Raymond Chandler

 

Il grande sonno
1939 - Feltrinelli, pag.219


 

 

Siamo nella Los Angeles degli anni '30. Il detective privato Philip Marlowe viene assunto da Guy Sternwood, generale a riposo, vecchio, molto malato e proprietario di un patrimonio di quattro milioni di dollari, per risolvere una questione delicata: qualcuno cerca di ricattare il vecchio generale con del materiale compromettente che riguarda una delle sue due figlie, la minorenne Carmen, viziosa e instabile.
Ma mentre si occupa di questa faccenda, che si dimostra sempre più intricata e che non tarda a causare anche delle vittime, Marlowe si accorge che un problema più grave assilla il vecchio generale: il marito dell'altra sua figlia, la intelligente e conturbante Vivian, è scomparso misteriosamente. Benché il generale non glie l'abbia chiesto esplicitamente, Marlowe decide d'indagare anche su questo caso.

 

***

l'inizio...

Erano pressappoco le undici del mattino, mezzo ottobre, sole velato, e una minaccia di pioggia torrenziale sospesa nella limpidezza eccessiva là sulle colline. Portavo un completo blu polvere, con camicia blu scuro, cravatta e fazzolettino assortiti, scarpe nere e calzini di lana neri con un disegno a orologini blu scuro. Ero corretto, lindo, ben sbarbato e sobrio, e me ne sbattevo che lo si vedesse. Dalla testa ai piedi ero il figurino del privato elegante. Avevo appuntamento con quattro milioni di dollari. [...]


***

la fine...

[…] Salii in macchina, e scesi la collina.
Cosa importa dove si giace quando si è morti? In fondo a uno stagno melmoso o in un mausoleo di marmo alla sommità di una collina? Si è morti, si dorme il grande sonno e chi se ne fotte di certe miserie. L’acqua putrida e il petrolio sono come il vento e l’aria per noi. Si dorme il grande sonno senza preoccuparsi di esser morti male, di esser caduti nel letame. Quanto a me, ne condividevo una parte pure io, di quel letame, ora. Una parte anche più grande di quella di Rusty Regan. Ma il vecchio, no, non doveva: lui riposava tranquillo nel suo letto a baldacchino, le mani esangui intrecciate sul lenzuolo, in attesa. Il suo cuore emetteva appena brevi sussulti incerti. I suoi pensieri erano grigi come la cenere. E di lì a poco anche lui, come Rusty Regan, avrebbe dormito il grande sonno.
Ridiscendendo in città, mi fermai a un bar e mandai giù un paio di doppi whisky. Ma non mi servirono a un accidenti. Riuscirono solo a farmi ricordare Parrucca d’Argento. Davvero, non l’ ho più rivista.


 

 

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