La fantasia ha rotto le acque

Non perdo tempo. Salto in macchina diretto verso l’ ospedale più vicino. Io resto fuori. Lei va sotto i ferri. Fuori, altri come me, aspettano notizie. E’ arrivato il mio turno. Posso entrare a vedere. E’ un maschio o è una femmina? Lei non mi risponde. Poi me lo dice. Dovresti saperlo. Lo vedo con i miei occhi. E’ un racconto. Un racconto non ha sesso, non piange, non cammina, non mangia, non caga, non fa domande, non resta imbambolato davanti alla tv. Un racconto non fa un sacco di cose, ma può crearti lo stesso un sacco di problemi. Quello che può fare se proprio vuole è tenerti sveglio la notte. Mi accontento, poteva andarmi peggio. Alla visita del primo mese avevo ricevuto buone notizie. Non si preoccupi, suo figlio ha tutte le caratteristiche tipicamente letterarie. Un capo, una coda e una trama. Pensai a un gioco di parole. Al terzo mese quelli continuavano a giocare con le parole. Suo figlio è in buona salute e pesa duemila parole. Ora lo posso vedere con i miei occhi quello che la mia fantasia ha partorito. Qualcuno me lo dice senza mezzi termini. Quello è un errore della letteratura. Un essere prematuro e grammaticalmente scorretto. Non so cosa rispondere. Non ho avuto molto tempo per lavorarci sopra. Avevo delle scadenze. Non glielo dico. La fantasia ha la bocca cucita. Faccio a meno di lei e mi do da fare con le mani. Alla fine sono stanco e la smetto di lasciare andare le mani. Lo ammetto. E’ un racconto senza capo né coda, ma è lo stesso il mio racconto. Difendo quello che non so più come chiamare. Figlio o prodotto letterario. Mi giro e me lo trovo davanti. Il mio editore. Vuole vedere il racconto. Quel porco non vede l’ora di mettergli le mani addosso. Il racconto è sano e salvo e se la sta spassando in una incubatrice. E’ lì che completerà il suo sviluppo. Proprio quello che ci vuole. Un ambiente sterile, privo di errori ortografici e di sintassi, i germi peggiori di questo secolo.
La notte porta consiglio e a volte anche buone idee. Concedo alla fantasia il meritato riposo. Io e il mio editore usciamo dalla stanza. Passeggiamo lungo il corridoio. Dietro una vetrata ci sono molti racconti. Nemmeno un gemito. E’ roba buona, dice il mio editore. Non ha tatto, è quello che penso di lui. Conosco chi li ha partoriti. Il buon vecchio Bukowski, Fante, Carver e molti altri ancora.
Un addetto ai lavori mi viene incontro. Vuole sapere il titolo. Il titolo del mio racconto. Ci penso. Non mi viene in mente niente. La fantasia si è appena addormentata nella sua stanza. Non chiedetemi di svegliarla. Non lo farei mai.

 

paolo

 

 

 

Racconti - HOME