Un rombo sempre più intenso si ode nella vallata. E’ il trattore che, avvicinandosi dalla strada di Capezzana, trascina la grossa macchina per battere il grano. Ma mezzo dalle grosse e strette ruote di ferro, non ha le marce ridotte per poter compiere gli ultimi 50 metri che separano l’ azzanella dall’aia del “castello”. Cosi tante robuste braccia unite da un lungo canapo, trapelano trattore e macchina nel luogo dove tutti i contadini della zona hanno accatastato in alte biche tutti i loro covoni di grano. |
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La festa è grande e i bambini, a piedi nudi, scorrazzano tra la strada sconnessa e sassosa, e l’aia liscia ed imbuinata. L’imbuinatura consisteva nello stuccare le fessure tra lastra e lastra e spianare le buche, in modo che nessun chicco di grano andasse perso e potesse esser recuperato facilmente. La buina, composta da sterco di vitello, una volta asciugata diventava dura come il cemento. L’ultima battitura in aia Rossi risale al ’69 o al 1970. Negli anni ’40, durante la guerra, il grano veniva portato al mulino di Macarino e Elio Tarocchi dove la macine veniva azionata da una vecchia macchina a vapore. Qui tutti in coda con il sacco di grano ad attendere il proprio turno. |
Negli anni che seguirono invece il grano veniva portato col barroccio al forno di Spazzavento, dove provvedevano a trasformarlo in farina e successivamente in pane, riconsegnandolo addirittura fino a casa giorno per giorno, a seconda dei consumi familiari a costo zero, ovvero ogni 100 chili di grano restituivano 100 chili di pane. Però, col passare degli anni, la quantità di pane riconsegnato si ridusse fino a 75 chili . Per quanto riguarda il costo della molitura delle olive, invece, ogni 100 chili di olio, il frantoiano si tratteneva dai 2 ai 4 chili di olio, inoltre al contadino spettava anche il ricavo della vendita degli scarti solidi della lavorazione, ovvero le sanse. Col passare degli anni però, anche il prezzo della frangitura è lievitato notevolmente e sembra che sia arrivato fino a 7 chili di olio e, successivamente come sappiamo, il compenso si è tramutato in denaro e va in base alla quantità delle olive lavorate. |
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Oltre all’olio e al grano, una risorsa non meno importante in passato è stato il vino. Come vediamo dalle foto recenti, della vite, a Colle Alto, non vi è quasi più traccia, ma invece non più di 40 anni fa, tra muro e muro, oltre che al grano e gli olivi, emergevano dritti e curati non meno di due filari di viti. Quasi tutte le famiglie avevano nella stalla almeno un paio di vitelli e gli stallucci erano stipati di maiali, diffusi e utili erano i muli e gli asini. |
L’area boscata del Castellare ormai è totale, ma in passato invece, era limitata a un paio di boschetti e 3 o 4 querce secolari dislocate qua e là, nelle zone dove il grano non sarebbe attecchito; il resto era chiamato “zapponato”, cioè tutte quelle superfici adibite alla semina del frumento; a prato le restanti zone, dove con la frullana veniva segato il fieno, unica risorsa per il bestiame. Addirittura nei periodi più aridi, i contadini erano costretti a salire fino sulle parti più alte del Montalbano per poter trovare erba e vegetazione idonea all’allevamento. Poteva capitare, come raccontava Alfredo, che alcuni proprietari permettessero a chi ne aveva necessità, di tagliare le fresche erbe dalle proprie vigne, con l’obbligo poi di dover vangare tutta la superficie dalla quale era stato asportato il foraggio. (Andrea) |
Il correggiato per battere il grano e anche i legumi oggi é un oggetto raro |