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"Troppo buono con le donne",
secondo la definizione dell'autore, è "un romanzo
irlandese": la messa in scena di un episodio dell'inserruzione
di Dublino del 1916, l'occupazione armata del "Post Office"
da parte di un gruppetto di sette individui guidati da un capo
assai bizzarro, John Mac Cormack.
l'inizio...
I
Dio salvi il Re! – urlò 1’usciere
che era stato valletto di un lord nel Sussex per uno spazio
di trentasei anni, e poi il padrone scomparve nel naufragio
del Titanic senza lasciare eredi ne sterline, per mantenere
il “ cassl ”, come dicono dal1’altra parte
del canale San Giorgio. Di ritorno nella terra dei suoi antenati
celtici, il galuppo svolgeva il suo modesto impiego all’u6cio
postale che fa angolo con Sackville Street e Eden Quay. –
Dio salvi il Re! – ripetè con voce gagliarda, fedele
com’era alla corona d’Inghilterra. Con un sentimento
di orrore aveva visto spuntare nel1’ufficio della posta
sette individui con le armi in pugno che aveva subito sospettati
di essere dei Repubblicani irlandesi in vena insurrezionale.
– Dio salvi il Re! – mormorò per la terza
volta. Riusci appena a mormorare, a questo punto, perche con
le sue manifestazioni di lealismo, tanto aveva fatto e cosi
bene, che Corny Kelleher, sotto pressione, gli aveva conficcato
una pallottola nella zucca. L’usciere, morto, vomitò
il cervello da un ottavo buco della testa e resto steso, piatto
duro, sul pavimento. John Mac Cormack registrò 1’esecuzione
con la coda dell’occhio. Non la trovava per nulla necessaria,
ma non era il momento di discutere. Le signorine delle Poste
chiocciavano forte. Erano una decina, inglesi, sembrava, o dell’Ulster,
e non approvavano affatto questo corso di avvenimenti.
– Svuotatemi sto pollaio! – gridò Mac Cormack.
Allora Gallager e Dillon, a segni e a parole, si misero a consigliare
alle signorine di scomparire al passo veloce. Ma alcune di loro
volevano andare a prendere il water-proff, altre la borsetta;
e un certo smarrimento era evidente nei loro atti. – Che
stronze! – gridò Mac Cormack dall’alto della
scala. – Ma che aspettate a sgomberarle? Gallager afferrando
la prima sotto mano le diede una pacca sopra le natiche. –
Ma siate corretti! – aggiunse Mac Cormack. – Non
se ne uscira mai fuori, – grugnì Dillon spintonato
da due donzelle che springavano in senso inverso. – Oh!
Mister Dillon! – gemette una di loro nel riconoscerlo.
E rimase immobile. – Lei, mister Dillon! Un uomo cosi
per bene! Contro il nostro Re, con un fucile in mano! Invece
di finire il mio bellissimo vestito di pizzo! Dillon, allocchito,
si stropicciava la testa. Ma Gallager gli venne in aiuto, e,
pizzicando la cliente sotto il braccio, le cantò nell’orecchio:
– Porta via il culo, figalessa! A queste parole, la damigella
scappò via. Mac Cormack montava al primo piano, lo seguivano
Caffrey e Callinan. Quando il primo fu fuori vista, Gallager,
abbrancando un’altra ragazza, le fece risuonare il sedenta-
rio. L’interessata fece un balzo. – Corretto! –
diceva Gallager indignato. – Corretto! E, come gli si
offriva un altro posteriore, vi stampò sopra la sua fangosa
con forza, e fece cosi volteggiare alla boia una giovane figurina
che aveva sostenuto degli esami e risposto con esattezza a un
mucchio di domande sulla geografia mondiale e sulle scoperte
di Graham Bell. – Ale scio, scio! – berciava Dillon
gonfio di coraggio davanti a tutta quella femminilità.
La situazione cominciava a chiarirsi, e il personale femminile
lavorava di natiche, sgaloppando verso le uscite e, di qui,
su Sackville Street o Eden Quay. Due giovani telegrafisti aspettavano
d’essere sgomberati al modo delle signorine, ma dovettero
contentarsi di volgari papagni sulla capoccia. La presero a
male, disgustati da tanta correttezza. Fuori, la folla stava
a bocca aperta dinanzi a tutte queste espulsioni. Si udirono
degli spari. I gruppi presero a sparpagliarsi. – Credo
che si è fatto il vuoto, – osservò Dillon
guardandosi attorno. Nessuna pulzella gli sturbava piu la vista.
***
frammenti...
Ai Britannici non si può negare una
qualità: il tatto. I marinai del "Furious",
sbarcati nei pressi dell'ufficio postale di Eden Quay, erano
penetrati all'interno dell'edificio in punta di piedi, chi armato
di fucile, chi di bombe a mano. Circondarono il gruppo dei superstiti,
all'oscuro di quanto gli stava attorno, ma aspettarono che tutto
fosse terminato prima di intervenire, perchè non avrebbero
mai voluto che la signorina arrossisse davanti a loro al pensiero
che avevano potuta sorprenderla in una posizione impudica.
Il vestito le ricadde al fine sui piedi; Gertie si rialzò
col viso tutto rosso e bagnato di lacrime; Kelleher e Dillon
si guardarono con un'aria di trionfo; a quel punto sentirono
sulla schiena la trafittura di una punta di baionetta. Levarono
le mani in alto.
***
XXXVII.
Che cazzo fa, – brontolò Mac Cormack, – non
torna.
– Probabile che la inerpica, – disse Caffrey adesso
com- pletamente sveglio.
– Vuoi dire che la monta, – commentò Gallager.
Dandosi una pacca sulla coscia, sferrò una gran risata.
– Chiudete il becco! – disse O’Rourke. –
Schifosi!
– Ah! ah! – fece Caffrey, – geloso?
– Callinan non farebbe questo, – disse Mac Cormack.
– Del resto, si sente niente. La piccola urlerebbe se
lui ci avesse cattive intenzioni.
– Può darsi che lo vuole lei, – disse Caffrey.
– Supponi che glielo ha chiesto!
Si rivolgeva a Gallager. Risero entrambi.
O’Rourke si alzò.
– Schifosi. Schifosi. Chiudete ste boccacce sporche di
oscenità.
– Come se i tagliacarne non se ne intendono di oscenità.
Pudibondo. Tu hai pregato troppo san Giuseppe stanotte.
– Basta! – si mise a urlare di colpo Mac Cormack.
– Non siamo qui per litigare. Ricordatevi che siamo qui
a batterci per 1’indipendenza del nostro paese, e con
tutta probabilità per morire.
– E intanto che c’è tempo, – fece notare
Caffrey, – Callinan è proprio lì bello sopra
a sbafarsi la piccola Inglese.
Orecchio.
Fecero silenzio e sentirono una serie di brevi miagolamenti
che, a poco a poco, si mutarono in lunghi lamenti in- terrotti
da silenzi irregolarmente distanziati.
– Però, è vero, – mormorò Gallager.
O’Rourke si fece pallido, di quel pallido che tira al
verde. Mac Cormack intervenne:
– E’ un gatto, via. E O’Rourke che voleva
farsi delle illusioni, riprese:
– Certo che è un gatto.
E Gallager, con un sorriso idiota, ripetè:
– Ma si. Un gatto. Un gatto.
Caffrey ghignò:
– Può darsi pure che la slandra gli tira la coda.
Povera bestia. Voglio andare a vedere.
Uscì dalla stanza. Ci fu una serie di lamentazioni accele-
” rate e stridule, poi un silenzio e uno smarrimento.
In quel1’istante, Caffrey arrivava davanti alla porta.
Il fucile di Callinan montava tutto solo la guardia. Caffrey
entro. Era proprio finito. Callinan si riabbottonava i ’calzoni
tremando e Gertie si era buttata giù in piedi. Il suo
volto era raggiante di soddisfazione. Guardò Caffrey
con insolenza. Caffrey la trovo bella.
E non seppe che dire.
In capo a qualche secondo, e dopo essersi rivestito, Callinan
gli domandò, per niente affabile:
– Allora?
Caffrey rispose:
– Allora?
Gertie li guardò tutti e due con un occhio vivido.
Callinan riprese sullo stesso tono:
– Allora?
E Caffrey non seppe che rispondergli:
– Allora?
Callinan, un poco insicuro, disse:
– Tu non hai visto niente, eh.
– Ma s’è sentito.
– Sono disonorato, – mormorò Callinan sgomento.
– Credono che è un gatto. Dirai che è un
gatto.
– Lo dirai anche tu?
Caffrey esaminò Gertie molto attentamente. La signorina
ansimava ancora un poco.
– Naturale che era un gatto.
Callinan tirò fuori dalla tasca il bel fazzoletto verde
con arpe d’oro e si asciugò il viso.
– Guarda, – disse Caffrey, – hai fatto sangue
dal naso.
***
la fine...
LXVI
Il commodoro Cartwright, scortato dai suoi
ufficiali, scese a terra. Col rischio di attaccarsi un velo
di polvere sulle scarpe, penetrarono tra le rovine dell’uffcio
postale di Eden Quay. I marinai avevano gia disteso i cadaveri
in un canto, per ordine di altezza. Altri due ribelli, schiaffati
contro un muro mezzo diroccato, aspettavano con le braccia alzate.
Cartwright scorse Gertie che si gettò fra le sue braccia.
– Darlinge, darlinge, – sussurrò la fidanzata.
– Oh cara, cara, – rispondeva il commodoro. L’unica
cosa che lo stupiva un poco, era che in simili circostanze,
lei portava un abito da sposa. Ma, non meno pieno di tatto dei
suoi marinai, non ne fece cenno. – Chiedo scusa, –
le disse, – ho ancora qualche dovere d’ufficio da
compiere. E’ il momento di giudicare questi due ribelli.
Naturalmente, in quanto ribelli sorpresi con le armi in pugno,
andiamo a condannarli a morte, non è così, signori?
Teddy Mountcatten e il secondo, dopo avere riflettuto qualche
istante, assentirono. – Cara, scusa se ti faccio questa
domanda, ma i ribelli, sono stati... come dire... corretti con
te, eh? Gertie guatò Dillon, Kelleher, poi i cadaveri.
– No, – disse. Cartwright impallidì. Kelleher
e Dillon restavano impassibili. – No, – disse Gertie.
– Hanno voluto ad ogni costo sollevarmi il mio bell’abito
bianco per guardarmi le caviglie.
– Gli sporcaccioni, – borbottò Cartwright.
– Eccoli qui i Repubblicani, degli schifosi e lussuriosi.
– Perdonali, darlinge, – miagolò Gertie.
– Perdonali. – Impossibile, mia cara. Del resto
sono già condannati a morte, e noi andiamo a giustiziarli
all’istante sul campo, come lo esige la legge. Si diresse
verso di loro. – Avete sentito? Il tribunale militare
da me presieduto vi ha condannati a morte, sarete giustiziati
all’istante sul campo. Dite le vostre ultime preghiere.
Marinai, pronti al1’ordine. Si formò il plotone
di esecuzione. – Tengo ad aggiungere che, contrariamente
a quanto potete credere, voi non meritate di figurare degnamente
nel capitolo della Storia Universale consacrata agli eroi. Voi
vi siete disonorati col gesto immondo che la mia fidanzata,
nonostante il suo legittimo pudore, è stata pur costretta
a descrivere. Non provate vergogna di aver voluto tirar su la
veste di una signorina per ammirarle le caviglie? Lubrichi figuri,
morirete come cani, con la coscienza sporca e gonfia di disperazione.
Kelleher e Dillon non tremavano una virgola. Dietro le spalle
di Cartwright, Gertie gli tirò fuori la lingua. –
Cosa avete da rispondere? – domando Cartwright. –
Si è sempre troppo buoni con le donne, – rispose
Kelleher. – Sì è vero, – sospirò
Dillon. Qualche secondo dopo, imbottiti di piombo, erano morti.
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