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l'inizio...
Venerdì
sera sono andato a una festicciola a casa di una collega di
lavoro. Eravamo una trentina e passa, tutti quadri di medio
livello, tra i venticinque e i quarant'anni. A un certo punto
una scema ha cominciato a spogliarsi. Si è sfilata la
maglietta, poi il reggiseno, poi la gonna - il tutto facendo
delle smorfie incredibili. E' rimasta così qualche secondo,
ad ancheggiare in mutandine; poi, non sapendo più che
fare, si è rivestita. Peraltro è una che non la
dà a nessuno; il che sottolinea l'assurdità del
suo contegno.
Dopo il quarto bicchiere di vodka kho cominciato a sentirmi
malissimo e sono andato a sdraiarmi su un mucchio di cuscini
dietro il divano. Poco dopo, due tizie sono venute a sedersi
proprio sul divano. Faccio presente che si tratta di due tizie
tutt'altro che belle, anzi, due racchie totali. Vanno sempre
a mensa in coppia e leggono libri sullo sviluppo del linguaggio
nei bambini, non so se capite il genere.
Appena sedute hanno cominciato a commentare l'evento del giorno,
cioè che una delle impiegate era venuta in ufficio con
una minigonna assurdamente mini, raso-chiappe.
Come la vedevano, questa faccenda della minigonna assurdamente
mini? La vedevano bene. Le loro sagome assurdamente ingrandite
si stagliavano come ombre cinesi sulla parete sopra di me Le
loro voci mi parevano piovere dall'alto, a mo' di Spirito Santo.
Il fatto è che stavo da cani.
Per un quarto d'ora hanno continuato ad infilare una banalità
dietro l'altra. Tipo che quella tizia aveva tutto il diritto
di vestirsi come le girava, e che mettersi una mini assurdamente
mini non aveva niente a che fare col desiderio di sedurre i
maschi, e che era solo per avere un buon rapporto col proprio
corpo, per piacere a se stessa, e via di seguito. Tardive e
deprimenti scorie del femminismo infranto. A un certo punto
ho sentito questa stessa frase pronunciata stentoreamente dlla
mia voce: "Tardive e deprimenti scorie del femminismo infranto."
Ma loro non mi hanno sentito.
Anch'io avevo notato la ragazza con la minigonna. Difficile
non notarla. Tant'è che persino il capufficio era in
stato di arrapamento.
***
frammenti...
I
gradi di libertà secondo J.-Y.Fréhaut
Torno
in sede. Mi viene riservata una bella accoglienza; a quanto
pare sono riuscito a ristabilire la mia posizione in azienda.
Il mio capufficio mi prende da parte, mi rivela l'importanza
di questo contratto. Sa che sono un ragazzo di carattere. Dedica
qualche parola di amaro realismo al furto della mia automobile.
E' una specie di conversazione maschia, accanto al distributore
automatico di bevande calde. Vedo in lui un grande professionista
delle risorse umane, dentro di me tubo.Lo vedo più bello
che mai.
Più
tardi nel pomeriggio assisterò alla festa d'addio per
Jean-Yves Fréhaut. E' un elemento di valore che lascia
l'azienda,sottolinea il mio capufficio; un tecnico dai grandi
meriti.Senza dubbio ,nella sua futura carriera,egli andrà
incontro a successi quantomeno equivalenti a quelli che hanno
contrassegnato quella precedente;è tutto il male che
gli augura. E,quando ne avrà voglia,che torni pure liberamente
in azienda a bere il bicchiere della amicizia! Il primo impiego,conclude
con tono salace il mio capufficio, è qualcosa difficile
da scordare; un po' come il primo amore. A questo punto mi chiedo
se costui abbia bevuto un po' troppo.
Breve applauso. Intorno a J.-Y. Fréhaut si crea un certo
movimento; lui gira lentamente su se stesso, con aria soddisfatta.Questo
ragazzo lo conosco un po', siamo entrati in azienda contemporaneamente,
tre anni fa; stiamo nello stesso ufficio.Una volta abbiamo discusso
di civilizzazione .Lui sosteneva- e per certi versi ci credeva
davvero- che l'aumento del flusso d'informazione all'interno
della società sia di per sé una bella cosa. E
che la libertà non sia altro che la possibilità
di stabilire diverse interconnessioni tra individui, progetti,organismi,sevizi.
Secondo lui il massimo di libertà coinciderebbe con il
massimo delle scelte possibili. Servendosi di una metafora basata
sulla meccanica dei soldi, queste scelte le chiamava gradi di
libertà.
Ricordo che eravamo seduti vicino all' unità centrale.Il
climatizzatore emetteva un leggero ronzio. Lui paragonava la
società a un cervello e gli individui alle cellule celebrali,
per le quali è in effetti auspicabile stabilire il massimo
delle interconnessioni .Ma l'analogia si fermava lì.Perché
lui ,essendo un liberale, non spingeva a denunciare ciò
che davvero manca al cervello : un progetto di unificazione.
La sua vita ,come avrei appreso dopo quella conversazione, era
estremamente funzionale. Abitava in un monolocale nel quindicesimo
Arrondissement. Il riscaldamento era compreso nell'affitto .Lui
si limitava a dormirci, giacché in effetti lavorava molto;
spesso ,fuori dall'orario d'ufficio,leggeva Micro-Systèmes
.Per quanto lo concerneva, i famosi gradi di libertà
si riducevano alla scelta del menù della cena tramite
Minitel ( era abbonato a questo servizio,nuovo per l'epoca,che
assicurava la consegna a domicilio di piatti caldi a orari estremamente
precisi e con un preavviso relativamente breve).
La sera mi piaceva guardarlo comporre il menù sul Minitel
posato sull'angolo sinistro della scrivania.Lo stuzzicavo sulle
messaggerie rosa; ma in realtà sono convinto che fosse
vergine.
In un cero senso era felice.Si sentiva, a buon titolo,attore
della rivoluzione telematica. Davvero percepiva ogni crescita
di forza del potere informatico, ogni passo avanti verso la
globalizzazione della rete, come una vittoria personale.Votava
socialista. E, stranamente, adorava Gauguin.
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