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Lische
Prendo
le medicine. Blu al mattino e rosse la sera. Dicono che non
potrei fare altrimenti. Ma chi sono questi che me lo dicono?
Non l’ho mai capito. Dicono che posso fare da solo. Rientra
nella categorie delle cose che riesco a fare da solo, prendere
le gocce. Senza le gocce divento un altro. Come se sapessi chi
sono realmente. Non faccio domande. Nella situazione in cui
mi trovo nessuna domanda verrebbe presa seriamente. Adesso sono
qui, solo, in questa gabbia di matti. Non sono l’unico,
ma non chiedetemi come si chiamano quelli che loro chiamano
“i tuoi amici”. Io non sono amico di nessuno. Non
mi lamento. Prima o poi uscirò da questa camera.
Fuori si sentono delle voci. Sono in tre. Solo due stanno parlando.
Il terzo si limita ad ascoltare.
La prima goccia. Aspetto, in attesa che succeda qualcosa.
Qualcosa sta già succedendo. Non me ne accorgo. Sono
in ritardo. Ho la fronte sudata. Vorrei andarmi a lavare le
mani, ma nessuno si fa vivo. Mi tocco il ginocchio. Devo essermelo
sbucciato. Difficile crederlo. Sono qui seduto non so da quanti
giorni. Fuori da questa camera non la smettono di parlare.
Un piccolo chiarimento. La seconda goccia è migliore
della prima.
Mantengo il controllo. Non sono un tipo che va in escandescenze.
Qualcuno si lamenta. Mi giro. Niente. Sono solo io. Vedere un
po’ di tv non sarebbe male. La mia camicia si tinge di
rosso. E’ il mio sangue. Non potrebbe essere altrimenti.
Devo fare qualcosa.
La terza goccia. Va peggio di prima. Quelli fuori sono contenti
di come mi stanno andando le cose. Devo muovermi. Ci provo.
Niente da fare. Sono incollato a questa sedia. La camera, i
tizi fuori, nient’altro. Mi brucia la gola. Potrebbe trattarsi
di una lisca. Già, come l’ultima volta. Con una
lisca di pesce c’è poco da fare. Anzi no. Me ne
infischio della promessa. Prendo il telefono e chiamo Zorro.
Parlo sottovoce. Quelli fuori non lo devono sapere che chiamo
Zorro. Devo attenermi alla realtà dei fatti. Zorro dice
che arriverà, però senza cavallo. Questa volta
non sarà un fulmine. Deve prendere la metropolitana e
poi deve farsi un pezzo di strada a piedi.
La lisca resta lì dov’è. Anche lei non vuole
perdersi l’appuntamento con uno dei suoi super eroi preferiti.
Qualcuno entra e mi prende il telefono dalle mani. Quello che
io chiamo telefono lui lo chiama orologio. Devo aver fatto qualcosa
di sbagliato, altrimenti non se la prenderebbe così male.
Mi domanda se conosco le regole. Quali regole? Non so di che
parla. Chiedo al tizio di ridarmi quel cavolo di telefono. Lui
me lo dà, ma ci tiene a ricordarmi che quello è
un orologio. Qualunque sia il suo nome, Zorro sta arrivando,
quindi è meglio che il tizio se ne vada se non vuole
mettersi nei pasticci.
Devo avergli fatto paura. Ha preso e se ne è andato facendo
il verso alle mie parole.
Lo vedete che avevo ragione. Questa è una gabbia di matti
!
paolo
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