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Il
23 luglio del 1923 Stan Laurel varca la frontiera per il Messico
portando con sè otto bottiglie
di gin olandese che aspettano solo di essere bevute. A cosa
è dovuta la sbornia colossale che ha in programma? E
l'assassinio di Pancho Villa che di lì a poco avverrà
sotto i suoi occhi è reale o è frutto dei fumi
dell'alcool? Riuscirà l'ottavo nano di Biancaneve a smascherare
le losche manipolazioni dello Shit Department della CIA? E perché
Stoyan Vasilev dalle carceri staliniane riscrive la sua versione
di Addio a Mompracem di Salgari?
A queste e ad altre ancor più inquietanti domande potranno
forse rispondere Julio il Ciccio e Greg il Piccoletto, uno messicano,
l'altro gringo, due giornalisti che tra un battibecco e l'altro
trovano il tempo per interessarsi di complotti internazionali
sandinisti, piste bulgare, infiltrazioni di servizi segreti.
Il romanzo più frenetico, traboccante e struggente sgorgato
dalla penna del più grande scrittore messicano contemporaneo.
***
frammenti
13
IL RUOLO DI DIO...
...aveva il suo equivalente preciso nei fatti
terreni di ciò che è dato chiamare lavori di intossicazione
che non sono altro che procedimenti di disinformazione sofisticata
e indotta per far credere agli altri quello che uno vuole che
credano; in sintesi, le belle arti del lavoro di spionaggio.
I classici della questione pensano che il centro vitale dello
spionaggio consista nel sapere cose sui tuoi nemici che loro
ignorano che tu sai. Si sbagliano. Il gioco più grande,
gli intrecci più complessi dello spionaggio consistono
nell'intossicazione. Che gli altri sappiano quello che tu vuoi
che sappiano, sia questo vero o falso, che agiscano a seconda
dell'informazione che tu gli somministri, che i loro vincoli
con la realtà siano mediati dagli occhiali scuri che
tu gli infili.
Alex sembrava pensare che Dio si fosse dedicato alla questione
quando aveva dettato la bibbia, e che la prova più evidente
si poteva trovare nell'apocrifa descrizione del paradiso. Alex
pensava che Dio fosse un disinformatore di seconda categoria.
La seconda operazione dell'SD prese forma da una nota in codice
del direttore delle operazioni della CIA, collocata a margine
di un documento classificato con il livello massimo di sicurezza
usato in quei giorni: top secret only for your eyes che circolò
fra diciassette persone incluso un cugino del presidente degli
Stati Uniti che si trovava in visita nell'ufficio ovale e che
si era ritrovato qualche istante da solo col documento mentre
il fratello andava a pisciare. Si trattava di una valutazione
delle contraddizioni a livello direttivo del Movimento delle
Forze Armate portoghesi. L'appunto del direttore delle operazioni
diceva “utilizzarle”. Alex ricevette il documento,
un'autorizzazione a fare resuscitare l'SD, un preventivo e tre
mesi di tempo.
Invece di partire per Lisbona imparò il documento a memoria,
prese un aereo per New York e passeggiò per Manhattan.
La camminata lo convinse della validità delle sue profonde
convinzioni antiecologiste. Giurò che non sarebbe mai
più tornato a lavorare a Langley, di cui odiava i boschi
e gli uccellini che si avvicinavano alle finestre degli uffici
e che venivano trattati come funzionari di secondo rango del
KGB. Lui preferiva New York, anche se non per i motivi che si
possono immaginare. Manhattan non possedeva il fascino che gli
abitanti dell'isola rivendicavano alla propria terra e che i
turisti accettavano come reale. Alex la vedeva come il più
grande rifugio per anormali nella storia dell'umanità.
Passeggiare qualche ora per quelle strade lo metteva in contatto
con così tante vibrazioni demenziali che si sentiva spiritualmente
alimentato per le successive dieci settimane.
***
19
STORIE DI GIORNALISTI (RACCONTA GREG)
Sono membro di una dozzina di minoranze, mi
dissi, accendendo una Delicados col filtro. Mi ero riempito
lo zaino di sigarette durante il trasbordo che avevamo fatto
all'aeroporto di Città del Messico, sufficienti per questo
e per gli altri sedicimila voli con paracadute verso il nulla
che il mestiere ci avrebbe fatto intraprendere. Sono membro
di una dozzina di minoranze e me lo devo ripetere prima di ogni
inizio, dopo qualsiasi sogno, giusto prima di ogni mattino,
per non scordarmelo. A Los Angeles sono membro onorario della
minoranza di fumatori e nel mio quartiere della quasi estinta
minoranza di eterosessuali; sono gringo a Managua, yanki in
Cile, yuma a L'Avana e tifoso dei Lakers quando vado a New York;
sono membro della minoranza di assidui lettori delle opere di
Kafka e membro della iperminoranza dei giornalisti che preferiscono
una macchina fotografica nordamericana a una giapponese. Quando
queste condizioni di marginale volontario restano nascoste in
qualche angolo della memoria, mi ricordo che sono membro della
minoranza per natura, quella degli ebrei, questi strani tipi
che si sentono obbligatoriamente minoritari ed esclusi allo
stesso modo sia a Broadway che all'interno di una sinagoga o
nel parlamento di Israele... A volte tutto questo è fastidioso,
come un foruncolo nel sedere, ma nella maggioranza dei casi
risulta un pregio, perché ti rende sfiduciato, sulle
difensive, diffidente, professionalmente paranoico, insomma
tutto quello che presto o tardi si trasforma in una virtù
per il nostro ambiente.
Ciccio non ha voluto accettare una sigaretta. Quando lavorava
non fumava, diceva che lo rendeva nervoso, fortunatamente lavorava
poco e fumava in tutte le altre occasioni. Una volta ho scoperto
della cenere accanto al gabinetto nella mia casa di Los Angeles;
fatto che non mi ha mai voluto spiegare, per quanto glielo abbia
chiesto con le dovute maniere. Fumava quando cagava?
***
Vuotò la coppa d'un colpo, prese la
bottiglia e si servì di nuovo. Il vino traboccò
e qualche goccia sulla tavola macchiò la nuova serie
di passaporti messicani che Longoria falsificava nei momenti
di ozio per i ragazzi salvadoregni.
- Brindò ai nani, perché loro vedono le cose nella
giusta e umile dimensione, dal basso. Brindò alla Senna
e agli usi costruttivi della nitroglicerina. Brindò ai
vecchi amici. Che le loro ossa possano concimare i cimiteri
della nostra memoria.
Bevve ancora. Poteva trovarsi a Parigi o a Città del
Messico. Gliene importava tre par di coglioni. Finché
non dimenticava i vecchi compagni, finché ricordava puntualmente
da che parte della barricata vivono, dormono, si coricano e
si alzano quelli buoni per veder sorgere il sole.
A quel punto alzò la bottiglia e disse:
- A morte i cattivi! - e se la trangugiò fino all'ultima
goccia.
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73
SD VOLEVA DIRE...
... Shit Department, Dipartimento della Merda,
ed era esattamente ciò che Alex era capace di distribuire
a livello internazionale, nazionale, e locale, utilizzando vari
mezzi come DHL, lettere raccomandate, il telefono (comprese
le chiamate a carico del destinatario) e i pony express in motorino
che si usavano a New York. Ma c'era ancora qualcosa che impediva
di cominciare i bombardamenti...
E se stavano facendo in modo che lui affrontasse le persone
sbagliate? E se Quinn fosse stato il portavoce di una manovra
diversiva per costringerlo a sparare le sue salve contro chi
non c'entrava?
Alex aveva chiuso la finestra dell'SD obbligando quelli che
volevano entrare a utilizzare la vecchia via, e rimuginava i
dati che Quinn gli aveva messo in mano. Leila lo guardava senza
azzardarsi ad attraversare la soglia, bevendo una tazza di caffè.
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122
STORIE DI GIORNALISTI (RACCONTA GREG)
C'e una canzone di G. Brown in Havana Moon,
un disco di Santana, che ripete a ritmo country la frase “E
tutti se ne andarono in Messico”, ci andarono i suoi amici,
ci andarono i suoi compagni, ci andò persino il suo cane.
Immagino che formi parte della congiunzione di due delle più
sane tradizioni nordamericane: mettersi in strada (grazie Woody
Guthrie, Kerouac, Wyatt Earp, Bob Dylan, John Dos Passos, Calamity
Jane, L'uomo Ragno, John Garfield, Ernest Hemingway) e scendere
verso la frontiera, cercare il sud (grazie John Reed, Indiana
Jones, James Taylor, Clint Eastwood, John Houston, Babe Ruth,
Carleton Beals, Mike Gold, Burt Lancaster).
Suppongo che io me ne fossi andato al sud varie volte negli
ultimi anni per quei due stessi motivi nazionali. Ma non era
facile scendere a sud. Ogni conoscenza richiede l'assunzione
per dosi, equivalente in peso e importanza, al motivo che ti
spinge a farlo. Essere UScitizenUSbornGringo in America Latina
è un passatempo per incoscienti, gangster a buon mercato,
missionari commercianti, radicali al limite della pensione,
freak, illusi o crociati. Tutti questi vanno a sud della nostra
frontiera per via dei loro demoni. Viaggiano con i propri fantasmi.
Poi ci siamo noi, gli altri, quelli che pensano che non ci siano
frontiere, ne paesi, ma solo paesaggi e canzoni cantate in lingue
che a volte non si conoscono. Tra tutti i mostri che viaggiano
verso sud, noi siamo i più pericolosi, perché
crediamo di non avere peccati originali da farci perdonare;
perché pensiamo razionalmente di non essere troppo diversi,
di poter coesistere con i nativi nei giusti termini: tu mi dai
io ti do, tu mi sorridi io ti sorrido, anche se di notte abbiamo
incubi dove bambini affamati e seminudi, i vivi fantasmi latinoamericani,
ci indicano col dito. Scendere a sud, è, come sapevano
Malcolm Lowry e Joseph Conrad e Ambrose Bierce, una discesa
ai propri inferi. Abbandonando l'ingannevole paradiso nordamericano,
il vero inferno, i demoni attaccano, cercano di fuggire dalla
pelle ed erompere fuori. Lo sappiamo quando viaggiavamo verso
sud, conosciamo i marziani che giocano a ping pong nelle nostre
teste. E tutto sommato ci piace essere così, e non in
un altro modo. Quello che non ha l'inferno dentro sarà
contento di morire davanti al suo televisore in un posto assurdo
come Indianapolis.
Bene, io ero qui. E se a volte non ci capivo niente, nemmeno
i nativi sembravano capirci molto; per lo meno di questa storia
assurda, di quel che si deduceva leggendo i giornali. Glielo
dissi al Ciccio. Mi rispose che quando si stava lavando i denti
non aveva tempo per le merdate razziste nordamericane.
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