Takeshi Kitano

 

Asakusa Kid
2001 - Mondadori - pag.205


 

l'inizio...

Un primo pomeriggio, in piena estate, alla fine del mese di luglio, un ragazzo in canottiera, short e ciabatte da spiaggia sbarcava nel sesto distretto di Asakusa a Tokyo…Quel tipo ero io.
Era il 1973. alla fine ero tornato ad Asakusa.
Tutto mi ispirava nostalgia.
L’enorme lanterna di carta recante la scritta nero lucido “ La porta del Tuono” dipinta con inchiostro di china.
La porta laccata rossa e viale Nakamise, con le bancarelle, rosse anch’esse. E il cielo estivo sopra il viale.
Le banderuole decorate che roteavano al vento. “Benvenuto ad Asakusa. La sua freschezza e il suo fascino di quartiere popolare!”

***

frammenti

Le strade del sesto distretto dedicate allo spettacolo e all’intrattenimento sembravano all’improvviso appartenermi. Come anche tutti gli odori che avvolgevano il quartiere di Asakusa.
Quello dei ravioli al vapore di Semine, un ristorante situato all’estremità del distretto, quello buonissimo dei senbei che i negozianti facevano grigliare, e ancora quello delle trippe di porco cotte a fuoco lento nei locali di chuhai, e dell’alcol a buon mercato che gli ubriaconi avevano rovesciato, quelli inoltre dell’urina dei vagabondi e del marciume, un odore nauseabondo di pesce affumicato.
Ero tornato. O forse no, era questo quartiere che attendeva la mia venuta. Cazzo, ecco com’era ! Mi aveva fatto attendere, avrei dovuto rendermene conto prima. Perché ci avevo messo tanto tempo? E perché avevo perso tempo altrove? Che cretino!
Camminando solo, mentre la notte scendeva sul sesto distretto, mi abbandonavo alle mie emozioni.

***

Volevo immergermi in ciò che sembrava all’ultima moda: hippy, psichedelica. Happening. Fumo. Trascorrevo le mie giornate in un locale, il Fugetsudo, in mezzo a persone che si definivano scrittori oppure autori drammatici, e a sedicenti poeti erranti. Tra esistenzialisti e pseudoricercatori appassionati di Jean- Paul Sartre. Accanto a cameraman d’avanguardia, a disegnatori, a creativi della pubblicità, a cineasti…Mischiato a questa fauna anch’io mi adeguavo al pazzeggio….
…Proprio a quell’epoca, precisamente, le rivolte studentesche contro il trattato di sicurezza nippo-americano erano praticamente finite e chi non aveva nessun progetto per il futuro vagava senza meta nel quartiere di Shinjuku, alla ricerca di gente con cui far passare il tempo. Quei fancazzisti timorosi della solitudine si riunivano quasi ogni giorno al Fugetsudo, imponendo ai clienti interminabili discussioni sulle loro teorie teatrali, cinematografiche o artistiche.
Più li ascoltavo, meno riuscivo a sentirmi vicino a ciò che dicevano e le loro parole risuonavano nelle mie orecchie come menzogne.
Per quanto scena facessero e per quanto si dessero un tono mentre smerciavano i loro discorsi, erano tutti contapalle matricolati e finti fancazzisti, i quali, una volta tornati a casa, ritrovavano curiosamente dei genitori onorevoli, una famiglia a posto. Dopo una vita studentesca trascorsa a Shinjuku, alcuni di essi avrebbero ereditato imprese di costruzioni, negozi di riso e sakè; altri si sarebbero seduti comodi sulla poltrona del direttore di una società immobiliare; altri ancora si sarebbero tagliati i capelli per diventare colletti bianchi . insomma , tutti quei giovani custodivano, nascoste in fondo alle loro tasche, le carte che garantivano la sicurezza e che promettevano un buon avvenire.

***

Addetto all’ascensore del Francais di Asakusa. Fu questa la mia prima mansione nel quartiere degli spettacoli. O piuttosto, per darmi un tono, diciamo che ero un addetto all’ascensore che desiderava diventare un attore comico.

***

Nella stanza di sei metri quadri, esigua quanto la mia, si trovavano un frigo, un condizionatore, uno stereo, una televisione. L’ambiente era occupato da svariati mobili, del tipo da salotto, con tanto di divano, un tavolo e delle sedie da giardino. Come se non bastasse, c’era anche un acquario con tanto di pesci tropicali, benché non gli restasse quasi spazio. Tuttavia, An amava organizzare cene e , in mancanza di meglio, i suoi invitati bevevano alcool e mangiavano restando in piedi, sia nello spazio nel quale ci si toglie le scarpe, sia nel corridoio d’entrata.
Le ballerine, comunque, sembravano ritenere la loro esistenza come la migliore e la più felice, e questa maniera di vivere pienamente, senza dare importanza ai dettagli, la loro tranquillità, la loro intelligenza, tutto ciò provocava grande invidia in un tipo impaziente come me.

***

Era stato un vecchio fan a portarmi in questo posto per la prima volta. A quell’epoca avevo tra gli spettatori alcuni ammiratori che apprezzavano i miei sketch. Li chiamo così, ma in realtà si trattava di vecchi pensionati amanti degli spettacoli che popolavano Asakusa, oppure di vecchietti senza niente da fare che frequentavano da sempre questo quartiere che amavano. Tuttavia non era per nulla spiacevole farsi invitare da degli ammiratori per cui voi eravate la celebrità. Se è vero che si è degli artisti solo quando si comincia ad avere dei fan, allora ero perlomeno un piccolo artista.

***

“ Take, vieni ? Andiamo a prendere un tè.”
“ D’accordo. Ma potrebbe fare come se fossi venuto e darmi la somma corrispondente.”
“ Si direbbe che non hai ancora perso la mentalità da mendicante. Se vuoi del denaro, invece di startene qui, trovati un lavoro più serio. Bé ,ho capito , non vieni.”
“ Sì, sì , maestro,vengo. E’ l’ora del tè! Dove andiamo? Da Blondy o da Toge? Davvero mi offre anche la cena? Ehi ,ascoltate tutti, il maestro ci invita a cena!”
“ Specie di idiota! Chi ti ha detto che ti invitavo a cena? Chi ha detto che ci avrei portato tutti? Ma no,non è possibile, mandiamo tutto a monte. All’improvviso mi sento male. Ho male alla testa. Ho la febbre. Mi sento crepare. Devo andare dal medico. Non siete obbligati a venire tutti a cena, imbecilli!”
E il maestro sparì come per magia.

***

Per me, che desideravo diventare un artista, Asakusa era il posto ideale. Avevo compreso che lì,in ogni situazione, nulla avrebbe potuto sostituire la pratica. La forma e la teoria vengono sempre dopo. Salire sulla scena, riflettere, ma soltanto dopo aver agito, questo corrispondeva perfettamente alla mia sensibilità. Secondo la concezione dell’arte dei comici di Asakusa, le indecisioni non importavano nel momento in cui si recitava davanti a un pubblico.


 

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