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nel 1955 dalla Popular Library, E’gia buio, dolcezza (After
Dark, My Sweet) è uno dei prodotti più felici
delta straordinaria esplosione creativa che portò Jim
Thompson, tra il 1952 e il 1957, a consegnare alle stampe quattordici
romanzi (alcuni dei quali, peraltro, scritti o comunque abbozzati
negli anni precedenti). La serie era stata aperta nel settembre
del 1952 da L'assassino che è in me (The Killer Inside
Me) il quale, come i successivi dieci romanzi usciti fino al
luglio del 1954, era stato 'ospitato' tra i tascabili della
Lion Books a cura dell'editor Arnold Hano, il primo a comprendere
a pieno il talento di Thompson e a trasmettergli gli input di
cui l'autore aveva evidentemente bisogno. Con la fuoriuscita
di Hano dalla Lion questo incredibile tour de force produttivo
subì un evidente e non casuale rallentamento, ed è
probabile che anche E’ già buio, dolcezza (come
del resto The Nothing Man, pubblicato l'anno prima dalla Dell)
fosse stato progettato e sviluppato come trattamento di spunti
e idee che - secondo quanto affermato dallo stesso Hano - venivano
'commissionati' a Thompson dallo staff editoriale della Lion.
Nella sua pluripremiata biografia di Thompson, Savage Art, Robert
Polito ha tentato di fare ordine nella sua produzione degli
anni d'oro individuando una serie di tipologie basate sul genere
e sulla strategia narrativa adottata: E’ già buio,
dolcezza rientrerebbe tra quelli che Polito definisce 'Romanzi
psicopatici narrati in prima persona', cui resta affidata, a
distanza di cinquant'anni, la fama dell'autore. Per quanto riguarda
in particolare gli anni 1952-1955, la lista di opere che si
affidano a questa tecnica narrativa e notevole e include buona
parte dei capolavori di Thompson. Si parte con L'assassino che
e in me, per proseguire con Savage Night (Lion Books, luglio
1953), A Hell of a Woman (Lion Books, luglio 1954), The Nothing
Man (Dell, 1954), e concludersi proprio con After Dark, My Sweet.
A questo straordinario quintetto va poi aggiunta la variazione
di irresistibile comicità e sublime manierismo di Pop.
1280 (Colpo di spugna), del 1964, secondo la maggior parte della
critica l'ultimo, straordinario colpo di coda di Thompson prima
del definitivo declino. Come rilevato dallo stesso Polito, E’
già buio, dolcezza ha però alcune caratteristiche
che lo differenziano dagli altri quattro romanzi in prima persona.
Il protagonista, Kid Collins, pur avendo in comune con i Lou
Ford e i Dolly Dillon delle opere precedenti una tendenza alla
dissociazione della personalità e a periodiche esplosioni
di violenza, non ne condivide il cinismo e la misoginia, cui
contrappone un'oscillazione del tutto originale tra la diffidenza
e un'infantile ricerca di amore e rassicurazione. Da ciò
deriva un attenuarsi di quella vena nerissima e sarcastica che
aveva portato Thompson tra le braccia di Stanley Kubrick e un
avvicinarsi all'intrico di disperazione, fatalismo e romanticismo
da perdenti che marchiano a fuoco la stagione più felice
del cinema noir.
Del resto, lo stesso Thompson - tutt'altro che ignaro di quanto
Hollywood andava producendo nei primi anni cinquanta - aveva
concepito questo romanzo come una sorta di sceneggiatura, rinunciando
alle acrobazie linguistiche e strutturali delle opere precedenti
e optando per una narrazione secca e fortemente visiva. Procedendo
in parallelo alla stesura del suo manoscritto, aveva preparato
un trattamento alla terza persona con il titolo di lavoro The
Concrete Pasture: un riferimento a quei “pascoli di cemento”
da cui Kid Collins si sente attorniato e che gli impediscono
di sognare una qualunque evasione. Non c'è pertanto da
stupirsi se E’ gia buio, dolcezza sia stato (con L'assassino
che è in me, A Hell of a Woman, Getaway, Colpo di spugna
e Rischiose abitudini) uno dei sei romanzi di Thompson che hanno
goduto di una trasposizione cinematografica: non la migliore,
ma sicuramente la più fedele allo spirito e alla struttura
dell'opera originaria. Uscito nelle sale americane con lo stesso
titolo del romanzo nel 1991 (e proposto al pubblico italiano
come Più tardi al buio), After Dark, My Sweet è
stato firmato da James Foley, regista di solido mestiere e a
suo agio tanto nelle atmosfere noir (sperimentate con particolare
successo nell'ottimo A distanza ravvicinata, con Sean Penn e
Christopher Walken) quanto nella trasposizione di testi letterari
(Americana, da Glengarry Glen Ross di David Mamet, con una straordinaria
squadra d'attori); le parti di Kid Collins e di Fay Anderson
sono state affidate a due attori di buona scuola come Jason
Patric e Rachel Ward, mentre nella parte di Uncle Bud si è
cimentato un ottimo Bruce Dem. Nel complesso, il film rende
efficacemente l'atmosfera del romanzo, pur offrendo una lettura
del finale forse troppo risolta e romantica, lontana dall'ambiguità
cui un autore come Thompson, secondo il quale la morale di ogni
storia è che le cose non sono mai ciò che sembrano,
mai avrebbe potuto rinunciare.
tratto da: nota sul libro... postfazione
di Luca Briasco
***
l'inizio...
1.
Presi un tram fin quasi al confini della città,
poi cominciai a camminare, ruotando il vecchio pollice ogni
volta che vedevo arrivare un'auto. Ero vestito piuttosto bene:
camicia bianca, pantaloni marroni e scarpe sportive. Avevo fatto
una doccia alla stazione e mi ero fatto tagliare i capelli alla
scuola per barbieri, sicché tutto sommato ero a posto.
Ma nessuno si fermava a raccattarmi. C'erano state parecchie
rapine a opera di autostoppisti, in zona, e alla gente non andava
di rischiare.
Verso le quattro del pomeriggio, dopo che mi ero fatto una decina
di miglia a piedi, arrivai in quel locale. Lo oltrepassai di
poco, camminando sempre più piano, litigando con me stesso.
Ebbi la peggio (la parte giusta di me ebbe la peggio) e tornai
indietro.
Il barista mi piazzò di fronte un bicchiere traboccante
di birra. Raccolse in fretta gli spiccioli che avevo posato
sul bancone, tornò a sedere sul suo sgabello e prese
un giornale. Dissi qualcosa a proposito del gran caldo che faceva.
Lui grugnì senza alzare gli occhi. Dissi che aveva messo
su proprio un bel posticino e di sicuro sapeva come tener fresca
la birra. Grugnì ancora.
Abbassai gli occhi sulla mia birra. sentendo
che i pelucchi sulla nuca mi si rizzavano. Pensavo - sapevo
- che non sarei mai dovuto entrare lì dentro. Dovrei
evitare di andare in posti dove la gente potrebbe trattarmi
in modo non tanto educato e gentile. Non devono fare altro,
capito. Solo essere gentili con me come io lo sono con loro.
Sono stato in quattro istituti e la mia scheda dice sempre più
o meno le stesse cose:
William («Kid») Collins: biondo,
decisamente di bell'aspetto; molto forte, agile. Predisposizioni
criminali scarse o assenti, considerati i fattori ambientali.
Nevrosi multiple di lieve entità (ambientali). Psicosi.
Korsakoff (non la sindrome alcolica) indotta da trauma; aggravata
dall'ansia. Terapia: riposo assoluto, quiete, alimentazione
e ambiente sani. Collins è affabile, educato, paziente,
ma può essere molto pericoloso se provocato...
Finii la birra e ne ordinai un'altra. Me ne
andai tranquillo verso il bagno e mi lavai la faccia con l'acqua
fredda. Fissandomi allo specchio, mi domandai dove sarei stato
l'indomani alla stessa ora e perché mi prendevo il disturbo
di andare da qualche parte, visto che tutti i posti erano esattamente
come 1'ultimo. Mi domandai perché non ero rimasto dov'ero
(una settimana prima, a mille miglia da lì) e se non
sarebbe stato più furbo tornare indietro. Ovviamente
non mi avevano fatto un gran bene, laggiù. Erano troppo
pieni, troppo a corto di personale, troppo al verde. Ma con
me erano stati davvero gentili e se non mi fosse venuta quella
dannata smania, se loro non mi avessero reso tanto semplice
scappare... Era cosi facile, capito, veniva quasi da pensare
che volessero che io lo facessi.
Avevo semplicemente attraversato i campi ed ero entrato nel
bosco. E quando spuntai sulla statale dall'altra parte, c'era
un tale che cambiava una gomma alla macchina. Non mi vide. Non
ha mai saputo che cosa 1'abbia colpito. Lo trascinai tra gli
alberi, presi i settanta verdoni che aveva addosso ed entrai
a piedi in città. Passai il confine di Stato su un treno
merci e da allora ho sempre viaggiato... No, non ho fatto davvero
male a quel tizio. Con gli anni sono diventato un po' più
brusco e violento, ma di rado ho davvero fatto del male a qualcuno.
Non ne ho avuto bisogno.
Contai i soldi che avevo in tasca, sommandoli mentalmente agli
spiccioli lasciati al bar. Quattro dollari. Poco meno di quattro
dollari. Forse, pensai, forse dovrei tornare indietro. Secondo
i dottori stavo facendo qualche progresso. Io non riuscivo a
vederlo, ma...
Era difficile immaginare che sarei tornato indietro. Non potevo.
Quel tale non mi aveva visto mentre lo colpivo, ma col fatto
che me l'ero squagliata più o meno a quell'ora, probabilmente
sapevano che ero stato io. E se fossi tornato indietro mi avrebbero
affibbiato la colpa. Non avrebbero potuto fare altrimenti. Probabilmente
non avrebbero nemmeno denunciato la mia fuga. A meno che uno
sia pazzo o una specie di pezzo grosso - uno in vista, capito
- è raro che lo denuncino. E’ una brutta pubblicità
per 1'istituto e comunque, in genere, alla gente non interessa.
Uscii dal bagno e tornai al bar. C'era una grossa giardinetta
parcheggiata davanti all'ingresso e una donna era seduta sullo
sgabello accanto al mio. Non mi sembra un granché, sul
momento. Ma quella giardinetta si, era bella sul serio. Le feci
un cenno educato con la testa e sorrisi allo specchio, sedendomi.
- Giornata piuttosto calda esclamai. - Fa proprio venire sete,
vero? -
Lei girò la testa e mi guardò. Prendendo tempo.
Osservandomi molto attentamente da capo a piedi.
- Be', le dirò una cosa su questo -
disse. - Se le interessa davvero, le spiegherò la mia
teoria sull'argomento. -
- Certo che m'interessa. Mi piacerebbe sentirla. -
- E’ un pronome - fece. - Anche avverbio. congiunzione
e aggettivo. -
Si voltò dall'altra parte, tornando a prendere il suo
bicchiere. Io sollevai la mia birra, con la mano che tremava
un po'.
- Che giornata - ripresi, quasi ridendo tra me. - Stavo andando
a sud con questo amico mio, Jack Billingsley - scommetto che
li conosce, i Billingsley, grande famiglia nel settore immobiliare
- e il motore della macchina si è spento. Sono tornato
a piedi a un'officina per chiedere aiuto. Sicché torno
con il carro attrezzi, e che io sia dannato se quel pazzo di
Jack non se n'è andato. Dev'essere successo che... -
- ... Jack ha fatto partire la macchina da solo - concluse lei.
- Ecco cos'è successo. Ha cominciato a cercarla e in
qualche modo vi siete superati a vicenda sulla statale. Ora
lui non sa dov'è lei e lei non sa dove si trova lui.
-
Finì il suo drink, un martini doppio, e fece cenno al
barista. Lui ne preparò un altro, dandomi una lunga,
intensa occhiataccia mentre glielo piazzava davanti.
- Quel dannato pazzo di un Jack - dissi, ridendo e scuotendo
la testa. - Mi chiedo dove diamine possa essere. Dovrebbe sapere
che sarei venuto in un posto come questo ad aspettarlo.
- Forse ha avuto un incidente - replicò lei. - In effetti,
mi pare di aver letto qualcosa. -
- Eh? Ma non poteva... -
Eh, già. Lui e una signorina di nome Jill. L'hai letto
anche tu, vero Bert? -
- Già. - Il barista continuava a fissarmi. - Già,
l'ho letto. Sono messi male, mister. Hanno la testa fracassata.
Fossi
in lei non starei tanto ad aspettarli. -
Feci il finto tonto, un tonto di buon carattere. Dissi che certo
non li avrei aspettati ancora per molto. - Penso che mi farò
ancora una birra, e se non si fa vedere me ne torno in città
e prendo un aereo.-
Mi versò un'altra birra. Mi accinsi a bere e gli occhi
presero a bruciarmi, sorpreso dalla sensazione di essere in
trappola. Sapevano chi ero, e a restare lì non ci guadagnavo
niente. Ma, chissà come, non potevo andarmene. Non potevo
più di quanto avrei potuto lasciare l'Orso-gatto di Burlington
quella sera, anni prima. Anche l'Orso-gatto era stato scorretto
con me, mi aveva chiuso in una presa durissima e mi prendeva
a male parole, di ogni tipo. Insisteva, proprio come stavano
insistendo loro. Non riuscii a lasciarlo, come non riuscivo
a lasciare loro, e non riuscii a farlo smettere, come non riuscivo
a far smettere loro.
Mi tornò tutto in mente con la chiarezza di una luce
al neon. Le luci mi bruciavano gli occhi. La polvere di resina,
1'odore birroso dell'ammoniaca mi stavano soffocando. E al di
sopra del ruggito della folla, potevo sentire quell'unica voce
che strillava selvaggiamente. - Fermatelo! Fermatelo! Gli sta
facendo uscire le cervella! E’ un assassinio, ASSASSINO!
-
Sollevai il bicchiere e finii la birra in un sol sorso. Avrei
voluto potermene andare. Avrei voluto che mi lasciassero in
pace. Ma non sembrava che ne avessero l'intenzione.
- A proposito di aerei - stava dicendo la donna. - Ho sentito
una storiella divertentissima su un tizio in aereo. Giuro, credevo
di morire dal ridere quando... - Si interruppe, ridendo, portandosi
il fazzoletto alla bocca.
- Perché non gliela racconti? - ghignò il barista,
volgendo di scatto la testa verso di me. - Le va di sentire
una storia davvero divertente, mister, vero? -
- Be', si. Una bella storia mi piace sempre. -
- D'accordo, - disse lei - la farà morire dal ridere.
Pare che ci fosse un vecchio con una lunga barba grigia che
aveva preso l'aereo da Los Angeles a San Diego. Il biglietto
costava quindici dollari ma lui ne aveva soltanto dodici, così
l'hanno sganciato su Oceanside. -
Attesi. Non disse altro. Alla fine, chiesi: - Si, signora? Scusi,
ma il nocciolo dov'e? -
- Be', provi a mettersi una mano sulla testa. Magari lo sentirà.-
Mi sorrisero entrambi. II barista agitò il pollice verso
la porta. - Okay, amico. Sparisci. -
Ma non ho fatto niente. Mi sono comportato bene. Non ha il diritto
di...-
- Smamma! - sbottò.
- Non ho chiesto niente - dissi. - Sono venuto qui ad aspettare
un amico, e sono pulito e ho un aspetto rispettabile e sono
educato. E... sono un ex combattente e ho frequentato il college
- ho fatto un anno e mezzo di college e... e...-
Mi si stavano gonfiando le vene della gola. Cominciavo a vedere
tutto rosso, sfocato, fumoso.
Udii una voce, la voce della donna, che diceva: - Ah, calmati,
ragazzo. Non andare su di giri, giovanotto.- E da quel che riuscivo
a vedere attraverso la nebbia, non era cosi male. Ora sembrava
piuttosto dolce e graziosa, una persona che ti piacerebbe avere
come amica.
Il barista si stava allungando verso di me sopra il bancone.
- No, Bert! Lascialo stare! - disse lei, poi lanciò un
grido. Perché lui mi aveva afferrato il davanti della
camicia, e a quel punto io afferrai lui. Gli serrai un braccio
intorno al collo e lo trascinai in mezzo al bancone. Lo colpii
tanto forte da farmi male al polso.
Lo lasciai andare. Scivolò giù, dietro il bancone,
e io fuggii.
***
la fine…
[...] Risi, interrompendola. - Ti ho proprio
infinocchiata a puntino, eh? Be', niente di strano, con tutta
1'esperienza che
ho. Ho cominciato quasi quindici anni fa... Ero accusato di
omicidio, capito, e fu l'unica cosa che mi venne in mente. Così
entrai nella parte e la parte mi levò dai guai. E poi
entrai nell'esercito e mi levò da lì. Sembrava
un affare talmente conveniente, che cominciai a fare la parte
a tempo pieno. -
Quale parte? - domandò lei. - C-che stai dicendo?-
La pazzia. - Risi ancora. - Per la miseria, è meglio
della pensione. Potevo andarmene in giro e fare quel che mi
pareva, facendo la parte dello stupido e andandoci giù
pesante quando la gente ci cascava. Poi, ogni volta che mi stancavo,
mi facevo rinchiudere per un po' in qualche istituto. Quei posti
sono una favola, sai; una specie di country club di gran classe.
Una fantastica stanza privata e tutto quello che vuoi da mangiare.
E dovresti vedere come si fanno in quattro per servirti. Diamine,
sono stato in un posto dove c'era un'infermiera per ogni paziente.
Veramente carine, per tenerti su il morale e farti star bene...-
Caricai più che potevo. Ridendo e scherzandoci su. Sbattendoglielo
in faccia senza pietà. E all'inizio Fay cercò
di interloquire un paio di volte, poi si limitò ad ascoltare,
immobile. E gradualmente avvertii in lei un cambiamento. Sentii
l'ultimo scampolo di incertezza lasciare spazio a freddezza,
odio e disgusto.
- Non so perché la gente non si fa mai furba - dissi.
- Tu fai ogni sorta di cose per tradirti, per dimostrare, capito,
che sai badare a te stesso più che bene. Ma pare che
non vogliano mai saperne di afferrare l'idea. Continuano a credere
alla recita e a dispiacersi per te. -
Ridacchiai e accesi una sigaretta. Tenni il fiammifero acceso
per un istante, mentre prendevo la pistola dalla tasca e controllavo
la camera di scoppio. - Bene, credo che ora la farò finita.
-
Come mi aspettavo, tentò freneticamente di afferrare
la pistola. La tirai indietro, poi la puntai avanti all'improvviso.
Fay gridò come aveva fatto quella volta, a casa.
- Non ti ucciderò. Ti lascerò soltanto un bel
segno, come se avessi avuto una colluttazione. Stavo cercando
di impedirti di uccidere il ragazzo, capito, ed è partito
un colpo accidentalmente. -
- N-no - singhiozzò. - Fai quello che vuoi a me, ma non
ucciderlo. -
- Ah, questa è una buona idea. E’ meglio che scaricare
il moccioso e mollarlo semplicemente qui. Dopotutto era la pistola
di zio Bud e tu lo sapevi molto prima di me.-
Mi voltai sul sedile e aprii la portiera. Feci scivolare nuovamente
la pistola verso la tasca posteriore, ma non ce la infilai.
La lasciai proseguire oltre 1'orlo, come se avessi mancato la
tasca senza accorgermene, e finì sul sedile. Poi uscii,
voltandole le spalle.
Vi fu una sola, tremenda esplosione e caddi in avanti sull'argine
del torrente.
Tutto fu silenzio per un istante. Poi sentii Fay che si precipitava
fuori dall'auto e tirava fuori il ragazzo. Scappava incespicando
con lui, i passi sempre più impercettibili... E poi svanirono
del tutto. E io rimasi dov'ero, incapace di girarmi, il volto
premuto contro il suolo. Ed era lì che doveva essere,
pensai, proprio dov'era sempre stata. E questo - questo, quanto
era successo - era come doveva essere. Lei doveva odiarmi. Fay
doveva continuare a odiarmi, a pensare di me quello che pensava,
finché fosse vissuta. E... e anche quello doveva essere
così.
Ma avrei voluto che restasse ancora un poco. Soltanto un po',
il minuto o due che ancora mi rimanevano. E se avesse voluto
dirmi cattiverie o sconcezze, mi sarebbe andato bene, perché
era solo il suo modo di fare, capito. Fay era solo... Se solo
avesse...
- Razza di tontolone! Non riusciresti a vendere cianuro a una
colonia di suicidi!-
- Sto soltanto aspettando tuo amico. Forse lo conoscete, Jack
Billingsley? La grande famiglia del settore immobiliare. Stavamo
andando in California, e...-
- California, eh? Be', New York. sto arrivando!-
- La macchina Si è guastata e sono andato a cercare aiuto,
e penso che quel dannato pazzo di Jack Billingsley...-
- lmbecille! Stupido! Cagnolone! Fammi bau. Rotola e fai qualche
giochino... -
... Sorrisi, perché davvero lei non
diceva sul serio, sapete. Abbaiai, credo che suonasse in quel
modo, forse; e il mio corpo sussultò, rotolò un
poco. E poi mi fermai.
Insomma, mi fermai del tutto, e basta.
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