Demoni

 

Quella notte gli spettri erano agitati.
Teneva la schiena appoggiata ad un albero secolare perché nessuno se non quella sentinella del tempo poteva guardargli le spalle e a volte sembrava che anche quella natura gli voltasse le spalle, che anche quella natura gli fosse ostile.
Gli occhi insanguinati rendevano la notte senza luna ancora più cupa, soltanto le luci effimere degli spettri diafani balenavano nell’ombra, ma sapeva bene come in mille altre notti che per quelle creature la possente armatura nera non offriva rifugio, che potevano afferrarlo nell’anima. Il sonno era il suo vero nemico.
Gli spettri erano tanti ma deboli, Blacked era vicino ad una zona sacra, ora lo sapeva e bastavano il pugnale e lo sguardo per cacciarli, presto la luce del giorno filtrò tra le fronde degli alberi del bosco e tutto svanì, si concedette qualche ora di sonno.
Nel cuore della foresta nella valle degli abeti vivevano degli elfi e solo la polvere delle loro ali poteva aiutarlo, il demone che lo aveva morso nel combattimento dei cunicoli della città sotterranea qualche giorno addietro, aveva iniettato il suo veleno e dal veleno del male non si poteva guarire se non grazie agli elfi.
Il mantello nero riparava il guerriero nell’ombra del sottobosco, lentamente avanzava guidato dal ricordo delle leggende, si sentiva braccato, quindi per quanto potesse cercò di accelerare il passo e il respiro, da giorni non mangiava e non dormiva, ma era sopravvissuto a situazioni peggiori, anche questa volta sarebbe sopravvissuto, doveva vivere.
Improvvisamente in cima alla montagna una striscia blu tra le cime degli abeti secolari, un crepaccio tra gli alberi, un dirupo di parecchie centinaia di metri spaccava in due il colle e sul fondo vi correva un fiume bianco di rabbia; l’unico modo per attraversare il crepaccio era utilizzare il tronco di uno degli alberi, si guardò attorno e né individuò uno comodo, abbastanza largo per camminarci a due piedi, vicino al dirupo per coprirne l’ampiezza cadendo e non troppo largo per essere abbattuto con un solo fendente, visto che la febbre lo aveva parecchio indebolito e lo torturava con brividi freddi.
Estrasse quel blocco di metallo che portava sulla spalla sinistra, era uno spadone a due mani lungo quanto il corpo, un uomo normale non avrebbe potuto nemmeno estrarre quel blocco di ferro, ma il guerriero lo maneggiava tranquillamente con un braccio, come una spada da cerimonia; ruotò il busto e con esso la spada e il fendente; abbatté preciso quell’albero che cadendo con fragorosa solennità creò un ponte tra i due lembi della collina.
A mezzo ponte si accorse dei demoni. Sentì prima le loro urla, un indescrivibile accozzaglia di pianti di bambino, di risa di donna, suoni della notte, erano simili ad umani senza pelle, grondanti sangue putrefatto, quattro o cinque al massimo, con zanne e unghie affilate, sicuramente erano stati dei vivi, forse viandanti uccisi a loro volta dai demoni e quindi diventati tali.
La morte stava davanti e dietro di lui, se fosse tornato indietro il veleno probabilmente lo avrebbe ucciso, doveva affrontarli, ancora un ostacolo e forse si sarebbe salvato…
Blacked estrasse di nuovo il blocco di ferro si passò la lingua sulle labbra assaporando il piacere della lotta e disse:
“ non avrete fatto tutta questa strada per nulla, forza! il filo della mia lama ha sete del poco sangue immondo che vi rimane…..”
Non poté finire di pronunciare quelle parole che l’accozzaglia di redivivi, agili come gatti gli si era scagliata contro, lo circondarono sul tronco, uno di loro saltò sopra di lui e lo raggiunse alle spalle, l’altro passò aggrappandosi con le unghie sotto il tronco e sotto di lui, erano cinque, agilissimi, agivano e colpivano in gruppo, come avessero una sola anima. Era stanco e affaticato ma lo spadone si lasciava governare docilmente, roteava, sibilava nell’aria, colpiva di lama e non solo, né tagliò un paio a metà e le loro viscere resero il tronco ancora più scivoloso, tant’è che dovette combattere da fermo per non cadere. D’improvviso il più piccolo dei tre rimasti riuscì ad aggrapparsi ad una gamba affondando le zanne nella carne, estrasse il pugnale e gli sfondò il cranio, né rimanevano due, uno di fronte e l’altro alle sue spalle, e lui doveva combattere da fermo, decise di rischiare e scoprire la guardia, prese la spada con entrambe le mani e la portò rapidamente sopra le testa, scoprendo così il corpo, si inginocchiò e roteando l’arma staccò con un fendente circolare le teste dei due demoni, poi svenne e cadde nel vuoto insieme come le gocce di sangue che tutte intorno precipitavano con lui.

Si risvegliò con tutte le ossa indolenzite sulla riva dalla sabbia bianca di un lago, era immerso per metà nell’acqua tiepida, gli alberi sulla riva del lago che lasciava intravedere delle acque calme e limpidissime erano imponenti, altissimi, non ne aveva mai visti prima di tali dimensioni, i loro rami e i loro tronchi erano coperti di licheni, c’era una leggera nebbiolina rassicurante e luminosa in quel posto, non si poteva muovere ma era indiscutibilmente vivo. Ad un tratto vide lucciole azzurre rosa e gialle avvicinarsi dalle fronde oscure di quella foresta incantata… non erano lucciole erano gli elfi…
Quando furono sopra di lui poté distinguerli chiaramente, erano alti una spanna e avevano ali di farfalla, emanavano luci soffuse che impedivano di delineare chiaramente i contorni, forse avevano delle piccole antenne. Svolazzarono sopra di lui, cospargendolo di polvere dorata, Blacked piombò in un sonno profondo almeno quanto la morte.

 

p.c.

 

 

 

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