Piero, Dante e noi
(Seconda parte)
Perciò riparlare di Piero della Francesca (o di Dante) vuol
dire parlare anche di noi “uomini moderni”. Perché l’arte è
ciò che edifica o tenta di costruire un mondo nuovo vero e
bello per tutti, non solo per alcuni o, diciamo, solo per
chi se lo può permettere più bello e più giusto mentre il
resto dell’umanità, come dice la formica alla cicala: “Canta
che ti passa la fame e la sete … della verità e della
giustizia”. Dostojewskyj dice che: “La bellezza salverà il
mondo”. Perché poi la
bellezza, o la via della bellezza (filocalia) è l’ideale
cristiano, o la via verso Dio, altrimenti non è tale, oppure
addirittura niente. Luciano Berti e Laura Speranza nel
Raggio di Piero (edizioni Marsilio, 1992), in occasione
del Cinquecentesimo anno dalla morte di Piero della
Francesca, in un bell’aneddoto storico su Piero, riportano
che quando “le truppe anglo-americane alleate liberavano
l’Italia dall’occupazione nazista del 1944, passando da
Sansepolcro, il comandante di batteria A. Clark ordinò di
sospendere il cannoneggiamento di questa cittadina perché
lì vi era la più bella pittura del mondo”. Il comandante
Clark si ricordò di aver letto ciò nel libro del viaggio in
Italia di A. Huxlej, che aveva visitato a lungo l’Umbria,
La bellezza del
Cristo trionfante con la bandiera crociata, vittorioso sulla
morte (e perciò sulla malvagità e crudeltà dell’uomo, che
sono il contrario delle bellezza cristiana di Dio Padre),
salvò un piccolo pezzo di mondo [
Piero cercando, o
salvando, come io credo, la sua anima ha salvato anche il
suo paese, o la “madre”, come dice Dante (Purgatorio, Canto
XI°): “Che non pensando a la comune madre ogne’ uomo ebbi in
despetto tanto avante”. Cercare un mondo nuovo, o possibile,
o da salvare, nell’insegnamento di Dante o nell’arte della
pittura di Piero, che riveste e mette l’uomo nella luce, nel
disegno (e nella prospettiva trasparente e profonda),
ordinato e preordinato di Dio, perché: “Fatti non foste a
viver come bruti, ma per aver vertute e conoscenza”
(Inferno, Canto XXVI, vv. 119-120). Oppure: “O superbi cristiani miseri e lassi che de la mente e de la vista infermi non v’accorgete voi che noi siam vermi nati a formar l’angelica farfalla che vola alla giustizia sanza schermi?” (Purgatorio, Canto X, vv. 121-126). Piero aveva sofferto di problemi alla vista per il catarro (Vasari) e questo dipinto di Piero è una vera e propria preghiera (“esegesi pregata - lettura orante” - T. Verdon). Anche se non era monaco come l’Angelico, “Piero condivideva la totalità della vita del suo tempo, plasmata dalla liturgia” (T. Verdon). E’ chiaro che tutta l’immagine è fortemente costruita in un rigoroso e preciso simbolismo cristiano dei misteri della fede. Nel prossimo numero continueremo la descrizione dei valori formali della Resurrezione.
La Maddalena ai piedi di Cristo è similitudine
(o metafora) della scena dove lavò con le lacrime e
baciò i piedi di Gesù e li asciugò con i suoi capelli e così
perdonata dal suo peccato. Lì al “banchetto di Cristo vivo”,
qui ai piedi del Cristo sulla croce, nuova festa della vita
nuova senza peccato.
Nel medaglione sulla cimasa vi è il Cristo risorto con il
gesto benedicente e il cartiglio: “Io sono luce del mondo,
via, verità”. Qui l’immagine del Cristo-Dio vivo con gli
occhi aperti all’antica maniera bizantina del Volto Santo si
è spostata dall’uomo ormai morto con il capo reclinato sulla
Croce a Cristo risorto e benedicente con il segno miracoloso
della mano destra semiaperta sul Tre-Cinque (dita) (og-doade-Otto,
ottenuto in due gesti in una sola mano) nel medaglione
ottagonale sulla cimasa della croce, com’era usuale nelle
icone bizantine.
Qui si può intendere che mentre nel Cristo trionfante la
croce era tutt’uno con la vittoria sulla morte, invece in
questa iconografia del Cristo morente le realtà sono invece
due. Come fu stabilito al Concilio di Costantinopoli del
696; l’iconografia del Cristo morto in croce e quella del
Cristo-Dio a occhi aperti vittorioso dalla morte sulla
croce.
La tesi teologica era che Cristo, in quanto Dio, può guarire
e vincere la morte e, come uomo, ammalare e morire in quanto
doppia natura, umana e divina.
Ci sembra che gli esecutori di questa versione iconografica
avessero bene in mente la primitiva immagine del Volto
Santo, del Cristo vivo trionfante in Croce, anche se la
raffigurazione iconografica era cambiata quasi
definitivamente da mezzo secolo. (Continua)
Leonello Taschini
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(*) Secondo |
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