sto arrivando…
Si infilò la giacca e si diresse, barcollando, verso l’ingresso. Non era la voce di Vivian.
Era da poco passata la mezzanotte. Aprì la porta e venne investito da un assordante rumore di petardi, fuochi d’artificio e ogni altra sorta di diavoleria pirotecnica.
Un’affascinante figura femminile gli si presentò davanti in tutto il suo splendore.
Bionda, venticinque anni, fianchi snelli, gambe lunghe, fondoschiena invidiabile. Sotto la pelliccia sintetica un vestitino succinto, rosso. Sulla bocca un sorriso intrigante. Era Victoria, la sua vicina di casa, single e senza figli. Dave prima di allora non l’aveva mai notata. Almeno non così come ora. Soltanto uno stronzo ubriacone come lui poteva non accorgersi di quel bocconcino così invitante e così a portata di mano.
La fece entrare e le offrì una sedia.
Nella penombra lui si muoveva sicuro, si mise a preparare due drink e lei non poté fare a meno di osservarlo. Alzò la testa e sorrise vedendo quel suo sguardo così intenso. Tolse la bottiglia di vino bianco dal ghiaccio e ne versò due bicchieri. Andò verso di lei e gliene diede uno.
- Alla tua, mia cara vicina... allora, a cosa devo questa visita, se non sono indiscreto…
Lei sorrise. Era in cerca di compagnia.
Dave aspettava una sua mossa, cominciò a sprecarsi in complimenti.

Donnie, che stava ancora armeggiando con i cavi, capì di essere di troppo e interruppe il lavoro per farsi un boccone e una birra.
- Vi lascio soli, volete che vi porti qualcosa? - disse prima di salutarli. Non risposero.

Dave le prese la mano e le sussurrò dolcemente: - Ehi dolcezza, lo sai che ti amo! -
- Come vai di fretta - osservò lei, scostando le gambe con un gesto inequivocabilmente provocante, mentre le mani di lui cominciarono lentamente a carezzarla.

L’attesa era terminata!

 

roberto

 

 

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