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Diavoli
di Donne
l'inizio...
Appena scesi dalla macchina
e preso a correre verso il portico la vidi. Stava sbirciando
attraverso le tendine della porta. Per un attimo la luce di
un lampo illuminò il vetro scuro dando al suo viso l'aria
di un quadro, incorniciato. Non era poi un gran bel quadro,
in fatto di bellezza lei non era più sensazionale di
me, ma per qualche ragione mi colpì. Inciampai su una
crepa del terreno e per poco non finii lungo disteso. Quando
sollevai di nuovo lo sguardo lei era sparita e le tendine erano
immobili.
Salii i gradini zoppicando, appoggiai a terra il mio campionario
e suonai il campanello. Mi scostai dalla porta e aspettai, inalberando
un gran sorriso e dando una rapida occhiata al giardino.
Era una grande casa all'antica, a circa mezzo miglio dal campus
dell'università, l'unica di tutto l'isolato. A giudicare
dal suo aspetto e dalla sua ubicazione, doveva esser stata una
fattoria, un tempo.
Suonai di nuovo il campanello, tenendoci premuto il dito, ascoltando
lo squillo acuto echeggiare all'interno della casa. Tirai indietro
la zanzariera e bussai alla porta. Erano cose che si facevano,
se si lavorava per la catena di negozi Pay-Easy. Si era abituati
alla gente che non si faceva trovare.
La porta si spalancò mentre stavo ancora battendo. Mi
bastò un'occhiata alla donna sulla soglia per tirarmi
istintivamente indietro. Non era la ragazzina dall'aria angosciata
che aveva sbirciato attraverso le tendine. Era una vecchiaccia
con un gran naso adunco e degli occhi cattivi, piccoli e ravvicinati.
Doveva essere sulla settantina, era impossibile diventare così
brutti in meno di settant'anni, ma aveva un'aria forte e vigorosa.
Aveva in mano un pesante bastone e io ebbi la netta sensazione
che fosse pronta a usarlo. Su di me.
- Scusi il disturbo - mi affrettai a dire. - Sono il signor
Dillon, della catena di negozi Pay-Easy. Mi chiedevo se... -
- Vada via! - tagliò corto la vecchia. - Via da qui!
Noi non comperiamo dagli ambulanti. -
***
Pete aveva visto giusto: cattivo non ero io, ma il lavoro. E
non sapevo come uscirne, esattamente come non sapevo come avevo
fatto ad entrarci. Io...
Ma quando mai si pensa bene al lavoro? Al lavoro che si va a
fare, intendo dire? Vedi uno che tosa i cani, o va per strada
con un badile a raccogliere cacca di cavallo, e pensi: perché
quello scemo fa un lavoro simile? Eppure scemo non sembra, non
più di tutti gli altri, perlomeno. Perché diamine
si adatta a fare cose del genere per vivere?
Sogghigni e guardi con sufficienza il disgraziato. Pensi che
non abbia tutte le rotelle a posto, o che non abbia nessuna
ambizione. Poi guardi ben bene te stesso... e smetti di meravigliarti
degli altri.
Fisicamente,
non ti manca niente; la salute c'è, ti presenti bene,
e, quanto all'ambizione, ne hai, eccome. Sei giovane, suppongo
che a trent'anni uno possa considerarsi giovane, e forte. Non
hai una grande istruzione, ma ne hai sempre più di molti
altri che hanno fatto carriera. Eppure, nonostante tutto, non
sei riuscito ad andare oltre un certo punto. E qualcosa ti dice
che oltre quel punto non ci andrai mai.
Non c'è proprio niente da fare, ovviamente, ma non puoi
smettere di sperare. Non puoi smettere di chiederti...
...Forse eri troppo ambizioso. Il guaio, forse, è stato
proprio quello. Non sopportavi l'idea di doverci mettere quarant'anni
per passare da fattorino a presidente. Perciò sei entrato
nella distribuzione, distribuivi riviste da una costa all'altra.
Poi ti hanno offerto un lavoro nel campo delle spazzole, un
lavoro che prometteva bene. E lo hai fatto finché non
hai trovato qualcosa di ancora più promettente, o che
ti sembrava ancora più promettente. E così via,
da un settore all'altro. Premi per marche di caffè e
di tè, casalinghi, piccole polizze d'assicurazione, spazi
nei cimiteri, calze, essenze, e chi più ne ha più
ne metta. Hai sollecitato contributi per opere benefiche. Hai
comperato oro di seconda mano. Poi sei tornato a occuparti di
riviste, di spazzole, di caffè e di tè. Guadagnavi
bene, anche duecento dollari alla settimana, a volte. Ma facendo
una media delle settimane buone e di quelle cattive, il bilanciò
non era molto positivo. Cinquanta o sessanta dollari alla settimana,
settanta al massimo. Più di quel che avresti potuto guadagnare
lavorando a un distributore di benzina o a un banco di bibite
analcoliche, probabilmente, ma dovevi cavarti l'anima per mettere
insieme quella cifra e non c'erano prospettive di crescita.
Eri sempre lì, immobile, al punto di partenza. E non
eri più un ragazzino.
Perciò te ne vieni in questa città e leggi questo
annuncio. Cercasi collaboratore per vendite esterne e riscossione
crediti. Ottima occasione per forte tempra di lavoratore. E
tu pensi: forse è la volta buona. Sembra il lavoro giusto,
nella città giusta. Poi, naturalmente, scopri che non
sono giusti né l'uno né l'altra, che sono esattamente
come tutti gli altri. Il lavoro fa schifo. La città pure.
E fai schifo anche tu. E non puoi farci assolutamente niente,
maledizione.
L'unica cosa che puoi fare è tirare avanti come tirano
avanti gli altri. Quelli che tosano i cani. Quelli che portano
via la cacca di cavallo. Odiando quello che fai. Odiando te
stesso.
E sperando.
***
22
RISALENDO LA CHINA OVVERO LA VERA STORIA DI UN UOMO IN LOTTA
CONTRO LA MALASORTE E LE MALEFEMMINE... di Derf Senoj
Sono
nato a New York da poveri ma onesti genitori e per quanto io
riesca a ricordare non c'è mai stato in vita mia un periodo
in cui non lavorassi, non mi sforzassi di combinare qualcosa,
di diventare qualcuno. Ma fin dai primissimi tempi c’è
sempre stato qualcuno che ha cercato di rendermi la vita difficile.
Era sempre la stessa storia, qualunque cosa facessi. In un modo
o nell'altro, c'era sempre qualcuno che mi metteva i bastoni
tra le ruote, perciò vi risparmierò i luridi dettagli.
Pensavo sempre che se avessi avuto una buona compagna al mio
fianco la mia lotta sarebbe stata meno impari. Ma anche in quello
ero sfortunato come nel resto. Finivo sempre con delle puttane.
Cinque puttane di fila, maledizione... o forse erano sei o sette,
ma non importa. Praticamente erano tutte la stessa persona.
Be', alla fine sbarco ad Oklahoma City, e sembra che la fortuna
mi sorrida, una buona volta. Non per quanto riguarda i soldi.
Compero oro, porta a porta, e come si fa a far soldi se la gente
t'imbroglia in continuazione? E con le donne che la fortuna
sembra stare dalla mia parte, anzi non "sembra" stare,
ma "sta". E, quanto ai quattrini, lei ne ha abbastanza
per quaranta persone.
La conobbi lavorando in un lussuoso palazzo ad appartamenti
della City. Sgattaiolai davanti al portiere, e il suo fu il
primo appartamento che incontrai. Una donna di gran classe?
Una vera bellezza? Posso solo dire che una creatura così
non l'avevo mai vista. Quando mi sorrise e mi disse di entrare
non riuscivo quasi a crederci.
Mi vergognavo a dire che ero lì per l’oro, perciò
dissi che cercavo qualcuno che una volta abitava lì,
e mi dispiaceva molto di averla disturbata, e...
- Via, via, non si senta imbarazzato per il suo lavoro! - Rideva,
ma non di me, capite? Era simpatica e comprensiva. - Naturalmente
mi dispiace vedere un signore dotato di tanta personalità
ed evidente capacità adattarsi a questo tipo di...-
- Si tratta solo di un'attività temporanea, vede. Ho
avuto un rovesciò di fortuna, e ho dovuto accettare quel
che mi si offriva... -
- Che cosa terribile! Adesso lei si sieda e io le preparerò
un bel drink.-
Mi sedetti su un divano da duemila dollari, perlomeno. Lei portò
da bere per entrambi e si sedette al mio fianco. Sorrideva e
portava avanti lei la conversazione, perché, naturalmente,
io ero piuttosto a corto di parole. Quando ebbi finito il mio
drink feci per alzarmi, ma lei mi mise una mano sul braccio.
- La prego, non se ne vada. Mi sento così sola da quando
è morto mio marito... - Le dissi che mi dispiaceva molto
sentire che suo marito non c'era più. I suoi occhi si
rannuvolarono per un attimo, poi la sua testa si scosse in un
gesto di grande coraggio. - Mi sento sola senza di lui, e naturalmente
non avrei voluto che lui morisse, ma... è terribile dire
una cosa del genere... ma io avevo preso ad odiarlo! Mi aveva
dato una falsa immagine di sé. Aveva finto di essere
tutto ciò che io avrei voluto lui fosse, poi, una volta
sposati... -
- So che cosa vuol dire - dissi io. - Lo so perfettamente, picc...
ehm... -
- Dillo, dillo pure... - mi sussurrò lei con fervore,
gettandomi le braccia at collo. - Di' pure che sono la tua piccola...
Dimmi qualsiasi cosa, fammi qualsiasi cosa... tutto quello che
vuoi... Ma non andar via!... -
Era come un bellissimo sogno, cari lettori, dico proprio
Sogni! Sogni!
sul serio:
fu esattamente così che conobbi la bella Helene, la principessa
delle fiabe. E si unirono, finalmente, due anime assetate d'amore.
E’
vero, non l'ho descritta. Ma non potevo farlo. Perché
lei aveva tanti aspetti diversi. Quando andava nei luoghi in
cui nessun altro poteva vederla aveva sempre il medesimo aspetto,
quello del giorno in cui ci eravamo conosciuti. Quando eravamo
soli, invece, se non avessi saputo che era proprio lei non avrei
nemmeno capito che era
una maledetta baldracca sifilitica
la stessa
donna. Aveva dozzine di tenute completamente diverse, abiti
che avrebbe potuto indossare una ragazza di diciotto anni, o
una donna di venticinque, di trentacinque, e così via.
Abiti per tutte le occasioni, dai grembiulini da casa agli abiti
da gran sera. E trucchi di ogni tipo. Ciprie, rossetti, fard,
in dozzine di sfumature diverse, toupet e ciglia finte e sopracciglia
posticce e corone per i denti. Persino delle cosette di vetro
da far scivolare negli occhi per cambiarne il colore. Era come
un hobby per lei presentarsi in tanti modi diversi. All'inizio
la cosa mi aveva messo un po' a disagio, e forse se fossi riuscito
a vedere Helene come realmente era
un'ennesima puttana come tutte le altre
non l'avrei
accettata. Ma era stato così solo all'inizio. Perché,
vedete, le cose non potevano andare diversamente. Voglio dire,
lei doveva per forza essere
una puttana di prima forza, e non riuscivo a farle
bellissima
e di gran classe, tutto ciò che un uomo desidera trovare
in una donna. Con tutte le fregature che mi ero preso dalle
puttane, non potevo proprio beccarmene delle altre. E dopo la
mia lunga, impari lotta avevo finalmente trovato ciò
che desiderava il mio cuore.
Aveva ereditato un sacco di quattrini da suo padre, ma questo
è
rubare i risparmi di suo cognato
tutto ciò
che sono riuscito a scoprire sul conto di entrambi. Non ho mai
nemmeno saputo il suo cognome, il suo cognome da nubile, voglio
dire. Sembrava imbarazzata ogni volta che io accennavo alla
sua famiglia, perciò non osai farlo più di un
paio di volte. Pensavo che il vecchio avesse fatto tutti quei
soldi vendendo rimedi contro la gonorrea, o qualcosa del genere,
e per questo lei si sentisse così a disagio. Meglio evitare
l'argomento. In fondo, anche se mi ero cavato 1'anima senza
mai lamentarmi, anche nella mia vita c'erano dei capitoli che
preferivo tenere solo per me. I suoi soldi erano in banca, in
un'altra città... dove esattamente
nascosti nel materasso
non lo so.
Ma lei era talmente imbarazzata dal suo cognome da ragazza che
non cambiava mai un assegno in città, ne si faceva mai
mandare dei soldi dalla banca. Ogni volta che era a corto di
quattrini prendeva un aereo e andava nell'altra città
a ritirare quanto le serviva, rientrando in giornata.
Era andata a prendere un po' di soldi anche la mattina in cui
quella storia uscì sui giornali, una storia che riguardava
della gente che conoscevo una volta. E io
vino e erba, che cuccagna!
risi così
di gusto leggendola che per poco non mi ruppi una costola. La
lessi e la rilessi, per tutto il giorno, e ogni volta ridevo
al sicuro adesso, al sicuro con la puttana delle puttane!
a più
non posso:
[…]
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