|
***
Il
numero otto
(da "Approssimativamente tuo")
Andavo
sui centoventi, ma la lunga strada diritta dava l'impressione
che la velocità fosse almeno la metà.
Gli occhi del ragazzo dai capelli rossi erano attenti ed un
pochino inquieti, mentre ascoltava la radio. Quando il notiziario
fu finito, abbassò il volume.
Si passò la mano all'angolo della bocca. "Finora
hanno trovato sette vittime".
Annuii. "Ho sentito". Tolsi una mano dal volante e
mi massaggiai il retro del collo, cercando di alleviare la tensione.
Mi guardò con un sorriso quasi timido. "E' nervoso
per qualcosa?".
Lo guardai. "No. Perché dovrei?"
Il ragazzo continuò a sorridere. "La polizia ha
bloccato tutte le strade per cinquanta miglia attorno a Edmonton".
"Ho sentito anche questo".
Il ragazzo ridacchiò. "Ma lui è troppo furbo
per loro".
Diedi un'occhiata alla borsa da viaggio sul sedile tra noi due.
"Vai lontano?".
Si strinse nelle spalle. "Non lo so".
Era un po' più basso della media ed era di corporatura
esile. Sembrava sui diciassette anni, ma era uno di quei tipi
dalla faccia da bambino e avrebbe potuto benissimo avere cinque
anni in più. Passò il palmo delle mani sui pantaloni.
"Si è mai chiesto perché lo fa?".
Non distolsi gli occhi dalla strada. "No".
Si leccò le labbra. "Forse gli hanno rotto troppo
le scatole. Per tutta la sua vita qualcuno gli ha rotto sempre
le scatole. Capisce, c'era sempre uno che gli diceva di fare
questo o non fare quello. E a un certo punto gliele ha rotte
una volta di troppo".
Fissava la strada davanti a sé. "Allora è
esploso. Si può resistere solo fino a un certo punto.
Poi qualcosa cede per forza."
Sollevai il piede dall'acceleratore.
Mi guardò. "Perché stai rallentando?".
"Siamo quasi in riserva" spiegai. "Quel distributore
la davanti è il primo che vedo da quaranta miglia. Potrebbero
volercene altre quaranta prima di trovarne un altro".
Uscii dalla strada e mi fermai accanto alle tre pompe. Un uomo
anziano si accostò dalla parte del guidatore.
"Il pieno" dissi. "E l'olio".
Il ragazzo studiò la stazione di servizio. Era un edificio
piccolo: l'unica struttura visibile in un oceano di campi di
frumento. Le finestre erano opache di polvere.
Si distingueva appena un telefono a parete, all'interno.
Il ragazzo agitò un piede nervosamente.
"Quel vecchio ci mette un mucchio di tempo. Non mi piace
aspettare". Osservò il benzinaio che apriva il cofano
per controllare l'olio. "Perché un uomo tanto vecchio
dovrebbe voler continuare a vivere? Starebbe meglio morto".
Accesi una sigaretta. "Non credo che lui sia d'accordo".
Il ragazzo guardò di nuovo la stazione. Sogghignò.
"C'è un telefono, dentro. Lei deve chiamare qualcuno?".
Esalai una boccata di fumo. "No".
Quando il vecchio tornò con il resto, il ragazzo si chinò
verso di lui. "Ha una radio, capo?".
Il vecchio scosse il capo. "No. Mi piace la tranquillità".
Il ragazzo sogghignò. "Ottima idea, capo. Più
tranquillità c'è, più a lungo si vive".
Quando fummo di nuovo sulla strada, riportai la velocità
a centoventi.
Il ragazzo restò quieto per un po', poi disse: "Ci
vuole del fegato a ucciderne sette. Ha mai impugnato una pistola,
lei?".
" E' capitato a tutti, suppongo".
Aveva le labbra tanto tese che si vedevano i denti. "E'
splendido, quando la gente ha paura di te" disse. "La
statura non conta più".
"No" convenni. "Non si è più una
mezza cartuccia".
Arrossì un poco.
"Sei l'uomo più alto del mondo" dissi io. "Finchè
non arriva qualcun altro con una pistola, naturalmente".
"Ci vuole del fegato per uccidere" ripetè lui.
"La maggior parte della gente non lo sa".
"Uno di quelli che ha ucciso era un bambino di cinque anni"
obiettai. "Di questo che ne dici?".
Si leccò le labbra. "Forse è stato un incidente".
Scossi il capo. "Non ci crederà nessuno".
I suoi occhi sembrarono un attimo incerti. "Perché
pensa che abbia ucciso un bambino?"
Mi strinsi nelle spalle. "Difficile da dire. Ha ucciso
una persona, poi un'altra, poi un'altra ancora. E forse, dopo
un po', non gli interessava più molto chi fossero. Uomini,
donne, bambini. Erano tutti uguali,per lui".
Il ragazzo annuì. "Si può prendere il gusto
di uccidere. Non è difficile. Dopo le prime volte, non
importa più. Alla fine ti piace".
Distolsi gli occhi dalla strada per un momento. "E di questo
che ne dici? Tutto il paese lo sta cercando. Tutti sanno che
aspetto ha".
Il ragazzo si alzò le spalle sottili. "Forse non
gliene importa. Ha fatto quel che doveva fare. Adesso sapranno
tutti che è un grand'uomo".
Facemmo un miglio senza parlare. Poi lui si agitò sul
sedile. "Ha sentito la descrizione alla radio?".
"certo" risposi. "per tutta la settimana".
Mi guardò con curiosità. "E non ha avuto
paura di darmi un passaggio?".
"No".
Il suo sorriso era sempre più timido. "Ha dei nervi
d'acciaio?".
Scossi il capo. "No. Anch'io posso aver paura come tutti,
quando è il caso".
Continuò a fissarmi. "Io corrispondo perfettamente
alla descrizione"
"E' vero".
La strada si stendeva dritta davanti a noi. Da tutte e due le
parti c'era solo pianura. Non una casa. Non un albero.
Il ragazzo ridacchiò. "Somiglio proprio all'assassino.
La gente ha paura di me. Mi piace".
"Spero che ti sia divertito" commentai.
"La polizia mi ha fermato tre volte su questa strada, negli
ultimi due giorni. Sono famoso quasi quanto lui".
"Lo so" dissi. "E sono sicuro che lo sarai ancora
di più pensavo che ti avrei trovato, presto o tardi su
questa strada".
Rallentai. "E io? Non corrispondo anch'io alla descrizione?"
Per poco non si mise a ridere. "No. Lei ha i capelli scuri.
Lui rossi. Come me".
Sorrisi. "Ma potrei essermeli tinti".
I suoi occhi si spalancarono, quando capì cosa stava
per succedere.
Il numero otto sarebbe stato lui.
|
|