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La voce narrante di questo nuovo libro di Kurt Vonnegut
possiede fin dall'inizio il carattere dell'enigmaticità.
Potrebbe trattarsi di un fantasma, o del frutto mostruoso di
un esperimento genetico... Ad ogni modo, e un'entità
che ci parla da un remoto futuro raccontandoci, fra passaggi
descrittivi e improvvise increspature grottesche, l'arcibizzarra
storia di una crociera alle Galapagos svoltasi nell'anno 1986,
quando ancora gli umani erano dotati di "grossi cervelli"
e potevano quindi "lasciarsi sedurre dai misteri".
Vonnegut si trasforma qui in un Conrad dallo sguardo obliquo
e ferocemente surreale, e ci fa assistere alla fine del mondo
(una delle molte possibili) nonché all'odissea dei sopravvissuti.
Questi, ovvero gli scalcagnati e al tempo stesso mondani partecipanti
al viaggio di piacere, sbarcheranno - dopo il disastro in cui
sono rimasti coinvolti - su una delle isolette agognate e si
adatteranno benissimo all'ambiente dando persino una svolta
ai meccanismi evolutivi... Insomma, satira ed "ecologia
della mente" s'intrecciano in queste pagine, scaturite
dall'estro di un autore che sempre più tende a sovvertire
le categorie dell'avventura e a farle collimare con l'agrodolce
delle sue fantasie apocalittiche.
***
l'inizio...
La
cosa era questa:
Un milione di anni fa, nel 1986 dopo Cristo, Guayaquil era il
principale porto marittimo del piccolo stato democratico sudamericano
denominato Ecuador, la cui capitale, Quito, si situava ad alta
quota tra le Ande. Guayaquil sorgeva due gradi a sud dell'equatore,
immaginaria cintura del pianeta donde il paese traeva il proprio
nome. Faceva sempre molto caldo, a Guayaquil: caldo e umido,
perché la città era ubicata nella zona delle calme
equatoriali, e per 1'esattezza in una pianura paludosa percorsa
dalle acque commiste di numerosi fiumi che defluivano dalle
montagne.
Il porto distava parecchi chilometri dal mare aperto. Non di
rado strati vegetali, simili a zattere, ostacolavano il lento
fluire delle acque, aderendo tenaci alle palificazioni e alle
catene delle ancore.
A
quel tempo gli esseri umani erano dotati di cervelli molto più
grossi di quelli attuali, e di conseguenza potevano lasciarsi
sedurre dai misteri. Uno di tali misteri era come un numero
tanto elevato di creature incapaci di percorrere grandi distanze
a nuoto fosse riuscito a raggiungere le isole Galapagos, un
arcipelago di picchi vulcanici a ovest di Guayaquil, che mille
chilometri di acque molto profonde e molto fredde provenienti
dall'Antartide separavano dalla terraferma. Quando l'umanità
scoperse le isole in questione, già vi risiedevano i
gechi e le iguane e i ratti del riso e le lucertole e i ragni
e le formiche e gli scarabei e le cavallette e gli acari e le
zecche, per tacere di enormi tartarughe terrestri.
Di quale mezzo di trasporto si erano serviti?
Molti soddisfacevano i loro grossi cervelli dandosi questa risposta:
erano arrivati a bordo di zattere naturali.
Altri
obiettavano che queste zattere s'impregnavano d'acqua e marcivano
con tale rapidità, che nessuno ne aveva mai viste in
alto mare, dove la costa era invisibile, e che d'altronde la
corrente che agiva tra le isole e il continente avrebbe sospinto
quelle rudimentali imbarcazioni non verso ovest, bensì
verso nord.
Asserivano pertanto che quella gente aveva percorso a piedi
asciutti un ponte naturale, e che aveva coperto a nuoto i brevi
intervalli che separavano le pietre di un guado, dopo di che
l’una o l’altra di queste formazioni era stata inghiottita
dalle onde. Ma nel 1986 gli scienziati, utilizzando all'uopo
i loro grossi cervelli e una vasta gamma di strumenti altamente
sofisticati, avevano tracciato una mappa completa dei fondali
oceanici, e non vi era traccia - dicevano costoro - di una massa
terrestre intermedia, di qualunque tipo.
Altre
persone, sempre in quell’era di grossi cervelli e fervido
pensiero, affermavano che in altri tempi le isole avevano fatto
parte della terraferma e che se n'erano staccate per effetto
di qualche portentoso cataclisma.
Ma nulla nelle isole lasciava credere che fossero state strappate
da qualcosa. Si trattava con ogni evidenza di vulcani di recente
data, vomitati alla superficie la dove esistevano. Molti erano
così neonati, che sembrava lecito aspettarsi di vederli
riattivarsi da un momento all'altro. Nel 1986, non avevano ancora
prodotto grandi quantitativi di corallo. Mancavano pertanto
le candide spiagge e le lagune azzurre, piacevolezze che molti
esseri umani usavano considerare le pregustazione di un ipotetico,
favoloso Aldilà.
Oggi, un milione d'anni dopo, le isole vantano realmente spiagge
candide e lagune azzurre. Ma all'epoca in cui ha inizio questa
storia erano ancora un orrido succedersi di groppe e cupole
e coni e cocuzzoli di lava, friabile e abrasiva, tutta fenditure
e conche e valli e cavità che non sovrastava sorgenti
d'acqua dolce o fertili distese di terriccio, ma depositi di
cenere vulcanica, finissima e asciutta.
Un'ulteriore
teoria di quei tempi remoti sosteneva che l'Onnipotente avesse
creato quegli esseri umani nel luogo stesso in cui gli esploratori
li avevano trovati, sicché era inutile formulare congetture
sul mezzo di trasporto.
Secondo
certuni gli abitanti erano invece stati scaricati a due a due
dalla passerella dell'arca di Noè.
Se davvero ci fosse stata un'arca di Noè - e può
darsi davvero che sia esistita - potrei intitolare il mio racconto
"Una seconda Arca di Noè".
***
frammenti
A
proposito di dentatura: non ci sono mai stati dentisti, né
a Santa Rosalia, né in seno alle altre colonie umane
delle Galapagos. Di conseguenza, come un milione di anni fa,
un tipico colono (maschio o femmina non ha alcuna importanza)
una volta raggiunta la trentina deve aspettarsi di trovarsi
sdentato, non senza prima aver patito una serie di mal di denti
così bestiale, da aver l'impressione che gli si spaccasse
il cranio. E si tratta, per vero dire, di qualcosa di molto
peggio di un'ingiuria estetica, posto che ai nostri giorni i
denti, inseriti nelle gengive, sono l'unica arma di cui disponga
il corpo umano.
Proprio così. Fatta eccezione per i denti, oggi gli uomini
e le donne non fruiscono di altri utensili accordati da madre
natura.
Sebbene
avessero entrambi doppiato largamente la trentina, al momento
del loro arrivo a Santa Rosalia il Comandante e Mary Hepburn
avevano i denti in ottime condizioni grazie a visite regolari
dal dentista che otturava le carie, espelleva il marciume, prosciugava
gli ascessi e così via. Ma quando morirono erano sdentati.
Selena MacIntosh era così giovane quando morì
in conseguenza di un patto suicida stipulato con Hisako Hiroguhi,
che aveva ancora parecchi dei suoi denti. Quanto a Hisako, a
quel tempo non gliene restava nemmeno uno.
E se dovessi criticare il corpo umano quale si strutturava un
milione d'anni fa, ossia il genere di corpo di cui disponevo
io, come si fosse trattato di macchinari che qualcuno si proponeva
di lanciare sul mercato, avrei due appunti principali da muovergli,
il primo dei quali e già emerso chiaramente in questa
storia: "Il cervello era troppo grosso per svolgere un
buon servizio". Formulerei l'altro, invece, in questi termini:
"I denti ci procurano sempre qualche guaio. In genere non
durano l'arco di una vita. Quale catena di eventi in evoluzione
dovremmo ringraziare, per ritrovarci la bocca piena di cocci
mezzi marci?"
Sarebbe piacevole poter affermare che la legge della selezione
naturale, elargitrice agli uomini di innumerevoli favori in
un lasso di tempo tanto breve, si era presa cura anche del problema
della dentatura. O meglio: in un certo senso non lo ha ignorato
affatto, ma la soluzione si è rivelata troppo draconiana.
Non è certo valsa a prolungare la durata dei denti. Semplicemente
ha ridotto a circa trent'anni la durata media della vita umana.
***
[...]
Quanto all'iguana imbalsamata che teneva sullo scrittoio, ne
aveva fatto una specie di mascotte della crociera. L'aveva fatta
dipingere sui due lati della prua della Bahia de Darwin, e figurare
su tutti i depliants pubblicitari, su tutti i comunicati stampa.
Nella realtà, l'animale in questione poteva superare
i1 metro di lunghezza, e avere un aspetto non meno terrificante
di quello di un drago cinese. Nondimeno, era innocuo per ogni
forma di vita (fatta eccezione per le alghe marine) ne più
ne meno come una salsiccia. Tale è la sua vita ai nostri
giorni, una vita che non è mutata rispetto a un milione
d'anni fa.
Non ha nemici di alcun genere. Di conseguenza se ne sta immobile
in un luogo qualunque, lo sguardo fisso su un punto imprecisato
che non è vicino ne lontano; e non vuole nulla, non si
preoccupa di nulla fino al momento in cui avverte lo stimolo
dell'appetito. Allora dondolandosi arranca fino all'oceano,
e si avventura nelle acque senza nemmeno dare prova di spiccate
virtù natatorie, spingendosi a qualche metro dalla riva.
A questo punto scompare sott'acqua come un sommergibile e si
rimpinza di alghe che, allo stato naturale, non sono digeribili.
Per renderle tali, è necessario cuocerle.
Pertanto l'iguana marina riemerge in superficie, ritorna a nuoto
a riva e si risiede sulla lava, in pieno sole. Usa se stessa
a guisa di casseruola munita di coperchio, arroventandosi sempre
di più mentre il sole va cuocendo le alghe. Continua
a tenere lo sguardo puntato a mezza distanza, senza osservare
niente di preciso, comportandosi esattamente come prima con
una sola differenza: ora di tanto in tanto sputa acqua salata,
e ogni volta è sempre più calda.
Durante il milione d'anni da me trascorsi su queste isole, la
legge della selezione naturale non ha saputo modificare in minima
misura - e in senso positivo o negativo - questo particolare
schema di sopravvivenza. [...]
***
Dopo
Roy e Mary Hepburn, i primi a iscriversi alla "Crociera-Natura
del Secolo" furono i MacIntosh e gli Hiroguchi. Era febbraio.
Gli Hiroguchi sarebbero stati formalmente ospiti di *MacIntosh
e avrebbero viaggiato sotto falso nome per evitare che i datori
di lavori di *Zenji Hiroguchi scoprissero le trattative in corso
tra *Andrew e il loro prezioso dipendente.
Per quanto ne sapevano King, *Siegfried von Kleist e ogni altra
persona variamente connessa alla crociera, gli Hiroguchi si
chiamavano invece Kinzaburo, e Zenji di professione era veterinario.
Ciò implicava il fatto che nella realtà meta degli
ospiti dell'El Dorado non corrispondesse ai suoi connotati apparenti.
A incrementare questi raggiri orditi dai grossi cervelli, la
tuta militare indossata da Mary portava ancora, ricamato sul
taschino corrispondente al seno sinistro, il cognome del suo
precedente titolare, ossia Kaplan. Quando poi finalmente lei
e James Wail s'incontrarono nel cocktail lounge, James si presentò
con il falso nome e Mary con quello vero, ma lui da quel momento
l'avrebbe chiamata sempre e soltanto "signora Kaplan",
non senza lodare il popolo ebraico, eccetera.
E più tardi il Comandante li avrebbe sposati sul ponte
della Bahia de Darwin, e lei non avrebbe dubitato di esser diventata
la legittima consorte di Willard Flemming, e lui sarebbe stato
tassativamente certo di essere diventato il legittimo consorte
di Mary Kaplan.
Oggi una baraonda del genere è semplicemente inconcepibile,
per l'ottima ragione che nessuno possiede più un nome,
o esercita una professione o ha alle spalle la storia di una
vita da raccontare al prossimo. Tutto ciò che costituisce
per il tale o il tal'altro un residuo di reputazione è
un odore che, dalla nascita alla morte, non può essere
modificato. Le persone sono quello che sono, detto questo è
detto tutto. Sotto questo aspetto, la legge della selezione
naturale ha voluto che gli esseri umani fossero affatto trasparenti.
Tutti, maschi e femmine, sono esattamente quel che sembrano.
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