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Sally Mara è una diciottenne che
tiene un diario. Con un candore un po' sospetto e con effetti
comici insuperabili, descrive l'ambiente in cui vive, e le sue
prime esperienze sessuali teorico-pratiche, presentandoci come
normali le situazioni piú grottesche e scabrose
l'inizio...
1934
13 gennaio
E’ partito. La nave salpa sbuffando il suo monotono fumo
sullo schermo del cielo. Fischia, ansima, se ne va, portandosi
via Monsieur Presle, il mio professore di lingua francese.
Ho sventolato il fazzoletto e ora lo inzuppo di lacrime prima
di stringerlo, stanotte, tra le gambe, sul cuore. Oh, God, chi
mai conoscera il mio tormento, chi mai saprà che Monsieur
Presle porta con se tutta 1’anima mia, la quale è
certamente immortale. Non mi ha mai fatto niente, Michel. Monsieur
Presle, voglio dire. So che gli uomini della sua età
fanno certe cose alle ragazze pazzerelle della mia. Quali cose
e perche? Lo ignoro. Io sono vergine, vale a dire non ho mai
subito manipolazioni (“terreno vergine: terreno che non
ha mai subito manipolazioni” dice il dizionario). Monsieur
Presle non mi ha mai toccata. Soltanto la sua mano sulla mia.
Talvolta essa mi scivolava lungo la schiena per darmi qualehe
leggera pacca sul popo. Semplici gesti di cortesia. Mi ha insegnato
il francese e con un’ostinazione! Me I’ha insegnato
non proprio tanto malaccio, poiche in suo onore, in ricordo
della sua partenza, intendo dire, mi accingo da oggi, ora, a
scrivere il mio diario nella sua lingua materna. Sarà
il mio scritto di francese. E’ 1’altro, quello di
inglese, lo sbatterò nel fuoco.
“Sbattere,” mi diceva, “è una delle
parole piu belle della lingua francese.” Significa gettare,
ma con piu vigore. Per esempio (ripeto qui i suoi insegnamenti,
e che stuzzicante piacere ripetere i suoi insegnamenti, un dolce
calore mi invade la cassa toracica: dalle scapole piatte al
mio giovane petto che non lo è piatto), dunque, per esempio:
“uno si sbatte una birra nel gozzo” e “un
diamante che ti sbatte la luce negli occhi”. Gli piaceva
tanto farmi conoscere le sottigliezze della lingua francese,
a Monsieur Presle, ed è per questo che ora, in suo ricordo,
per sbatterglielo un giorno in faccia, vado a continuare il
mio diario intimo nel suo idioma natio.
Il diario lo scrivo da quando avevo dieci anni. La mamma mi
diceva: “E’ una buona abitudine per le bambine,
sviluppa la loro coscienza morale, le perfeziona e tutto ciò,
sbattuto in faccia al curato, lo induce a consacrarle suore
fino alla morte”. Io non sono di questo parere. Non che
pensi male delle suorine, ma ha ben altre cose da fare a questo
mondo una persona di sesso femminile. In questo, sono del parere
di Michel, il mio adorato prof di francese, ah, se avesse saputo
come ripetevo il suo nome, di notte, fino a cadere in trance!
E’ strano, ma qualche volta ho come delle crisi notturne
pensando a lui e dopo dormo splendidamente.
Sì, eccolo partito sulla nave e sul canale Saint-George
al tempo stesso. Che cosa non gli devo? Uno: poter scrivere
il mio diario segreto in francese; due: avere il cuore languido;
tre: le suddette trance. Sentendomi cosi sola sul molo, ho preso
due solenni risoluzioni in questo giorno d’oggi, mentre
la luna notturna si dondolava lunarmente immobile sotto la volta
dei cieli illunati, rischiarando di un pallore lunare il vascello
dove Michel si abbandonava al suo avvenire universitario e non
irlandese. Ho preso dunque una duplice risoluzione, due punti,
primo, di scrivere il diario non piu in inglese, lingua da marinai
insulari, e ci vuol poco a esser marinai quando si vive su un’isola,
bensi in francese, i quali francesi, invece, abitano a volte
sulle montagne e persino in mezzo alle pianure; secondo, poi,
di scrivere un romanzo. Ma un romanzo, una roba seria, non uno
che sembri scritto da una ragazza non manipolata; e in irlandese,
per di piu, lingua che non so. Dovro dunque impararla, e perchè
voglio impararla? Per fare come Monsieur Presle. Monsieur Presle
è un linguista, conosce lingue di ogni genere. Ha preso
in particolare lezioni di lazaro e di ingù con Dumézil.
Ha imparato 1’irlandese in un battibaleno: il suo soggiorno
a Dublino è passato come un lampo attraverso il mio muscolo
cardiaco. Ma ci provava soprattutto in francese, e che bravo
professore era! Tanto è vero che io scrivo correntemente
i miei piu intimi pensieri in questa lingua con scioltezza e
facilità. Se a volte mi manca una parola, me ne sbatto,
tiro dritto.
E ora partiva. Il vento ha cominciato a soffiare sul porto e
la foschia, come una spugna, ha assorbito la nave. Sono rimasta
ancora per un po’ a guardare le onde del canale Saint-George,
la linea granitica dei moli, la tensione delle cime, la rigidità
delle bitte, una delle prime parole francesi di cui Monsieur
Presle mi ha spiegato il significato per via delle sue origini
scandinave, “biti, trave trasversale di nave”. E
i Vichinghi, non hanno forse conquistato la nostra verde Erin?
Partito.
Il vento aveva ripreso a soffiare con forza. Ero tornata verso
il tram, costeggiando il molo. Altre persone – ombre –
facevano la stessa strada, sbrigati i saluti o il lavoro. Il
buio fitto era squassato da un vero e proprio uragano. Ho sentito
di nuovo le sirene del bastimento.
Per raggiungere il capolinea, si doveva attraversare una passerella
al di sopra di una chiusa; sull’altra sponda ho intravisto
le luci di una vettura che faceva manovra. Con il cuore colmo
del ricordo di Monsieur Presle, ho cominciato ad attraversare
la passerella, ma a meta percorso mi sono dovuta fermare. Credevo
che il vento mi trascinasse via e mi sbattesse laggiu nel bacino,
nel bel mezzo di una chiazza di benzina che esibiva le sue iridescenze
nella luce lunare. Mi sono aggrappata alla ringhiera e con 1’altra
mano ho cercato meccanicamente un punto di appoggio. Ho avvertito
allora all’improvviso la presenza di un uomo alle mie
spalle. Avevo intuito che si trattava di un gentleman e non
di una donna o di un marinaio e ho udito una voce dolce e compita
mormorarmi all’orecchio queste parole soccorritrici:
“Tenga duro, signorina”.
Nello stesso tempo mi sono sentita mettere nella mano rimasta
libera un oggetto che aveva la rigidità di una sbarra
d’acciaio e la morbidezza del velluto. L’ho afferrato
convulsamente e pur stupita che quella ringhiera rimanesse tiepida
malgrado la tramontana che soffiava come se fosse ancora inverno,
ho potuto, grazie al suo aiuto, raggiungere sana e salva 1’altra
sponda.
L’amabile gentleman che mi aveva in tal modo accompagnato
si è riassettato il mantello (a meno che non fosse un
trench o un uater,pruf, era buio e non riuscivo a distinguere,
inoltre tenevo timidamente gli occhi bassi). Non ho potuto vedergli
il viso, distinguevo solo, tracciata sul selciato sconnesso
del marciapiede, 1’ombra del mantello (o del trench) (o
del uaterpruf), che, da principio rigonfia, riacquistava lentamente
e curiosamente una linea verticale o solo leggermente ondulata.
Eravamo rimasti in silenzio; allora, benchè sapessi che
non si deve rivolgere la parola a un uomo a cui non siamo state
presentate, ho detto con tutta la gentilezza di cui sono capace:
“Grazie, signore”.
Ma lui non ha risposto e se 1’è svignata.
Di nuovo sola, di nuovo il porto, la notte, le sirene. Il tram
aveva finito di far manovra e si preparava a tagliare la corda.
L’ho raggiunto e mi sono seduta ansante. Di passeggeri
c’erano solo due scaricatori sonnolenti e un giovane che
avevo intravisto accompagnare una vecchia signora (la madre?)
al piroscafo. Dato che io sorridevo vagamente, è diventato
tutto rosso e ha fatto finta di leggere un giornale con le mani
che gli tremavano leggermente. Il tram si è mosso. Ho
pagato il biglietto e mi sono abbandonata ai miei pensieri.
O dolci emozioni di un cuore di giovinetta o deliziosi brividi
di una primavera della sensibilita o caste curiosità
di una fanciulla in boccio. Ero colma di un’incantevole
esaltazione e non sapevo piu dove sbattere la testa. Mille idee
contrastanti si scontravano sotto la mia capigliatura (che è
bella... un po’ mogano... mogano scuro... mogano bruno,
per l’esattezza) e un dolce calore mi andava su e giu
per la schiena, nell’ascensore del midollo spinale, dal
pianterreno del sedere al sesto piano del bulbo rachidiano.
Dico sesto, benche a Dublino le case non superino i quattro
piani, ma io sono piuttosto alta.
Mi accorgo che non mi sono ancora presentata e che il quaderno
del mio diario intimo è impaziente di conoscere meglio
la persona che scarabocchia le sue pagine. Ebbene, mio caro
confidente, mi chiamo di cognome Mara, di nome Sally. Ho le
mie cose dall’eta di tredici anni e mezzo, un po’
in ritardo forse, ma ti confesso che da questo punto di vista
sono un vero e proprio orologio. Non ho piu il padre, dieci
anni fa è andato a comprare una scatola di fiammiferi
e non è più tornato, non era nazionalista, ma
non lo diceva a nessuno. Io allora avevo otto anni e me lo ricordo
bene. Se ne stava in pantofole, con una vestaglia a scacchi
gialli e viola, a leggere il giornale fumando la pipa. Aveva
vinto al- le corse dei cavalIi e aveva dato tutti i soldi della
vincita alla mamma. La mamma a un certo punto aveva detto: “Toh,
sono finiti fiammiferi”. “Vado a comprarne una scatola,”
aveva risposto placido papà, senza alzare la testa.
”Esci cosi?” aveva chiesto con calma la mamma. “Si,”
aveva risposto placido papà. E’ stata I’ultima
parola che gli ho sentito pronunciare. Non 1’abbiamo mai
piu visto.
Mi sculacciava regolarmente due volte al giorno, per dimostrare,
diceva, il suo attaccamento ai metodi educativi raccomandati
dalla corona d’Inghilterra.
Mia madre con il suo piccolo gruzzolo personale e 1’ammontare
della vincita ci ha comunque fatto impartire una buona istruzione
a me, mia sorella e mio fratello. Io personalmente non faccio
niente, ma potrei essere studentessa, se volessi. Mia sorella,
che ha due anni meno di me, vorrebbe fare la signorina delle
Poste, per guadagnarsi da vivere, ed essere indipendente: lei
la pensa così. Impara molta geografia per poterci riuscire,
un giorno. Joel, mio fratello, è il maggiore e beve mica
male, soprattutto uischi e birra Guiness che è originaria
di qui. Gli piace molto anche il ricard, ma è difficile
trovarlo. Monsieur Presle gliene aveva procurato una bottiglia.
Quanto abbiamo riso quel giorno, 1’abbiamo scolata in
una sera. A me piacciono le aringhe allo zenzero, i porri lessi
e i rollmops. Sono alta un metro e sessantotto e peso sessantatre
chili. Le mie misure sono ottantotto, sessantacinque, novantadue.
Porto le gonne molto corte, le mutandine e scarpe senza tacchi.
Anche i capelli li porto cortissimi e non metto ne rossetto
ne cipria. Faccio parte di una associazione sportiva, corro
i cento metri in dieci secondi e due decimi, salto un metro
e settantuno e lancio il peso a quattordici metri e trentotto,
ma in questi ultimi tempi ho un po’ trascurato 1’atletica.
Mi piace accavallare le gambe, lo trovo affettatamente pudico
e al tempo stesso, distinto. E’ quanto pensava anche il
giovanotto nel tram, perchè di tanto in tanto abbassava
un po’ il giornale, alzava gli occhi per dare una sbirciatina,
poi rapidamente li riabbassava, gli occhi, e io pensavo a colui
che navigava sui flutti del canale Saint-George.
Siamo arrivati in citta, e noi – io e quel giovanotto
– per caso, certo, ci siamo alzati contemporaneamente
per scendere alla stessa fermata. Non lo avevo mai visto nel
quartiere. Mi sono accorta che gli tremavano le gambe. Per un
istante mi sono chiesta se non si trattasse dell’uomo
che mi aveva tanto cortesemente aiutata ad attraversare la passerella.
Ma via, era impossibile: quel giovane era gia seduto quando
ero salita sul tram e il galante gentleman aveva preso un’altra
direzione.
Mentre il tram traballava il giovanotto si era messo sul predellino
per scendere prima che la vettura si fermasse del tutto. Ho
avuto paura per lui e poco ci e mancato che gridassi: “Tenga
duro, signore!” Ma lui era già saltato giu e sparito
di corsa nella notte. Ho afferrato il corrimano e 1’ho
trovato umido e gelato, non era morbido, tiepido e forte come
quello di prima. A casa, ho trovato Mary che stava imparando
a memoria le sottoprefetture dei dipartimenti francesi, sempre
per il suo esame da signorina delle Poste. Joel con 1’occhio
spento e lo sguardo vago se ne stava seduto, immobile e muto
davanti a sette bottiglie di Guinness, cinque vuote e due da
vuotare. Ha sogghignato nel vedermi, mi credeva triste per via
della partenza di Monsieur Presle. La mamma ha parlato molto
di Monsieur Presle con Mrs. Killarney. Joel aveva ogni tanto
un singulto sciocco, ma io sorridevo e Mary 1’ha notato.
Dopo cena, lei voleva farmi parlare, ma io non mi sono fidata:
le ho raccontato a lungo della passerella e non le ho detto
quasi nulla riguardo a Monsieur Presle.
***
frammenti …
16 gennaio
Ricominciando a scrivere il diario, non pensavo di aver presto
1’occasione di annotarvi eventi straordinari. Sono accadute
cose inaudite, formidabili, sconvolgenti. Ecco di che si tratta.
Stavamo cenando. Avevamo finito le aringhe allo zenzero e attaccavamo
il lardo al cavolo, per caso c’erano anche Joel e Mary,
è raro che si sia tutti e quattro, manca sempre o Joel
o Mary. Joel, non troppo sbronzo, si puliva distrattamente 1’orecchio
con un cetriolino. La mamma tagliava il lardo, i cavoli mandavano
un buon profumino, fuori faceva freddo, dentro caldo, si stava
bene, quando a un tratto suonano alla porta: la servetta va
ad aprire. Si sentono delle voci, degli strilli, un trambusto,
la porta si apre con violenza ed entra Mrs. Killarney, spingendo
da parte Bess. Era tutta sgonfiata e teneva un fagottino in
braccio. Era il fagottino che strillava. Lei lo ha depositato
sulle ginocchia della mamma.
“Lo prenda, nonna, lo prenda e se ne occupi lei. Io ho
altro da fare, buonasera.”
E ha fatto 1’atto di andarsene.
“Ah, no.” ha esclamato la mamma. ”Se lo riporti
via.” E si è alzata per rifilare il marmocchio
alla comare.
“Non ne voglio piu sapere,” ha sbraitato Mrs Killarney.
”Me lo sono tenuto in pancia nove mesi e mi basta.”
“Niente da fare,” ha urlato la mamma, ”non
c’è posto per questa roba in casa nostra. Del resto,
chi ci dice che non 1’abbia raccattato da qualche carrozzella
per farci un brutto scherzo?”
L’intelligenza della mamma diventava sorprendente. Mary
ha mollato un calcio a Joel sotto il tavolo.
“E tu non dici niente?”
Lui, che contemplava assorto il cerume che ornava 1’estremita
del cetriolino, ha risposto semplicemente: ”Ahi!”
senza neppure alzare gli occhi.
Mamma faceva prodigi di strategia:
”Bess! Bess! Chiuda la porta!”
Bess è corsa a chiuderla divertita.
“Mrs. Killarney, lei non se ne andrà di qui senza
portarsi via questo delizioso bebè.”
“Vero che è carino?” ha detto Mrs. Killarney.
“Splendido. Le assomiglia,” ha aggiunto la mamma.
”Trova?”
“Un amore. Ha i suoi occhi.”
“Davvero?”
“Occhi bellissimi.”
“Mi sembrava che assomigliassero a quelli del padre,”
ha detto Mrs. Killarney.
“E chi è il padre?” ha chiesto la mamma con
aria distaccata.
“Ma suo figlio!” ha risposto Mrs. Killarney.
“Via, via,” ha fatto la mamma con indulgenza, ”se
è figlio, non è padre, non le pare’? Non
deve dire di queste cose, si farebbe prendere in giro da tutti.
Accetti piuttosto un bicchiere di uischi, mentre finiamo di
cenare. Ma forse non ha cenato? Bess! Un piatto per Mrs. Killarney
e un’altra bottiglia di uischi.”
Mrs. Killarney si è ritrovata seduta a tavola con il
bebè in braccio.
“Mi dirà come trova il lardo al cavolo di Bess.”
La mamma gliene ha rovesciato un’enorme porzione nel piatto.
’Grazie Mrs. Mara,” ha fatto Mrs. Killarney, ”che
buon odorino.”
E ci si è avventata sopra.
Abbiamo divorato tutti il lardo al cavolo, poi una ruota di
formaggio da dieci libbre, e per finire una torta alle al- ghe.
“Cucina bene, quella ragazza,” ha detto Mrs. Killarney,
pulendosi i baffi con il dorso della mano. ”Meglio per
voi, perche io non ho intenzione di tornare.”
“Ce ne dispiace,” ha detto la mamma.
Il bebè era stato calmo fino a quel momento. Io lo guardavo
con la coda dell’occhio con una curiosita mista a vergogna.
Mrs. Killarney, mangiava sopra alla sua faccia facendogli cadere
addosso detriti di mangime. Non sentir piu masticare lo ha svegliato.
Si è messo a vagire.
“Ha fame questo bambino,” ha suggerito la mamma.
Mrs. Killarney annuisce, sbottona la camicetta e ne fa uscire
un emisfero enorme, che sprizza latte, sul quale il baby si
avventa con lo stesso ardore con cui noi ci avventiamo sul lardo
al cavolo. L’idea che quella molle crisa- lide vorace
fosse mio nipote mi riempiva di stupore, come il pensiero che
un giorno, dopo aver sopportato il becco, i miei senini sodi
potessero gonfiarsi come quelli di Mrs. Kil- larney e che quest’ultima
avesse dovuto, a un dato momento, mettersi a quattro zampe davanti
a mio fratello. Non riuscivo a immaginare come erano andate
le cose. Non mi rappresentavo la scena. Non ci credevo e tutto
si imbrogliava, si confondeva, non ne venivo a capo. E 1’ingordo
baby continuava a poppare e la mamma aveva un’espressione
intenerita e Mary schifata e, finalmente, nel silenzio, Joel
ha alzato gli occhi e ha detto:
“Mrs. Killarney, dovrebbe coprirsi”.
“Perchè mai?” ha chiesto la mamma. ”Non
fa niente di male, Mrs. Killarney.”
“Ah,” ha esclamato quest’ultima, ”il
signorino si degna di rivolgermi la parola.”
“Si copra, le ho detto.”
“Screanzato!”
“Copra, copra!”
“Insolente!”
“Su,” ha fatto la mamma, ”non litigherete
mica per cosi poco. Joel, se questo spettacolo ti disgusta,
e vorrei saper perchè, gira la testa da un’altra
parte. Del resto credo che il pupo abbia finito di poppare.”
“E’ una femmina, ha detto Mrs. Killarney con dignità.
“E come si chiama?”
“Salomè.”
“”Oh, che bel nome,” ha gorgogliato la mamma.
“Gliel’ho messo in ricordo del signorino Joel. Mi
chiamava cosi nell’intimità.”
“La chiamava Salome’?” ha chiesto Mary, guardandola
diritto negli occhi.
“Si, signorina, mi diceva: ’Sarai la mia Salomè,
ma non ti toglierai i sette veli’.”
“Certo che Joel,” ha detto fiera la mamma, ”ne
ha di fantasia, quando vuole.”
E si è unita alle nostre risate. Io e Mary ci contorcevamo
fino alle lacrime.
“Porca vacca!” ha ruggito Joel senza muoversi, con
un sorrisetto un po’ tirato. ”Porca vacca,”
ha brontolato, “tanto per cominciare, è una balla.”
“Che faccia tosta!”
“Fuori dai piedi!”
Joel cercava di assumere un’aria dignitosa.
”Kss, kss,” fece Mary.
Non ne potevamo più.
“Sono stato troppo buono con lei,” ha declamato
Joel, ”del resto, siamo sempre troppo buoni, con le donne.”
Ridevo tanto da dover andare in quel posticino. Fatto il bisognino,
stavo per tornare in sala da pranzo, quando è suonato
il campanello della porta.
“Vado io,” ho gridato, ma tanto nessuno aveva sentito.
Ho aperto la porta e mi sono trovata davanti un uomo con il
cappello calato sugli occhi e le mani in tasca. Il debole lampione
che rischiara la via davanti a casa nostra, la luce fioca proveniente
dal corridoio non mi permettevano di vederne il volto. L’uomo
era alto quanto me, con le spalle larghe cionondimeno un po’
curve. Ancora tutta allegra come quando ero andata ad aprire,
sono rimasta stupefatta e alla fine ho balbettato: ”Desidera,
signore?”
Lui mi ha chiesto con voce sorda se Mrs. Mara abitasse ancora
in quella casa e io ho risposto di si.
“Bene,” ha fatto.
Si è pulito accuratamente i piedi sullo zerbino, si è
tolto le mani dalle tasche ed e entrato, scostandomi con gesto
deciso.
“Signore!” ho gridato come una stupida, rincorrendolo.
”Signore!”
Ma arrivato alla fine del corridoio, egli si è fermato.
“Che baccano!” ha mormorato.
“Signore!” ho fatto io ancora.
Si è tolto il cappello e lo ha lanciato con un tiro preciso
in direzione dell’attaccapanni. Poi mi ha presa per il
mento. ”Tu sei la serva?”
L’ho respinto, ero quasi sicura di averlo riconosciuto.
”No. Sono Sally.”
“Ebbene,” ha detto lui, calmo, ”dai un bacio
a tuo padre.”
Non ne avevo la minima voglia ma lui mi ha afferrata per le
spalle e mi ha baciata. Non si era rasato e la sua barba pungeva.
Aveva occhi grigi freddissimi e un aspetto piuttosto sbilenco.
Mi sono accorta che non mi ricordavo nulla di lui. Ho notato
che aveva una giacca piena di macchie e lisa.
“Che cos’è questa cagnara?” mi ha chiesto
di nuovo.
Pareva al tempo stesso incuriosito e indifferente.
“E’ la nostra serva di prima che sostiene che Joel
è il padre della sua bambina. Arrivi a proposito.”
Ha riflettuto un istante, poi ha detto tranquillamente: ”Merda.
Si comincia bene”.
Si è grattato la testa e ha fatto un passo in direzione
delI’attaccapanni.
“Mi vien proprio voglia di tagliar la corda di nuovo”.
In quel momento il frastuono nella stanza attigua è raddoppiato
di intensita: era un insieme di urla di donne, di risate, di
vagiti, di mobili urtati.
“Vado comunque a dare un’occhiata”, ha dichiarato
papà. ”C’è da divertirsi?”
“Ogni tanto,” ho risposto imbarazzata.
Ha aperto piano la porta della sala da pranzo e abbiamo scorto
Joel, che aveva tirato fuori dai pantaloni 1’arnese e
voleva schiacciarne 1’estremita con uno schiaccianoci.
La mamma gridava con voce straziante:
“Non lo fare Joel! Lo rovinerai!”
Mrs. Killarney urlava, il bebè vagiva, Mary rideva come
una matta, mostrando il bianco degli occhi.
“Carino,” ha mormorato papà.
Joel è stato il primo ad accorgersi di lui – e
a riconoscerlo.
“Padre!” ha gridato.
E lasciando cadere lo schiaccianoci si è rimesso a posto
i pantaloni. La mamma, girandosi, ha pigolato ”John!”
e gli si è precipitata tra le braccia. Mary non ha fatto
niente. ”Buonasera a tutti,” ha detto papà.
Ha distribuito baci in giro e stretto la mano di Mrs. Killarney,
inchinandosi compito. Un sorrisino al baby. Poi si è
messo a sedere, si è versato un bicchiere di uischi che
ha vuotato a sorsettini, con espressione meditabonda. ”Hai
portato i fiammiferi?” ha chiesto la mamma.
“Si, tieni”.
Si è frugato in tasca, ne ha estratto una scatola nuova
di zecca e 1’ha buttata sul tavolo.
“Grazie,” ha fatto la mamma.
“Dovresti raccogliere lo schiaccianoci,” ha detto
papa a Joel.
Joel ha sussultato, ma ha obbedito.
Poi papa si e rivolto a Mrs. Killarney:
“E lei, signora, cosa pensa di fare?”
“Ah, sono davvero felice di vederla, ora le spiego”.
“Inutile. So tutto. Lei sostiene che questa marmocchia
è la mia nipotina’? Ebbene, vero o falso, levi
le tende immediatamente.”
“No,” ha detto Joel.
”Cosa hai detto?”
“Ho detto di no, lei rimane, oppure me ne vado anch’io.”
“Lei leva le tende e tu puoi fare altrettanto, se vuoi.”
“Bene.”
Joel si è alzato ed e andato verso Mrs. Killarney, 1’ha
aiutata ad alzarsi dalla sedia e ha declamato:
“Mrs. Killarney, mi permetta di condividere la sua vita,
alleveremo nostra figlia con onore e dignita”.
Io e Mary abbiamo applaudito con vigore a questa dichiarazione.
La mamma singhiozzava.
“Domani verro a prendere la mia roba,” ha continuato
Joel. ”Addio, madre, addio sorelle, perdonatemi se vi
lascio. Il dovere mi chiama.”
E prendendo Mrs. Killarney per un braccio, è uscito,
mentre noi raddoppiavamo gli applausi.
“E voi,” ha detto papà, ”se volete
rimanere in questa casa dovrete rigare diritto, altrimenti,
attente alle punizioni.”
Ci siamo immobilizzate. Abbiamo udito richiudersi la porta di
strada, mentre si prolungava il silenzio. Finalmente la mamma
ha avuto un’idea. Ha detto in tono di dolce rimprovero:
“John, quanto tempo ci hai messo a trovare una scatola
di fiammiferi”.
“I fiammiferi è stato facile. Il difficile è
stato trovare la scatola.”
E si e versato un altro bicchiere di uischi. Così ho
perduto un fratello e acquistato un padre.
25 gennaio
Fiacco e severo, cristallizza 1’atmosfera in ghiaccio
tagliente, oppure la rende vischiosa. Beve quasi quanto Joel
(no, non cosi tanto) ma non lo da a vedere. Non esce molto,
a dire il vero, anzi non è uscito una sola volta da quando
è tornato. La mamma è sempre radiosa, ma Bess
è terrorizzata. Mary ha dichiarato che se ne andrà
appena sarà diventata una signorina delle Poste.
Si, in casa, la vita è davvero cambiata.
***
la fine...
24 giugno
Oggi dopo il lunch, mi sentivo strana. Un’immensa nostalgia
impregnava la mia piccola anima (immortale) e me ne stavo lì
abbandonata su una sedia, a gambe larghe, con in mezzo una mano,
pensando, con cupa ironia, che mi sarebbe andato bene anche
un brocco. Guardavo trasognata il mio uischi facendo tintinnare
dolcemente un cubetto di ghiaccio contro la parete di vetro,
quando hanno suonato.
Ne sono rimasta così turbata che mi è parso di
spiccare il volo, o meglio ho fatto spiccare il volo al glass
il cui contenuto mi si e rovesciato sul vestito. Cionondimeno
sono balzata alla porta, che ho aperto.
Era Michel Presle. ”Mi sembri turbata,” mi ha detto.
“Si, no,” ho risposto.
“Cosa ti succede?” mi ha chiesto guardandomi la
gonna. Ho fatto una risatina sciocca:
“Non è quel che pensa. Solo un po’ di uischi.
Uischi”. “Bene, bene. Lascio qui la valigia, verrò
a prenderla tra poco.”
“Parte già?”
“Si. Alle cinque prendo il piroscafo per 1’isola
di Man. Dovresti studiare il mansese,” mi ha detto, dandomi
una pacca sul culo.
Ho trasalito e mi sono sentita la bocca secca. Mentre mi accingevo
a rispondere, mi sono accorta che Michel era già entrato.
Gli sono corsa dietro.
“Un uischi’?” ho proposto. ”Sei sola
in casa? Si, un uischi, certo.”
“No, la mamma fa un riposino. Mrs. Killarney è
in cucina con Salome.”
“Deve esser triste per te vivere qui, ora che Mary e Joel
se ne sono andati.”
“Ah! Signor Presle, non me ne parli. Come mi girano, come
mi girano. Ah, cazzo!”
Mi guardava sorridendo, anzi come se mi prendesse in giro.
“Non c’è niente da ridere,” ho detto
offesa.
“E’ il tuo linguaggio che mi fa ridere.”
“Non parlo bene il francese? Credevo che fosse fiero di
me.”
“Si, ma devo farti le mie scuse. Mi accorgo di averti
insegnato molte parolacce.”
“Ma allora esistono le parolacce?”
“I miei compratioti rimarrebbero molto stupiti nel sentirti
parlare”.
“Come Athanase.”
“Giusto, è vero. Lo hai conosciuto. Cosa pensi
di lui?”
“Che è un bastardo, uno schifoso e un fesso.”
Michel continuava a ridere a tutto quello che dicevo. Ciò
finiva per seccarmi maledettamente.
“Che parolacce ho detto?” “Ebbene, mi girano,
cazzo, fesso, per esempio. In Francia una ragazza non usa questi
vocaboli se non in famiglia o con gli amici.”
“Ma lei è un amico, Monsieur Presle.”
“Lo spero, per questo non ti rimprovero. Ti dò
solo un consiglio.”
“La ringrazio, Monsieur Presle. E la pregherei di farmi
un elenco, di tutte quelle parole.”
“Ecco. Comincerò con amore e finirò con
zoccola. Ci penserò.”
“Lei e un tesoro, Monsieur Presle.”
“Più di quanto credi,” ha detto alzandosi
per andare a prendere la valigia, ”ti ho portato un regalo.”
“Oh!” ho fatto premendomi dalla gioia le mani sul
cuore e chiudendo gli occhi perchè fosse una sorpresa.
Michel mi ha messo sulle ginocchia una scatola piatta che ho
aperto tremando. Conteneva un bustino ”Scandale”.
Ho lanciato un grido di contentezza.
“E’ proprio vero che lei è un tesoro, Monsieur
Presle!” ho detto. “Permette che lo provi’?”
“Prego.”
Ho cominciato a spogliarmi.
“Tò, non porti mai il reggiseno?” ha notato
Michel.
“Dovrei?”
”No, no.”
“La mutandina la metto sopra o sotto?”
“Non metterla affatto.”
Ho cominciato a cingermi (come diceva il giornale di moda) il
corpo con il bustino, non senza fatica, del resto. Poi riattaccandomi
le calze, ho gettato un’occhiata di sotto in su a Monsieur
Presle. Però, gli occhi gli schizzavano dalle orbite.
In quel momento è entrata la mamma.
“Ma guarda, Monsieur Presle!” ha esclamato allegra.
”Come sono contenta di vederla!”
“I miei omaggi, signora,” ha detto lui alzandosi,
cosa che mi ha permesso di constatare che non solo i suoi occhi
avevano cambiato aspetto.
“E’ un regalo di Monsieur Presle,” ho detto
alla mamma, tirando un po’ il bustino perchè mi
fasciasse bene.
“La vizia troppo, Monsieur Presle, ha fatto una follia.”
“Ma cosa dice! ’.
“E’ una bella ragazza, eh, Sally?”
“Stupenda.”
Mi sono rimessa il vestito.
“Adesso dovete scusarmi,” ha detto Michel, ”devo
fare alcune commissioni in città.”
“La posso accompagnare, Monsieur Presle?”
“Certo, certo.”
Abbiamo preso il tram per O’Connel Street. Eravamo seduti
I’uno accanto all’altra con un po’ di spazio
in mezzo. Non ci siamo detti granchè lungo la strada.
Monsieur Presle andava a destra, a sinistra, io lo seguivo come
un cagnolino, e aspettavo buona buona quando occorreva. Quando
ha finito, mi ha chiesto:
“Ora cosa facciamo?”
“Se andassimo a Phoenix Park?” ho proposto.
“Che idea!”
“Mi piacerebbe.”
“Non abbiamo tempo.”
“Mi piacerebbe.”
Mi ha scrutata: ”Perchè?”
“Mi piacerebbe.”
E’ sembrato riflettere, esitare, riflettere di nuovo.
“No, decisamente, non abbiamo tempo.”
Ero delusissima.
Poi mi ha parlato di un tale di Dublino, un certo Joyce, un
pornografo costretto a far stampare i suoi libri a Parigi. Poi
è venuto a casa a prendere la valigia e se n’è
andato. Mi ha dato un bacio, in piena regola, ma niente di più.
Dopo, io ero triste, triste, triste. Mi sono seduta davanti
a una bottiglia di uischi, aspettando la cena.
Non c’erano, come al solito, le aringhe allo zenzero per
quella maledetta cena.
“Sono davvero stufa,” ho dichiarato. ”Voglio
le aringhe allo zenzero, io. Perchè non mangiamo piu
aringhe allo zenzero?”
La mamma si è messa a piangere.
“Farebbe meglio a spiegarglielo,” ha consigliato
Mrs. Killarney.
Dopo molti singhiozzi, lei mi ha spiegato il motivo: in casa
non c’erano più soldi. Prima di andarsene, papà
aveva arraffato quello che restava della vincita.
“Carogna,” ho mormorato.
E ho soggiunto:
“Allora non mangeremo mai più aringhe allo zenzero?”
“Mai più.”
“Nè torta alle alghe’?”
“Nè torta alle alghe.”
Questo mi ha dato da riflettere.
Un po’ piu tardi, mamma ha cominciato a dire, come se
nulla fosse, a Mrs. Killarney:
“Non trova che sia un buon mestiere vendere ferramenta?”
“Bisogna riconoscere che si guadagna bene,” ha detto
Mrs. Killarney.
25 settembre
A bordo del Saint-Patrick.
Finalmente vedrò Parigi. Siamo partiti da un’ora,
Barnabè ha il mal di mare e vomita come un cane.
Ci siamo sposati stamani e ci siamo imbarcati a notte. Pioveva.
Tirava vento. Era difficile, avevo una gran fifa di finire in
acqua. Alla fine mi sono addirittura fermata. Barnabè
mi ha gridato:
“Sally, tieni duro!” Ho teso la mano nel buio, ma
ho trovato solo una corda umida e fredda. Allora ho capito che
la mia vita coniugale era cominciata.
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