Kurt Vonnegut

 

Mattatoio n.5
o la crociata dei bambini

1969 - Mondadori, pag.218


 

 

Belly Pelgrim è un vedovo di mezza età che durante la guerra Billy fu fatto prigioniero a Dresda dai tedeschi. Sua moglie muore asfissiata dai gas di scappamento dell'auto mentre guida per andarlo a trovare in ospedale dopo che lui si è miracolosamente salvato da un incidente aereo. Dopo questi incidenti Billy comincia a parlare di dischi volanti ed alieni provenienti dal pianeta Tralfamadore, dove è stato esposto nudo in una gabbia dello zoo dopo essere stato rapito. Il libro è un cotinuo avanti e indietro nel tempo in cui si intervallano i ricordi della seconda guerra mondiale, del bombardamento della ciità di Dresda, dei suoi giorni di infanzia e nel futuro, dopo la sua morte, e nello zoo sul pianeta Tralfamadore.

***

l'inizio...

È tutto accaduto, più o meno. I brani di guerra, in ogni caso, sono abbastanza veri. Un tale che conoscevo fu veramente ucciso, a Dresda, per aver preso una teiera che non era sua. Un altro che conoscevo minacciò veramente di fare ammazzare i suoi nemici personali, dopo la guerra, da dei killer. E così via. Ho cambiato tutti i nomi.
Io tornai veramente a Dresda con i soldi della Fondazione Guggenheim (Dio la benedica) nel 1967. Somigliava molto a Dayton, nell'Ohio, ma c'erano più spazi vuoti che a Dayton. Nel terreno dovevano esserci tonnellate d'ossa umane.
Ci tornai insieme a un vecchio compagno di guerra, Bernard V. O'Hare, e facemmo amicizia con un tassista che ci portò al mattatoio dove eravamo rinchiusi la notte come prigionieri di guerra. Si chiamava Gerhard Müller. Ci disse che era stato per un po' prigioniero degli americani. Gli domandammo che effetto faceva vivere sotto i comunisti, e lui disse che al principio era terribile, perché tutti dovevano lavorare molto duro, e perché non c'erano case e mancava da mangiare e da vestirsi. Ma adesso le cose andavano molto meglio. Lui aveva un bell'appartamentino, e la figlia frequentava una buona scuola. Sua madre era rimasta incenerita nell'incendio di Dresda. Così va la vita.
A Natale mandò a O'Hare una cartolina, ed ecco cosa diceva:
"Auguri a lei, alla sua famiglia e al suo amico buon Natale e felice anno nuovo e spero che ci incontreremo di nuovo in un mondo libero e in pace nel mio tassì, se il caso vorrà."
Mi piace molto quel "se il caso vorrà".
Non vi dirò quanto mi sia costato, in soldi, tempo e ansietà questo schifoso libretto. Ventitré anni fa, quando tornai a casa dalla seconda guerra mondiale, pensavo che mi sarebbe stato facile scrivere della distruzione di Dresda, dato che tutto quel che dovevo fare era riferire quel che avevo visto. E pensavo anche che sarebbe stato un capolavoro o che per lo meno mi avrebbe fatto guadagnare un sacco di quattrini, dato che il tema era così forte.
Ma allora non mi venivano molte parole da dire su Dresda, o almeno non abbastanza da cavarne un libro. E non me ne vengono molte neanche adesso, che son diventato un vecchio rudere con tutti i suoi ricordi sul gobbo e le sue Pall Mall e i figli ormai grandi.
Penso a quanto mi siano stati inutili i miei ricordi di Dresda, e a quanto sia stato comunque tentato di scriverne, e mi viene in mente il famoso "limerick":

C'era un giovin d'Istanbul,
che al suo attrezzo parlò:
« La borsa m'hai vuotato,
la salute hai rovinato,
e adesso, mio dannato,
non funzioni neanche un po'. »

E mi viene anche in mente quella canzone che fa:

Mi chiamo Yon Yonson,
e sto nel Wisconsin,
a sgobbare in segheria.
Quando cammino per la via
la gente mi chiede:
« Come ti chiami? ».
E allora rispondo:
Mi chiamo Yon Yonson,
e sto nel Wisconsín... »

E così via all'infinito.


 

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