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Come una bestia
feroce
1973 - Einaudi
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l'inizio...
Seduto sul cesso senz'asse nel retro della
cella, ero intento a lucidare le orribili scarpe dalla punta
bulbiforme che venivano fornite a chi stava per uscire. Mi attraversò
la mente un canto di trionfo: «Domattina sarò un
uomo libero». Ma nonostante l'esultanza, la gioia di uscire
dopo otto calendari sfogliati in prigione era tutt'altro che
sfrenata. La lucidatura delle orrende scarpe non era tanto tesa
a migliorare il loro aspetto, quanto ad alleviare la mia tensione.
Ero piú nervoso nell'affrontare il rilascio sulla parola
di quanto ero stato al mio ingresso, cosí tanto tempo
prima. Mi aiutava un poco sapere che simili apprensioni erano
comuni, anche se spesso smentite, da uomini per i quali il mondo
esterno si era fatto sempre piú vago e distante a mano
a mano che gli anni passavano. Fate trascorrere a un uomo un
numero sufficiente di anni in prigione e lo ritroverete disorientato
nell'affrontare la libertà quanto un frate trappista
gettato nel bel mezzo della vorticosa New York. Se non altro
il frate avrebbe la fede a sostenerlo, mentre l'ex prigioniero
non possiederebbe altro che il ricordo di un passato fallimento,
della galera, e la cocente consapevolezza di essere un «ex
detenuto», un reietto della società.
***
frammenti...
- Ascolti, ho trentun anni. In testa ho piú
capelli grigi di lei. Spero di essere abbastanza maturo da poter
prendere delle decisioni, se non altro su dove dormire. Se la
prigione non mi ha insegnato almeno questo, significa che è
stata un grande spreco di tempo.
- Tenendola dentro, la prigione ha protetto la società.
E proteggere la società è anche il mio lavoro,
il mio primo lavoro.
- Mi hanno fatto uscire. E io voglio restar fuori. Non è
costretto a soffiarmi di continuo sul collo. Fa un servizio
migliore se mi aiuta, no? Voglio essere una persona rispettabile.
Ma potrei anche non essere in grado di capire il significato
della rispettabilità nel modo in cui lo intende la maggior
parte della gente.
Mi fermai, sforzandomi di incanalare l'agitazione in una serie
di parole sensate, mentre il sudore mi inumidiva la fronte e
le ascelle. - Deve rendersi conto che sono diverso da lei. Sono
deviato e intrappolato da fin troppo tempo per essere uguale
a lei. Ma ciò non significa che sia una minaccia per
la società. Se credessi che il mio futuro debba per forza
essere uguale al mio passato, mi ucciderei. Sono stanco. Posso
forzarmi quanto basta per mantenermi entro i confini della legge,
ma non sarò mai l'ometto che torna dalla moglie e dai
figli nel suo villino sulla San Fernando Valley. Vorrei tanto
esserlo, ma non lo sono. E le sue minacce non m'aiuteranno a
controllarmi. Le minacce provocano rabbia, non paura.
- Nessuno la sta minacciando, - replicò Rosenthal. -
Sto soltanto mettendola al corrente della realtà della
situazione, di ciò a cui si dovrà adattare.
- Suonano come minacce.
- Sono qui per aiutarla.
- Ripetendomi «dovrai» e «non dovrai».
- Non ho stabilito io le condizioni per la libertà condizionata.
Mi limito a farle rispettare. Non potrei darle il permesso di
contravvenire alle regole neppure se volessi. Se lo facessi
non continuerei a lavorare per molto.
- Mi dimostri un minimo di flessibilità e io farò
lo stesso. Si limiti a chiedermi di non commettere crimini,
non pretenda che io viva secondo i suoi criteri morali. Se è
la società che lo richiede, allora la società
non avrebbe dovuto assegnarmi a decine di famiglie diverse e
rinchiudermi nei riformatori, finendo per rovinarmi. E questi
ultimi otto anni: cazzo, dopo un'esperienza del genere nessuno
sarebbe piú normale. Cerchi di capire la mia situazione.
Non conosco nessuno se non ex detenuti, malviventi e prostitute.
Non riesco nemmeno a sentirmi a mio agio in compagnia della
gente regolare. Mi piacciono le squillo, non le brave ragazze.
Non ho bisogno di un'analisi freudiana, che in ogni caso non
riuscirebbe a cambiare i fatti. Ma il fatto che preferisca andare
a letto con una puttana non significa che sia sul punto di usare
una torcia all'acetilene su una cassaforte.
- Significa che vuole il permesso di fare il magnaccia.
- No! No! Voglio solo che lei capisca che non si possono ridurre
le persone a delle formule -. M'interruppi per tirare il fiato
e per estrarre espressioni comprensibili dal vortice di pensieri
confusi che mi aveva assalito la mente.
- Fondamentalmente le sto chiedendo di non trasformare la mia
libertà vigilata in un guinzaglio con cui strozzarmi.
- Fondamentalmente vuole fare di testa sua, non è cosí?
Lo stomaco mi si serrò in un nodo. Rosenthal era irremovibíle.
Avevo tentato. Rivoli di sudore mi scendevano sotto la camicia.
Un terribile pensiero esplose in superficie. E se Rosenthal
avesse avuto ragione? E se davvero seguire ciecamente le regole
fosse la chiave per raggiungere la felicità e la pace
interiore?
***
Gli attacchi di rabbia, tutti diretti a Rosenthal,
mi facevano girare la testa. E immediatamente dopo erano seguiti
dallo sconforto: all'improvviso mi sentivo come un cencio, sommerso
da ondate di disperazione cosí intense da farmi pensare
al suicidio come a una via di scampo. E non si trattava soltanto
della situazione attuale: ciò che mi era capitato era
un mero esempio di quella che era stata la mia vita. Era andata
sempre cosí, e cosí sarebbe sempre andata. Perché
soffrire inutilmente? La logica imponeva il suicidio: ma la
logica è piú semplice da articolare che da seguire,
soprattutto quando contempla la morte. Il corpo si ribella all'oblio.
Lentamente arretrai dall'orlo del baratro.
Il lato peggiore del mio dilemma era l'impossibilità
di trovare un baluardo di fiducia con cui combattere i colpi
dell'esistenza e rendere sopportabile la mia condizione. Non
avevo alcun Dio a cui rivolgermi con il mio fardello. Il dolore
cieco è quello piú insopportabile. I miei angosciati
pensieri non avevano piú importanza del frullare di una
falena contro un vetro.
Ma in quell'abisso, in quel vuoto, fiorí in me una indignazione
potente. Era una rabbia che andava al di là dell'odio.
Coinvolgeva Dio e insieme l'uomo. Cresceva dal cadavere della
mia ultima speranza di appartenere al genere umano, a quello
che il genere umano professava come virtuoso. Non soltanto era
morta la speranza, ma anche il desiderio. Presto i risultati
delle analisi delle urine sarebbero tornati al mittente. Presto
sarei uscito. E anche se fossi stato costretto a tornare in
prigione per altri anni, la mia scelta sarebbe uscita rafforzata.
Se è possibile che qualcosa di assoluto si rafforzi.
Sarei sceso in guerra contro la società, o forse mi sarei
soltanto limitato a riprendere le ostilità. Non provavo
piú alcun timore. Mi dichiarai libero da ogni regola,
eccetto quelle che io stesso avessi voluto accettare. E anche
quelle le avrei mutate a mio piacere. Avrei afferrato tutto
ciò che avessi desiderato. Avrei ripreso a essere quello
che ero, ma con piú determinazione. Un criminale. La
mia scelta, il mio totale abbandono delle restrizioni sociali
(a patto che la società non me le avesse imposte con
la forza) era anche la mia verità. Altri avrebbero scelto
di accrescere il piú possibile il loro potere. Ma il
crimine era il mio mondo, il luogo in cui mi sentivo a mio agio
e non lacerato nel profondo. E sebbene si trattasse di una libera
scelta, era anche destino. La società mi aveva reso quello
che ero, e mi aveva messo al bando per paura di quanto essa
stessa aveva creato; ma io andavo fiero della mia condizione.
Se si rifiutavano di lasciarmi vivere in pace, non sarei stato
certo io a volerlo. Nel corso di quell'ultima settimana di lotta
ero stato da cani: un male psicologico. Fanculo alla società.
Fanculo al suo gioco. E se anche le difficoltà erano
molte, fanculo anche a quelle. Almeno avevo riconquistato l'integrità
della mia anima, ero tornato a essere il solo responsabile della
mia piccola zolla d'inferno, per minuta che fosse, per confinata
che fosse alla mia mente.
Quando fece mattino, ero tornato forte. Avevo superato ogni
indecisione.
***
Facemmo ritorno all'auto.
L'autostrada che attraversava la San Fernando Valley era sopraelevata,
cosicché oltre la rete di protezione per i cani, i gatti
e i bambini si poteva godere di una splendida vista. Lo smog
accorciava il panorama, ma la valle appariva una regolare distesa
di tetti e di filari d'alberi lungo le strade. Case dai tenui
colori pastello, antenne televisive che deturpavano i profili
dei tetti. Spesso l'occhio registrava un istante di azzurro
pallido: una piscina. Gli edifici erano bassi, tranne che per
l'occasionale e sgraziato svettare di un centro commerciale.
Era la Mecca del Sogno Americano, il mondo che desideravano
tutti. Un mondo di eleganti, giovani donne (grazie all'ausilio
di qualche centro estetico) in pantaloncini corti e canottiere,
dirette a bordo di auto familiari da 400 cavalli verso supermercati
rinfrescati e rallegrati da eterne musichette, di associazioni
di baby-sitter e di una cultura condensata nei dibattiti di
gruppo. Una vita di grigliate ai bordi delle piscine, di drive-in
aperti tutto l'anno. Una vita che non mi attirava. Fanculo alle
assicurazioni sulla salute e alle polizze sulla vita. Quella
gente voleva vivere senza mai lasciare il ventre materno. Ma
io mi sentivo piú vivo a giocare una partita senza regole
contro la società stessa, ed ero preparato a giocarla
fino in fondo. Un brivido quasi sensuale mi attraversò
mentre pregustavo le emozioni della rapina ormai prossima.
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