Jim Thompson

 

Vita da niente


 

Diavoli di Donne

l'inizio...

Appena scesi dalla macchina e preso a correre verso il portico la vidi. Stava sbirciando attraverso le tendine della porta. Per un attimo la luce di un lampo illuminò il vetro scuro dando al suo viso l'aria di un quadro, incorniciato. Non era poi un gran bel quadro, in fatto di bellezza lei non era più sensazionale di me, ma per qualche ragione mi colpì. Inciampai su una crepa del terreno e per poco non finii lungo disteso. Quando sollevai di nuovo lo sguardo lei era sparita e le tendine erano immobili.
Salii i gradini zoppicando, appoggiai a terra il mio campionario e suonai il campanello. Mi scostai dalla porta e aspettai, inalberando un gran sorriso e dando una rapida occhiata al giardino.
Era una grande casa all'antica, a circa mezzo miglio dal campus dell'università, l'unica di tutto l'isolato. A giudicare dal suo aspetto e dalla sua ubicazione, doveva esser stata una fattoria, un tempo.
Suonai di nuovo il campanello, tenendoci premuto il dito, ascoltando lo squillo acuto echeggiare all'interno della casa. Tirai indietro la zanzariera e bussai alla porta. Erano cose che si facevano, se si lavorava per la catena di negozi Pay-Easy. Si era abituati alla gente che non si faceva trovare.
La porta si spalancò mentre stavo ancora battendo. Mi bastò un'occhiata alla donna sulla soglia per tirarmi istintivamente indietro. Non era la ragazzina dall'aria angosciata che aveva sbirciato attraverso le tendine. Era una vecchiaccia con un gran naso adunco e degli occhi cattivi, piccoli e ravvicinati. Doveva essere sulla settantina, era impossibile diventare così brutti in meno di settant'anni, ma aveva un'aria forte e vigorosa. Aveva in mano un pesante bastone e io ebbi la netta sensazione che fosse pronta a usarlo. Su di me.
- Scusi il disturbo - mi affrettai a dire. - Sono il signor Dillon, della catena di negozi Pay-Easy. Mi chiedevo se... -
- Vada via! - tagliò corto la vecchia. - Via da qui! Noi non comperiamo dagli ambulanti. -


***


Pete aveva visto giusto: cattivo non ero io, ma il lavoro. E non sapevo come uscirne, esattamente come non sapevo come avevo fatto ad entrarci. Io...
Ma quando mai si pensa bene al lavoro? Al lavoro che si va a fare, intendo dire? Vedi uno che tosa i cani, o va per strada con un badile a raccogliere cacca di cavallo, e pensi: perché quello scemo fa un lavoro simile? Eppure scemo non sembra, non più di tutti gli altri, perlomeno. Perché diamine si adatta a fare cose del genere per vivere?
Sogghigni e guardi con sufficienza il disgraziato. Pensi che non abbia tutte le rotelle a posto, o che non abbia nessuna ambizione. Poi guardi ben bene te stesso... e smetti di meravigliarti degli altri.

Fisicamente, non ti manca niente; la salute c'è, ti presenti bene, e, quanto all'ambizione, ne hai, eccome. Sei giovane, suppongo che a trent'anni uno possa considerarsi giovane, e forte. Non hai una grande istruzione, ma ne hai sempre più di molti altri che hanno fatto carriera. Eppure, nonostante tutto, non sei riuscito ad andare oltre un certo punto. E qualcosa ti dice che oltre quel punto non ci andrai mai.
Non c'è proprio niente da fare, ovviamente, ma non puoi smettere di sperare. Non puoi smettere di chiederti...
...Forse eri troppo ambizioso. Il guaio, forse, è stato proprio quello. Non sopportavi l'idea di doverci mettere quarant'anni per passare da fattorino a presidente. Perciò sei entrato nella distribuzione, distribuivi riviste da una costa all'altra. Poi ti hanno offerto un lavoro nel campo delle spazzole, un lavoro che prometteva bene. E lo hai fatto finché non hai trovato qualcosa di ancora più promettente, o che ti sembrava ancora più promettente. E così via, da un settore all'altro. Premi per marche di caffè e di tè, casalinghi, piccole polizze d'assicurazione, spazi nei cimiteri, calze, essenze, e chi più ne ha più ne metta. Hai sollecitato contributi per opere benefiche. Hai comperato oro di seconda mano. Poi sei tornato a occuparti di riviste, di spazzole, di caffè e di tè. Guadagnavi bene, anche duecento dollari alla settimana, a volte. Ma facendo una media delle settimane buone e di quelle cattive, il bilanciò non era molto positivo. Cinquanta o sessanta dollari alla settimana, settanta al massimo. Più di quel che avresti potuto guadagnare lavorando a un distributore di benzina o a un banco di bibite analcoliche, probabilmente, ma dovevi cavarti l'anima per mettere insieme quella cifra e non c'erano prospettive di crescita. Eri sempre lì, immobile, al punto di partenza. E non eri più un ragazzino.
Perciò te ne vieni in questa città e leggi questo annuncio. Cercasi collaboratore per vendite esterne e riscossione crediti. Ottima occasione per forte tempra di lavoratore. E tu pensi: forse è la volta buona. Sembra il lavoro giusto, nella città giusta. Poi, naturalmente, scopri che non sono giusti né l'uno né l'altra, che sono esattamente come tutti gli altri. Il lavoro fa schifo. La città pure. E fai schifo anche tu. E non puoi farci assolutamente niente, maledizione.
L'unica cosa che puoi fare è tirare avanti come tirano avanti gli altri. Quelli che tosano i cani. Quelli che portano via la cacca di cavallo. Odiando quello che fai. Odiando te stesso.
E sperando.

***

22
RISALENDO LA CHINA OVVERO LA VERA STORIA DI UN UOMO IN LOTTA CONTRO LA MALASORTE E LE MALEFEMMINE... di Derf Senoj

Sono nato a New York da poveri ma onesti genitori e per quanto io riesca a ricordare non c'è mai stato in vita mia un periodo in cui non lavorassi, non mi sforzassi di combinare qualcosa, di diventare qualcuno. Ma fin dai primissimi tempi c’è sempre stato qualcuno che ha cercato di rendermi la vita difficile. Era sempre la stessa storia, qualunque cosa facessi. In un modo o nell'altro, c'era sempre qualcuno che mi metteva i bastoni tra le ruote, perciò vi risparmierò i luridi dettagli.
Pensavo sempre che se avessi avuto una buona compagna al mio fianco la mia lotta sarebbe stata meno impari. Ma anche in quello ero sfortunato come nel resto. Finivo sempre con delle puttane. Cinque puttane di fila, maledizione... o forse erano sei o sette, ma non importa. Praticamente erano tutte la stessa persona.
Be', alla fine sbarco ad Oklahoma City, e sembra che la fortuna mi sorrida, una buona volta. Non per quanto riguarda i soldi. Compero oro, porta a porta, e come si fa a far soldi se la gente t'imbroglia in continuazione? E con le donne che la fortuna sembra stare dalla mia parte, anzi non "sembra" stare, ma "sta". E, quanto ai quattrini, lei ne ha abbastanza per quaranta persone.
La conobbi lavorando in un lussuoso palazzo ad appartamenti della City. Sgattaiolai davanti al portiere, e il suo fu il primo appartamento che incontrai. Una donna di gran classe? Una vera bellezza? Posso solo dire che una creatura così non l'avevo mai vista. Quando mi sorrise e mi disse di entrare non riuscivo quasi a crederci.
Mi vergognavo a dire che ero lì per l’oro, perciò dissi che cercavo qualcuno che una volta abitava lì, e mi dispiaceva molto di averla disturbata, e...
- Via, via, non si senta imbarazzato per il suo lavoro! - Rideva, ma non di me, capite? Era simpatica e comprensiva. - Naturalmente mi dispiace vedere un signore dotato di tanta personalità ed evidente capacità adattarsi a questo tipo di...-
- Si tratta solo di un'attività temporanea, vede. Ho avuto un rovesciò di fortuna, e ho dovuto accettare quel che mi si offriva... -
- Che cosa terribile! Adesso lei si sieda e io le preparerò un bel drink.-
Mi sedetti su un divano da duemila dollari, perlomeno. Lei portò da bere per entrambi e si sedette al mio fianco. Sorrideva e portava avanti lei la conversazione, perché, naturalmente, io ero piuttosto a corto di parole. Quando ebbi finito il mio drink feci per alzarmi, ma lei mi mise una mano sul braccio. - La prego, non se ne vada. Mi sento così sola da quando è morto mio marito... - Le dissi che mi dispiaceva molto sentire che suo marito non c'era più. I suoi occhi si rannuvolarono per un attimo, poi la sua testa si scosse in un gesto di grande coraggio. - Mi sento sola senza di lui, e naturalmente non avrei voluto che lui morisse, ma... è terribile dire una cosa del genere... ma io avevo preso ad odiarlo! Mi aveva dato una falsa immagine di sé. Aveva finto di essere tutto ciò che io avrei voluto lui fosse, poi, una volta sposati... -
- So che cosa vuol dire - dissi io. - Lo so perfettamente, picc... ehm... -
- Dillo, dillo pure... - mi sussurrò lei con fervore, gettandomi le braccia at collo. - Di' pure che sono la tua piccola... Dimmi qualsiasi cosa, fammi qualsiasi cosa... tutto quello che vuoi... Ma non andar via!... -
Era come un bellissimo sogno, cari lettori, dico proprio

Sogni! Sogni!
sul serio: fu esattamente così che conobbi la bella Helene, la principessa delle fiabe. E si unirono, finalmente, due anime assetate d'amore.

E’ vero, non l'ho descritta. Ma non potevo farlo. Perché lei aveva tanti aspetti diversi. Quando andava nei luoghi in cui nessun altro poteva vederla aveva sempre il medesimo aspetto, quello del giorno in cui ci eravamo conosciuti. Quando eravamo soli, invece, se non avessi saputo che era proprio lei non avrei nemmeno capito che era
una maledetta baldracca sifilitica
la stessa donna. Aveva dozzine di tenute completamente diverse, abiti che avrebbe potuto indossare una ragazza di diciotto anni, o una donna di venticinque, di trentacinque, e così via. Abiti per tutte le occasioni, dai grembiulini da casa agli abiti da gran sera. E trucchi di ogni tipo. Ciprie, rossetti, fard, in dozzine di sfumature diverse, toupet e ciglia finte e sopracciglia posticce e corone per i denti. Persino delle cosette di vetro da far scivolare negli occhi per cambiarne il colore. Era come un hobby per lei presentarsi in tanti modi diversi. All'inizio la cosa mi aveva messo un po' a disagio, e forse se fossi riuscito a vedere Helene come realmente era
un'ennesima puttana come tutte le altre
non l'avrei accettata. Ma era stato così solo all'inizio. Perché, vedete, le cose non potevano andare diversamente. Voglio dire, lei doveva per forza essere
una puttana di prima forza, e non riuscivo a farle
bellissima e di gran classe, tutto ciò che un uomo desidera trovare in una donna. Con tutte le fregature che mi ero preso dalle puttane, non potevo proprio beccarmene delle altre. E dopo la mia lunga, impari lotta avevo finalmente trovato ciò che desiderava il mio cuore.
Aveva ereditato un sacco di quattrini da suo padre, ma questo è

rubare i risparmi di suo cognato
tutto ciò che sono riuscito a scoprire sul conto di entrambi. Non ho mai nemmeno saputo il suo cognome, il suo cognome da nubile, voglio dire. Sembrava imbarazzata ogni volta che io accennavo alla sua famiglia, perciò non osai farlo più di un paio di volte. Pensavo che il vecchio avesse fatto tutti quei soldi vendendo rimedi contro la gonorrea, o qualcosa del genere, e per questo lei si sentisse così a disagio. Meglio evitare l'argomento. In fondo, anche se mi ero cavato 1'anima senza mai lamentarmi, anche nella mia vita c'erano dei capitoli che preferivo tenere solo per me. I suoi soldi erano in banca, in un'altra città... dove esattamente
nascosti nel materasso
non lo so. Ma lei era talmente imbarazzata dal suo cognome da ragazza che non cambiava mai un assegno in città, ne si faceva mai mandare dei soldi dalla banca. Ogni volta che era a corto di quattrini prendeva un aereo e andava nell'altra città a ritirare quanto le serviva, rientrando in giornata.
Era andata a prendere un po' di soldi anche la mattina in cui quella storia uscì sui giornali, una storia che riguardava della gente che conoscevo una volta. E io

vino e erba, che cuccagna!
risi così di gusto leggendola che per poco non mi ruppi una costola. La lessi e la rilessi, per tutto il giorno, e ogni volta ridevo
al sicuro adesso, al sicuro con la puttana delle puttane!
a più non posso:
[…]


 

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