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Reportage-viaggio
in Scozia
L’11 agosto del 2003 sono decollata dall’aeroporto
di Milano-Linate alla volta della Scozia: terra di draghi e
castelli incantati. Mi sono trattenuta là una settimana,
rimarranno impresse per sempre nella mia memoria tre cose: l’incomprensibile
accento degli Scozzesi, le bellissime distese di erica delle
Highlands e i pachidermi umanoidi distesi nel parco di Waverly
a Edimburgo.
Ero in attesa del check-in di Linate. Conscia del fatto che
desideravo da subito una vacanza full immersion nella realtà
britannica, iniziai ad intrattenere con la mia “vivace”
conversazione una coppia di turisti americani del Michigan che
via Londra rientravano in patria dopo dieci giorni di vacanza
nel Bel Paese.
“Viaggi sola?”- mi chiesero all’unisono Eve
e Adam, accompagnando la domanda con un’occhiata indagatoria.
“Sì- risposi io- mi piace vedere il mondo per i
fatti miei. Spesso un compagno di viaggio se non ha i tuoi stessi
interessi è un gran rompicoglioni. Ne ho sopportato uno
per otto anni e mezzo: so cosa vuol dire.” Non conoscevo
l’equivalente inglese della parola rompicoglioni e così
mi ero dovuta arrangiare con la traduzione letterale. Eve e
Adam mi guardavano sorridendo mentre gesticolando cercavo di
spiegare il concetto. Probabilmente pensavano: “Questi
italiani… Le mani sempre in movimento: sono uno spasso!”.
Ad un certo punto la coppia interruppe i miei discorsi mettendomi
in mano un volantino rosa dal titolo vagamente inquisitorio:
“Che scusa darai a Dio?”. Li guardai interdetta
e loro mi dissero che erano adepti della chiesa battista della
loro città: volevo per caso convertirmi alla loro religione?
Risposi che non me la sentivo e che in ogni caso non potevo
dire sì a qualcosa per me totalmente sconosciuto…
Stavo giusto finendo questa frase quando la hostess della British
Midlands invocò a gran voce i passeggeri del volo BD0454
in partenza per Londra: il mio! Approfittai dell’intervento
provvidenziale e mi precipitai al check-in. Non avrei cambiato
religione in una sala d’attesa dell’aeroporto di
Linate…
Mi ero infilata al mio posto appiccicata al finestrino (lontano
dai due adepti della chiesa battista…) e sognavo di incontrare
uno scozzese intrepido e fascinoso: Braveheart per intenderci…
insomma bramavo un appuntamento con un uomo che assomigliasse
ad una rockstar di un gruppo trash di musica celtica anni Settanta.
Non è che andassi fiera di questa cosa: era preferibile
non divulgare troppo le proprie perversioni… Volavo fiduciosa
nel Regno Unito, avevo deciso di non tampinare i miei vicini
di posto: ero troppo concentrata nel risolvere l’enigma
del sandwich che l’hostess di turno mi aveva appoggiato
delicatamente in grembo. Un mattoncino che sapeva di cipolla
e formaggio stagionato. Coraggiosamente lo terminai, ma poi
giurai a me stessa che non mi sarei più lasciata convincere
da chicchessia ad assaggiare del “cibo” che avesse
un profumo di piedi misto a stracchino.
Una volta a Londra, all’aeroporto di Heathrow, mi misi
alla ricerca del cancello d’imbarco dove avrei dovuto
prendere il volo per Edimburgo. Mentre guardavo per aria, cercando
di orientarmi nell’aeroporto più immenso che avessi
mai visto, mi sentii toccare la spalla da un paio di ragazzi
che mi chiesero gentilmente in italiano: “Scusa, tu devi
andare a Dublino?” “No, devo andare a Edimburgo,
perché?” -risposi io- “Arriviamo anche noi
dal tuo stesso volo, dobbiamo andare a Dublino e non sappiamo
dov’è il nostro cancello d’imbarco!”
Dopo aver sentito queste parole capii che ero la persona giusta
al momento giusto: grazie alla mia “strepitosa”
conoscenza dell’inglese avrei salvato la situazione!
“Forza ragazzi, andiamo a chiedere al banco di informazioni
della British Midlands, sicuramente ci indicheranno dove andare”.
Vagammo per quasi un’ora. Avevo chiesto informazioni almeno
tre volte a tre diverse hostess e ogni volta avevo compreso
a malapena due parole. La fiducia nel mio inglese iniziava a
vacillare… Dopo il “comprensibile” momento
di sconforto mi venne un’illuminazione, guardai nella
mia Invicta (inconfondibile marchio italico all’estero!)
e trovai la mappa di Heathrow che mi avevano dato insieme ai
biglietti dell’aereo. Nel giro di alcuni secondi la recuperarono
anche i due ragazzi (!?!) che dovevano partire per Dublino e
così in tempo cinque minuti ognuno di noi arrivò
all’agognato cancello d’imbarco.
Una volta sul volo Londra-Edimburgo, le hostess, oltre al solito
quotidiano di gossip, mi offrirono un sandwich identico a quello
del volo Milano-Londra: ossia il “mattoncino” di
cipolla e formaggio stagionato. Con un grande sorriso Durbans
dissi che non avevo fame e che avrei gradito solo il succo d’arancia
in lattina (sigillata). Sapevo che con il cibo inglese avrei
avuto altri inghippi del genere, ma almeno questa volta me l’ero
cavata…
Una volta arrivata a destinazione, cercai Daniela, la “sventurata”
amica che avrebbe dovuto ospitarmi durante il mio soggiorno
scozzese. Avevo i timpani che mi dolevano in maniera insopportabile,
durante l’intero volo avrei voluto rotolarmi sul sedile
dell’aereo: mi sembrava che si spaccassero i timpani…L’alta
quota mi aveva giocato un brutto tiro. Naturalmente tutti gli
altri passeggeri del volo avevano viaggiato indenni e senza
inconvenienti!
Daniela finalmente mi venne incontro. Iniziai a urlarle quanto
fossi contenta di vederla…
Lei non capiva il motivo del mio tono di voce ed io le spiegai
che ero sorda a causa della pressione dell’alta quota.
Annui comprensiva aiutandomi a recuperare il bagaglio. Il suo
intervento fu quanto mai opportuno visto che da minuti attendevo
fiduciosa al nastro trasportatore di un volo proveniente da
Dublino quindi era perlomeno impossibile che riuscissi lì
a recuperare la mia valigia.
Raggiungemmo in taxi Gladstone Terrace, l’indirizzo di
Daniela, e dopo dieci minuti di concitato resoconto del viaggio
mi abbattei come un animalone sul divano che la mia amica mi
aveva riservato. Il mattino dopo mi resi conto vagamente che
Daniela si recava al lavoro salutandomi con una carezza sulla
spalla… Dormii saporitamente fino alle undici del mattino
quando mi svegliai di soprassalto pensando che avevo solo una
settimana per scoprire i misteri della Scozia e che se avessi
dormito tutti quei giorni fino a mezzogiorno non avrei concluso
granché…
Armata di cartina, Invicta (…) e macchina fotografica
mi apprestai a raggiungere il centro di Edimburgo: osservavo
i parchi, le persone dal colorito roseo, le indicazioni dei
cartelli stradali… Amavo il nord dell’Europa. Non
spiegavo chiaramente neppure a me perché mi piacesse
tanto. Era così e basta. Nel bel mezzo di queste soavi
riflessioni non mi accorsi nemmeno che stavo procedendo esattamente
verso la parte opposta del centro: stavo andando in periferia…
Feci subito dietro-front. Arrivai in centro con una fame della
madonna. Era anche normale che fosse così: non mangiavo
dal pomeriggio del giorno prima. Il mattoncino di cipolla e
formaggio per intenderci. Appena imboccata la strada principale
avvistai un locale dal nome che era tutto una promessa di piaceri
culinari italiani: Stromboli. Entrai immediatamente e gustai
un ottimo cappuccino con un altrettanto delizioso strudel. Il
proprietario esibiva un aspetto magnifico e sereno e si comportò
con straordinaria dignità anche quando al momento di
pagare mi chiese la modica cifra di sette sterline… Quasi
diciottomila delle vecchie lire. Uscendo decisi che quello sarebbe
stato il mio pranzo.
Passai il pomeriggio curiosando nelle vie principali della città
da Princes Street al Royal Mill. Mi feci il giro panoramico
della città in un autobus gremito di turisti che davano
un tocco di colore al tour con i loro abiti bianchi da gelatai
italiani… Scattai pochissime foto in segno di protesta
per i flash incessanti di due giapponesi seduti accanto a me
che bersagliavano impietosi ogni mattone, ogni angolo, ogni
c… che capitava davanti al loro obiettivo…
Intorno alle diciotto di sera dopo aver curiosato nei vari Virgin
megastore, grandi magazzini e punti di informazione per turisti
mi accinsi ad utilizzare le cabine telefoniche britanniche (quelle
rosse, ma sì, quelle famose, istituzionali direi…).
Erano carinissime: ti succhiavano monete in una maniera incredibile,
ma almeno riuscivo a telefonare in Italia. Il mio cellulare
era abilitato unicamente alla ricezione, così oltre alla
ladrata del roaming, non ero neanche libera di telefonare quando
volevo, ma dovevo dipendere da quelle simpatiche cabine rosse…
Il secondo giorno andò un po’ meglio. Innanzitutto
non saltai la colazione, ma riuscii ad arrivare in centro alle
10: un orario perlomeno decente. Quel giorno avevo tre obiettivi:
comprare una “banana-card”, una tessera telefonica
(vi risparmio i doppi sensi e le amenità che mi sono
dovuta sentire a causa della mia pronuncia…), prenotarmi
una bella gita a Loch Ness (e dove la metti la ricerca di Nessie,
il lucertolone di cui tutti ti riempiono le orecchie quando
si parla della Scozia…) e l’acquisto di due biglietti
d’autobus per Callander nelle Highlands dove avrei dovuto
andare con Daniela per tre giorni all’insegna del salutismo
più rigoroso (il ciclismo è uno sport sano e alla
portata di tutti: Fantozzi docet!).
Dopo aver sbrigato queste incombenze andai alla National Gallery
a esaltare il mio senso artistico con la mostra di Monet “The
Seine and the Sea”. Mi erano piaciuti tanto il merchandising
della mostra tipo cartoline, tazze dipinte, calendari, etc.
ma poi il budget “povero” di cui disponevo mi aveva
costretto a dei tagli rigorosi. In realtà volevo tenermi
da parte il denaro per acquistare alcuni cd di musica scozzese
(la colonna sonora di Braveheart) e quindi…
La sera nonostante fossi stanca andai in un pub con Daniela
ad assaggiare la birra locale: volevo immergermi nella vita
notturna di Edinburgo… Che dura fino alle 23 perché
poi i locali chiudono (…). Risultato: visto che ero astemia
dopo un solo boccale iniziai a intonare canzoni di Elio e le
Storie Tese. Daniela dopo avermi rimproverato iniziò
a cantare anche lei. Facevamo i duetti: “Eravamo fidanzati,
pooooi, tu mi hai lasciato, senza addurre motivazioni plausibili…”
“Noo…o…ooh.. non è vero, tu non capisci
l’universo femminile, la mia spiccata sensibilità,
si contrappone al tuo gretto materialismo maschilista…
ciononostante…”. Insomma, la canzone “Relazione
tra giovani uomini e giovani donne” di Elio era veramente
coinvolgente. Peccato che non la pensasse così anche
il resto degli avventori del pub… d’altronde Elio
è sempre stato un incompreso. Nel giro di poco quindi
ritornammo a casa. Una volta a letto mi addormentai subito come
un interruttore della luce che si spegne. Ronfai fino a mezzogiorno
del giorno dopo, non avevo neanche sentito la povera Daniela
che alle otto di mattina mi aveva lasciato le chiavi di casa
del comodino prima di andare al lavoro. In catalessi mi precipitai
in Charlotte Square a visitare il Festival del Libro. Al mattino,
tra gli ospiti del festival c’era stata l’intellettuale
americana Susan Sontag e la sottoscritta, rimbambita dai fumi
dell’alcol era riuscita a perdersela… Cercai di
dimenticare il dispiacere ingollandomi due fette di torta alla
crema Chantilly offerte in una postazione-rinfresco del festival.
Mentre stavo divorando l’ultimo pezzetto di torta fui
bloccata da un’energica signora dai capelli color acciaio
e tailleur dello stesso colore. Doveva riempire un questionario
sui visitatori del festival. Ergo, mille domande a raffica del
tipo: “A quante manifestazioni teatrali del festival intendi
andare? Quanti libri hai comprato? Chi sei, chi non sei? Cosa
stai cercando? Qual è il tuo scopo nella vita? E via
dicendo… Riuscii a sfuggire alle sue grinfie dopo venti
minuti di interrogatorio simulando un improbabile appuntamento
esattamente nella parte opposta della città.
Il giorno dopo era stata la volta della gita al lago di Loch
Ness. Viaggio in autobus attraverso le Highlands per andare
a caccia del lucertolone Nessie: sei ore. Gita sul lago scrutando
le onde per vedere qualche traccia del sopraccitato lucertolone:
un’ora e mezza. Consequenziale disappunto per non aver
visto il lucertolone: cinque minuti. Rimostranze per il vento
turbinoso che avevamo dovuto sopportare in barca: dieci minuti.
Pausa tè e acquisto peluche di Nessie alla locanda del
lago: venti minuti. Viaggio di ritorno in quel di Edimburgo:
altre sei ore. Pausa-cena per assaggiare “l’haggot”,
piatto locale a base di interiora di pecora (una specie di trippa)
inserite nello stomaco dello stesso animale: mezz’ora.
Perplessità mista a disgusto una volta saputo cosa avevo
mangiato: trenta secondi.
Arrivato il fine settimana io e Daniela partimmo alla volta
di Callander, ridente cittadina nel parco nazionale delle Trossachs.
Da subito si evidenziò tra noi la differenza nel modo
in cui volevano gestire il soggiorno. Il mio ideale era pedalare
allegramente alla velocità di dieci chilometri orari,
annusare fiorellini, mangiare una decina di sandwich al formaggio
e oziare al sole attendendo la sera, il suo era rispettare la
tabella di marcia di un ciclista professionista e fare il giro
di tutti i laghi del parco, mangiando e bevendo in sella al
mezzo: l’unica attività che piaceva ad entrambe
era annusare i fiorellini. La sera quando alle otto di sera
arrivavamo all’ostello dopo aver osservato i trentacinque
chilometri della tabella giornaliera di marcia riuscivo a malapena
a buttarmi sul letto per cercare di recuperare le funzioni vitali.
Mangiavo quello che Daniela mi metteva nel piatto: spaghetti,
frutta, burro di noccioline… La sera tentavo di proporre
un’uscita in alcuni pub di Callander, ma l’idea
del viaggio a piedi (la sera non sopportavo nemmeno la vista
della mountain-bike) per raggiungere il paese mi faceva subito
propendere per l’allettante alternativa di dieci ore di
sonno nella mia morbida brandina… Intanto i nostri vicini
di letto, una simpatica coppia di sessantenni di Bristol, rientravano
dal paese a notte fonda, incuranti di percorrere chilometri
di strade senza illuminazione per rientrare all’ostello,
in mezzo alla campagna…
La domenica sera rientrammo ad Edinburgo e quella sera riuscii
miracolosamente a vedermi uno spettacolo del festival: una compagnia
“bergamasca” interpretava “Waterwall”,
dieci ballerini facevano numeri acrobatici sotto una cascata
di acqua zampillante… Io tanto per cambiare, mi ero addormentata
sulle spalle di Daniela: sognavo la “coppa Cobram”
(Fantozzi è uno dei miei sogni più proibiti…):
avrei potuto pretenderla di diritto dopo aver percorso chilometri
e chilometri nel parco delle Trossachs…
Il giorno dopo dovevo ritornare in Italia. Comprai tre chili
di tè, quattro barattoli di burro di noccioline e dieci
pacchetti di patatine all’aceto. Daniela mi aveva detto
che erano i prodotti che dovevo assolutamente portare in Italia
(!?!) Per ringraziarla della gentilezza con la quale mi aveva
ospitato le regalai un completino slip e reggiseno neri supersexy
per incontri all’ultimo respiro… Nella confezione
del completo aggiunsi anche un cd di musica immonda “Scottish
love songs” che dopo averlo ascoltato una volta mi rifiutai
di imbarcare in Italia e lo giubilavo a Daniela sperando che
in qualche modo potesse servirsene (come frisbi per esempio…).
Li avevo accompagnati da un biglietto nel quale avevo scritto
una battuta di un film di Francesco Nuti: “E adesso si
tromba!” Un’alternativa che le suggerivo al posto
di passare il tempo percorrendo chilometri e chilometri in mountain-bike…
“Sei sempre la solita depravata”- mi aveva scritto
Daniela, a mo di ringraziamento, in una divertente e.mail che
avevo letto in Italia al mio ritorno. Per tutta risposta le
inviai per posta il calendario di George Clooney del 2004. Mi
telefonò qualche giorno dopo dicendomi “Capisco
che è inutile cercare di redimerti, a sessant’anni
sarai ancora impenitente e senza alcun pudore… “Lo
so, hai ragione: mi seppelliranno così!”.
silvia
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