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«Questo libro è
un regalo che mi faccio per il mio cinquantesimo compleanno.
Mi sento come se stessi superando il culmine d'un tetto...
dopo essermi arrampicato su una delle falde. A cinquant'anni
sono programmato a comportarmi in modo infantile: vilipendere
il "Vessillo a Stelle e Strisce", scarabocchiare
una bandiera nazista, un buco di culo e tante altre rose.
Per dare un'idea della maturità delle illustrazioni
da me eseguite per questo libro, ecco un mio disegno di
un buco di culo:
Credo che proverò a sgombrarmi il cervello
da tutte le cianfrusaglie che vi tengo: buchi di culo,
bandiere, mutande. Si, questo libro contiene anche il
disegno d'un paio di mutande. E mi libero pure dei personaggi
d'altri miei libri. E così questo libro è
un marciapiede cosparso di rifiuti e immondizie che mi
butto alle spalle man mano che vado indietro nel tempo»
.
Kurt Vonnegut
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***
- Ho
quasi settant'anni. Quando scrissi questo libro favoloso, vent'anni
fa, ero ancora scosso dall'impatto della televisione sul vecchio
mestiere di raccontare storie con carta e inchiostro. Mi sembrò
una buona idea, per salvare il salvabile, cioè per trattenere
quel pubblico che ancora restava a noi, poveri disgraziati dalle
mani macchiate d'inchiostro, quella di rendere i nostri scritti
più «visivi». Così creai quest'opera
che è una delizia sia per gli occhi che per l'intelletto.
C'è così, in questo libro, qualcosa anche per
gli analfabeti, che si dice siano negli Stati Uniti qualcosa
come quaranta milioni. Quand'essi guarderanno il mio disegno
d'un paio di mutande, ad esempio, non avranno problemi nel riconoscerle
come mutande e nel pensare tra sé e sé «mutande».
Febbraio 1992
1
- Questo
è il racconto dell'incontro di due uomini bianchi, solitari,
macilenti e abbastanza anziani, su un pianeta che andava rapidamente
morendo.
Uno dei due era uno scrittore di fantascienza di nome Kilgore
Trout. A quel tempo non era nessuno e immaginava che la propria
vita fosse finita. Si sbagliava: in seguito a quell'incontro,
divenne uno degli esseri umani più amati e rispettati
della storia.
Colui col quale s'incontrò era un rivenditore d'auto,
un concessionario della Pontiac di nome Dwayne Hoover. Dwayne
Hoover era sul punto d'impazzire.
- State
a sentire:
Trout e Hoover erano cittadini degli Stati Uniti d'America,
Paese per brevità chiamato direttamente America. Questo
che segue era il suo inno nazionale, un'autentica cretinata,
come tante altre cose che quel Paese era portato a prendere
sul serio:
Oh, dimmi, distingui alla prima luce dell'alba
quella che salutammo con tanta fierezza all'ultimo
bagliore
del crepuscolo?
Le cui larghe strisce e lucenti stelle,
per tutto il periglioso scontro
di sugli spalti vedemmo fileggiare
eroicamente?
E la rossa vampa dei razzi, le bombe
deflagranti nell'aria,
per tutta la notte prova ci diedero
che la nostra bandiera era ancora lì.
Oh, dimmi, ondeggia ancora quel vessillo
a stelle e strisce
sulla terra del libero e sulla patria
del prode?
- C'erano un milione
di miliardi di nazioni nell'Universo, ma la nazione alla quale
appartenevano Dwayne Hoover e Kilgore Trout era l'unica ad avere,
chissà perché, un inno nazionale costellato di
punti interrogativi.
Ecco come si presentava la bandiera di quella nazione:
A proposito di questa bandiera, quella nazione aveva una legge
che nessun'altra nazione aveva a proposito della propria. E
quella legge diceva: “La bandiera non deve essere abbassata
davanti a nessuna persona o cosa”.
Abbassare la bandiera era una forma di saluto amichevole e rispettoso
che consisteva nel portare la bandiera con tutta l'asta quasi
fino a terra, per poi sollevarla di nuovo.
- Il
motto della nazione di Dwayne Hoover e Kilgore Trout, che -
in una lingua che nessuno più parlava - significava Dalla
molteplicità l'unità, era il seguente: E pluribus
unum.
L'inabbassabile bandiera era una bellezza e l'inno e il motto
insignificante magari non avrebbero avuto molta importanza,
non fosse stato che per questo: un bel po' di cittadini erano
a tal punto ignorati, ingannati e insultati, da ritenere di
aver forse sbagliato Paese, o addirittura pianeta, e da pensare
che chissà quale orrendo errore fosse stato commesso.
Se quel loro inno e quel loro motto avessero menzionato l'equità
o la fratellanza, la speranza o la felicità, se in qualche
modo le avessero auspicate per quella società e per i
suoi beni reali, essi ne avrebbero tratto un po' di conforto.
Se poi studiavano le loro banconote in cerca di qualche indicazione
sulla natura del loro Paese, trovavano, tra tante altre fessate
barocche, la riproduzione di una piramide tronca con sopra un
occhio raggiante, così:
Neppure il presidente degli Stati Uniti sapeva
cosa significasse esattamente. Era come se il Paese dicesse
ai propri cittadini: «Nell'insensatezza è la
forza».
- E
un bel po' di sciocchezze furono l'innocuo risultato della giocherelloneria
dei padri fondatori della patria di Dwayne Hoover e Kilgore
Trout. Quei fondatori erano degli aristocratici desiderosi di
far sfoggio della loro inutile istruzione, che consisteva nello
studio degli abracadabra dei tempi antichi. Ed erano anche poeti
da strapazzo.
Ma parte di quell'insensatezza era dannosa, perché celava
grossi crimini. Per esempio, gli insegnanti dei bambini degli
Stati Uniti d'America scrivevano e riscrivevano sulle lavagne
questa data e imponevano ai bambini d'impararla, con fierezza
e allegria, a memoria:
1492
Gli insegnanti dicevano ai bambini ch'era
stato allora che il loro continente era stato scoperto dagli
esseri umani. In realtà, nel 1492 milioni di esseri umani
già vivevano vite complete e creative su quel continente.
Quello fu solo l'anno in cui i pirati venuti dal mare cominciarono
a ingannarli, derubarli e ucciderli.
Ecco un altro esempio di dannosa sciocchezza insegnata ai bambini:
e cioè che alla fine i pirati venuti dal mare crearono
un governo che divenne un faro di libertà per tutti gli
altri esseri umani nel resto del pianeta. E i bambini potevano
ammirare quadri e statue di questo immaginario faro di liberta.
Era una specie di cono gelato in fiamme. Più o meno così:
In realtà, i pirati venuti dal mare
maggiormente implicati nella formazione del nuovo governo erano
padroni di schiavi umani. Usavano gli esseri umani come macchine
e, anche quando la schiavitù venne abolita, perché
molto imbarazzante, loro e i loro discendenti continuarono a
considerare macchine gli esseri umani.
- I
pirati venuti dal mare erano bianchi. La gente che già
si trovava sul continente quando i pirati arrivarono era color
rame. E quando la schiavitù venne introdotta nel continente,
gli schiavi furono neri.
Il colore era tutto.
- Ecco
come i pirati potevano sottrarre agli altri tutto ciò
che volevano: avevano le imbarcazioni migliori del mondo, erano
più cattivi e avevano la polvere da sparo, che era un
miscuglio di nitrato di potassio, polvere di carbone e zolfo.
Avvicinavano a questa polvere apparentemente innocua il fuoco
e quella si trasformava violentemente in gas. Questo gas faceva
schizzare via, a velocità straordinaria, dei proiettili
da certi tubi di metallo. I proiettili penetravano con grande
facilità la carne e le ossa, e così i pirati potevano
danneggiare e distruggere l'impianto di fili e tubi e i mantici
di un essere umano, anche quando era lontano, lontanissimo.
L'arma principale dei pirati del mare, tuttavia, fu la loro
capacità di cogliere di sorpresa. Nessuno infatti riuscì
ad immaginare, se non troppo tardi, quanto spietati e avidi
fossero.
- Quando
Dwayne Hoover e Kilgore Trout s'incontrarono e si conobbero,
il loro Paese era di gran lunga il più ricco e potente
del pianeta. Aveva la maggior quantità di cibo, minerali
e macchinari e controllava gli altri Paesi minacciando di sparargli
contro grossi razzi e di buttargli sopra cose dagli aeroplani.
Gli altri Paesi, in gran parte, non avevano quattrini. Molti
di essi erano ormai addirittura inabitabili: avevano troppi
abitanti e spazio insufficiente. Avevano venduto tutto quello
che valeva qualcosa e ormai non avevano più niente da
mangiare: e tuttavia la gente continuava a scopare.
Scopare era la maniera in cui si facevano i bambini.
- Una
quantità di gente di questo disastrato pianeta era comunista.
Aveva cioè una teoria secondo la quale quel poco ch'era
rimasto sul pianeta doveva essere diviso in parti più
o meno uguali fra tutti gli abitanti, i quali, tanto per cominciare,
non avevano chiesto affatto di nascere su un pianeta disastrato.
Intanto continuavano ad arrivare sempre più bambini,
che scalciavano e piangevano e strillavano per avere il latte.
In certi posti la gente cercava addirittura di mangiarsi il
fango o succhiarsi le pietruzze, mentre a pochi passi di distanza
continuavano a nascere bambini.
E così via.
- Il
Paese di Dwayne Hoover e Kilgore Trout, che aveva ancora tutto
in abbondanza, s'opponeva al comunismo. Non riteneva che i terrestri
che avevano a sufficienza dovessero dividerlo con gli altri,
a meno che proprio non lo volessero - e la gran parte di loro
non lo voleva affatto.
Perciò non v’erano tenuti.
- In
America, ci si aspettava che ognuno arraffasse tutto quello
che poteva e se lo tenesse. C'erano americani bravissimi ad
arraffare e a tenere, ed erano favolosamente ricchi. Altri invece
non riuscivano mai a mettere le mani sui quattrini.
Dwayne Hoover era favolosamente ricco quando conobbe Kilgore
Trout. Una mattina, mentre Dwayne passava, un tale bisbiglio
a un amico queste esatte parole:
« Favolosamente ricco ».
Ed ecco che cosa di questo pianeta possedeva a quel tempo Kilgore
Trout: spiccioli.
E Kilgore Trout e Dwayne Hoover s'incontrarono a Midland City,
che era la città natale di Dwayne, durante il Festival
delle Arti che vi si tenne nell'autunno del 1972.
Come s'è già detto, Dwayne era un concessionario
della Pontiac che stava impazzendo.
L'incipiente follia di Dwayne era soprattutto una questione
di sostanze chimiche. Va da sé. Il corpo di Dwayne Hoover
produceva certe sostanze chimiche che gli squilibravano il cervello.
Ma, come tutti i neopazzi, Dwayne aveva anche bisogno di qualche
pessima idea per dare in tal modo forma e direzione alla sua
pazzia.
Le cattive sostanze chimiche e le cattive idee erano lo yin
e lo yang della pazzia. Lo yin e lo yang erano i simboli cinesi
dell'armonia. Si presentavano così:
Le cattive idee vennero ispirate a Dwayne da
Kilgore Trout. Il quale si considerava non solo innocuo ma anche
invisibile. Il mondo gli prestato tanto poca attenzione che
lui si credeva morto. Sperava di essere morto.
***
- Se voglio,
io posso avere fascino da vendere.
- Un sacco di gente ha
fascino da vendere.
- Il
principale e i colleghi di Trout ignoravano completamente che
fosse uno scrittore. Anzi, se è per questo, nessun editore
degno di questo nome aveva mai sentito parlare di lui, benché
avesse già scritto centodiciassette romanzi e duemila
racconti all'epoca in cui incontrò Dwayne.
Non faceva mai copia di quello che scriveva. Spediva i dattiloscritti
senza neppure includervi, per la loro sicura restituzione, buste
già affrancate e indirizzate al mittente. A volte non
aggiungeva neppure il proprio indirizzo. Prendeva i nomi e gli
indirizzi degli editori da riviste dedicate all'editoria, che
lui leggeva avidamente nelle sale dei periodici delle biblioteche
pubbliche. Fu così che si mise in contatto con una casa
editrice di Los Angeles, in California, che si chiamava Classici
di Tutto il Mondo, pubblicava pornografia bell'e buona e adoperava
i suoi racconti per dar corpo a libri e riviste di foto piccanti.
Non veniva mai informato di quando e dove sarebbe stato pubblicato.
Ed ecco cosa riceveva in compenso: quattrini.
- Non
riceveva neppure copie omaggio dei libri e riviste nei quali
veniva pubblicato, cosicché doveva andare a cercarseli
nelle librerie specializzate in pornografia. E spesso gli cambiavano
i titoli. L'uomo di paglia pangalattico, per esempio, divenne
Lingua matta.
Ma quel che soprattutto sconvolgeva Trout erano le illustrazioni
che l'editore sceglieva per i suoi racconti e che non avevano
niente a che vedere con questi. Aveva scritto, per esempio,
un romanzo su un terrestre, un certo Delmore Skag, uno scapolo
che viveva in un quartiere dove tutti avevano una famiglia numerosa.
Bene, questo Skag era uno scienziato e aveva scoperto la maniera
per riprodursi col brodo di pollo. Si grattava cellule vive
dal palmo della mano destra, le mescolava al
brodo ed esponeva il tutto a raggi cosmici. Le cellule si trasformavano
in bambinetti somiglianti come gocce d'acqua a Delmore Skag.
Delmore si trovò ad avere parecchi bambini al giorno
e prese a invitare i vicini a condividere la sua orgogliosa
felicità. Arrivava a far battezzare contemporaneamente
sino a cento neonati per volta. Divenne un padre di famiglia
famoso.
E così via.
- Skag
sperava in tal modo di costringere il Paese a emanare leggi
contro le famiglie eccessivamente numerose, ma la legislatura
e la magistratura si rifiutavano di affrontare direttamente
il problema. Emanarono e applicarono, invece, ferree leggi contro
il possesso, da parte di gente non sposata, del brodo di pollo.
E così via.
Bene, le illustrazioni di quel libro erano scadenti fotografie
di diverse donne bianche che spompinavano, tutte, lo stesso
negro. Il quale, per non si sa quale motivo, portava un sombrero
messicano.
All'epoca in cui Trout incontrò Dwayne Hoover il suo
libro più diffuso era Peste a rotelle. L'editore non
aveva cambiato il titolo, ma lo aveva coperto in buona parte,
insieme col nome di Trout al completo, con una fascetta volgare
che faceva la seguente promessa:
La topa spalancata era la foto d'una donna
senza mutande e con le gambe divaricate in modo da mostrare
le labbra della vagina. L'espressione era stata usata la prima
volta dai fotografi d'agenzia, che spesso si trovavano a guardare
sotto le gonne delle donne negli incidenti e negli avvenimenti
sportivi o da sotto qualche scala di sicurezza e così
via. Avevano bisogno d'una parola in codice da gridare agli
altri cronisti, ai poliziotti, ai pompieri amici e così
via, per avvertirli che la cosa si poteva vedere, nel caso volessero
vederla. E la parola era: “ Topa!”.
La topa, in realtà, era la femmina del topo, un roditore
che si presentava così:
La topa che eccitava tanto i fotografi, si presentava
invece così:
Era da lì che uscivano i bambini.
***
Quando, nel 1979, Kilgore Trout accettò
il Premio Nobel per la medicina ebbe a dichiarare: - C'è
gente che dice che il progresso non esiste affatto. La circostanza
che ormai gli esseri umani siano gli unici animali rimasti sulla
Terra ha tutta l'aria, confesso, d'essere una vittoria un tantino
sconcertante. Quelli tra voi ai quali la natura delle mie prime
opere pubblicate è nota capiranno perché piansi
sinceramente quando l'ultimo topo morìi.
- Quando ero ragazzo, tuttavia, due mostri spartivano questo
pianeta con noi e io oggi inneggio alla loro scomparsa. Loro
decisa intenzione era di ucciderci o almeno svuotare d'ogni
significato le nostre vite. Mancò poco che non ci riuscissero.
Erano avversari crudeli, ciò che non erano invece i miei
piccoli amici, i topi. Leoni, forse? No. Tigri? No. Leoni e
tigri sonnecchiavano quasi sempre. I mostri di cui parlo io
non sonnecchiavano mai. Abitavano nelle nostre teste. Erano
le frenetiche voglie dell'oro e, che dio ci aiuti, d'una sbirciatina
alle mutande d'una ragazzina.
- Ringrazio il cielo che quelle voglie fossero così ridicole,
perché ci hanno in tal modo insegnato che per un essere
umano è possibile credere a qualunque cosa e ad agire
con passione per tener fede a quella credenza: qualunque sia.
- Così, ora possiamo costruire una società altruista
dedicando all'altruismo quella frenesia che un tempo dedicavamo
all'oro e alle mutande -.
Fece un'altra pausa, dopodiché attaccò a recitare
con finta mestizia l'inizio d'una poesiola che aveva imparato
a recitare a squarciagola alle Bermude, quand'era ragazzino.
E tanto più ironica era la poesiola in quanto vi si menzionavano
due nazioni che non esistevano più come tali. “Vedo
la Francia” recitò, “vedo la Cina...”.
***
- Ecco
la scena svoltasi tra Dwayne e Harry che aveva tanto sconvolto
quest'ultimo:
Harry entrò nell'ufficio di Dwayne appena Vernon ne fu
uscito. Non s'aspettava grane perché non aveva mai avuto
grane serie con Dwayne.
- Come sta oggi il mio vecchio commilitone?- chiese a Dwayne.
- Bene come al solito - rispose questi. - Qualcosa di particolare
che ti preoccupa?-.
- Niente - disse Harry.
- La moglie di Vern è convinta che il marito voglia trasformarle
il cervello in plutonio - disse Dwayne.
- Cos'è il plutonio? - chiese Harry, e così via.
Chiacchierarono del più e del meno e Harry si fece un
dovere di tenere viva la conversazione. Disse che a volte il
fatto di non avere figli gli metteva tristezza. - Ma in un certo
senso sono anche contento - proseguì. - Del resto, perché
dovrei contribuire anch'io al sovraffollamento?-.
Dwayne non disse niente.
- Forse avremmo dovuto adottarne uno - continuò Harry,
- ma ormai è troppo tardi. Quanto alla mia signora e
a me... be', ce la spassiamo anche da soli. A cosa ci servirebbe
un bambino?-.
Fu dopo quell'accenno all'adozione che Dwayne sbottò.
Lui infatti era stato adottato: da una coppia che s'era trasferita
a Midland City dal West Virginia durante la prima guerra mondiale
per far soldi lavorando nell'industria bellica. La vera madre
di Dwayne era un'insegnante zitella che scriveva versi sentimentali
e sosteneva di discendere da Riccardo Cuor di Leone, che era
stato un re. Il suo vero padre era un compositore tipografo
ambulante che sedusse la madre componendole le poesie. Non fu
nemmeno necessario che lui si desse da fare per rifilarle a
qualche giornale: a lei bastava che fossero composte.
La madre era una macchina gestatrice difettosa. Si ruppe automaticamente
nel dare alla luce Dwayne. Il tipografo scomparve. Era una macchina
disapparitrice.
- Può
darsi che l'argomento adozione provocasse una infelice reazione
chimica in testa a Dwayne. Sta di fatto che, improvvisamente,
sbottò contro Harry:
- Harry, perché non ti fai dare da Vern Garr un po' di
stracci, li inzuppi di Blue Sunoco e fai un bel falò
del tuo stronzo guardaroba? Mi dai l'impressione di trovarmi
alla Watson Brothers -. Watson Brothers era il nome di un'agenzia
di pompe funebri per bianchi per lo meno moderatamente ricchi.
Blue Sunoco era una marca di benzina.
Harry rimase sorpreso, dopodiché sopravvenne il dolore.
In tanti anni da che lo conosceva, Dwayne non aveva mai detto
niente del suo abbigliamento. Era un abbigliamento, agli occhi
di Harry, serio e ammodo. Portava camicie bianche, cravatte
nere o blu marina, abiti grigi o blu scuro, scarpe e calzini
neri.
- Sta' a sentire, Harry - disse Dwayne, in tono odioso, la Settimana
Hawaiana è prossima e te lo dico molto seriamente: brucia
tutti i tuoi vestiti e compratene di nuovi o fa domanda d'assunzione
alla Watson Brothers. E visto che ci sei, fatti anche imbalsamare
-.
***
- Quanto
al racconto s'intitolava L'idiota ballerino. Come tanti altri
racconti di Trout, trattava d'un tragico fallimento in fatto
di comunicazione.
Ecco la trama: una creatura di nome Zog arriva sulla Terra su
un disco volante per spiegare come evitare le guerre e curare
il cancro. Porta queste sue informazioni da Margo, un pianeta
i cui abitanti conversano tra Toro emettendo scoregge e ballando
il tip-tap.
Zog sbarca di notte nel Connecticut. Ha appena messo piede a
terra che vede una casa in fiamme. Vi si precipita dentro, scoreggiando
e ballando il tip-tap, per avvertire gli abitanti del terribile
pericolo che corrono. Il padrone di casa gli spacca il cranio
con una mazza da golf.
- Il
cinema nel quale Trout se ne stava seduto con tutti i suoi pacchi
in grembo proiettava solo film osceni. La colonna sonora era
piacevole. Sullo schermo le ombre di un uomo e di una donna
giovani si leccavano con grazia i rispettivi morbidi orifizi.
Lì seduto, Trout ideò la trama d'un nuovo romanzo.
Trattava di un astronauta terrestre che arriva su un pianeta
nel quale ogni forma di vita animale e vegetale è stata
eliminata dall'inquinamento, tranne quella degli umanoidi. Gli
umanoidi si cibano di prodotti derivati dal petrolio e dal carbone.
Viene data una festa in onore dell'astronauta, che si chiama
Don. Il cibo è schifoso. L'argomento principale della
conversazione è la censura. Le città sono infestate
da cinema che proiettano unicamente film osceni. Gli umanoidi
vorrebbero farli chiudere, ma non sanno come farlo senza violare
la libertà di parola.
Chiedono a Don se anche sulla Terra i film osceni sono un problema
e Don dice: - Si -. Gli chiedono se i film sono veramente osceni
e Don risponde: - I più osceni che si possano fare -
.
Il che suona come una sfida per gli umanoidi, i quali sono convinti
che i loro film osceni battano tutti quelli della Terra. E così
salgono tutti a bordo di hovercraft e filano a un cinema del
centro.
V'arrivano durante l'intervallo e così Don ha il tempo
di chiedersi che cosa mai può essere più osceno
di quanto ha visto sulla Terra. Ma ancor prima che le luci si
spengano è già tutto eccitato sessualmente. Le
donne della compagnia che è con lui si agitano e dimenano
tutte.
Poi la sala piomba nel buffo e il sipario s'apre. Sulle prime
non si vede niente. Dagli altoparlanti escono gemiti e grugniti.
Poi compare un'inquadratura. Si tratta d'un film di alta qualità
su un umanoide maschio che mangia quel che sembra una pera.
C'è un primo piano delle labbra, lingua e denti dell'umanoide,
lucidi di saliva. L'umanoide mangia la pera con calma. Quando
l'ultimo pezzetto è scomparso nella bocca grugnente l'obiettivo
si fissa sul pomo d'Adamo. Il pomo d'Adamo s'agita oscenamente.
Poi l'umanoide rutta soddisfatto e sullo schermo compare, nella
lingua del pianeta, questa parola:
FINE
- Naturalmente
è tutto un trucco: le pere non esistono più. E,
del resto, quella scorpacciata di pera non è l'avvenimento
principale della serata, è un cortometraggio per mettere
a suo agio il pubblico. Poi comincia il film vero e proprio.
E’ su un maschio, una femmina, i loro due figli, più
il gatto e il cane. Mangiano continuamente per un'ora e mezzo:
minestra, carne, fette tostate, burro, verdure, purè
di patate al sugo, frutta, dolci e torta. Poche volte l'obiettivo
si allontana di più d'un due palmi da quelle labbra lucide
e da quei pomi d'Adamo sobbalzanti. Poi il padre mette il cane
e il gatto sul tavolo perché anche loro partecipino all'orgia.
Dopo un po' gli attori non ce la fanno più a mangiare.
Sono così sazi che hanno gli occhi di fuori, quasi non
riescono a muoversi. Dicono che non potranno mangiare altro
per almeno una settimana e così via. Sgombrano la tavola
lentamente. Si trascinano in cucina e buttano nella spazzatura
qualcosa come un dieci chili di avanzi.
Il pubblico a questo punto impazzisce.
Quando Don e i suoi amici escono dal cinema, vengono avvicinati
da prostitute umanoidi che offrono loro uova, arance, latte,
burro di arachide e così via. In realtà le prostitute
non sono in grado di offrire queste leccornie, naturalmente.
Gli umanoidi spiegano a Don che se si portasse a casa una prostituta,
questa gli cucinerebbe un pasto a base di petrolio e carbone
a prezzi pazzeschi. E poi, mentre lui mangia, gli direbbe paroline
sconce su quel cibo fresco e succulento, che in realtà
è cibo sintetico.
***
Trout uscì e si ritrovò sul marciapiede
della Quarantaduesima Strada. Era un posto pericoloso quello.
Tutta la città era pericolosa: a causa delle sostanze
chimiche, della non equa distribuzione della ricchezza e così
via. Una quantità di gente era come Dwayne: nei loro
corpi fabbricavano sostanze chimiche dannose per la testa. Ma
c'erano migliaia e migliaia di altre persone, li in città,
che compravano sostanze chimiche cattive e le inghiottivano
o le aspiravano col naso... o se le iniettavano nelle vene con
aggeggi che si presentavano così:
A volte se le cacciavano addirittura nel buco
del culo quelle sostanze chimiche cattive. il loro buco di culo
si presentava così:
- La
gente era disposta a correre rischi davvero orrendi con le sostanze
chimiche perché desiderava migliorare la qualità
della propria vita. Viveva in brutti posti dove si potevano
fare solo brutte cose. Non possedendo denaro non poteva migliorare
l'ambiente che la circondava, e così faceva di tutto
per abbellire il proprio interno.
Fino allora i risultati erano stati catastrofici: suicidi, furti,
assassinii, follia, e così via. Ma sul mercato venivano
lanciate continuamente nuove sostanze chimiche. A una decina
di passi da Trout, lì nella Quarantaduesima Strada, sull'ingresso
di una libreria pornografica un quattordicenne bianco era steso
a terra privo di conoscenza. Si era bevuto un quarto di litro
d'un nuovo tipo di solvente per vernici ch'era stato messo in
vendita appena il giorno prima. S'era anche inghiottito due
pillole che servivano a prevenire l'aborto infettivo dei bovini,
detto anche Mal della monta.
- Trout
rimase pietrificato lì sulla Quarantaduesima Strada.
Gli avevo dato una vita che non valeva la pena di vivere, ma
gli avevo anche dato una ferrea volontà di vivere. Era
questa una combinazione abbastanza diffusa sul pianeta Terra.
II gestore del cinema venne fuori e si chiuse la porta d'ingresso
alle spalle.
E due giovani prostitute nere saltarono fuori dal nulla. Chiesero
a Trout e al gestore se gli andava di sfiziarsi un po'. Erano
su di giri e spavalde grazie ad un rimedio norvegese contro
le emorroidi di cui appena mezz'ora prima s'erano ingerite un
intero tubetto. Il fabbricante del rimedio non aveva mai pensato
di farlo ingerire: la gente doveva cacciarselo su per il culo.
Erano ragazze di campagna. Erano cresciute nel mezzogiorno rurale
del Paese dove i loro antenati erano stati usati come macchinario
agricolo. Gli agricoltori bianchi di laggiù ormai non
adoperavano più macchine fatte di carne perché
quelle fatte di metallo costavano meno, erano più efficienti
e richiedevano meno manutenzione.
Così le macchine nere avevano dovuto andarsene per non
morire di fame. S'erano trasferite nelle grandi città
perché altrove, dappertutto, sugli steccati e sugli alberi,
c'erano cartelli come questo:
***
- L'autista,
che era bianco, disse a Trout di starsene steso sul pavimento
della cabina di guida finché non fossero giunti in aperta
campagna, perché era contro la legge prendere a bordo
autostoppisti.
Era ancora buio quando poi disse a Trout che poteva alzarsi
e sedersi. Stavano attraversando le paludi e i prati avvelenati
del New Jersey. Il TIR era una motrice diesel Astro-95 della
General Motors che si tirava dietro un rimorchio lungo tredici
metri. Era tanto enorme che Trout aveva l'impressione che la
propria testa fosse grande all'incirca quanto una capocchia
di spillo.
L'autista disse che molto tempo prima lui andava a caccia e
a pesca. Gli si spezzava il cuore quando pensava a come erano
le paludi e i prati appena un centinaio d'anni prima. - E quando
pensi a tutta la merda che queste fabbriche producono: polveri
detersive, cibi per gatti, bibite gassate...-.
- Aveva
ragione. Stavano distruggendo il pianeta con i processi di fabbricazione
e quello che fabbricavano era una gran schifezza.
Poi anche Trout disse la sua cosa giusta: - Bene - disse, -
una volta io ero un protezionista. Piangevo e mi lamentavo per
le aquile calve che la gente ammazzava con i fucili automatici
dagli elicotteri e tutte quelle cose lì, ma alla fine
mi sono arreso. A Cleveland c'è un fiume così
inquinato che una volta l'anno prende fuoco. Prima la cosa mi
disgustava, adesso invece ci rido. Quando per un incidente una
petroliera perde il suo carico nell'oceano, uccidendo milioni
di uccelli e miliardi di pesci, io dico: “Lunga vita alla
Standard Oil, o chiunque sia a perdere quel carico”. Poi
alzo le braccia a mo' d'invocazione: “Con la benzina Esso
ci vai anche al cesso” aggiunse.
L'autista ne rimase sconvolto. - Stai scherzando - disse.
- Mi sono reso conto - riprese Trout, - che Dio non è
protezionista, così chiunque lo è commette sacrilegio
e perde tempo. Hai mai visto uno di quei Suoi vulcani o uragani
o trombe marine? Hai mai sentito parlare delle ere glaciali
che Lui organizza ogni mezzo milione di anni? E che ne dici
del cancro del castagno? Eccoti un bel provvedimento protezionistico.
Di Dio, non dell'uomo. Magari, proprio quando avremo ripulito
i nostri fiumi, Lui farà invece prender fuoco a tutta
la galassia come un colletto di celluloide. La stella di Betlemme
era questo, sai?-
- Che cosa era la stella di Betlemme?- fece l'autista.
- Un'intera galassia che bruciava come un colletto di celluloide
- rispose Trout.
- L'autista
rimase impressionato. - Ora che ci penso - disse, - non credo
che nella Bibbia si parli di protezione della natura -.
- A meno che tu non voglia considerare la storia del Diluvio
- rispose Trout.
- Viaggiarono
in silenzio per un po', infine l'autista disse un'altra cosa
giusta. Disse che sapeva che il suo TIR stava trasformando l'atmosfera
in gas velenoso e che il pianeta stava trasformandosi in strada
asfaltata, in modo da permettere ai TIR di andare dappertutto.
- Così mi sto suicidando - disse.
- Non dartene pensiero - osservò Trout.
- Mio fratello fa anche di peggio - prosegui l'autista. - Lavora
in una fabbrica che produce sostanze chimiche per uccidere piante
e alberi nel Vietnam - . II Vietnam era un Paese nel quale l'America
stava cercando di far smettere alla gente di essere comunista
buttandole sopra certe cose dagli aeroplani. Le sostanze chimiche
di cui parlava l'autista avevano lo scopo di uccidere il fogliame
in modo che per i comunisti sarebbe stato più difficile
nascondersi agli aeroplani.
- Non dartene pensiero - ripeté Trout. A lungo andare,
anche lui si suicida - disse l'autista. - Pare che l'unico lavoro
che un americano riesca a trovare di questi tempi sia quello
di suicidarsi in qualche modo -.
- Dici bene - fece Trout.
- Non
capisco se dici sul serio o no - fece l'autista.
- Neppure io lo saprò finché non avrò scoperto
se la vita è una cosa seria o no - rispose Trout. –
E’ pericolosa, lo so, e può fare molto male, ma
questo non significa necessariamente che sia anche seria -.
- Dopo
che Trout divenne famoso, naturalmente uno dei maggiori interrogativi
era appunto se lui scherzava o no. Ad uno che si ostinava a
chiederglielo, una volta lui disse che sempre, quando scherzava,
incrociava le dita dietro la schiena.
- E la prego di tenere presente - prosegui, - che quando le
ho fornito questa preziosissima informazione le mie dita erano
incrociate -.
E così via.
Era un rompiballe sotto diversi aspetti. L'autista dopo un paio
d'ore ne ebbe le scatole piene. Trout, dal canto suo, s'avvalse
del silenzio per inventare rapidamente un racconto antiprotezionista
che intitolò Gilgongo!
Gilgongo! trattava di un pianeta che era sgradevole perché
vi avveniva troppa procreazione.
Cominciava con una gran festa in onore di un uomo che aveva
spazzato via l'intera specie di certi deliziosi piccoli panda.
Aveva dedicato la vita a questo scopo. Per la festa erano stati
fabbricati dei piatti speciali perché gli ospiti li portassero
poi a casa come ricordo. Ognuno recava la riproduzione di un
orsacchiotto, con la data della festa. Sotto la riproduzione
c'era questa parola:
GILGONGO!
Nella lingua di quel pianeta significava «Estinto!».
- La
gente era contenta che quegli orsacchiotti fossero gilgongo,
perché ce n'erano già troppe di specie sul pianeta
e altre ancora ne venivano fuori ogni ora. Nessuno poteva in
nessun modo essere preparato alla strabiliante varietà
di creature e piante nelle quali poteva imbattersi.
***
- A
questo punto Wayne Hoobler sorrise, non perché fosse
felice ma perché, con tanto poco da fare, pensò
che tanto valeva sfoggiare i propri denti. Erano ottimi denti.
L'Istituto Correzionale per Adulti di Shepherdstown andava fiero
della sua assistenza odontoiatrica.
E infatti era un'assistenza talmente famosa che se n'era scritto
nelle riviste mediche e nel “Reader's Digest”, ch'era
la rivista più famosa del pianeta morente. L'assistenza
era ispirata alla teoria secondo la quale molti ex detenuti
avrebbero avuto minori difficoltà a trovare un lavoro
se curavano il loro aspetto, e una bella faccia comincia da
bei denti.
L'assistenza era così famosa che persino negli Stati
vicini la polizia quando arrestava un poveretto con denti costosamente
curati, belle otturazioni, belle protesi e così via,
subito gli chiedeva: - E va bene, amico, quanti anni hai passato
a Shepherdstown?- .
- Wayne
Hoobler udì alcune delle ordinazioni che la cameriera
passava al barista nel bar della Holiday Inn. La sentì
ordinare:
- Un cocktail di Gilbey's e chinino -. Non aveva idea di cosa
fosse, e neppure di cosa fossero un Manhattan o un Alexander
o uno Sloe Gin Fizz.
- Un Johnny Walker Rob Roy - gridò la ragazza, - un Southern
Comfort con ghiaccio e un Bloody Mary con Wolfschmidt's -.
L'unica esperienza di Wayne in fatto di alcool era quella fatta
bevendo detergenti liquidi o mangiando lucido da scarpe e così
via. Non aveva nessun debole per l'alcool, lui.
- Un
Black and White con acqua - sentì dire la cameriera,
e questo avrebbe dovuto fargli drizzare le orecchie. Quella
particolare bevanda non era per una persona qualsiasi bensì
per colui che fino a quel momento aveva creato l'infelicità
di Wayne, che poteva ucciderlo o farlo diventare milionario
o rimandarlo in prigione o fare di lui quello che maledettamente
voleva. Quella bevanda era per me.
- Ero
arrivato al Festival delle Arti in incognito. V'ero andato per
assistere al confronto tra due esseri umani da me creati: Dwayne
Hoover e Kilgore Trout. Non ci tenevo a essere riconosciuto.
La cameriera accese la candela sul mio tavolo. Io la spensi.
In una Holiday Inn alla periferia di Ashtabula, nell'Ohio, dove
avevo passato la notte precedente, mi ero comprato un paio di
occhiali da sole. Li portavo adesso nella penombra del bar.
Si presentavano così:
Le lenti erano argentate, erano specchi per
chiunque mi guardasse negli occhi. Chiunque voleva sapere com'erano
fatti i miei occhi si trovava di fronte alla propria doppia
immagine riflessa. Mentre l'altra gente lì nel bar aveva
occhi, io avevo due buchi verso un altro universo. Avevo due
falle.
***
Come tutti gli altri presenti nel bar della
Inn, stava stordendosi con l'alcool, che era una sostanza prodotta
da una creaturina chiamata lievito. I lieviti mangiavano zucchero
e cacavano alcool, e si uccidevano distruggendo il proprio ambiente
con merda di lievito.
- Kilgore
Trout una volta aveva scritto un racconto che era costituito
da un dialogo tra due cellule di lievito. Le due discutevano
dei possibili scopi della vita intanto che mangiavano zucchero
e soffocavano nei propri escrementi. A causa della loro limitata
intelligenza non sospettavano neppure che stavano fabbricando
champagne.
- Così
imposi a Beatrice Keedsler di dire a Rabo Karabekian, lì
al piano-bar: - E’ orribile confessarlo, ma io non so
neppure chi fosse Sant'Antonio. Chi era e perché qualcuno
avrebbe dovuto tentarlo?-.
- Non lo so e non mi va di scoprirlo - rispose Karabekian.
- La verità non t'interessa? - chiese Beatrice.
- Sai cos'è la verita?- fece Karabekian. – E’
quella follia nella quale crede il mio vicino. Se voglio diventargli
amico devo chiedergli in cosa crede. Lui me lo dice e io gli
dico “Si, si... è proprio vero!” -.
- Non
avevo il minimo rispetto per le opere creative sia del pittore
che della romanziera. Ritenevo che, con i suoi quadri insensati,
Karabekian si fosse messo in combutta con i milionari per far
sentir stupida la povera gente. Ritenevo che Beatrice Keedsler
avesse stretto lega con altri scrittori antiquati per far credere
alla gente che la vita ha personaggi importanti e personaggi
minori, particolari significativi e particolari insignificanti,
lezioni da imparare ed esami da superare, nonché un inizio,
una parte centrale e una fine.
Man mano che mi avvicinavo al cinquantesimo anno di età
ero sempre più stizzito e perplesso per le stupide decisioni
prese dai miei compatrioti. Poi, all'improvviso, cominciai a
compatirli, perché mi resi conto di quanto fosse innocente
e naturale per loro comportarsi in maniera così balorda
e con risultati così balordi: facevano del loro meglio
per vivere come la gente inventata nei romanzi. Per questo gli
americani si sparavano a vicenda così di frequente: era
un comodo espediente letterario per por termine a racconti e
libri.
Perché tanti americani erano trattati dal loro governo
come se delle loro vite si potesse disporre come di fazzoletti
di carta? Perché di solito gli autori trattavano così
i personaggi secondari dei loro racconti inventati.
E così via.
Una volta capito che cosa rendeva così pericolosa l'America,
che cosa la rendeva una nazione infelice di gente che non aveva
niente a che vedere con la vita reale, decisi di evitare di
scrivere romanzi. Avrei scritto della vita. Ogni personaggio
sarebbe stato importante quanto gli altri; a tutti i fatti sarebbe
stato dato lo stessissimo peso. Niente sarebbe stato tagliato
fuori.
Che mettessero gli altri ordine nel caos, io avrei messo caos
nell'ordine, invece, come credo di aver fatto.
Se tutti gli scrittori facessero così, allora forse i
cittadini estranei al mestiere di scrivere capirebbero che non
c'è ordine nel mondo che ci circonda, che dobbiamo invece
adattarci alle esigenze del caos.
E’ difficile adattarsi al caos, ma è possibile.
Io ne sono la prova vivente: è possibile.
- Adattandomi
al caos lì nel bar della Inn, feci ora portare da Bonnie
MacMahon, che era importante nella stessa misura di chiunque
altro nell'universo, altri escrementi di lievito a Beatrice
Keedsler e Karabekian. La bevanda di questi era un dry Martini
con Beefeater e uno schizzo di buccia di limone, e così
Bonnie gli disse: - La Colazione dei Campioni -.
- E’ quello che mi ha detto quando mi ha portato il primo
Martini - osservò Karabekian.
- Lo dico ogni volta che servo un Martini a qualcuno - disse
Bonnie.
- E non si stufa?- chiese Karabekian. - O forse per questo la
gente fonda città in posti abbandonati da Dio come questo:
per poter ripetere all'infinito sempre le stesse battute, finché
il Risplendente Angelo della Morte non gli tappa la bocca con
la cenere -.
- Cerco solo di tener su il morale della gente - rispose Bonnie.
-Se è un reato, questo, non ne ho mai sentito parlare
prima. D'ora in poi smetterò di dirlo. Non volevo offendere
nessuno -.
Bonnie trovava detestabile Karabekian, ma non smise di essere
tutta zucchero e miele nei suoi confronti. Si faceva un dovere
di non mostrare mai la propria stizza per nessun motivo lì
nel bar della Inn. La parte di gran lunga maggiore dei suoi
introiti le veniva dalle mance e la maniera per ottenerne di
grosse era di sorridere, sorridere e sorridere, qualunque cosa
succedesse. Ormai aveva solo due scopi nella vita: rimettere
insieme tutti i soldi che suo marito aveva perso nell'autolavaggio
a Shepherdstown e soddisfare il frenetico desiderio di cinturati
con fascia d'acciaio per le ruote anteriori della sua auto.
Suo marito, intanto, se ne stava a casa a guardare alla televisione
i giocatori di golf professionisti e a rammollirsi con escrementi
di lievito.
***
Quanto a me: ero giunto alla conclusione che
in me, come in qualsiasi altro essere umano, non c'era niente
di sacro, che eravamo tutti delle macchine destinate a scontrarci,
scontrarci e ancora scontrarci. Per mancanza di qualcosa di
meglio da fare diventavamo patiti degli scontri. A volte scrivevo
bene di questi scontri, il che significava che ero una macchina
dattiloscrittrice in buono stato. A volte scrivevo male, il
che significava che ero una macchina dattiloscrittrice in cattivo
stato. Non albergava in me più sacralità di quanta
ne albergasse in una Pontiac, in una trappola per topi o in
un tornio.
Non m'aspettavo che Rabo Karabekian corresse in mio aiuto: lo
avevo creato io e, ai miei occhi, era un vanesio, un debole,
una mezzatacca, non certo un artista. Ma a proprio Rabo Karabekian
che fece di me il sereno terrestre che tuttora sono.
State a sentire:
- Che razza d’uomo è quello che trasforma la figlia
in un motore fuoribordo?- disse a Bonnie MacMahon.
***
- Trout
si era reso conto con una punta di imbarazzo, che Dwayne stava
fissando con uno sguardo da pazzo il suo sparato. Gli occhi
di Dwayne erano umidi e Trout immaginoò che fossero umidi
di alcool. Non poteva sapere che Dwayne stava invece vedendo
una chiazza d'olio nel Sugar Creek che quaranta lunghi anni
prima aveva formato una chiazza cangiante.
Era consapevole anche della mia presenza, per quel poco che
mi poteva vedere. Lo facevo sentire ancora più a disagio
di Dwayne. Il fatto e che Trout era l'unico personaggio da me
mai creato che avesse abbastanza immaginazione da sospettare
d'essere la creazione di un altro essere umano. Aveva parlato
parecchie volte di questa possibilità al suo parrocchetto.
Gli aveva detto per esempio: - Quant'è vero dio, Bill,
per come vanno le cose posso solo pensare d'essere il personaggio
di un libro scritto da qualcuno che vuole raccontare di qualcun
altro che soffre in continuazione -.
Ora Trout cominciava a rendersi conto d'essere seduto molto
vicino alla persona che lo aveva creato. Ne era imbarazzato.
Era difficile per lui sapere come reagire, soprattutto perché
le sue reazioni sarebbero state esattamente quelle che io avrei
deciso che sarebbero state.
Ci andai piano con lui, non gli feci cenno, non lo fissai. Mi
tenni gli occhiali sul naso. Scrissi di nuovo sul piano del
tavolo, scarabocchiai i simboli della correlazione tra materia
ed energia com'era intesa ai miei tempi:
Si trattava di un'equazione sbagliata, per
quanto mi riguardava. Avrebbe dovuto contenere una “C
” , per Consapevolezza, senza la quale la “ E ”
e la “ M ” e la “c”, che era una costante
matematica, non potevano esistere.
- Fra
l'altro, tutti noi eravamo attaccati alla superficie di una
palla. Il pianeta era a forma di palla. Nessuno sapeva perché
non ne cascassimo, anche se tutti fingevano di capirlo, più
o meno.
La gente veramente furba aveva capito che la maniera migliore
per arricchirsi era di possedere una parte della superficie
alla quale la gente doveva stare attaccata.
***
- Caro signore, povero signore, coraggioso
signore- lesse, - sei un esperimento del Creatore dell'Universo.
Sei l'unica creatura dell'intero Universo dotata di libero arbitrio.
Sei l'unico che debba pensare a cosa fare dopo - e perché
farlo. Tutti gli altri sono robot, macchine.
- Alcuni sembrano averti in simpatia, altri in odio, e tu devi
chiedertene il perché. Non sono altro che macchine simpatizzatrici
e macchine odiatrici -.
- Sei abbattuto, demoralizzato - lesse Dwayne. - Perché
non dovresti esserlo? Naturalmente è stancante dover
ragionare sempre in un Universo che non è stato fatto
per essere ragionevole -.
***
- Dwayne Hoover andò
avanti a leggere: - Sei circondato da macchine amanti, odianti,
aride, disinteressate, coraggiose, sincere, mentitrici, divertenti
e solenni - lesse. – Il loro unico scopo è di sconvolgerti
in ogni modo possibile affinché il Creatore dell'Universo
possa studiare le tue reazioni. Esse non sono in grado di sentire
e ragionare, non più dell'orologio a pendolo del nonno.
- Il Creatore dell'Universo vorrebbe ora scusarsi non solo per
la compagnia capricciosa e fastidiosa fornitati durante l'esperimento,
ma anche per la condizione meschina e fetente del pianeta stesso.
Il Creatore ha programmato i robot per appestarlo per milioni
di anni di modo che quando tu vi fossi arrivato si presentasse
come un formaggio velenoso e puzzolente. Inoltre, ha fatto si
che fosse disperatamente affollato programmando i robot, indipendentemente
dalle loro condizioni di vita, a sviluppare un'irresistibile
attrazione per i rapporti sessuali e un amore sviscerato per
i bambini -.
- Mary
Alice Miller, sia detto per inciso, campionessa mondiale della
farfalla femminile e Reginetta del Festival delle Arti, attraversò
in quel momento il bar della Inn. Abbreviò in tal modo
il tragitto fra l'atrio dell'albergo dov'era diretta e il parcheggio
laterale, dove suo padre stava aspettandola in una Plymouth
Barracuda 1970 spider, color avocado, da lui acquistata di seconda
mano da Dwayne. Garantita come nuova.
Il padre di Mary Alice, Don Miller, era tra le altre cose presidente
della commissione che concedeva la libertà condizionata
di Shepherdstown. Era stato lui a decidere che Wayne Hoobler,
che se ne stava di nuovo appostato tra le auto usate di Dwayne
Hoover, era ormai in condizioni di riprendere il suo posto nella
società.
Mary Alice andò nell'atrio della Inn a prendere la corona
e lo scettro per la sua esibizione come Reginetta del Festival
delle Arti al banchetto di quella sera. Milo Maritimo, l'impiegato
dell'albergo, il nipote del gangster, li aveva fatti con le
sue mani. Gli occhi di Mary Alice erano perennemente infiammati.
Sembravano due ciliege al maraschino.
Solo una persona la notò tanto da esprimere un commento
a voce alta, e cioè Abe Cohen, il gioielliere. Ecco quanto
disse sul conto della Reginetta, disprezzandone l'asessualita,
l'innocenza e il poco o niente cervello: - Un pesce morto!-
.
- Kilgore
Trout udì quel commento sul pesce morto. Mentalmente
cercò di trarne un senso. La sua mente era ingolfata
di perplessità. Sarebbe potuto benissimo essere Wayne
Hoobler, alla deriva tra le auto usate di Dwayne Hoover durante
la Settimana Hawaiana.
I piedi ricoperti di plastica continuavano intanto a bollirgli
sempre più. Ormai il calore era insopportabile. Quegli
arti gli si torcevano e arricciavano, implorando d'essere immersi
in acqua fredda o agitati all'aria.
E Dwayne continuò a leggere di sé e del Creatore
dell'Universo, vale a dire:
- E li programmò inoltre per scrivere libri e riviste
per te e testi per la televisione, la radio, il teatro e il
cinema sempre per te. Scrivevano canzoni per te. Il Creatore
dell'Universo fece inventare loro centinaia di religioni perché
tu potessi avere una scelta. Quindi li fece uccidere tra loro
a milioni unicamente per questo scopo: perché tu ne fossi
strabiliato. Hanno così commesso ogni tipo di atrocità
possibile e ogni possibile gentilezza, insensibilmente, automaticamente,
inevitabilmente, per provocare una reazione in TE -.
- Ogni
volta che entravi in una biblioteca -, diceva il libretto, -
il Creatore dell'Universo tratteneva il fiato. Fra tanto materiale
tra cui scegliere, che cosa mai tu, con il tuo libero arbitrio,
avresti scelto? -.
- I tuoi genitori sono macchine litigatrici e autocommisuratrici
- proseguiva il libro. - Tua madre era programmata per brontolare
e lamentarsi di tuo padre come macchina produttrice di soldi
difettosa, e tuo padre era programmato per brontolare e lamentarsi
di lei come macchina domestica difettosa. Entrambi erano programmati
per brontolare e lamentarsi l'uno dell'altra come macchine amatrici
difettose.
- Poi tuo padre era programmato per uscirsene di casa sbattendo
la porta. Questo automaticamente trasformava tua madre in una
macchina piangitrice. E tuo padre se ne andava in una taverna
a ubriacarsi insieme con altre macchine bevitrici. Poi tutte
le macchine bevitrici se ne andavano in un bordello a noleggiarsi
macchine chiavatrici. Dopodiché tuo padre si trascinava
a casa diventando una macchina scusatrice. E tua madre diventava
una lentissima macchina per donatrice -.
- Dwayne
ora si alzò in piedi, dopo aver ingurgitato in una decina
di minuti, o poco più, decine di migliaia di parole di
tale solipsistica stravaganza.
Si avvicino, camminando rigidamente, al piano-bar. Ciò
che lo rendeva rigido era il timore della propria forza e consapevolezza.
***
- Mr. Trout… Kilgore…- dissi, - in mano stringo
un simbolo dell’unità, dell’armonia e del
nutrimento. È orientale nella sua semplicità,
ma noi siamo americani, Kilgor, e non cinesi. Noi americani
abbiamo bisogno di simboli pieni di colori, tridimensionali
e succosi. Ma più di tutto noi bramiamo simboli che non
siano stati avvelenati dai grandi peccati che la nostra nazione
ha commeso come la schiavitù e il genocidio e la negligenza
criminale e le vistose avidità e astuzie commerciali.
Alzi gli occhi, Mr. Trout - dissi, e attesi pazientemente. «Kilgore...?».
Il vecchio alzò gli occhi e aveva la faccia devastata
di mio padre quando divenne vedovo...quando divenne un vecchio,
vecchissimo uomo.
Vide che stringevo in mano una mela.
- Sto
per compiere cinquant'anni, Mr. Trout - dissi. - Mi sto ripulendo
e rinnovando per gli anni molto diversi che mi aspettano. In
tali condizioni di spirito il conte Tolstoj liberò i
suoi servi, Thomas Jefferson i suoi schiavi. Io manderò
liberi tutti i personaggi letterari che mi hanno servito con
fedeltà durante la mia carriera di scrittore.
- Lei è l'unico al quale lo confido. Per gli altri, questa
sarà una sera come tutte le altre. Si alzi, Mr. Trout,
lei è libero, libero -.
S'alzò a fatica.
Avrei potuto stringergli la mano, ma la sua destra era ferita,
e così le nostre mani rimasero lungo i fianchi. - Bon
voyage - dissi. E scomparvi.
- Capitombolai
pigramente e piacevolmente nel vuoto, che è il mio nascondiglio
preferito quando mi smaterializzo. Le grida che Trout mi lanciò
dietro s'affievolirono man mano che la distanza tra noi aumentava.
La voce era quella di mio padre. Udii mio padre... e vidi mia
madre nel vuoto. Se ne stava lontana, lontanissima, perché
mi aveva lasciato in eredità un suicidio.
Uno specchietto passò vicino. Era una falla con manico
e cornice di madreperla. Lo afferrai senza difficoltà,
lo sollevai davanti all'occhio destro, che si presentò
così:
Ecco cosa mi gridò dietro Kilgore Trout
con la voce di mio padre: - Fammi giovane, fammi giovane, fammi
giovane!-.
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