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Lou
Ford è il vicesceriffo di una piccola città del
Texas. La cosa peggiore che si può dire di lui è
che è un po' noioso, un po' troppo lento, a volte saccente.
Ma nessuno immagina il suo male nascosto, quella malattia che
lo ha quasi rovinato quando era giovane. E quel male è
di nuovo sul punto di tornare in superficie, irrefrenabile e
violento. Perché la vita non ha niente da dare agli uomini
come Lou, se non brevi momenti di feroce energia sempre raggelati
dall'oceano nero del destino. "Se il buon Dio ha commesso
un errore, con noi esseri umani, è quello di farci desiderare
di vivere anche quando abbiamo ben poche scuse per farlo..."
Pubblicato originariamente nel 1952, L'assassino che è
in me è stato incluso dalla prestigiosa Library of America
nel volume dedicato al noir americano degli anni Cinquanta,
insieme a opere di Patricia Highsmith e di David Goodis, ed
è considerato uno dei più travolgenti e coraggiosi
romanzi noir mai scritti". Narrato dal punto di vista di
un personaggio in apparenza normale ma intimamente violento
e sanguinario, il romanzo esplora l' inferno privato di uno
psicopatico attraverso una narrazione audace e innovativa. Dopo
averlo letto nel 1955, Stanley Kubrick assume Thompson come
sceneggiatore, e con lui scriverà due film: Rapina a
mano armata e, due anni più tardi, Orizzonti di gloria.
L'assassino che è in me è un testo centrale dell'opera
di Jim Thompson, il romanzo che ha sancito il culto noir dello
scrittore americano.
***
l'inizio...
Avevo finito la torta e stavo prendendo una
seconda tazza di caffè quando lo vidi. Il treno merci
di mezzanotte era arrivato da pochi minuti e lui stava sbirciando
dentro il ristorante da un lato della vetrina, quello più
vicino alla stazione, riparandosi gli occhi con la mano e battendo
le palpebre per la luce. Vide che lo guardavo e il suo volto
tornò a svanire nell'oscurità. Ma sapevo che era
ancora lì. Sapevo che stava aspettando. I barboni mi
prendono sempre per un bersaglio facile.
Accesi un sigaro e scivolai via dallo sgabello. La cameriera,
una ragazza arrivata di fresco da Dallas, mi osservò
mentre mi abbottonavo la giacca. «Ma come, non ha nemmeno
una pistola!» disse, come se mi stesse comunicando una
notizia.
«No» sorrisi. «Nessuna pistola, nessun manganello,
niente del genere. Perché dovrei?»
Ma lei è un piedipiatti... Un vicesceriffo, cioè.
E se qualche mascalzone cerca di spararle?»
Di mascalzoni non ne abbiamo molti qui a Central City, signorina»
risposi. «Comunque le persone sono sempre persone, anche
quando vanno a finire un po' fuori strada. Se tu non fai male
a loro, loro non ne fanno a te. Ascoltano la voce della ragione.»
Lei scosse la testa, gli occhi spalancati pieni di rispetto
e soggezione, e io mi diressi con calma verso l'uscita. II proprietario
rifiutò i miei soldi e ci piazzò sopra un paio
di sigari. Mi ringraziò di nuovo per essermi preso a
cuore suo figlio.
« Ora è un ragazzo diverso, Lou » disse,
pronunciando le parole una in fila all'altra come fanno gli
stranieri. «La notte sta a casa; a scuola se la cava bene.
E parla sempre di te: che brav' uomo che è il vicesceriffo
Lou Ford. »
« Non ho fatto niente » commentai. «Gli ho
soltanto parlato. Mostrato un po' d'interesse. Chiunque avrebbe
potuto fare altrettanto. »
«No, solo tu » ribattè. « Dato che
tu sei un buono, fai diventare buoni anche gli altri.»
E con questo era pronto a chiudere il discorso, ma io no. Appoggiai
un gomito sul bancone, incrociai un piede dietro l'altro e aspirai
una lunga, lenta boccata dal sigaro. Quel tipo mi piaceva (almeno
quanto mi piace la gente in genere) ma era troppo buono per
lasciarlo così. Educato, intelligente: quei tipi sono
il mio pane.
« Be', ascolta» feci con voce strascicata. «
Per come la vedo io, uno dalla vita non ricava più di
quanto ci mette. »
« Uhm » fece lui, irrequieto. « Penso che
tu abbia ragione, Lou. »
« Ci pensavo l'altro giorno, Max; e all'improvviso mi
è venuto un pensiero stramaledetto. Chiaro come il cielo
sereno: il bambino è il padre dell'uomo. Proprio così.
II bambino è il padre dell'uomo.»
Sul suo volto il sorriso cominciò a farsi teso. Sentivo
le sue scarpe scricchiolare mentre si contorceva. Se c'è
qualcosa di peggio di un seccatore, è un seccatore sentenzioso.
Ma come si fa a cacciar via una persona gentile e cordiale che
ti darebbe anche la camicia, se gliela chiedessi?
«Credo che avrei dovuto fare il professore universitario
o qualcosa del genere» dissi. « Perfino quando dormo
penso a risolvere problemi. Prendi quell'ondata di caldo di
qualche settimana fa; un sacco di gente pensa che sia colpa
del calore. Ma non è così, Max. Non è il
calore, ma l'umidità. Scommetto che non lo sapevi, eh?
»
Si schiarì la gola e borbottò qualcosa sul fatto
che era desiderato in cucina. Finsi di non averlo sentito.
«Un'altra cosa, a proposito del tempo» continuai.
«Tutti ne parlano, ma nessuno fa niente. Ma forse è
meglio così. Non tutti i mali vengono per nuocere, almeno
così la penso io. Cioè, se non ci fosse la pioggia
non ci sarebbero gli arcobaleni, dico bene? »
«Lou... »
«Be', » dissi «forse è meglio se mi
levo di torno. Ho un bel po' di giri da fare e non mi va di
correre. Chi va piano va sano e va lontano, secondo me. Mi piace
riflettere prima di agire. »
Le stavo tirando dentro per i capelli, ma non potevo trattenermi.
Colpire la gente in quel modo è quasi come farlo nell'altro,
quello vero. Il modo in cui avevo lottato per dimenticare (e
avevo quasi dimenticato) finché non l'avevo incontrata.
Stavo pensando a lei quando uscii nella fresca notte del Texas
occidentale e vidi il barbone che mi aspettava.
***
frammenti
Alla fine dissi: - Vorrei che non l'avessi
fatto, Johnnie. E’ stato uno sbaglio. -
- Cioè, se la prenderanno?- grugnì. - Vadano al
diavolo. Non significano niente per me, ma tu sei un tipo giusto.
-
- Sicuro? - domandai. - Come fai a saperlo, Johnnie? Come si
fa a sapere davvero qualcosa? Viviamo in un mondo strambo, ragazzo
mio, una civiltà bizzarra. Dove la polizia fa la parte
dei lestofanti e i lestofanti fanno le veci della polizia. I
politici sono predicatori e i predicatori sono politici. Gli
esattori delle imposte incassano per se. I Cattivi vogliono
che abbiamo più grano e i Buoni combattono per impedircelo.
Non è un bene per noi, capisci cosa intendo? Se tutti
mangiassimo tutto quel che ci pare, si cagherebbe troppo. Si
inflazionerebbe l'industria della carta igienica. E così
che la intendo io. A questo si riducono certe discussioni che
ho sentito. -
Ridacchio e lascio cadere in terra il mozzicone di sigaro. -
Caspita, Lou. Mi piace un sacco sentirti parlare, non ti avevo
mai sentito parlare così, ma si sta facendo tardi e…-
- Gia, Johnnie, - continuai - è un mondo incasinato,
che sta andando a puttane, e ho paura che tale resterà.
E ti dico perché. Perché nessuno, quasi nessuno,
ci vede niente di strano. Non vedono che è incasinato,
quindi non si preoccupano. Invece si preoccupano dei ragazzi
come te.
- Si preoccupano dei tipi che si fanno volentieri un bicchierino.
Che si trovano un pezzo di fica senza pagare un predicatore.
Che sanno cosa lì fa star bene e non si lasciano persuadere
a rinunciarci... Voialtri non gli piacete, e vi schiacciano.
E da quel che vedo, vi schiacceranno sempre più forte,
man mano che passa il tempo. Mi chiedi perché resto al
mio posto, sapendo come stanno le cose, ed è difficile
da spiegare. In un certo senso, credo di essere a cavallo di
un muro, Johnnie.
13.
Ho ciondolato per strada qualche volta, appoggiato
alla facciata di un negozio col cappello tirato indietro e gli
stivali incrociati - diavolo, probabile che mi abbiate visto
se siete mai passati di qua - fermo così, con un'aria
simpatica e cordiale e stupida, di uno che non piscerebbe nemmeno
se gli andassero a fuoco le braghe. E intanto, dentro, mi sbellico
sempre dal ridere. Solo a guardare la gente.
Capito cosa voglio dire: le coppie, i mariti e le mogli che
si vedono passeggiare insieme. Donne alte e grasse e uomini
piccoli e pelle e ossa. Donne minute e tipi grandi e grossi.
Signore dalle lunghe mascelle e uomini senza mento. Portenti
dalle gambe a 0 e miracoli dalle gambe a X. E... Ho riso, dentro,
fino a star male. E’ bello quasi come capitare a un pranzo
della Camera di Commercio dove uno si alza, si schiarisce la
gola un paio di volte e dice: Signori, non ci si può
aspettare di ricavare dalla vita più di quanto ci si
mette...- (Quale sarà la proporzione?) E penso che quelli,
la gente, quella gente male assortita, non siano roba di cui
ridere. Sono tragici, in realtà.
Non sono stupidi, non più della media, comunque. Non
si sono legati l'uno all'altro solo per far fare due risate
ai buffoni come me. La vita gli ha giocato uno scherzo del diavolo.
C'è stato un tempo, forse solo pochi minuti, in cui tutte
le loro differenze sono sembrate svanire e ciascuno è
stato esattamente come l'altro desiderava; quando si sono guardati
proprio al momento giusto, nel posto giusto, nell'occasione
giusta. E tutto era perfetto. Hanno avuto quel momento, quei
pochi minuti, e poi più niente. Ma finché è
durato...
... Tutto sembrava uguale a sempre. Le tendine erano tirate
e la porta del bagno era socchiusa, quel tanto da lasciar entrare
un po' di luce; e lei era sdraiata a pancia in giù e
dormiva. Era tutto uguale... Ma non lo era. Era uno di quei
momenti.
Si svegliò mentre mi spogliavo; qualche moneta mi cadde
di tasca e rotolò contro il battiscopa. Si rizzò
a sedere, stropicciandosi gli occhi, pronta a dire qualcosa
di brusco. Ma per qualche ragione, invece, sorrise e io ricambiai
il sorriso. La presi tra le braccia, sedetti sul letto e la
tenni stretta. La baciai, la sua bocca si aprì un poco
e le sue braccia mi si chiusero attorno al collo.
Così era cominciata. Così andava.
Finché, alla fine, restammo stesi vicini, fianco a fianco,
ciascuno col braccio sul bacino dell'altro, spossati, sfiniti,
quasi senza fiato. Eppure ci volevamo ancora, volevamo qualcosa.
Come fosse l'inizio, invece della fine.
Lei si rannicchiò con la testa sulla mia spalla, ed era
piacevole. Non mi veniva voglia di spingerla via. Mi sussurrò
nell'orecchio, con cadenza infantile.
- Sono arrabbiata con te. Mi hai fatto male. -
- Davvero? - dissi. - Diamine, mi dispiace, tesoro.-
- Tanto male. Proprio qui. Ci hai ficcato il gomito dentro.
- 0h, diamine...-
Mi baciò, staccò delicatamente la bocca
dalla mia.
***
Tornai in città e credo sia stato allora
che mi sono arreso, più o meno. Era inutile. Avevo fatto
tutto quel che potevo. Gliel'avevo spiattellato sotto il naso.
Ed era stato inutile. Non volevano vederlo.
Nessuno mi avrebbe fermato.
Così, sabato sera, 5 aprile 1952, pochi minuti prima
delle nove, io...
Ma credo di dovervi dire ancora un paio di cosette, prima, e...
Ma si, ve le dirò. Voglio raccontarvi, e vi racconterò,
esattamente com'è andata. Non lascerò che ve lo
immaginiate da soli.
In un sacco di libri che ho letto, sembra che l'autore vada
in tilt ogni volta che arriva a un momento cruciale. Comincia
a trascurare la punteggiatura, a buttar giù le parole
tutte insieme e a blaterare di fulgide stelle nel cielo e di
inabissarsi in un profondo mare senza sogni. E non riesci a
capire se l'eroe si sta portando a letto la sua ragazza o la
borsa dell'acqua calda. Forse quel genere di stronzate dovrebbero
essere roba profonda... Un mucchio di critici se le bevono,
ho notato. Ma per come la vedo io, lo scrittore è solo
troppo schifosamente pigro per fare il proprio mestiere. E io
sarò anche un sacco di cose, ma non sono pigro. Vi dirò
tutto quanto.
Ma voglio che tutto sia nel giusto ordine. Voglio che capiate
com'è andata.
Sabato pomeriggio sul tardi, presi in disparte Bob Maples per
un minuto e gli dissi che quella sera non avrei potuto lavorare.
Dissi che Amy e io avevamo qualcosa di assai importante da fare
e forse non sarei tornato lunedì e nemmeno martedì;
e gli strizzai l'occhio.
- Be', ecco - esitò, accigliandosi. - Be', ecco, non
pensi che magari...- Poi, mi afferrò la mano e me la
strizzò.
- E’ proprio una bella notizia, Lou. Proprio bella. So
che sarete felici insieme. -
- Cercherò di non stare via troppo - dissi. - Mi pare
che le cose siano, be', un po' per aria e...-
- No, non è vero - obiettò, spingendo in fuori
il mento. – E’ tutto a posto e ci resterà.
Ora va' e dai un bacio a Amy da parte mia, e non preoccuparti
di niente. -
Non era ancora proprio sera, sicché andai fino a Derrick
Road e mi parcheggiai lì per un po'.
Quindi tornai a casa, lasciando l'auto posteggiata di fronte,
e preparai la cena.
Mi sdraiai sul letto per un'oretta, lasciando che la cena si
assestasse. Riempii d'acqua la vasca e ci entrai.
Rimasi nella vasca per quasi un'ora, a mollo a fumare e pensare.
Infine uscii, guardai l'orologio e cominciai a tirar fuori i
vestiti.
Preparai la valigia rigida e strinsi le cinghie. Mi infilai
la biancheria pulita, i calzini e i pantaloni stirati di fresco
e gli stivali della domenica. Lasciai stare camicia e papillon.
Mi sedetti sul bordo del letto a fumare fino alle otto. Poi
andai di sotto, in cucina.
Accesi la luce nella dispensa, muovendo la porta avanti e indietro
finché non fu come volevo. Finché non vi fu luce
appena sufficiente in cucina. Mi guardai attorno, assicurandomi
che tutte le tendine fossero tirate, e andai nello studio di
papà.
Tirai giù la Concordanza della Bibbia e tolsi i quattrocento
dollari in banconote segnate. I soldi di Elmer. Buttai sul pavimento
i cassetti della scrivania di papà. Spensi la luce, chiusi
quasi completamente la porta e tornai in cucina.
Il giornale della sera era aperto sul tavolo. Vi feci scivolare
sotto un coltello da macellaio e... E fu allora. La sentii arrivare.
***
la fine...
Sentii un'auto fermarsi sul vialetto. Sentii sbattere
un paio di portiere. Li sentii attraversare il giardino, salire
le scale, passare sulla veranda. Sentii aprirsi la porta d'ingresso;
ed entrarono. E la cenere si era consumata, la sigaretta si
era spenta.
La posai nel piattino e alzai gli occhi.
Prima, guardai dalla finestra della cucina i due tipi là
fuori. Poi guardai loro:
Conway e Hendricks, Hank Butterby e Jeff Plummer. Due o tre
tizi che non conoscevo.
Indietreggiarono, tenendomi d'occhio, lasciandola passare davanti
a loro. La guardai.
Joyce Lakeland.
Aveva al collo un'ingessatura che le arrivava fino al mento
come un collare e camminava con la schiena rigida, a scatti.
La faccia era una maschera bianca di garza e cerotto e non se
ne vedeva granché, a parte gli occhi e le labbra. E stava
cercando di dire qualcosa - le labbra si muovevano - ma non
aveva una vera e propria voce. Riuscì a malapena a uscirsene
in un sussurro.
- Lou... Non ho ... -
- Certo - dissi. - Non ho mai pensato che l'avessi fatto, piccola.
-
Continuava a venirmi incontro e mi alzai, il braccio destro
sollevato come per passarmi la mano tra i capelli.
Sentii la mia faccia che si contorceva, le labbra che si ritraevano
dai denti. Sapevo che aspetto dovevo avere, ma a lei pareva
non importare. Non aveva paura. Cosa aveva da temere?
- ... così, Lou. Non così ...-
- Certo, non puoi - dissi. - Non vedo proprio come potresti.
-
-... comunque non senza... -
- Due cuori che battono come uno solo - dissi. - D-due... ah,
ah, ah... due... ah, ah, ah, ah, ah, ah, ah... due... G-gesù
Cri... ah, ah, ah, ah, ah, ah... due... Gesù... -
E balzai su di lei, mi mossi verso di lei proprio come avevano
pensato che avrei fatto. Quasi. E fu come se avessi dato il
segnale, il modo in cui il fumo all'improvviso cominciò
a spandersi dal pavimento. E la stanza esplose di spari e grida
e io sembrai esplodere con lei, gridando e ridendo e... e...
Perché non avevano afferrato il punto. Lei invece l'aveva
afferrato tra le costole, insieme alla lama. E tutti vissero
felici e contenti, credo, e questo, credo, è tutto.
Già, penso sia tutto, a meno che la nostra razza non
abbia un'altra chance in quell'Altro Posto. La nostra razza.
Noi gente.
Tutti noi che abbiamo cominciato la partita con una stecca storta,
che volevamo così tanto e abbiamo avuto così poco,
che avevamo intenzioni tanto buone e abbiamo fatto tanto male.
Tutti quanti noi. Io e Joyce Lakeland, e Johnnie Pappas e Bob
Maples e il buon vecchio Elmer Conway e la buona piccola Amy
Stanton. Tutti noi.
Tutti noi.
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