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30
- Motel Celine
- Morta
Signore…Motel Celine…Camera trenta… Sì
Signore… Segni di soffocamento… Lividi sul collo,
mi hanno avvertito cinque minuti fa… Circa trent’anni
Signore… Devo passare a prenderla?… Va bene allora
ci vediamo sul posto…-
Si diresse verso l’ascensore mentre il quadro di Celiberti,
appeso alla parete, rifletteva le onde di malessere prodotte
dalla sua mente.
Cercò di contrastare il vago smarrimento che lo accompagnava
appoggiandosi al muro mentre il profilo della donna in nero
andava delineandosi in fondo al corridoio.
Vedendola avvicinarsi rapidamente si sentì costretto
ad afferrarla per il collo. La guardò negli occhi fino
a quando si rese conto d’averla portata allo spasmo, liberò
la presa lasciandola cadere violentemente a terra.
Rimase immobile, di fronte al corpo esanime, con le pupille
focalizzate all’infinito mentre l’avvertimento di
un gelido tremore lungo la schiena preannunciava l’imminente
svenimento.
Quando si risvegliò, i seni ancora caldi della donna
sotto la guancia gli fecero capire di essere caduto sul cadavere.
Con un riflesso di disgusto si scostò tentando di rimettersi
in piedi ma l’equilibrio si oppose al movimento, come
provato da una serata a base alcolica, lasciandolo privo di
riferimenti. Decise ugualmente di trascinarla nella stanza in
fondo al corridoio ma quando spalancò la porta ogni ricordo
dell’accaduto svanì.
Abbandonato il corpo vicino al letto matrimoniale si sedette
sulla sedia di legno accanto alla finestra chiedendosi chi fosse
quella donna e chi fosse egli stesso. Il vuoto nella mente si
amplificò, la luce si fece fastidiosa ed il rumore delle
auto prese i toni di una strana melodia. Vide un pacchetto di
sigarette sul tavolo, ne estrasse una e l’accese traendone
avidamente una lunga terapeutica boccata. Guardò attentamente
la donna, e l’assoluta incapacità di realizzare
il senso di tutto quello che stava avvenendo lo fece precipitare
nel vuoto. Con un gesto istintivo diede un pugno alla parete
dicendo -Cosa faccio adesso? Che cosa faccio?!-.
Le mani gli tremavano. Si sentiva come un fuggitivo sul ciglio
di un burrone. Tentò di bloccare una offuscata visione
di bambini, credendola frutto di una reminiscenza del passato,
poi prese le chiavi infilate nella serratura interna, uscì
dalla stanza e la chiuse a doppia mandata. Si diresse verso
le scale per timore di condividere l’ascensore con qualcuno,
oltrepassò la gran porta d’ingresso e scelse la
direzione meno affollata. Camminando si rese conto di poter
recuperare la propria identità solamente cercando delle
risposte nella stanza da cui era fuggito, allora seguì
a ritroso il percorso fino a quando fu nuovamente di fronte
alla porta numero trenta.
La aprì lentamente ed entrò. Vide la donna in
nero seduta alla scrivania. Le si avvicinò silenziosamente
alle spalle estraendo la siringa dalla tasca e con un gesto
preciso le bucò la carotide premendo lo stantuffo. L’urlo
assordante della donna si propagò nell’ambiente
come un onda esplosiva rendendolo vittima di una gelida vibrazione
che lo fece svenire bruscamente.
Aprì gli occhi credendo di essere in un sogno, per un
attimo la sua attenzione fu rapita dai raggi del sole che filtrando
dalla persiana formavano dei giochi di luce con la polvere sospesa
nell’aria, poi rivolgendo lo sguardo verso il lato opposto
della stanza vide la donna in nero che con inconsueta lentezza
si contorceva nel letto tenendosi le mani attorno al collo.
Richiuse gli occhi qualche secondo per capire l’effettiva
natura delle immagini e disse -Chi sei tu? Chi sei? Perché
stai male? Dimmelo?-. Riuscì ad ottenere in risposta
solamente dei gemiti di dolore prima che una gelida frustata
lo colpisse nuovamente alle spalle, rubandogli tutto.
Il telefono squillò. Estrasse la testa nascosta sotto
il cuscino. Rapidamente cercò la cornetta sul tappeto
e la accostò all’orecchio dicendo con voce baritonale
-Pronto! Chi è?-.
Gli rispose una voce maschile conosciuta -È l’investigatore
Folco Fendero?-.
-Sì! Chi parla?- rispose Folco.
La voce replicò -Sono Cortile! Investigatore, deve subito
venire alla centrale, c’è stato un omicidio. Una
donna Signore. Nella camera numero trenta del Motel Celine.
Venga subito, dobbiamo andare a fare il sopraluogo-.
-È
in macchina?- disse Folco.
-Sì Signore- rispose Cortile.
-Come è morta? C’è qualche indizio?- chiese
Folco.
-Segni di soffocamento Signore. Mi hanno riferito che ha dei
grossi lividi sul collo ed il segno di un’iniezione sulla
carotide- disse Cortile.
-Età presunta della vittima?-.
-Circa trent’anni. Devo passare a prenderla Signore?-.
-No!- rispose Folco infastidito.
-Va bene allora ci vediamo sul posto!- disse Cortile.
Folco appoggiò la cornetta sull’apparecchio e con
un gesto atletico scivolò fuori dal letto mettendosi
le ciabatte. Andò in bagno, si lavò la faccia
e guardandosi allo specchio cercò di ricordare il sogno
che la telefonata aveva bruscamente interrotto. Fu tutto inutile,
i meandri della sua mente lo avevano già completamente
riassorbito lasciandogli solamente una strana sensazione di
malessere, la stessa che provava alla vista dei cadaveri durante
i macabri sopraluoghi. Prima di uscire dalla porta guardò
sua moglie che si era già riaddormentata profondamente
poi andò nella stanza dei bambini per salutarli, ma sentendoli
russare decise di non svegliarli. Entrò sbadigliando
in cucina, aprì il frigorifero e prese una bottiglia
d’acqua, ne bevve un sorso e la riposò. Si diresse
in salotto seguendo gli abituali meccanismi di risveglio, ma
la sua attenzione fu rapita da un mazzo di chiavi che a prima
vista non riconobbe. Lo raccolse da terra ed avvicinandolo agli
occhi lesse sul portachiavi la scritta “30-Motel Celine”.
Un brivido
lungo la schiena riportò alla luce alcune immagini del
sogno dimenticato. Si guardò le mani e disse -Cosa sta
succedendo? Oh mio Dio non può essere!-.
Lasciò cadere le chiavi sul pavimento di marmo poi s’inginocchiò
preso da un’incontrollabile angoscia. La realtà
dei fatti lo colpì totalmente ed il pacchetto di sigarette
sul tavolo fu solo l’atroce conferma delle proprie paure.
Per quanto si sforzasse di non credere a quello che stava vedendo,
ogni barlume di ragione riportava alla luce una nuova sequenza
dell’atroce incubo, spegnendo con il peso dei sensi di
colpa ogni sua minima capacità di reazione.
Si sentì obbligato ad impugnare la pistola d’ordinanza.
Quello che aveva creduto essere solo un riflesso della mente
si rivelò come il possibile ricordo di avvenimenti reali
e il desiderio di riaddormentarsi senza il minimo sentore di
aver visto la fine sembrò essere l’unica soluzione
possibile.
Aprì gli occhi lentamente. I gemiti della donna lo costrinsero
a rialzarsi. Le prese una mano dicendo -Non preoccuparti sono
qui con te. Dimmi cosa è successo. Perché non
parli?-.
Lo spavento giunse all’improvviso, quando la vide cadere
scompostamente da letto, in preda alla follia. D’impulso
corse fuori dalla stanza senza voltarsi, fece qualche passo
verso l’ascensore e si appoggiò alla parete mentre
il profilo della donna in nero si delineava barcollante in fondo
al corridoio
colombo
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