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Birre
Amare
Qualcuno
sta bussando alla mia porta. Non mi aspetto che lo facciano
alle tre di notte. Deve essersi sbagliato. Gli do il tempo per
accorgersene. Non mi piace mettere fretta alle persone, soprattutto
se hanno delle cattive intenzioni. Ecco, deve aver capito quello
che c’era da capire. Ma che, ora sta cercando di infilare
le chiavi nella serratura. Inizio a pensare che il tizio si
senta poco bene. Oppure è uno di quelli che sparisce
dalla circolazione per un paio di mesi e, vinto dal rimorso,
torna a casa dalla sua mogliettina nel pieno della notte di
un giorno qualsiasi. Lo so perché anch’io l’ho
fatto. Se mai dovesse entrare glielo darei io un consiglio.
La prossima volta che te ne vai ricordati le chiavi.
Ho passato una brutta serata e una volta a casa mi sono scolato
una dozzina di birre. Se ora non galleggio come un astronauta,
poco ci manca. Ma quelle sul tavolo non sono le solite birre
che compro al supermercato. Sta a vedere che questa non è
casa mia. Magari è lui che vive qui e sono stato io ad
entrare nel pieno della notte in casa sua. Mi guardo attorno.
Ci sono le mie foto, i miei calzini e poi quel gatto lo conosco.
Non ho dubbi. Questa è casa mia. E adesso che ci penso
quelle sono le birre amare che mi ha portato un amico. Ha la
cantina piena di quella roba. Non riesco a dirgli di tenerle
per sé, così ora finisco per sentirmi come un
astronauta.
Intanto quello alla porta sembra divertirsi, come se tentare
di centrare il buco della serratura alle tre di notte fosse
una cosa divertente. Prima o poi si stancherà. Lo sento
allontanarsi. Deve essere andato alla ricerca di qualche sasso
per far saltare i vetri della finestra. Non ha una buona mira,
ma la fortuna è dalla sua parte. Ci siamo. Ora vorrà
entrare dalla finestra. Mi sistemo i capelli. Non voglio che
si accorga del mio stato. Per la faccia non ho potuto far niente.
Non succede nulla. Una macchina si è allontanata ad alta
velocità. Sarà andato a chiamare rinforzi. Dopo
venti minuti ritorna. Ancora solo. Non deve conoscere gente
disposta ad alzarsi nel pieno della notte. Magari si è
procurato un fucile? Quelli li trovi sempre.
Mi apro un'altra birra. Brindo alla nostra salute. Sento un
ronzio. Il ronzio diventa presto il rumore di una motosega.
Deve essere un tipo determinato per far ricorso a un aggeggio
del genere. I vicini non mi danno certo una mano, continuano
a dormire nei loro letti. E’ entrato dalla porta con quell’arnese.
Avrei dovuto dirgli di pulirsi le scarpe sul tappeto, ma me
ne sono scordato.
Saltare addosso a uno sconosciuto nel buio non è il mio
forte.
Accende la luce. Si comporta come fosse a casa sua. Quando lo
vedo resto sorpreso. E’ una donna niente male con le cose
al posto giusto. Sulla trentina. Veste davvero male, ma non
glielo dico. Ha il viso accaldato e tiene la motosega come fosse
una borsetta. Come se niente fosse si siede e inizia a parlare.
Si sente a suo agio. Deve essere una di quelle persone con un
grande spirito di adattamento. Si accende una sigaretta e ci
guardiamo per un attimo. Non deve trovarmi attraente.
Non è da tutti entrare nel pieno della notte in casa
di un estraneo e accendersi una sigaretta.
Cerco di assecondarla. Le offro una birra che non accetta. Secondo
lei dovevo saperlo che non beve birra.
Viene fuori che è mia moglie. Io lo so bene che si sbaglia,
ma non mi va di urtarla. Ha pur sempre una motosega.
- Bella motosega ! -.
- Ah già, lo sai che papà un giorno o l’altro
ce l’avrebbe prestata -.
- Per la segatura non farti problemi. Ci penso io a sistemare
tutto -.
- Beh, non sarei dovuta entrare in quel modo -.
- Quello che fatto è fatto ! -.
Certo, una moglie dovrebbe averle le chiavi di casa, ma pensarci
in questo momento non serve a nulla. Mi abituo alla situazione.
E’ pur sempre una donna. Rinuncio facilmente a dire la
verità.
- Aspetto un bambino! -.
- Dimmi dove e ti ci porto -.
- Sono sei mesi che lo aspetto! -.
- Avresti dovuto dirlo prima, come vuoi che sia ancora lì
ad aspettarti. Avrà preso l’autobus! -. Provo a
farla ridere. Non ride.
- Tu non credi alla cicogna? -.
- Prendere l’autobus è più facile che saltare
in groppa a una cicogna-.
Non sapevo quello che stavo dicendo.
- Come vorresti chiamarlo il bambino? -.
- Ce l’avrà un nome! -.
- A me David non dispiace. Cosa ne dici di David? -.
- Da quando in qua te ne vai in giro a cambiare nome ai bambini
che aspetti?-.
Sto esagerando. L’alcool mi fa superare le barriere.
- Se eri contrario, dovevi dirmelo subito? -.
- Perché dovrei prendermela? Sei libera di aspettare
chi vuoi -.
- E’ un maschietto! -.
- Fantastico. Di sicuro non vedendoti arrivare sarà andato
con i suoi amici a giocare a basket!-.
- Dovrei chiamare un dottore -.
- Non credi di esagerare. Col basket non è mai morto
nessuno -.
- Sei tu il padre del bambino che sto aspettando -.
E’ una discussione da pazzi. Fingo di essere turbato,
quasi fosse vera la storia della mia paternità. Poi lei
dice che si sente stanca e che ne avremmo discusso la mattina
dopo. Ora voleva solo andare a letto.
Dice anche che la strada la conosce. Sale le scale dopo avermi
augurato la buona notte, poi chiude la porta della camera da
letto. Non ho più niente a cui pensare. Deve essere un
sogno oppure c’è qualcosa che non va in quelle
birre.
La mattina dopo mi sveglio con la testa più leggera del
solito. Non salgo nemmeno a controllare come se la passa nella
mia camera.
Meglio abituarsi subito a questa nuova vita. Preparo una spremuta
di arance e dei panini, poi salgo di sopra. Lei non c’è.
Resto in piedi anche quella notte. Se qualcuno bussa alla mia
porta, mi aspetto che lo faccia alle tre di notte.
E’ una brutta serata, così decido di finire la
scorta di birre amare del mio amico. Niente visite.
La prossima volta sarà meglio chiamare la polizia.
paolo
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