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Benevento
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calcistiche rivolte ai praticanti ed agli operatori nella provincia di
Benevento.
Il Presidente
PROF. GIANNI VARRICCHIO
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LA RIABILITAZIONE DELLA
CAVIGLIA |
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Con la collaborazione di sportmedicina.com affrontiamo in
questo numero il tema della riabilitazione propriocettiva della caviglia.
Dopo un trauma distorsivo della caviglia spesso, dopo la guarigione
clinica, si trascura tutta la fase di "guarigione sportiva",
ossia quella fase in cui l'atleta riacquista la capacità di eseguire
nuovamente i gesti tecnici dello sport praticato, e spesso questo
comportamento è causa di recidive del trauma o di ridotta efficienza
funzionale.
Nella rieducazione della caviglia dell'atleta dopo un infortunio, una fase
molto importante è senza dubbio quella di stimolazione "propriocettiva"
della struttura che ha subito il trauma.
I recettori propriocettivi sono recettori nervosi estremamente
specializzati e sono presenti in numero elevato nelle strutture
articolari, soprattutto su legamenti e capsula.
Il loro compito è quello di inviare continuamente informazioni sullo
stato di stiramento di tali tessuti per permettere al nostro sistema
nervoso di reagire in modo adeguato ed estremamente rapido con contrazioni
della muscolatura, idonee a stabilizzare l'articolazione e quindi
conservare i rapporti articolari stessi, anche in situazioni dinamiche
particolarmente stressanti per la caviglia. Tali recettori forniscono
anche informazioni al cervelletto, insieme ai recettori visivi,
vestibolari e uditivi, necessarie per il mantenimento dell'equilibrio
nello spazio.
Nel piede i propriocettori si situano in particolare sulla capsula e sui
legamenti dell'articolazione tibiotarsica, sottoastragalica e
metatarso-falangee del primo dito: zone "fondamentali" per una
dinamica ottimale in stazione eretta.
In seguito ad un trauma, la lesione di alcune fibre capsulari e tendinee,
l'insorgenza di edema delle strutture e gli stimoli dolorosi alterano il
sistema di feed-back "stimolo propriocettivo-risposta neuromuscolare",
aumentando i rischi di recidive a carico dell'articolazione colpita.
Diventa fondamentale per il riabilitatore, recuperare nel minor tempo
possibile le capacità propriocettive e stimolarle per restituire
all'articolazione traumatizzata la piena efficienza e funzionalità.
La rieducazione neuromuscolare della caviglia e del piede generalmente
passa attraverso fasi diverse, nelle quali gli stimoli proposti all'atleta
subiranno un incremento per quantità e qualità; sarà inoltre importante
variare il più possibile gli stimoli stessi cambiando i parametri del
movimento (asse, "range" e velocità).
Per la rieducazione propriocettiva si utilizzano solitamente piani
instabili, quali le tavolette Freeman, ma molto altro è possibile fare
sfruttando l'uso di semplici attrezzi, stimoli manuali indotti dal
terapista e il carico del paziente stesso sia in acqua che in palestra.
Di seguito viene proposta una metodica di rieducazione propriocettiva
neuromuscolare utilizzando, con gli esercizi tradizionali, anche nuove
tecniche di sicuro interesse terapeutico.
FASE INIZIALE
La rieducazione propriocettiva deve essere iniziata precocemente, anche
quando ancora al paziente non è concesso il carico sull'arto
traumatizzato. In questa fase gli esercizi sono eseguiti da seduto, ad
arto quasi completamente "scarico".
Esercizio 1 - Appoggiando il piede leso su una tavoletta tipo Freeman a
mezzelune (con un solo asse di movimento), si esegue il movimento di
flesso-estensione (mezzelune ad orientamento longitudinale) della
caviglia, mantenendo un range angolare in cui non sia presente dolore. Il
movimento è lento, graduale e controllato per tutto l'arco di esecuzione.
Si effettuano 10-20 ripetizioni.
L'esercizio si ripete variando l'asse di movimento (orientare le mezzelune
della tavoletta trasversalmente, con obliquità a destra e poi a sinistra.
Si introducono così i movimenti di prono-supinazione e
inversione-eversione per poi passare all'uso della tavoletta a base
semisferica che permette movimenti combinati (circonduzione).
Le esercitazioni vengono effettuate dall'atleta anche ad occhi chiusi, per
esaltare le qualità propriocettive non più coadiuvate dall'apporto
visivo.
Esercizio 2 - Esistono diverse apparecchiature (ad esempio il DELOS
POSTURAL SYSTEM o il PRO KIN ) che, quando l'atleta si esercita sulla
pedana, forniscono il feed-back visivo tramite il software dedicato che
permette di disegnare sullo schermo dei tracciati o seguire dei percorsi
prestabiliti, muovendo la pedana con il piede, verificando in tempo reale
la precisione o gli errori che si commettono. E' anche possibile, tramite
celle di carico che misurano la forza applicata sulla tavoletta, eseguire
gli esercizi aggiungendo anche il parametro "controllo del peso
applicato".
Anche in questo caso vengono proposti esercizi a occhi chiusi nei quali
l'atleta può giocare con il computer, cercando di ripetere i tracciati
visualizzati e poi verificarne l'esattezza al termine dell'esercizio.
Esercizio 3 - In questa fase può diventare importante l'uso della terapia
manuale (controresistenze modello Kabat), nella quale il terapista stesso
può percepire la qualità della risposta neuromuscolare dell'atleta,
variando sempre gli schemi di movimento proposti.
FASE INTERMEDIA A CARICO LIMITATO
In questa fase gli esercizi (1 e 2) proposti in precedenza, vengono
eseguiti dall'atleta in piedi, con il piede sano poggiato al suolo e
quello infortunato sulla tavoletta. Il carico sul piede traumatizzato
viene aumentato progressivamente sempre comunque in un range di assenza di
dolore.
Si inizia il lavoro in acqua dove grazie alla spinta idrodinamica, è
possibile anticipare gli esercizi in ortostatismo a pieno carico. A tal
proposito ecco alcuni esercizi da eseguire in acqua.
Esercizio 4 - Inizialmente semplici affondi e/o piegamenti e distensioni
sugli arti inferiori, a occhi chiusi, dove le piccole instabilità che si
generano durante l'esecuzione (proprio a causa dell'assenza della visione)
sono in grado di stimolare la risposta dei propriocettori.
Esercizio 5 - Si effettuano gli esercizi 1-2 sulle tavolette di Freeman
(costruite in alluminio per l'uso in acqua) visti prima, in carico
stavolta bipodalico e con gli occhi prima aperti e poi chiusi.
FASE FINALE
A questo punto vengono proposti esercizi con carico sugli arti inferiori
sempre maggiore e introdotti esercizi dinamici, dove oltre ai movimenti
attivi e precisi eseguiti in precedenza, viene chiesto all'atleta di
mantenere l'equilibrio in situazioni di sempre maggiore "instabilità".
Si ripetono gli esercizi sulle tavolette sia in appoggio bipodalico che
monopodalico, eseguendo, oltre ai movimenti attivi della caviglia, anche
dei piegamenti sugli arti inferiori, cercando in questo caso di mantenere
orizzontale la tavoletta stessa durante il piegamento. Le tavolette
utilizzate hanno una superficie d'appoggio sempre minore e quindi aumenta
l'instabilità e quindi la difficoltà dell'esercizio che, se eseguito ad
occhi chiusi raggiunge livelli di impegno molto elevati.
Esercizio 6 - L'atleta in appoggio monopodalico su una tavoletta, deve
mantenere la posizione ad occhi chiusi, mentre il terapista imprime
piccole spinte destabilizzanti sull'atleta, da diverse direzioni;
l'esercizio si ripete a vari gradi di piegamento degli arti inferiori.
Esercizio 7 - L'atleta in appoggio monopodalico su una tavoletta
semisferica, mantiene l'equilibrio a gradi diversi di piegamento del
ginocchio, quindi esegue esercizi con l'arto superiore (ad esempio
lanciare una palla contro il muro e riprenderla). Oltre all'effetto
destabilizzante, si distoglie in tal modo l'attenzione dall'arto
infortunato automatizzando le risposte neuromuscolari.
Esercizio 8 - L'atleta esegue alcuni balzi prima con atterraggio su due
piedi e poi su un piede solo, sul tappeto elastico e sulle tavolette; il
balzo viene eseguito da varie direzioni in avanti, in direzione obliqua,
di lato e così via. Per ultimo vengono effettuati dei percorsi composti
da tavolette diverse e tappeti elastici, nei quali l'atleta balza da una
superficie all'altra.
GRADUALITA' e VARIABILITA'
Gli esercizi illustrati sono solo una parte di quelli possibili, ma
spiegano bene quale deve essere la filosofia del lavoro di riabilitazione
propriocettiva, che vede nella gradualità e nella variazione degli
stimoli il suo punto di forza.
Gli atleti necessitano di questo tipo di esercitazioni non solo per
recuperare da un trauma, ma anche come prevenzione dei molto frequenti
eventi distorsivi: i risultati ottenuti incoraggiano a proseguire questo
tipo di lavoro preventivo. |
ARTICOLO: MEDICINA DELLO SPORT
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IL REGOLAMENTO ANTIDOPING |
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Al Comunicato Ufficiale n. 23 del 12/12/2002 è stato allegato il
Regolamento Antidoping della Federazione Italiana Giuoco Calcio. Dal testo
emanato prendiamo spunto per richiamare almeno due punti ritenuti
fondamentali, e precisamente l'articolo 1 (Definizione di Doping nello
Sport) e l'articolo 12 (Violazioni delle Norme Antidoping e relative
Sanzioni) del Regolamento stesso, con l'auspicio che la pubblicazione dei
succitati articoli possa servire a "tenere alta la guardia"
sull'importante problematica attinente al doping ed a stimolare anche
l'eventuale lettura integrale dell'intero documento.
Regolamento Antidoping
Art. 1 Definizione del doping nello sport
1. Il doping contravviene ai principi etici dello sport e della
medicina. Per doping si intende :
a) la somministrazione, l'assunzione e l'uso di sostanze appartenenti alle
classi proibite di agenti farmacologici e l'impiego di metodi proibiti da
parte di atleti e di soggetti dell'ordinamento sportivo ;
b) il ricorso a sostanze o metodologie potenzialmente pericolose per la
salute dell'atleta, o in grado di alterarne artificiosamente le
prestazioni agonistiche ;
c) la presenza nell'organismo dell'atleta di sostanza proibite o
l'accertamento del ricorso a metodologie non consentite facendo
riferimento all'elenco emanato dal C.I.O. e dai successivi aggiornamenti.
2. Il doping è contrario ai principi di lealtà e correttezza nelle
competizioni sportive, ai valori culturali dello sport, alla sua funzione
di valorizzazione delle naturali potenzialità fisiche e delle qualità
morali degli atleti.
3. E' altresì vietato raccomandare, proporre, autorizzare, permettere
oppure tollerare l'uso di qualsiasi sostanza o metodo che rientri nella
definizione di doping allo stesso modo del traffico di tale sostanza.
4. L'accertamento di un fatto di doping, l'acquisizione di una notizia
relativa ad un fatto di doping o alla violazione della Legge 14/12/2000,
n. 376 comporta l'attivazione di un procedimento disciplinare e
l'applicazione delle sanzioni stabilite dal Comitato Olimpico Nazionale
Italiano e della F.I.G.C.
5. L'elenco formulato dal C.I.O., di cui al precedente comma 1 lettera c),
relativo alle "Classi di sostanze vietate e dei metodi proibiti"
viene recepito dalla Giunta nazionale del C.O.N.I. e dalla F.I.G.C., ed
entra in vigore nella data stabilita dal C.I.O.. La F.I.G.C. provvederà
agli atti necessari per darne la massima divulgazione presso gli
affiliati.
Art. 12 Violazioni delle norme antidoping e relative sanzioni
1. Con il tesseramento ed il suo rinnovo, gli atleti aderiscono al
Regolamento Antidoping della F.I.G.C. dichiarando la conoscenza e la
accettazione delle norme in essi contenute e assumono l'obbligo di
sottoporsi al controllo antidoping. Qualsiasi inosservanza da parte degli
atleti delle modalità regolamentari, così come il rifiuto o l'elusione
del prelievo ovvero l'effettuazione dello stesso in maniera non conforme
alle norme procedurali, sono sanzionati secondo quanto previsto dal
presente regolamento; allo stesso modo, è punito ogni tentativo di
alterare con qualsiasi mezzo i risultati delle analisi.
2. Nei confronti del tesserato alla F.I.G.C. che, convocato dall'Ufficio
di Procura Antidoping per l'assunzione di informazioni o per la
contestazione dell'addebito, non si presenti senza giustificato motivo, si
applica la sanzione della sospensione per un periodo da mesi 1 a mesi 6.
Tale sanzione viene proposta dall'Ufficio di Procura Antidoping al
competente Organo di Giustizia Federale e si cumula con le sanzioni
eventualmente irrogate all'esito definitivo del procedimento disciplinare.
3. All'esito delle indagini la sanzione sarà ridotta da un minimo di un
terzo ad un massimo di due terzi a favore dell'atleta che, su richiesta
dell'Ufficio di Procura Antidoping, abbia fornito una collaborazione
determinante per l'accertamento delle responsabilità connesse alla
vicenda di doping oggetto di indagine.
4. Per i casi di positività al doping si applicano le sanzioni indicate
al successivo articolo 13.
5. Le sanzioni indicate al successivo articolo 13 sono applicate nella
misura ivi prevista anche a coloro che, designati a sottoporsi al
controllo antidoping, lo abbiano volontariamente eluso.
6. Nei casi di violazione a qualunque delle norme antidoping commessa da
tesserati, soci, addetti a servizi delle Società, collaboratori a
qualunque titolo delle Società stesse, alla Società oggettivamente
responsabile sono applicabili una o più delle sanzioni stabilite
dall'articolo 13 Codice di Giustizia Sportiva, commisurate alla natura e
gravità dei fatti commessi. Nel caso in cui più di un calciatore
tesserato della Società risulti positivo ad un controllo antidoping
ovvero uno stesso calciatore risulti positivo per più di una volta nel
corso della stessa stagione sportiva, alla Società si applica comunque
sempre la sanzione prevista dall'articolo 13, comma 1, lett. f) C.G.S.,
sola o congiunta ad altre sanzioni.
7. Definito il procedimento disciplinare, il Segretario Generale della
F.I.G.C. provvede, con la massima tempestività, ad informare
ufficialmente l'U.C.A.A. sui provvedimenti adottati, trasmettendone la
relativa documentazione.
8. E' fatta salva la facoltà delle parti di ricorrere al TAS (Tribunale
Arbitrale dello Sport) una volta completato il procedimento di competenza
degli Organi federali.
9. Le sanzioni adottate da ciascuna Federazione sono efficaci nei
confronti di tutte le Federazioni Sportive Nazionali e Discipline
Associate. L'U.C.A.A. provvede a dare comunicazione alle Federazioni
Sportive Nazionali ed alle Discipline Associate dei provvedimenti
disciplinari adottati dalle medesime in materia di doping.
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ARTICOLO: MEDICINA DELLO SPORT
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TRAUMI DA SPORT PARTE PRIMA |
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Nei paesi industrializzati, l'attività sportiva è una
delle prima cause di infortuni per i giovani: solo negli U.S.A. ogni anno
vengono trattati oltre dieci milioni di traumi da sport. Nella maggior
parte dei casi il danno è di lieve entità, riguarda le parti molli
dell'apparato locomotore (muscoli, tendini, legamenti e capsule
articolari) e guarisce completamente entro qualche settimana. Proprio per
questo motivo può accadere che gli infortuni vengano trascurati dagli
atleti dilettanti o vengano curati sommariamente su consiglio di qualche
presunto "esperto". Vale, invece, la pena di fare qualche
riflessione sulle cause dei traumi sportivi e soprattutto di ricordare
come questi vadano trattati al meglio sin dalle prime ore dopo l'evento.
Le cause dei traumi sportivi
Una lesione biologica da causa meccanica avviene per disparità tra forza
applicata e resistenza dei tessuti: nella pratica sportiva è spesso il
carico ad essere eccessivo (errori nell'allenamento, insufficiente
preparazione atletica, gestualità scorretta), ma talvolta può essere la
resistenza della parte anatomica ad essere indebolita (affaticamento,
immaturità nell'età dello sviluppo, preesistenti lesioni) : le modalità
con cui avviene l'infortunio sono essenzialmente due : acuta e cronica.
Nel primo caso si verifica un trauma isolato, improvviso, violento e dalla
dinamica caratteristica, a cui l'atleta riferisce l'inizio dei suoi
disturbi: per esempio una distorsione articolare o uno stiramento
muscolare. questi infortuni non differiscono molto da quelli che possono
colpire una qualsiasi persona, se non per il fatto che sono assai più
frequenti tra gli sportivi per il maggior rischio insito nella loro
attività. il secondo tipo di infortunio è il cosiddetto microtrauma,
vale a dire il danno dovuto al sommarsi di molteplici e ripetute lesioni
da sovraccarico funzionale, di minima entità ma in grado di sfociare in
una patologia per la reiterata ripetitività nel tempo. Esempio tipico ne
sono le tendinopatie, le microfratture, le osteocondrosi: sono malattie
caratteristiche dello sportivo, o di chi per professione o per diletto fa
gesti simili a quelli di certi sport in modo intenso e continuativo.
Fattori di rischio
Alcune caratteristiche costituzionali possono aumentare la suscettibilità
agli infortuni: il piedi pronato ed il ginocchio valgo favoriscono, ad
esempio, l'insorgere di gonalgie e patologie rotulee, le posture scorrette
possono scatenare dorsalgie e lombalgie, le lassità legamentose e il
piede cavo predispongono alle distorsioni articolari. L'eccesso di peso
corporeo grava sulla colonna vertebrale e sugli arti inferiori, sommandosi
al carico di per sé già elevato in attività quali la corsa e i salti.
La maggior larghezza del bacino nelle ragazze accentua il valgismo
fisiologico delle ginocchia e favorisce l'insorgere di sublussazioni
rotulee, in particolare nell'età dello sviluppo. Il clima freddo umido,
il terreno sfavorevole, la fatica, l'attrezzatura inadatta, il mancato
rispetto delle regole di gioco, l'esasperazione della prestazione fino al
limite delle proprie possibilità sono altre riconosciute cause di
aumentato rischio di infortunio. Nella programmazione degli allenamenti si
deve ricordare che una seduta di lavoro molto intenso causa alle fibre
muscolari piccoli danni, che si ritiene siano di stimolo per il successivo
rafforzamento del muscolo stesso. Per non trasformare questo minimo danno
in una vera e propria lesione muscolare occorrono almeno 48 ore di
recupero: in teoria si dovrebbe ridurre l'intensità degli esercizi nei
due giorni successivi, allenando qualità motorie diverse (flessibilità,
resistenza, forza, rapidità, detrezza) o gruppi muscolari diversi o
curando altri aspetti della preparazione sportiva (tecnica, tattica,
approccio mentale). In relazione al tipo, all'intensità e alla durata
dello sforzo, è noto inoltre che in uno stesso muscolo fibre di diverso
tipo (tipo I, a lenta contrazione; tipo II, a rapida contrazione) sono
sollecitate in modo disomogeneo e richiedono differenti tempi di recupero.
Bisogna quindi evitare di somministrare troppo presto altri intensi
carichi di lavoro, che graverebbero solo sulla parte di fibre muscolari a
più veloce recupero, rischiando di danneggiarlo.
Come riconoscerli ?
La diagnosi precisa di una patologia di origine traumatica è di
competenza medica, attraverso una visita clinica e spesso con l'aiuto di
tecniche diagnostiche per mezzo di immagini: ecografia, radiografia, TC
(tomografia computerizzata), RMN (risonanza magnetica nucleare). Un
fondato sospetto può già averlo l'infortunato stesso, in base a tipo e
modalità d'esordio dei sintomi più tipici: dolore acuto o scatenato da
certi movimenti, localizzazione ed eventuale irradiazione dell'algia,
edema locale, impedimento funzionale parziale o totale, comparsa di
ematomi. Come già detto, l'insorgenza acuta o progressiva del dolore e la
dinamica di un eventuale trauma violento sono già di grande aiuto
nell'indirizzare il sospetto clinico: vanno pertanto riferiti con
precisione al proprio medico.
Cosa fare sul campo ?
Ancora prima di aver appurato l'esatta natura dell'infortunio, è molto
importante agire già sul campo con semplici misure di primo soccorso,
estremamente utili per limitare gli effetti lesivi del trauma. Gli
anglosassoni, sempre molto pratici, ricordano queste prime cure con la
sigla RICE :
1. Rest, riposo, cioè interrompere l'attività;
2. Ice, ghiaccio, quindi applicazione del freddo;
3. Compression, compressione, vale a dire la fasciatura elastica;
4. Elevation, sollevamento della parte infortunata (se si tratta di un
arto) al di sopra del livello del cuore.
L'immediata sospensione dell'attività riduce, poi, l'ulteriore danno
provocato dall'emorragia, dall'edema e dalla subentrante infiammazione. Il
freddo limita il dolore e l'eccessivo afflusso di sangue verso la parte
lesa. La compressione elastica e la posizione elevata riducono soprattutto
il gonfiore. Gli spray universalmente diffusi hanno un effetto anestetico
molto fugace, utile solo per traumi molto lievi come le contusioni.
La vera crioterapia si fa applicando sulla parte un cold pack, contenitore
plastico in cui il mescolamento di sostanza chimiche abbassa la
temperatura, o un sacchetto con ghiaccio tritato. L'applicazione del
freddo va mantenuta e rimossa ogni dieci minuti, per circa un'ora,
ripetendo il trattamento più volte nelle prime 24 ore.
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ARTICOLO: MEDICINA DELLO SPORT
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TRAUMI DA SPORT PARTE
SECONDA |
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Cure farmacologiche
Le applicazioni locali di farmaci e fitoterapici sotto forma di pomate,
creme o gel sono comuni. L'indicazione sul prodotto più adatto dipende
dall'effetto prevalente che si desidera ottenere (antidolorifico,
antiflogistico, antiedemigeno, miorilassante) e spetta ovviamente al
medico, che potrebbe anche prescrivere farmaci da assumere per via
generale. Trattamenti particolari, come le infiltrazioni peri o
intrarticolari con corticosteroidi vengono di solito effettuati dallo
specialista in quanto va ben valutato il rischio di effetti collaterali.
E' assolutamente da evitare l'automedicazione, cioè l'assunzione di
farmaci senza una specifica prescrizione medica : si rischiano pericolosi
effetti collaterali e non si ha la certezza che la cura sia quella più
appropriata.
Quando riprendere l'attività sportiva ?
I tessuti biologici dello sportivo non sono diversi da quelli della
persona comune e hanno pertanto bisogno dello stesso tempo per riparare
una lesione anatomica: 3-5 giorni per riassorbire un piccolo versamento
infiammatorio, 7-15 giorni per formare una cicatrice fibrosa, 30-40 per
costituire un callo osseo. L'atleta, che ha sempre fretta di riprendere
l'attività, deve quindi agire su altri fronti per farsi trovare pronto
una volta risolto il danno anatomico. Può innanzitutto cercare di
mantenere il condizionamento fisico, praticando esercizi che non
sollecitino la parte lesa, per esempio il nuoto in caso di infortunio agli
arti inferiori o la cyclette se il trauma ha interessato gli arti
superiori. La forza muscolare si perde molto rapidamente con l'inattività:
per ogni settimana di riposo forzato occorre prevederne circa due di
allenamento per riguadagnare i precedenti livelli. In un secondo tempo, o
dopo l'eventuale riparazione chirurgica, l'atleta potrà riprendere
l'attività fisica proteggendo la parte infortunata: sono disponibili a
questo scopo macchine isocinetiche, tutori articolati, ortesi in tessuto
elastico con rinforzi. Prima di ricominciare l'attività sportiva vera e
propria, l'atleta dovrà riappropriarsi della gestualità tipica della
propria disciplina sportiva: in pratica si tratta di "ripassare"
la tecnica dei movimenti, in modo da riguadagnare gli automatismi motori.
Affrettare i tempi di recupero, senza rispettare queste elementari regole,
espone a concreti rischi: recidive della lesione, scadimento delle
prestazioni, abuso di farmaci per il persistere dei disturbi.
TABELLA 1 Tempi indicativi di recupero dopo lesioni muscolari nello
sportivo
Tipo di trauma Lesione muscolare Tempo di recupero
1. Diretto Contusione Da poche ore a diversi giorni a
seconda del danno anatomico
2. Indiretto in accorciamento Contrattura Da 2 a 4 giorni
3. Indiretto in allungamento Distrazione Da 4 a 7 giorni
Stiramento Da 15 a 20 giorni
Strappo Da 40 a 60 giorni
Rottura 4 mesi
NOTA : i traumi da allungamento muscolare, indicati con le
denominazioni comunemente usate in gergo sportivo, sono in realtà gradi
diversi di una stessa lesione elementare, la rottura di un numero più o
meno grande di fibre muscolari.
Prevenzione
Gli atleti sono a maggior rischio di infortunio rispetto alla popolazione
generale: dovrebbero pertanto prestare grande attenzione a tutte le misure
che possono ridurre questo pericolo (prevenzione primaria), in modo
particolare se si è già patito un infortunio (prevenzione secondaria).
Durante l'accrescimento, bisognerebbe sfruttare la capacità dei tendini
di irrobustirsi, parallelamente allo sviluppo muscolare: dopo i 10 anni di
età questa plasticità tendinea si perde quasi completamente, mentre il
muscolo continua a potersi ingrossare in seguito ad allenamenti specifici.
Esercizi di condizionamento generale e di abilità ben condotti in età
infantile offrono un'ottima base di partenza per la pratica sportiva e
possono costituire un primo livello di prevenzione verso futuri traumi.
Nell'allenamento specifico per uno sport, bisognerebbe ricordarsi che per
ogni gruppo muscolare che si contrae necessariamente un altro (o più di
uno) agisce da antagonista e modulatore dello sforzo: l'equilibrio
agonisti-antagonisti, la simmetria dello sviluppo muscolare, la
coordinazione dei movimenti sono elementi protettivi nei confronti delle
lesioni muscolotendinee. Un adeguato riscaldamento muscolare, che
comprenda 5-10 minuti di esercizi attivi a ritmo moderato, deve sempre
precedere uno sforzo fisico significativo: l'aumento di un grado della
temperatura interna (38°) permette, infatti, al muscolo di esprimere al
meglio forza ed elasticità. Gli esercizi di stretching, distensioni
muscolotendinee ottenute mantenendo certe posizioni corporee per una
decina di secondi, aiutano a conservare l'elasticità di questi organi:
non vanno fatti a freddo, non si deve sobbalzare e non si deve cercare una
tensione eccessiva o troppo protratta. Il raffreddamento, cioè il
graduale ritorno alle condizioni di partenza al termine di uno sforzo
intenso con esercizi leggeri, è dopo il lavoro muscolare il corrispettivo
del riscaldamento che lo precede. Evita il mancamento o lo svenimento che
possono colpire chi si ferma bruscamente e rimane in piedi dopo uno
sforzo, a causa del ristagno di sangue negli arti inferiori.
Bendaggi funzionali (taping) e ortesi di tipo leggero (bracciali,
ginocchiere, cavigliere) possono essere utilizzati durante gli allenamenti
e le gare da chi è reduce da un infortunio, per proteggere direttamente
la parte indebolita dal precedente trauma.
Solette e talloniere da inserire nelle scarpe possono correggere difetti
dell'appoggio plantare e ridurre i rischi di patologie da sovraccarico in
chi è dedito a corse su lunga distanza. Le scarpe sono ovviamente
specifiche per la disciplina e per il terreno su cui vanno utilizzate: in
linea generale le calzature sportive devono contenere saldamente il
calcagno, sostenere dal lato interno la volta plantare, proteggere la
caviglia. Ultimo, ma non per importanza, l'equipaggiamento sportivo. Il
corretto uso delle protezioni (caschi, visiere, occhiali sportivi, guanti,
imbottiture per le articolazioni), obbligatorie in molte discipline, è
una fondamentale misura di sicurezza individuale che non va mai
trascurata, insieme all'utilizzo di abbigliamento adatto e attrezzatura
omologata per ogni specialità sportiva.
ARTICOLO: PSICOLOGIA
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IL TESTOSTERONE:
ORMONE MASCHILE RESPONSABILE DELL’AGGRESSIVITÀ |
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Alcune notizie recentemente apparse su rassegne e su siti medici, ci
consentono di dare ulteriori spiegazioni al fenomeno, anche perchè
la ricerca che ha prodotto i risultati di cui stiamo per parlare ha
coinvolto una prestigiosa società calcistica straniera.
Il 16 marzo scorso, durante il congresso annuale della British
Psychological Society, Nick Neave e Sandy Wolfson, ricercatori
all’Università della Northumbria, hanno presentato uno studio
secondo il quale i giocatori di una squadra di calcio, quando
giocano in casa, hanno un livello di testosterone molto superiore a
quello presentato durante le partite in trasferta.
Il fattore campo cambia quindi significato? Sembra di sì, visto che
non si tratta solo della spinta del pubblico amico o della perfetta
conoscenza di ogni zolla del campo, ma interviene un fattore
organico che supera di molto i condizionamenti ambientali.
Il testosterone è l’ormone maschile responsabile della sessualità
e dell’aggressività: viene misurato attraverso un banale esame
del sangue e costituisce l’indice di attivazione psicofisiologica
di un soggetto prima di una specifica situazione.
Le misurazioni sono avvenute in alcune partite del campionato
inglese e in alcuni match della nazionale dello stesso Paese,
all’Old Trafford di Manchester.
ARTICOLO: ANGIOLOGIA
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IL PIEDE
DIABETICO: POTENZIALE MINACCIA PER LO SPORTIVO |
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La conseguenza di un diabete non ben compensato
comporta spesso una malattia circolatoria (micro-angiopatia
diabetica) di diversa gravità, se non viene attuata una seria
prevenzione.
La prevenzione di questa patologia deve essere esercitata in
genere su tutti i soggetti colpiti da diabete mellito (diabete
giovanile) ed in particolare sugli sportivi.
La micro-angiopatia diabetica coinvolge le arteriole di
ridotto calibro come quelle delle unghie e delle dita, ma
anche in genere tutti gli organi. Si tratta fondamentalmente
di un'occlusione delle arteriole (arteriopatia obliterativa)
che produce inizialmente un'ulcera ed è seguita dalla
formazione di gangrene più o meno circoscritte che possono
portare all'amputazione di una parte dell'arto e che
costituiscono una porta d'ingresso per infezioni generali
anche mortali (il paziente diabetico non compensato è un
immunodepresso). Un altro aspetto della micro-angiopatia
diabetica è rappresentato dallo stato d'aumentata fragilità
capillare che, in corrispondenza di zone ad elevata pressione
meccanica (come la pianta del piede oppure le sporgenze ossee
dello stesso), provoca la formazione d'ulcere diabetiche di
difficile e lunga guarigione. Le micro ulcere che si trovano
tra le dita dei piedi o le lesioni provocate dal taglio delle
unghie, in soggetti diabetici, costituiscono il primo
campanello d'allarme e devono essere immediatamente curate in
modo da prevenire complicanze più serie.
L'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha divulgato
delle linee-guida pratiche su cui si fondano la prevenzione e
la terapia del piede diabetico. |
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