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l'inizio...
Un
primo pomeriggio, in piena estate, alla fine del mese di luglio,
un ragazzo in canottiera, short e ciabatte da spiaggia sbarcava
nel sesto distretto di Asakusa a Tokyo…Quel tipo ero io.
Era il 1973. alla fine ero tornato ad Asakusa.
Tutto mi ispirava nostalgia.
L’enorme lanterna di carta recante la scritta nero lucido
“ La porta del Tuono” dipinta con inchiostro di
china.
La porta laccata rossa e viale Nakamise, con le bancarelle,
rosse anch’esse. E il cielo estivo sopra il viale.
Le banderuole decorate che roteavano al vento. “Benvenuto
ad Asakusa. La sua freschezza e il suo fascino di quartiere
popolare!”
***
frammenti
Le
strade del sesto distretto dedicate allo spettacolo e all’intrattenimento
sembravano all’improvviso appartenermi. Come anche tutti
gli odori che avvolgevano il quartiere di Asakusa.
Quello dei ravioli al vapore di Semine, un ristorante situato
all’estremità del distretto, quello buonissimo
dei senbei che i negozianti facevano grigliare, e ancora quello
delle trippe di porco cotte a fuoco lento nei locali di chuhai,
e dell’alcol a buon mercato che gli ubriaconi avevano
rovesciato, quelli inoltre dell’urina dei vagabondi e
del marciume, un odore nauseabondo di pesce affumicato.
Ero tornato. O forse no, era questo quartiere che attendeva
la mia venuta. Cazzo, ecco com’era ! Mi aveva fatto attendere,
avrei dovuto rendermene conto prima. Perché ci avevo
messo tanto tempo? E perché avevo perso tempo altrove?
Che cretino!
Camminando solo, mentre la notte scendeva sul sesto distretto,
mi abbandonavo alle mie emozioni.
***
Volevo
immergermi in ciò che sembrava all’ultima moda:
hippy, psichedelica. Happening. Fumo. Trascorrevo le mie giornate
in un locale, il Fugetsudo, in mezzo a persone che si definivano
scrittori oppure autori drammatici, e a sedicenti poeti erranti.
Tra esistenzialisti e pseudoricercatori appassionati di Jean-
Paul Sartre. Accanto a cameraman d’avanguardia, a disegnatori,
a creativi della pubblicità, a cineasti…Mischiato
a questa fauna anch’io mi adeguavo al pazzeggio….
…Proprio a quell’epoca, precisamente, le rivolte
studentesche contro il trattato di sicurezza nippo-americano
erano praticamente finite e chi non aveva nessun progetto per
il futuro vagava senza meta nel quartiere di Shinjuku, alla
ricerca di gente con cui far passare il tempo. Quei fancazzisti
timorosi della solitudine si riunivano quasi ogni giorno al
Fugetsudo, imponendo ai clienti interminabili discussioni sulle
loro teorie teatrali, cinematografiche o artistiche.
Più li ascoltavo, meno riuscivo a sentirmi vicino a ciò
che dicevano e le loro parole risuonavano nelle mie orecchie
come menzogne.
Per quanto scena facessero e per quanto si dessero un tono mentre
smerciavano i loro discorsi, erano tutti contapalle matricolati
e finti fancazzisti, i quali, una volta tornati a casa, ritrovavano
curiosamente dei genitori onorevoli, una famiglia a posto. Dopo
una vita studentesca trascorsa a Shinjuku, alcuni di essi avrebbero
ereditato imprese di costruzioni, negozi di riso e sakè;
altri si sarebbero seduti comodi sulla poltrona del direttore
di una società immobiliare; altri ancora si sarebbero
tagliati i capelli per diventare colletti bianchi . insomma
, tutti quei giovani custodivano, nascoste in fondo alle loro
tasche, le carte che garantivano la sicurezza e che promettevano
un buon avvenire.
***
Addetto
all’ascensore del Francais di Asakusa. Fu questa la mia
prima mansione nel quartiere degli spettacoli. O piuttosto,
per darmi un tono, diciamo che ero un addetto all’ascensore
che desiderava diventare un attore comico.
***
Nella
stanza di sei metri quadri, esigua quanto la mia, si trovavano
un frigo, un condizionatore, uno stereo, una televisione. L’ambiente
era occupato da svariati mobili, del tipo da salotto, con tanto
di divano, un tavolo e delle sedie da giardino. Come se non
bastasse, c’era anche un acquario con tanto di pesci tropicali,
benché non gli restasse quasi spazio. Tuttavia, An amava
organizzare cene e , in mancanza di meglio, i suoi invitati
bevevano alcool e mangiavano restando in piedi, sia nello spazio
nel quale ci si toglie le scarpe, sia nel corridoio d’entrata.
Le ballerine, comunque, sembravano ritenere la loro esistenza
come la migliore e la più felice, e questa maniera di
vivere pienamente, senza dare importanza ai dettagli, la loro
tranquillità, la loro intelligenza, tutto ciò
provocava grande invidia in un tipo impaziente come me.
***
Era
stato un vecchio fan a portarmi in questo posto per la prima
volta. A quell’epoca avevo tra gli spettatori alcuni ammiratori
che apprezzavano i miei sketch. Li chiamo così, ma in
realtà si trattava di vecchi pensionati amanti degli
spettacoli che popolavano Asakusa, oppure di vecchietti senza
niente da fare che frequentavano da sempre questo quartiere
che amavano. Tuttavia non era per nulla spiacevole farsi invitare
da degli ammiratori per cui voi eravate la celebrità.
Se è vero che si è degli artisti solo quando si
comincia ad avere dei fan, allora ero perlomeno un piccolo artista.
***
“
Take, vieni ? Andiamo a prendere un tè.”
“ D’accordo. Ma potrebbe fare come se fossi venuto
e darmi la somma corrispondente.”
“ Si direbbe che non hai ancora perso la mentalità
da mendicante. Se vuoi del denaro, invece di startene qui, trovati
un lavoro più serio. Bé ,ho capito , non vieni.”
“ Sì, sì , maestro,vengo. E’ l’ora
del tè! Dove andiamo? Da Blondy o da Toge? Davvero mi
offre anche la cena? Ehi ,ascoltate tutti, il maestro ci invita
a cena!”
“ Specie di idiota! Chi ti ha detto che ti invitavo a
cena? Chi ha detto che ci avrei portato tutti? Ma no,non è
possibile, mandiamo tutto a monte. All’improvviso mi sento
male. Ho male alla testa. Ho la febbre. Mi sento crepare. Devo
andare dal medico. Non siete obbligati a venire tutti a cena,
imbecilli!”
E il maestro sparì come per magia.
***
Per
me, che desideravo diventare un artista, Asakusa era il posto
ideale. Avevo compreso che lì,in ogni situazione, nulla
avrebbe potuto sostituire la pratica. La forma e la teoria vengono
sempre dopo. Salire sulla scena, riflettere, ma soltanto dopo
aver agito, questo corrispondeva perfettamente alla mia sensibilità.
Secondo la concezione dell’arte dei comici di Asakusa,
le indecisioni non importavano nel momento in cui si recitava
davanti a un pubblico.
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