Il Manifesto, 9 Settembre 2000
Le miserie del petrolio
ALDO IACOMELLI *
Quando sei dipendente dal petrolio sei schiavo fino alla rovina. Il
petrolio ti entra "nelle vene", ti devasta per generazioni e generazioni. Più
ne possiedi sotto la tua terra, quella dove sei nato, cresciuto e dove vivi, maggiori sono
le catastrofi umane ed ambientali che ti pioveranno addosso. Pioveranno addosso alle
multinazionali, invece, i miliardi di dollari per i miliardi di barili estratti; quasi 35
dollari al barile oggi sul mercato del Brent di Londra.
Sale il prezzo della "dose-barile" e aumenta la domanda; il meccanismo perverso
vede salire costantemente il prezzo con all'aumentare dei consumi, ormai giunti a dei
livelli stratosferici. Nel 2000 si stanno sfruttando nuove risorse petrolifere per oltre
1,5 miliardi di barili estratti dal Golfo del Messico, dall'Angola, dal delta del Niger,
dall'Azerbaijan, dal Vietnam, dal Mare di Barents, dal Mare del Nord, dal Mar Caspio. Alla
fine dell'anno, spinta da un'accelerazione costante, la domanda di petrolio si dovrebbe
attestare sui 77 milioni di barili al giorno. Un record! Pronto per essere battuto già
nel 2001. Si stima che entro il 2020 i barili consumati ogni giorno nel mondo saranno
circa 115 milioni.
Gli "spacciatori di petrolio" agiscono in genere in giacca e cravatta davanti
alle aule. Non delle scuole, dei parlamenti. Sempre più buchi sotto terra o sotto il mare
per estrarre greggio: questa è la richiesta pressante delle multinazionali del petrolio.
Per ora il successo dei petrolieri è stato quello di ottenere, facendola sembrare anche
una manovra per la gente e contro l'inflazione, sgravi fiscali ed agevolazioni a tutto
campo.
Obasanjo, il vecchio presidente nigeriano, ha ricevuto la visita interessata di Clinton,
recatosi in Nigeria per chiedere nuovi pozzi e nuovo petrolio da riversare sui mercati del
mondo per non fermare la crescita delle economie occidentali. Nemmeno un cenno invece
sulla disastrosa situazione del delta del Niger e delle popolazioni indigene. Sulla grande
foce del fiume africano si continua a morire per la dipendenza dal petrolio, si muore per
fare i buchi: i buchi negli oleodotti della Shell e dell'Agip, per trasformare un secchio
di greggio in qualche centesimo di dollaro per la famiglia, per vivere un altro giorno in
quell'inferno. Spesso, questa pratica pericolosa, combattuta dalle polizie petrolifere, è
all'origine di drammi, di morti singole nel quotidiano silenzio o di clamorosi roghi, come
gli oltre trecento nigeriani, senza un nome da ricordare, arsi vivi all'inizio di questa
estate. E' il prezzo della globalizzazione e del libero mercato che facciamo pagare a
delle popolazioni che non parteciperanno al banchetto delle risorse.
L'intento è sempre il solito: aumentare i consumi delle merci e dei beni per sostenere
un'economia nel nord del mondo sempre più effimera e virtuale. Così, mentre il
venezuelano Ali Rodriguez a nome dell'Opec invoca meno speculazioni sul mercato dei future
alle borse di New York e di Londra e più investimenti nelle raffinerie occidentali, la
corsa del prezzo del petrolio continuerà fino ai 40 dollari al barile. E' questa infatti
la soglia limite prevista per la fine del 2000, 40 dollari per 159 litri di greggio.
Estrarne il massimo possibile è ormai la parola d'ordine in occidente. L'Opec in realtà
non ha mai prodotto così tanto petrolio dalla crisi del 1973 ma il prezzo continua a
salire.
Anche dal punto di vista ambientale il petrolio crea disastri. Non solo quando viene
sversato da carrette del mare, o bruciato per produrre energia elettrica, ma anche quando
viene cercato e poi estratto. In Basilicata, dopo la sbornia da petro-dollari, gli
amministratori locali potrebbero svegliarsi una mattina e scoprire che il sistema delle
acque di questa regione, magari anche della Puglia e della Campania, potrebbe essere
compromesso. Quando un pozzo petrolifero entra in produzione, dalla testa esce una
emulsione di olio e acqua. La cosiddetta "acqua di produzione", dopo essere
stata separata dal greggio, dovrebbe essere opportunamente trattata nel centro oli e poi
smaltita a norma. Cosa accade in Val D'Agri? Viene reiniettata nei pozzi? O in vecchi
pozzi ormai fuori uso? Si è proprio sicuri di non aver iniziato una contaminazione di
acque profonde, fossili, pregiate di un sistema complesso come quello del sottosuolo della
Basilicata? Chi sta controllando dove e come vengono smaltite queste acque di risulta?
Sono domande su cui Greenpeace sta ancora cercando una risposta perché il caso Val D'Agri
è tutt'altro che concluso.
Ma ciò che maggiormente stupisce oggi è l'assenza di risposte politiche di prospettiva
alla preannunciata crisi energetica a cui andremo incontro. Il 10 settembre a Vienna
l'Opec deciderà se aumentare la produzione, ma in ogni caso la lenta crescita del prezzo
del petrolio continuerà. L'Unione Europea dal canto suo, dopo un timido accenno ad un uso
del Wto contro l'Opec - peraltro subito smentito, ma che conferma, se mai ve ne fosse
bisogno, la funzione deleteria e reazionaria del contenitore del commercio mondiale -
sembra non avere idee per riforme energetiche strutturali da sviluppare con gli stati
membri, che hanno tutti congiuntamente sottoscritto il protocollo di Kyoto nel 1997 per
ridurre le emissioni di gas serra.
L'Europa, ma anche l'Italia, rappresentano dei mercati dalle dimensione economicamente
accettabili. Sarebbe dunque possibile dal punto di vista economico, a patto che vi sia la
volontà politica, creare un mercato delle fonti rinnovabili e dei servizi energetici in
grado di creare occupazione e sostenere un'economia in grado di svincolare i paesi dalla
dipendenza dal petrolio o da altri combustibili fossili. L'ostacolo è politico: le lobby
impediscono alle rinnovabili di penetrare nel mercato. Il liberismo che appare la cura di
tutti i mali, realizzata appplicando ovunque e a tutto l'olio santo della concorrenza,
viene smentita nella realtà dei fatti.
Non è fondata, e ve ne sono le prove, l'equazione liberalizzazione uguale concorrenza
uguale prezzi più bassi per il consumatore. E' vero il contrario. In una giungla di
tariffe incomprensibili per il consumatore, da quando l'energia in Italia non è più un
servizio di pubblica utilità, ma è una merce, essa costa di più. Altrettanto dicasi per
il gas. Il cartello dei petrolieri, multato dall'Antitrust, è un'altra prova che con il
mercato libero, la concorrenza viene messa da parte in nome di un interesse generalizzato.
Il risultato del lungo periodo sarà fatto da costi sempre crescenti per i consumatori per
servizi o merci che sono convenienti e lucrose per le aziende. Non solo. Il paradigma dei
costi crescenti viene utilizzato, e lo sarà ancor di più, per spiegare la fine del
lavoro, la scomparsa del posto fisso e le decine di migliaia di posti di lavoro che
saranno cancellati. Dopo la vendita delle centrale elettriche italiane, i soliti fortunati
acquirenti, interessati ai Mw e alle quote di mercato acquisite, licenzieranno, turnisti,
operai ed impiegati delle centrali in nome della concorrenza e della permanenza sul
mercato.
In Italia non vi è un cenno ad investire se non a parole sulle energie rinnovabili e sul
risparmio energetico. In Danimarca, secondo dati della Danish Wind Turbine Manifactures
Association nel 1997 ci sono stati 12.500 occupati, tra diretti ed indotto nell'industria
delle turbine e nei parchi eolici, che nel 1998 sono diventati 14821. Si stima che
installando 6500 Mw fotovoltaici si possano creare fino a 480.000 posti di lavoro tra
diretti ed indotto.
Sviluppo sostenibile significa migliorare la qualità della vita, mantenendosi nei limiti
della capacità di carico degli ecosistemi. Il benessere non passa necessariamente
attraverso la crescita economica. E' necessario sviluppare l'efficienza. Non solo. E'
ormai indispensabile introdurre nelle nostre vite il concetto di sufficienza.
Ridistribuire in modo equo e solidale le ricchezze, i prodotti ed i servizi potrebbe
significare mantenere vivo un sistema economico - con le donne e gli uomini che vi
partecipano a qualunque titolo - senza deprimere i mercati.
Oltre l'80% dei prodotti che usiamo vengono gettati dopo un solo ciclo di vita; il 99%
delle merci ha una vita massima di 6 settimane. Sprechiamo prima di aver ottenuto le cose
desiderate dalle risorse. Anche i consumi dell'energia elettrica, un servizio e non una
merce, sono passati, per una famiglia composta da 3 persone dai 1800 Kwh del 1980 ai quasi
3000 Kwh attuali. In Italia il consumo energetico per illuminazione domestica è di circa
7 miliardi di Kwh; per produrre un miliardo di Kwh usando combustibili fossili si emettono
in atmosfera fino a 950.000 tonnellate di anidride carbonica.
La risposta sostenibile non è privatizzare, ridurre i costi agendo su combustibili più
sporchi e con tagli occupazionali sperando nella chimera della concorrenza. E' necessario
fare investimenti produttivi, che riducano i consumi di energia e di combustibili, creando
nuove figure professionali e nuova occupazione.
Ad esempio: una fabbrica di lampade ad alta efficienza energetica con una produzione di
5000 lampade al giorno richiede un investimento di circa 7,5 miliardi di euro. Ognuna di
queste lampade da 20 watt fornisce la stessa luce di una ad incandescenza da 100 watt con
un emissione di anidride carbonica però di 5 volte inferiore. Installare queste lampade
in tutta la Lombardia significherebbe creare occupazione - nella fabbrica di lampade -
oltre ad abbassare di un terzo la domanda di energia nella regione più sviluppata e
consumatrice del paese. Ma questo paradigma delle lampade e del controllo dei consumi di
energia si potrebbe estendere al controllo del consumo dei combustibili per i trasporti.
Ridurre la domanda di mobilità soprattutto delle merci, ormai più libere di circolare
degli uomini. Non è più accettabile una economia globale che produce le patate in
Germania, le pela e le lava in Italia, le frigge e le confeziona in Francia. Localizzare
produzioni e consumi, esaltando i prodotti locali per un paese come l'Italia potrebbe
portare vantaggi economici e di qaulità della vita. Rompere la dipendenza dal petrolio
sta diventando una esigenza economicamente conveniente.
Sulla soglia di una crisi petrolifera, dunque un paese con le idee chiare e con un
progetto di politica energetica dovrebbe investire idee e risorse per rompere la
dipendenza dal petrolio e per non "rompere" i dipendenti del settore energetico.
Ogni posto di lavoro creato è una ricchezza creata. Ogni posto di lavoro perso crea
nell'immediato povertà alle famiglie ma alla lunga mina l'ossatura economica del paese.
Consumi inclusi.
* responsabile campagna clima di Greenpeace