Il diritto e il rovescio della ricerca
Il vero scandalo non è la clonazione, ma il brevetto. Sostituire un gene difettoso dovrebbe essere ammissibile e gratuito come l'ingessare un arto rotto. Il nodo da sciogliere è dunque quello del profitto, che trasforma la ricerca in merce, i malati in consumatori
MARCELLO CINI
Il Manifesto, 30 agosto 2000

La delicata questione della liceità della ricerca sulle cellule staminali degli embrioni (quelle cellule che sono ancora indifferenziate, in grado di diventare, in condizioni opportune, nuove cellule di uno qualsiasi dei più di 200 tessuti diversi che formano l'organismo umano) finalizzata ad aprire la strada a efficaci terapie di molte malattie degenerative incurabili, rischia di essere affrontata dalla maggioranza di centrosinistra con il solito mercanteggiamento fra laici e cattolici sui rispettivi presupposti ideologici, al termine del quale i primi risulteranno, come al solito, fatalmente perdenti.
C'è invece un punto fondamentale, non a caso completamente oscurato dai mezzi di comunicazione di massa, che potrebbe spostare gli schieramenti, bloccati da uno scontro su valori contrapposti, su un terreno concreto e socialmente avanzato. E' il punto sollevato dall'ultima domanda dell'intervista a Elena Paciotti pubblicata sul manifesto del 19 agosto. "Un punto poco toccato dalle polemiche - domandava l'intervistatrice - riguarda l'uso pubblico e i profitti privati di queste ricerche. Eppure è un punto cruciale. La Carta [dei diritti europei] se ne occupa?". "Nella bozza della Carta - rispondeva l'intervistata - c'è scritto che la ricerca scientifica è libera. Noi della delegazione italiana, Rodotà, Manzella e la sottoscritta, ci siamo battuti, finora senza riuscirci, ma insisteremo, perché venga inserito un altro capoverso per stabilire il diritto di ciascuno a beneficiare dei risultati della ricerca medico scientifica. Il risultato di una ricerca non può andare a profitto di chi l'ha condotta, deve andare a beneficio dell'intera comunità. Qui c'è un vero punto di tensione con gli Stati Uniti, che notoriamente si muovono in senso contrario. Ed è un punto ancora aperto nella rifinitura della Carta. Noi intendiamo affermarlo come un principio fondamentale e discriminante di distinzione della civiltà europea."
Sono molto d'accordo con il taglio con il quale il manifesto - mi riferisco in particolare all'editoriale di Ida Dominijanni - ha affrontato la questione, ma mi preme insistere brevemente sulla discriminante che deve distinguere la posizione della sinistra (credo ancora che questa parola abbia un senso) da quella di Clinton e di Blair o, semplicemente, da quella degli scienziati che comunque sono per la libertà della ricerca in generale. Se non si fa questo non si capisce più nulla. Un amico, in questi giorni, mi domandava: "Ma perché sei d'accordo con la clonazione degli embrioni - come la chiamano i giornalisti incolti che confondono tutto per colpire il lettore nello stomaco con l'incubo della pecora Dolly - se qualche giorno fa eri scatenato contro l'autorizzazione a immettere in commercio gli ogm?".
Credo che questa domanda se la siano fatta in molti, fra i lettori del giornale. Ed è per questo che - come faceva Catone a proposito di Cartagine - mi permetto di ripetere alcune cose che ho già scritto tante volte e in particolare qualche mese fa, in un breve articolo sulla clonazione.
"Il vero scandalo - dicevo - non è la clonazione, ma il brevetto. La materia vivente non può essere brevettabile in nessuna forma. Studiarla, capirne le sottili trame, conoscerne i cicli e i tempi, sperimentarne con cautela e rispetto le forme possibili e le pericolose deformazioni dovrebbe rimanere un obiettivo lecito e socialmente apprezzato. Ridurla a merce deve essere proibito ed esecrato. Una volta resa pubblica, ogni scoperta, innovazione o invenzione dovrebbe essere a disposizione di tutti. Così come qualunque medico può ingessare un arto rotto senza pagare royalties a chicchessia, sostituire un gene difettoso dovrebbe essere altrettanto ammissibile e gratuito. Dopotutto il giuramento di Ippocrate non chiede ai medici di fare proprio questo?"
Mi rendo conto che è un obiettivo difficile e lontano, ma questo non toglie che possa rappresentare la bussola per orientare le scelte sui problemi che sempre più frequentemente si presentano in tema di ricerca sulla materia vivente e pensante. La ragione è semplice. Si tratta infatti dell'unico modo per tentare di sciogliere l'intreccio perverso che ormai lega la ricerca "pura" (che ha per scopo la conoscenza "disinteressata") da quella a scopo di profitto (cioè per trasformare la conoscenza in merce). E' evidente infatti che sempre di più gli scienziati e le imprese della economia della conoscenza, fanno le stesse pur chiamandole con nomi diversi, e hanno, di fatto lo stesso obiettivo. Che non è, nonostante lo affermino un giorno sì e l'altro pure, quello del bene dell'umanità, ma è quello, più concreto, di rendere sempre più ricchi gli azionisti che li finanziano.
I due obiettivi, checché ne dicano gli ultras del pensiero unico liberista, non coincidono. Anzi, divergono sempre di più. Non solo perché, se così non fosse non accadrebbe che le ricchezze dei primi 358 miliardari "globali" abbiano raggiunto un ammontare equivalente - secondo l'ultimo Human Development Report delle Nazioni Unite - al reddito complessivo dei 2,3 miliardi di persone più povere (il 45% della popolazione mondiale). Ma per l'incontestabile ragione che ridurre la conoscenza a merce significa trasformarla, da bene di valore d'uso a disposizione di tutti, in un bene raro dotato di valore di scambio acquistabile soltanto da chi ha i soldi per farlo. Questo implica che la ricerca si fa solo su quei problemi che interessano un mercato di potenziali consumatori. Eliminare la malaria, tanto per dirne una, non interessa a nessuno, perché sono i poveri che ne muoiono.
L'argomento consueto secondo il quale senza l'incentivo del profitto, cioè senza garantire agli scienziati e ai loro finanziatori la proprietà intellettuale delle loro scoperte, la ricerca verrebbe rallentata a livelli pericolosamente bassi è dunque ridicolo. E' vero il contrario, o per meglio dire sarebbe vero il contrario se, una volta eliminato il profitto - con il divieto della brevettabilità delle modificazioni della materia vivente - come principale criterio di scelta degli obiettivi di ricerca, fossero incentivati, attraverso congrui finanziamenti pubblici, quegli obiettivi che congiuntamente gli scienziati, con le loro competenze e le loro curiosità, e i politici, sulla base del mandato dei loro elettori, decidessero di scegliere come prioritari per il bene pubblico.
Non sarebbe male, dunque se, come piccolo passo avanti verso questo obiettivo, si riuscisse a concentrare l'attenzione della sinistra sulla proposta di Manzella, Paciotti e Rodotà con l'obiettivo di arrivare a inserire il capoverso che stabilisce il diritto di ciascuno a beneficiare dei risultati della ricerca medico scientifica nella Carta europea dei diritti.

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