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- Tornerò
per farti fuori (Cropper's cabin)
pag.135-270
- Una libertà molto condizionata (Recoil)
pag.271-410
Tornerò
per farti fuori
l’inizio…
Il pomeriggio volgeva alla fine e io sapevo
che lei mi stava aspettando come tutte le sere, nella sua macchina
nascosta nel punto più folto del saliceto. Era un pensiero
che mi rallegrava.
Si chiamava Donna. Era una mezzosangue: un quarto di sangue
indiano e tre quarti di sangue bianco. Il dosaggio ideale per
ottenere dei buoni soggetti. Quanto poi a essere bella, lo era;
e poteva anche farmi avere un sacco di scocciature, se qualcuno
avesse scoperto la faccenda.
Stavo per finire il mio lavoro e cominciavo a sentir salire
in me quello stato d'animo che mi prende ogni volta che ho la
luna di traverso. Può darsi che ne sappiate qualcosa
anche voi: si è quasi portati a sperare che qualcuno
vi dica una parola storta per poter saltargli addosso.
Riposi le copie che avevo riordinate in una cartelletta su cui
c'era scritto:
SIGNORINA TRUMBULL
dipartimento d'inglese
Collegio municipale
Contea di Burdock (Oklahoma)
e la infilai nel cassetto in alto della scrivania
della signorina Trumbull. Non so come, una copia sfuggì
dalla cartelletta e finì a volo planato nel cestino delle
cartacce. E nel ricuperarla scorsi quel panino, o meglio quel
pezzo di panino, in fondo al cestino. Era ripieno di pesce con
insalata, e sopra c'erano tracce di rossetto e di saliva. Ma
era maledettamente appetitoso. Lo presi e grattai via le tracce
di saliva e di rossetto. In quel momento la porta della classe
si spalancò, e io mi cacciai il panino in tasca.
Era Abe Toolate, il custode. Mi alzai, cercando di sorridere.
Si avvicinò, fissandomi coi suoi occhietti suini, e venne
a piantarsi davanti a me, talmente vicino da soffiarmi nelle
narici il suo alito puzzolente di alcol; allungò una
delle sue grosse zampe villose dalla pelle bronzea.
- Ti ho visto - gracchiò. - Dammelo.
- Che cosa? - domandai.
- Quello che hai nascosto in tasca. Da un pezzo mi chiedevo
chi era che rubava nelle classi, la sera.
Per poco non gli risi in faccia, perché era certamente
l'unica persona della scuola a chiederselo. Tutti gli altri
lo sapevano perfettamente, e Abe sarebbe stato buttato fuori
da tempo se non avesse avuto dei parenti nel consiglio di amministrazione.
- Dammelo - ripeté.
- Levati - replicai. - Aria, Abe! E alla svelta.
- Qual è il tuo nome, giovanotto? - ghignò (come
se non lo conoscesse!) - Cosa fai qui?
Mi andò il sangue alla testa. Sapeva meglio di me che
cosa facevo la! Da quasi quattro anni, da quando cioè
ero matricola, raccoglievo le copie per la signorina Trumbull.
Mi mossi diretto verso di lui costringendolo a indietreggiare
e a battere in ritirata verso lo spogliatoio; la sua fronte
si imperlò di sudore.
- Suvvia, Tom-Tommy... - balbettò. - Non volevo.
- Tommy? Mi sembri un po' troppo confidenziale, Abe. Non volevi
dire, per caso, "signor Carver"?
-S!... signor Carver...
Per poco non si strozzò nel vedersi costretto a chiamare
"signore" il figlio di un pidocchioso bianco, di un
volgare mezzadro.
Lo feci entrare nello spogliatoio e lo guardai fisso. Era maledettamente
a disagio, ve lo garantisco io. E poi cominciai a calmarmi.
Avrei voluto appianare la cosa, ma era troppo tardi. Dopo averlo
obbligato a chiamarmi "signore", non c'era più
speranza di arrangiare le cose. Perciò presi il mio maglione,
quello della squadra di football con le grosse lettere CBC di
traverso sul petto, e me ne andai.
Scesi le scale e uscii dalla porta principale, pensando che
l'orgoglio era veramente una buffa cosa: nonché la fonte
di molte scocciature.
Ora che l'ira era un po' sbollita, mi rendevo conto che Abe
aveva certamente visto ciò che mi ero infilato in tasca.
Aveva cercato di ferirmi nell'orgoglio, di gonfiarsi umiliando
un altro, e io lo avevo ripagato con la stessa moneta. E adesso,
o meglio domani, sarebbero incominciati i guai. Abe si sarebbe
subito precipitato a piangere sulla spalla del direttore e io
non avrei potuto mai confessare che ero stato sul punto di mangiare
i resti della colazione della signorina Trumbull.
Cavai di tasca il panino e lo lasciai cadere sui gradini del
portico; poi mi annodai le maniche del maglione intorno al collo,
e attraversai il cortile.
Era quasi notte, ormai, ma una volta passata la curva, sulla
strada del fiume, vidi la Cadillac nuova di Donna Ontime, ferma
sotto i salici. Donna doveva avermi scorto nello stesso istante,
poiché diede due piccoli colpi di clacson. Proseguii
allegramente, benché non mi facessi illusioni su ciò
che mi sarebbe capitato se papà ci avesse pescati insieme.
2
Prima di proseguire, sarà bene che spieghi
che, nell'est dell'Oklahoma, si trovano molti nomi come Toolate
e Ontime. In quella regione quasi tutte le terre appartenevano
un tempo alle Cinque tribù civili. Voglio dire che erano
le tribù stesse a possedere le terre, non i membri delle
tribù. Non era un cattivo sistema, all'epoca dei territori,
ma perché l'Oklahoma potesse diventare uno stato federale
bisognava che le terre venissero spartite. Non potevano rimanere
com'erano. Perciò ecco come procedette il governo. Fissò
una certa ora, un certo giorno, e tutti i bambini nati prima
di quel momento ricevettero una parte del dominio tribale. Una
concessione, come la chiamarono. Ma quelli nati dopo l'ora,
anche solo un minuto dopo, non ricevettero un bel niente. Divennero
dei poveri morti-di-fame d'indiani, salvo quelli che le famiglie
decisero di raccogliere.
Ecco l'origine dei nomi come Toolate e Ontime, ossia tardivo
e tempestivo, e di un sacco d'altri che sono stati talmente
deformati che non si riconoscono più.
Abe Toolate era nato dopo l'ora della concessione, e la sua
famiglia aveva capito prestissimo che era un buono a nulla che
non meritava di ereditare niente.
***
La fine…
Sospirai e sentii le mie spalle raddrizzarsi.
Avevo l'impressione che mi fosse stato tolto dalla schiena un
peso immenso. - Grazie - dissi. - Molte grazie, papà.
- Eh? Dove vai? Che cosa pensi? Se esci da quella porta, io...
- Non so dove vado - risposi. - Ne cosa farò. - Ti denuncerò!
Scrivi a quell'indiana, altrimenti...
- Vado a cercare lavoro. Ti manderò un po' di denaro
quando potrò. Ma non cercare mai più di rivedermi.
Non rivolgermi nemmeno la parola, se mi incontri per strada.
Varcai la soglia inseguito dalla sua voce aspra. - Vedrai! Io
ti...
Ma non fece nemmeno un gesto per seguirmi e il suo urlare immediatamente
cessò.
Mi avviai attraverso l'erba, e ogni passo faceva aumentare di
un milione di chilometri la distanza che ci separava.
Mi sentii vuoto, ma non avevo fame; ero stanco, ma non volevo
riposare.
Proseguii in mezzo alle erbacce, in direzione della strada.
[…]
Arrivai sulla strada. Senza rendermene conto
avevo incominciato a sorridere, ma il sorriso mi si raggelò
subito sulle labbra.
Fino a quel momento le erbacce mi avevano impedito di vedere
la strada, e quindi non avrei saputo dire da quanto tempo la
macchina era là. Non sapevo per quanto tempo Donna mi
aveva aspettato. E nulla, nella sua espressione, mi permetteva
di indovinare perché era venuta e perché mi aveva
atteso. Per rompere definitivamente con me, forse. A meno che
non fosse il contrario, e che fosse venuta per dirmi che tutto
era dimenticato. Probabilmente non lo sapeva nemmeno lei. Era
venuta perché doveva venire, come me, e, una volta là,
non aveva saputo più che cosa fare, come me.
Mi venne lentamente incontro, con espressione impenetrabile,
gli occhi fissi nei miei. In attesa, suppongo, che prendessi
io l'iniziativa, che dicessi qualcosa. E io non potevo dirle
nulla; non ancora, non così presto. L'unica idea che
mi passava per la mente era di voltarmi e scappare.
Lei continuò ad avanzare e io incominciai a tremare.
Sapevo che di lì a un attimo sarei scappato a gambe levate...
Che cosa potevo salvare? Dannazione, come può un uomo
salvare qualcosa, quando non a in grado di salvare se stesso?
Ci fu un gran silenzio e udii una voce che mi gridava di fuggire
e di continuare a fuggire fino alla fine dei miei giorni, che
mi urlava di non fare un gesto, di non cercare di ricostruire.
"Rimarresti deluso, Tom. Sarebbe una delusione, uno spaventoso
crollo. Credimi, non ne vale la pena. La gente non dimenticherà
mai quel processo, ragazzo. Non vi permetteranno mai di dimenticarlo,
ne a lei ne a te. Rideranno di voi. Oppure avranno pietà
di voi, e sarà ancora peggio. E poi, tu sei un poveraccio,
un ignorante, la tua salute è malferma e... Che cosa
potresti fare, comunque? Con che cosa potresti ricominciare?
Rifletti bene, Tommy. Rifletti su tutti gli ostacoli che si
ergono sul tuo cammino. Convinciti che perderesti, anche vincendo.
Vattene, vattene e nasconditi. Seppellisciti da qualche parte,
e non uscirne più. Scappa..."
Tremavo talmente che nel nido gli ovetti si urtavano, e lei
posò le sue mani sulle mie per impedire che tremassero.
Ma non vedevo come avrebbe potuto impedire alle mie di tremare,
visto che le sue tremavano quasi altrettanto. Ma era così.
Evidentemente era come in algebra: "meno per meno uguale
a più".
La voce smise di gridarmi di fuggire. Doveva aver capito che
non lo avrei fatto, poiché si scoraggio di colpo e ci
lasciò soli, faccia a faccia. E, dato che tutto ciò
che avremmo potuto dirci sarebbe stato banale, goffo e falso
come eravamo noi, tacemmo entrambi.
Rimanemmo la senza aprire bocca, sotto il sole di novembre,
un po' impacciati, a pensare all'avvenire, ad abituarci progressivamente
l'uno all'altra. Restammo là a guardare il nido, a chiederci,
o meglio a decidere ciò che avremmo fatto di quella vita
nuova che stringevamo fra le mani...
***
Una
libertà molto condizionata
l'inizio…
[...] Peccato che Cosgrove fosse un individuo
tanto simpatico. Ma sfortunatamente anche questo era stato necessario:
scegliere un individuo simpatico. In modo da avere una ragione
apparente per tirarlo fuori da Sandstone.
Sentì aprirsi la porta della camera di Lila, e si fermò
a metà nel gesto di togliersi una scarpa. Lila si fermò
nel corridoio, con la pelliccia sul braccio.
- Non riesci a dormire, eh? - chiese lui. - Scommetto che hai
già un puntello, da qualche parte. E’ troppo tardi
perché tu possa sperare di trovare qualcuno per la strada.
Lei abbozzò un sorriso, come per chiedere scusa. - Be',
Doc, dopo tutto sono un essere umano.
- Interessante - fece lui, lasciando cadere la scarpa sul pavimento.
- Interessante, come dichiarazione, anche se non del tutto corrispondente
alla realtà.
- Ti... ti dispiace, se esco?
- Non me ne importa un accidenti di quello che fai. - Ho bisogno
di soldi.
- Andrò a prenderli in banca domani mattina. - Mi accontenterei
di un assegno...
- Tu - la interruppe lui - farai esattamente quello che ti si
dice. Esattamente. Capito?
- Si, ho capito - rispose lei, piano. - Perfettamente.
1
Sono le cinque di mattina del secondo giorno
che passo qui, e da ventiquattr'ore non chiudo occhio.
Eccitato e felice? Penso di si. Credo proprio che sotto questa
maschera impassibile che mi serve da faccia, mi sento ancora
scoppiare per la felicità e per l'incredulità.
Ma l'essere umano può sopportare solo una certa dose
di gioia, e poi il sonno arriva. Perché io non dormo,
invece?
Non avrei dovuto bere niente, ieri, venendo qui. Sono sicuro...
quasi sicuro... di non aver detto nulla che non avrei dovuto
dire. Però... be', pero come faccio a esserne certo al
cento per cento?
Quando lui ha detto che non beve mai, mentre guida, io ho fatto
un cenno comprensivo, e poi gli ho espresso la mia gratitudine
per la comprensione che dimostrava nei confronti del mio bisogno
di "dimenticare". E mi sono messo a bere tranquillamente,
prendendo tempo, assaporando il whisky, e quando la bottiglia
si è vuotata di due terzi, sono cominciate le domande.
Perché avevo scelto proprio lui, per scrivere quella
lettera? Risposta semplice. Gli unici periodici che ricevevamo
al penitenziario erano delle rivistucole da quattro soldi, pubblicazioni
a "distribuzione controllata", concepite allo scopo
di spillare quattrini a individui e a ditte che facevano affari,
o speravano di farli, con gli uomini politici già in
possesso della poltrona. Avevo preso il suo indirizzo dal supplemento
commerciale di una di queste rivista così come avevo
preso tutti gli altri.
L'avevo capito perché mi aveva sottoposto a quella prova
col direttore Fish? Non avevo nessuna intenzione di mettere
in discussione le sue azioni (ed ero sincero), ma pensavo di
averlo capito: lui esigeva la più assoluta lealtà
da parte delle persone che lavoravano al suo fianco. Non avrebbe
saputo che farsene di un individuo disposto a dimenticare la
lealtà al solo scopo di cavarsela più facilmente.
Avevo parenti prossimi o amici intimi? No. Avevo solo una sorella
sposata che mi mandava una cartolina per Natale e che non voleva
che le rispondessi. L'unico legame che ci univa era del tutto
casuale: la nascita.
Che cos'avevo letto, in vita mia? Tutti i volumi della biblioteca
del penitenziario. Ma a quanto pareva i libri avevano smesso
d'arrivare dal 1920. Comunque, avevo divorato tutto: Shakespeare,
Dickens, Swift, Twain, Addison e Steele, Rabelais, Schopenhauer,
Marx, Scott, Jules Verne, Wilde, Cervantes, Machiavelli, una
serie di gialli, Lewis Carroll, la Bibbia e...
Mentre parlavo, ho spostato il deflettore dalla mia parte, finché
non sono riuscito a vedere riflessa la faccia del dottor Luther
nel piccolo vetro triangolare, incorniciato di metallo. Il dottor
Luther mi è parso soddisfatto delle mie risposte, anche
se non potevo esserne certo al cento per cento: ha i denti superiori
leggermente sporgenti, e basta che i lineamenti siano rilassati
per avere la sensazione che sorrida.
Il dottor Luther dev'essere sulla cinquantina, ma anche in questo
caso non sono sicuro di non sbagliarmi. Ha i capelli radi e
color sabbia, ed è eccessivamente grasso, anche per la
sua altezza, che è poco meno della mia. Gli occhi sono
sporgenti, dietro le lenti spesse.
A questo aggiungete una voce pacata, che passa bruscamente da
una dizione precisa e cotta a una specie di gergo sgrammaticato
e volgare... e avrete un uomo la cui età, come del resto
lui stesso, non è certo facile da giudicare.
Ho continuato a parlare e a osservarlo, mentre i chilometri
scivolavano via, rendendomi conto che la mia lingua cominciava
a impastarsi e le parole a uscire confuse.
Rendendomene conto, ma senza darvi troppo peso...
Quando mi sono svegliato, molte ore più tardi, eravamo
a solo una ventina di chilometri dalla city, e la macchina stava
svoltando in un viottolo che portava a una locanda oltre la
quale si stendeva un grande lago.
Un tempo il locale doveva essere stato piuttosto pretenzioso
ed elegante, ma molti, molti anni prima. Ormai era in rovina.
Il dottor Luther e io eravamo i soli avventori, e non c'era
da meravigliarsene. Guardando attraverso una finestra mi sono
accorto che quello che mi era parso un lago in realtà
era una specie di fiume, un canale in cui scorreva un'acqua
densa, melmosa, coperta di grosse macchie di grasso e piena
di detriti. Doveva essere lo scarico dei campi di petrolio della
città.
Quando siamo entrati nel locale deserto, in una vasta stanza
semibuia, mi sono accorto che nonostante le finestre chiuse
e il sistema di condizionamento dell'aria, l'atmosfera era impregnata
di un pungente odore di zolfo.
- E’ il regalo delle compagnie del petrolio - ha detto
il dottor Luther, scoppiando in una risata aspra. - Hanno tirato
fuori un miliardo di dollari da questo campo, e continuano a
tirarne fuori ogni giorno. Ma non spendono un centesimo per
incanalare sotto terra lo scarico del Toro luridume!
Io non ho risposto, e lui ha riso di nuovo, la stessa risata
aspra.
- Parlerò chiaro - ha detto alla fine. - Pat, ho intenzione
di giocare a carte scoperte, con te. Di dirti tutto. Tanto,
lo scopriresti ugualmente nel giro di ventiquattr'ore.
- Si, signore.
- Chiamami Doc. Mi chiamano tutti così. - D'accordo,
Doc.
- Sono specializzato in psicologia, ma non esercito da anni.
Non posso offrirti un lavoro nella clinica perché non
è una vera clinica. A conti fatti, è più
una pensione. Per persone sole. Ed è solo una copertura
per il mio vero mestiere. E’ il mio vero mestiere, per
dirla franca, è l'intrallazzo.
L’ho guardato negli occhi, direttamente. - Mi ha tirato
fuori da Sandstone, Doc - ho detto poi. - Non ho bisogno di
sapere altro di lei.
- Be'... Non è che voglia accampare delle scuse. Accidenti,
non per niente hanno chiamato questo stato la "gabbia dei
leoni" d'America. Quando un uomo ha una sola alternativa,
mangiare o essere mangiato, secondo te cosa deve fare?
- Mangiare - ho risposto.
Ha emesso una risatina e ha finto di volermi colpire al mento
col pugno chiuso.
- Sei in gamba, Pat. Staremo bene insieme. Be', in quanto al
tuo lavoro, ho intenzione di trovarti un posto nell' amministrazione
dello stato... Qualcosa che non richieda una preparazione particolare.
Che ne dici? Ti va, come idea?
- Qualunque cosa mi proponga, sarò felice di accettare
- ho risposto. - Ma...
- Si?
- Come potrò tornarle utile, se non lavorerò per
lei?
- Perché dovresti tornarmi utile? - La sua voce era irritata,
tesa. Sembrava quasi che abbaiasse, più che parlare.
- Ti sembra proprio inconcepibile, che io possa desiderare di
aiutarti senza chiedere niente in cambio? Che io voglia darti
una mano in via del tutto amichevole?
- Non intendevo offenderla - ho risposto. - Speravo solo di
poter fare qualcosa in cambio del favore che mi ha reso.
- Non ci pensare neanche - ha detto lui. - Ma sarà meglio
che usciamo di qui, ora. Abbiamo fatto tardi. Non m'ero accorto
che fosse già quest'ora...
Ha guidato lentamente, lanciando di tanto in tanto un'occhiata
al fiume di fango e di detriti, che, se non fosse stato per
l'odore, ora che scendeva l'oscurità poteva anche sembrare
un lago ridente.
***
la fine…
28
Inghiottii a vuoto e mi sentii impallidire.
Doc sorrise con comprensione. - Non stavi per dirmi che hai
avvertito la polizia? Sei stato imprudente. Se ti prendono ti
accusano dell'omicidio di Eggleston, e ti assicuro che prima
di cavartene fuori...
- No - dissi. - Non sono andato dalla polizia. Stavo per dire
solo che... che... Come può fare una cosa simile, Doc?
Mi sta condannando a morte! La coscienza non le dice niente?
- Forse dovrebbe dirmi qualcosa, ma resta muta. In fondo, Pat,
saresti morto a Sandstone se non ti avessi tirato fuori io.
A questo modo, se non altro, te la sei spassata per un po' di
giorni.
- Ma la macchina che mi ha regalato Lila non significa proprio
niente? Non mi permetterà di usarla per scappare?
- Temo proprio di no, Pat. Non trovare il mio corpo è
una cosa. Non trovare l'uomo che mi avrebbe ucciso è
un'altra. Sarebbe pretendere troppo dalla credulità della
polizia. Dovranno trovarti sul luogo in cui dovremmo aver litigato
o nelle vicinanze.
- Ma non pensa che sia pericoloso se mi prendono?
- Intendi dire che parlerai? - Abbozzo un sorriso, estraendo
un paio di calze da un sacchetto di carta. - Chi vuoi che creda
a una storia così fantastica, quando tutti gli indizi
punteranno verso un omicidio?
- Non funzionerà, Doc.
- Oh, altroché se funzionerà, Pat. - Sorrise.
– E’ una storia plausibile. Nessuno penserà
che sia stata architettata. E la prova migliore sei tu: hai
avuto la soluzione sotto il naso per settimane, ma non hai capito
qual era il vero motivo per cui ti ho tirato fuori da Sandstone.
- Non parlavo di questo - dissi. - Alludevo alle compagnie di
assicurazione. Non pagheranno mai in un caso del genere.
- Di solito, è così. Non pagano se non hanno la
prova inconfutabile della morte dell'intestatario. Se non hanno
un cadavere, in altri termini. Ma quando gli indizi sono così
incontrovertibili... Be'...
- Che cos'è che la rende così sicuro di lei stesso?
- chiesi.
- Il nostro amico Hardesty, qui. - Doc chinò la testa.
– E’ uno degli avvocati più geniali di questo
stato, qualunque cosa tu possa pensare di lui in altri campi.
Hardesty dice che pagheranno. E se lo dice lui...
Questo era vero, Hardesty doveva saperlo. Ma allora, perché
aveva voluto che io...
D'improvviso capii. L'ultimo pezzo del mosaico criminale cadde
al suo posto. E io risi.
Ero fregato. Non ne sarei uscito in nessun modo, qualunque cosa
facessi. Ma non potei fare a meno di continuare a ridere.
Hardesty accavallò le gambe, spostandosi nervosamente
sul divano. Infilò la mano destra in tasca e ve la lasciò.
- Doc - dissi. - Non è molto intelligente. Non per quanto
riguarda certe cose. Ho sempre avuto la sensazione che si fosse
immischiato in una cosa più grande di lei, ma non avrei
mai pensato che fosse tanto sempliciotto.
- No? - Rise, ma le guance gli si coprirono di rossore. - Fino
a che punto pensi che sia sempliciotto, Pat?
- Tanto da credere a un uomo che odia lei e ama sua moglie.
Tanto da credere che quest'uomo si accontenterebbe di un terzo
di quei duecentomila dollari, quando lui e lei possono arraffare
tutto. Certo che lo sa che cosa possono e che cosa non possono
fare le compagnie d'assicurazione. Ma c'è un bella differenza
tra quello che sa e quello che è disposto a dirle!
- Ma... - Doc spostò lo sguardo da Hardesty a Madeleine,
e poi lo posò su di me. - Non capisco...
- Non c’è niente da capire - tagliò corto
Hardesty. - Non starlo a sentire, Doc. E...
- Ci ripensi, Doc - insistetti. - E mentre lei ci pensa Hardesty
può farmi la sua offerta. Voglio che capisca perché
sarà ucciso, ma deve pensare alla svelta. Non sarò
capace di recitare la mia parte in questo squallido dramma,
se la polizia mi metterà le mani addosso.
Doc mi fissò in silenzio, gli occhi che sbattevano dietro
le spesse lenti. Feci un cenno a Hardesty.
- E va bene - dissi. - Come la mettiamo? Lo ammazzo io, e poi
me la batto, oppure lo ammazza lei e mi fa beccare? - Pat! -
urlò Madeleine. - Non...
Ma Hardesty aveva già tirato fuori la mano della tasca.
- Lo ucciderai tu - disse, e gettò verso di me l'automatica
a canna corta. - Ammazzalo e scompari.
Afferrai la pistola e la puntai.
- Va bene - dissi. - Alzatevi, tutti e tre. - Pat! - disse Hardesty.
- Sei...
- In piedi! - ordinai, e lo tirai su con uno strattone.
Li misi in fila tutti e tre e li perquisii. Spinsi Madeleine
da una parte, e fissai Doc e Hardesty.
- Ora - dissi - vado a chiamare la polizia.
- La polizia? - esclamarono tutti insieme.
- Lo so - ammisi. - Non mi crederanno. Con ogni probabilità
non mi crederanno, ma tento lo stesso.
- Ma che cosa ne ricaverai? - La faccia di Hardesty era cadaverica.
- Potresti tagliare la corda, Pat. Faremo in modo di rifornirti
di denaro, anche...
- Non lo credo - dissi. - Un uomo non può fuggire da
se stesso.
- Voi due state parlando per enigmi! - intervenne Doc. - Proprio
adesso che ho sistemato il lato politico della faccenda e che
lo scherzetto dell'assicurazione sta per dare i suoi frutti...
Cerchiamo di raccoglierli.
- Certo - disse Hardesty. - Cerca di ragionare, Pat. Stasera
siamo tutti coi nervi tesi, ma non è ancora troppo tardi
per riprendere le fila giuste. Doc, perché non ci stringiamo
tutti la mano e...
- Perché no? - disse Doc, allungando la mano di scatto.
E la mano di Doc si strinse attorno al mio polso, spingendolo
con forza verso il basso, mentre Hardesty si avvicinava, facendo
scattare il pugno. Risi di nuovo. Era troppo facile. Non riuscivano
a farmi perdere veramente le staffe, tanto da infliggere loro
l'unica punizione che meritavano.
Scansai l'assalto disordinato di Hardesty, facendo in modo che
si stancasse, poi gli sferrai un gancio al mento. Parve sollevarsi
da terra, prima di partire all'indietro per rimbalzare contro
la parete.
Doc mi stringeva ancora la mano armata. All'improvviso l'abbandonai
come se fosse morta, poi tirai uno strattone improvviso verso
l'alto, e anche lui raggiunse Hardesty contro la parete.
Rimasero a fissarmi con occhi vitrei.
Guardai Madeleine, che mi sorrideva felice, piena di gioia.
E prima che riuscissi a raccogliere le idee, a chiedermi se
ci avevo visto giusto, se finalmente qualcosa mi sarebbe andata
bene... la porta della camera da letto si spalancò.
Myrtle Briscoe entrò a passo deciso. Myrtle e due agenti.
Myrtle si portò un fischietto alle labbra, soffiò,
e altri due agenti fecero irruzione nella stanza dal soggiorno.
Myrtle puntò il dito, e gli agenti afferrarono Hardesty
e Doc, trascinandoli con loro verso le scale. Accadde tutto
in una frazione di secondo, tanto in fretta che Doc e Hardesty
non fecero neppure in tempo a sorprendersi. Uscirono senza dire
una parola, in mezzo agli agenti, e Myrtle battè una
mano sulla spalla di Madeleine.
- La nostra amica ti ha preceduto, Rosso -sogghignò.
- Ha avvertito la polizia prima di te. Hai passato un brutto
quarto d'ora, vero?
- Altro che!
- Be', te lo sei meritato. E si che Madeleine ha tentato di
convincerti a giocare a carte scoperte con me. Vero? Così
come l'ho tentato io.
- Altro che!
- Be'... - Mi squadrò dalla testa ai piedi. - A quanto
pare il piccolo scontro con quei due non ti ha lasciato segni.
Avevo paura che partisse un colpo dalla rivoltella, se fossi
intervenuta in quel momento. E non potevo permettere che ti
mettessi a sparare prima di farti ottenere il condono definitivo.
- Capisco... Che cosa?'?!! - dissi.
Non potevo credere alle mie orecchie.
- Perché no? - disse Myrtle Briscoe. - Penso proprio
che il governatore firmerà qualunque cosa gli metterà
sotto il naso.
Uscì, si sbattè la porta alle spalle, e Madeleine
mi fu tra le braccia.
29
Mi pare proprio che sia tutto.
Ho ottenuto il condono. Ho trovato lavoro come investigatore
presso il tribunale minorile, Madeleine ha divorziato e ci siamo
sposati.
Doc si è beccato novantanove anni per l'omicidio di Eggleston,
più trent'anni per corruzione e tentativo di truffa.
Hardesty quarant'anni in tutto.
Anche gli altri amici di Doc l'hanno pagata. Così, Doc
non è solo, a Sandstone.
Lila...
Be', tutto considerato, Lila è un tipo che sa cavarsela.
Ha venduto a una rivista la storia della sua vita. Scritta da
un altro, naturalmente. E questo le ha fruttato un pozzo di
quattrini e di pubblicità.
L'ultima volta che io e Madeleine l'abbiamo vista, stava firmando
un contratto con quelli di Hollywood.
Madeleine mi ha chiesto, pensierosa: - Mi chiedo... Mi chiedo
che cosa c’è stato, tra te e quella donna.
- Che cosa c’è stato? Non penserai mica... Ma signora
Cosgrove!
- Ah, ah! Come dire che non ne saresti capace.
- Be', non so proprio come fare a convincerti.
- Non sai neanche come fare a distrarmi da questa idea? - Be',
adesso che ci penso, credo proprio di si.
Non era un metodo molto nuovo, ma è risultato ottimo.
Più che efficace per far dimenticare Lila a Madeleine.
Proprio efficace.
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