Chiese minori

 

Da «Conventi,  chiese  minori, oratori nella vecchia Oderzo», sempre di Eno Bellis - ed. La Tipografica, Treviso, 1963 - riportiamo i  capitoli  concernenti  la chiesetta di Santa Maria del Palù e l’oratorio di Sant’Antonio  all Campagnola, degni di’interesse storico. Aggiungiamo alcune notizie raccolte sul più recente capitello di Fraine, dedicato anch’esso a Sant’Antonio.

 

LA CHIESETTA DI SANTA MARIA DEL PALU’

 

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Dobbiamo, ancora una volta, rifarci alla famosa Bolla di Papa Lucio III (1185), con la quale venivano confermati al Vescovo di Belluno, Gerardo de’ Taccoli, i possessi ed i privilegi di cui quella Curia godeva nel territorio opitergino.

Della Bolla interessa in particolare là dove si dice: «...castrun de Opitergio cum curte et villis et campaneis suis. Capellam S. Blasii, S. Petri, S. Martini et S. Mariae, cum alia capella in campania que omnes dicuntur esse in pertinentiis opitergii...».

S. Maria era certamente l’attuale S. Maria Maddalena e la «capella in campania» la chiesetta di S. Maria del Palù, che dalla Maddalena avere, da sempre, dipeso.

In quella lontana epoca, S. M. del Palù che sorgeva, e sorge ancora oggi, nell’ansa della Lia, lontano dalle vie di comunicazione, perduta nel verde della campagna, era officiata dai Monaci Eremiti di S. M. Maddalena di Oderzo.

Quei Frati avevano laggiù, probabilmente, un loro eremo e vi prosperarono fino a quando o per dilatarsi del vicino palude da cui la Chiesa aveva preso il nome, o per la poca sicurezza dei tempi, o anche per il diminuire, ad una certa epoca, delle vocazioni in quell’Ordine, o per altre cause ancora, quella residenza fu abbandonata, forse nel secolo XV, e i Frati si ridussero nella sede di Oderzo, cioè a S. M. Maddalena. Naturalmente, continueranno ad officiare, nelle ricorrenze prescritte, S. M. del Palù.

Più tardi, nella prima metà del secolo XVI, i Frati cederanno anche il Monastero e la Chiesa di Oderzo e ad essi subentreranno le Monache Domenicane.

S. Maria del Palù rimarrà allora abbandonata a se stessa ed alle cure degli scarsi abitanti della zona.

Ma già nel 1545, in occasione di una visita pastorale, il Rettore della Chiesa di Colfrancui, interrogato se vi fossero altre Chiese nella sua parrocchia, rispondeva: «solamente la Chiesa scoperta (discopertam) di S. Maria del Palù, che possiede in titolo il Sig. Prè Tommaso Castagna chierico veronese».

Ma contineranno ad avere, almeno di nome, un Rettore, che non sappiamo se fosse impersonato, come è pensabile, dal titolare della prossima Chiesa di Colfrancui.

E abbiamo detto solo il nome, perché la Chiesa, di fatto, andò lentamente rovinando senza che al alcuno vi ponesse rimedio.

Difatti, il 9 giugno 1606, il Podestà di Portobuffolè (nel cui territorio, allora, era compresa la zona di S. M. del Palù) informava il competente Magistrato di Venezia che, fra le Chiese, «non officiate e rovinose del suo territorio vi è: S. Maria del Pallù sotto Colfrancui» (1).

Notizia d’altra fonte (2) ci informa che:

 

«Il Rettore della Chiesa di S. Maria del Palù, in territorio di Oderzo, e un altro pio Sacerdote indirizzarono nel 1605 una petizione alla Curia Romana, esponendo: che la detta Chiesa era Chiesa rurale e sine cura, ed  era distante due miglia circa da Oderzo;

 

(1) Archivio di Stato di Venezia: Treviso e Trevisana - Lettere di Rettori

(2) Archivio Curia Vescovile di Vittorio Veneto: busta 125, fascicolo 1, n. 2

 

che sebbene essa si trovassse nella Diocesi di Ceneda, il conferimento del beneficio semplice di essa, quando era vacante, spettava al Vescovo di Belluno: che essendo cadente per vetustà e in gran parte così malandata e rovinosa che non vi si potevano celebrare i Divini Offici; e i suoi redditi non bastando per il restauro sarebbe meglio ridurla ad usi profani (non sordidi): che essendo in Oderzo un Altare dedicato alla B. V. della Neve e a S. Tommaso d’Aquino nella Chiesa del Monastero delle Monache di S. Maria Maddalena, dell’ordine di S. Chiara, desideravano i predetti Sacerdoti che gli obblighi di Messe annessi alla predetta Chiesa del Palù fossero trasferiti al predetto Altare.

 

Il Papa Paolo V, con Lettera Apostolica 4 ottobre 1605, rispose: esser disposto ad esaudirli; e incaricò il Vicario Generale del Vescovo di Ceneda Can. Francesco Pancetta di appurare se le cose stessero come nella supplica: e, nel caso affermativo, che la Chiesa fosse ridotta pure ad usi profani (ma non sordidi); che  si ponesse sul luogo una Croce; che si trasportassero da essa i sacri paramenti e ogni sacra suppellettile (se v’era) nella Chiesa di detto Monastero; e si trasportassero pure al predetto Altare gli oneri di Messe da celebrarsi annualmente.

 

Il Vicario Generale Pancetta chiamò ed esaminò numero 6 testimoni di Oderzo e di Colfrancui, registrando le loro deposizioni sulla stato della Chiesa predetta, i nomi dei quali sono i seguenti: Tiziano Gabanotto di Colfrancui, Maestro Antonio Cavalli di Oderzo, Giuseppe Gaiotto di Colfrancui, Gasparo Bagnolo di Colfrancui, Melchiorre Brisighella di Colfrancui, il Rev. Prè Angelo, Vicerettore della Chiesa di Colfrancui.

Avendo trovate le loro deposizioni concordanti e rispondenti a verità, in data 17 gennaio 1607, emise un Decreto col quale dava esecuzione alla Lettera Apostolica» (1).

Ma l’altare ed il relativo beneficio venivano traslati alla Chiesa di S. M. Maddalena di Oderzo fin dal 1606.

In quell’anno è annotato nei documenti di quel Monastero:

«Translatio Ecclesaie S. Mariae de Paludo in ecclesiam S. Mariae Magdalenae    RR Manalium ad Altare S. Thomae de Aquino» (2).

Il benefico semplice di S. Maria del Palù, come  aveva anche rilevato il Rettore di quella Chiesa nell’esposto già visto, era stato istituito dalle famiglie bellunesi Casteldardo e Zaghis ed era posseduto dal Capitolo di Belluno (provento Ducati 20).

Questa ci conferma ancora una volta l’esatezza della deduzione con la quale si identifica S. Maria del Palù con la: «alia capella in campania» della Bolla del 1185, assegnata in giurisdizione al Vescovo bellunese.

 

                                                                 ***

 

La nostra Chiesa (ed ignoriamo del tutto come fosse costruito ed arredato questo antico tempietto) finì così per cadere in completa rovina. Rimase il ricordo di quel disperso centro di fede, ed il nome di S. Maria del Palù che tuttora la zona conserva.

 

Rimase la piccola fonte perenne che sgorga di sotto l’altare e che allora, ed anche oggi, è ritenuto miracolsa e per le affezioni agli occhi e come viatico per raddolcire il trapasso ai moribondi...

 

 (1) Estratto favoritoci dal Rev. mons. prof. don  A. Maschietto

(2) Col titolo di S. Maria della Neve di Palù

 

Non è un’opera d’arte, e chiunque può rilevarlo, ma ha un suo speciale fascino che trae dalla campagna verdissima che lo circonda, e conserva viva e fiorente la tradizionale fede con ui tutta le gente di quella zona invoca dalla Santa Patrona le grazie celesti ed attinge con devozione alla querula fontanina l’acqua miracolosa.

 

Una volta all’anno l’arcadica quiete è rotta.

Allora il popolo di quelle campagne si raccoglie attorno al tempietto e celebra festosamente la sua sagra.

E’ la festa dell’Annunciazione: il 25 marzo.

 

Per altre immagini sulla chiesetta ristrutturata e sulla località di Santa Maria del Palù clicca qui.

 

 L’ORATORIO DI SANT’ANTONIO ALLA CAMPAGNOLA

 

santoniocampagnola.jpg (46364 byte) Da una notizia dell’archivio del Duomo, sappiano che nel 1727 (o 1707?) si stava fabbricando «l’Oratorio Federici alla Campangola».

In effetti, in data 7 novembre 1726, è annotata la domanda di Matteo e Antonio Federici, di aprire: «un Oratorio in Villa di Campagnola territorio di Portobuffolè» (1).

Qui le date s’imbrogliano un po’, perché eguale domanda di Mattia e Fratelli Federici, per costruire un Oratorio in Villa di Campagnola, è registrata e data come concessa, nei lIbri Capitolari del Duomo, in data 1º Aprile 1728.

E, nel 1713, in una relazione del Decano, è detto testualmente: «Don Giulio Fedrizzi celebra a S. Antonio».

Comunque sia, e rinunciando a risolvere il problema, possiamo dire che la nostra Chiesa sorse nei primi anni del 1700, sicuri di non fare del male a nessuno...

I Federici, o Fedrici, o Fedrizzi, costituivano una antica e nobile famiglia opitergina  fertilissima in uomini d’arime, di lettere e di governo, particolarmente devota a S. Antonio, talché anche il Duomo aveva jus patronato sull’altare del santo e vi mantenevano ordinariamente un Cappellano.

La Campagnola era una loro proprietà lungo la Lia sulla attuale via da Colfrancui ad Ormelle. Ancora oggi il principale rettifilo di questa via è detto stradone della Campagnola o di S. Antonio.

Tornando alle date, diremo che, comunque possa risolversi la questione accennata all’inizio, nel 1732, il nostro Oratorio è compiuto e viene citato nella relazione del Decano Marcellotto per la Visita del Vescovo Benedetto de Luca, come: «Campagnola: Oratorio dei Fedrici dedicato a S. Antonio».

Così anche nel 1751, mentre nelle visite successive non è più nominato, vuoi che fosse anche chiuso al culto, vuoi, più facilmente, che ofsse passato sotto la giurisdizione della Chiesa di Colfrancui...

E difatti. proprio nelle relazioni dei Rettori di Colfrancui, troviamo qualche accenno alla nostra Chiesa. Ecco, ad esempio, nel 1732: «Vi è un Oratorio (pubblico) in villa di Campagnola (sotto il titolo di S. Pietro d’Alcantara (2), più tardi di S. Antonio da Padova), sotto questa cura: fu fabbricato dal Signor D. Mattio e Fratelli Federici, per loro comodo, in tempo di villeggiatura, con licenza di S. E. R.ma e fu benedetta dal R.mo Signor D. Giulio Marcelotto, Decano di Oderzo, de licentia...».

 

 

(1) Il territorio di Portobuffolè, ai tempi della Repubblica Veneta, comprendeva tutta la sinistra Monticano (incluso quindi il Borgo Manin) e, da Camino, si estendeva anche alla destra del fiume, compreso Colfrancui, fino a Fraine.

(2) Questo titolo ci riesce del tutto nuovo, é sappiamo spiegarlo, se non forse come un errore del trascrittore di quel tempo.

 

E ancora nel 1823, in una relazione del Curato D. Pompeo Checcato (Visita Pastorale del Vescovo Jacopo Monico): «Vi è un Oratorio, sotto il titolo di S. Antonio da Padova, in Campagnola, di questa Cura. Era dipendente dalla famiglia Federici di Oderzo; ora si dice che dipenderà dal Signor Gio Batta Manera di Cavas, il quale è disposto di provvederlo dell’occorrente, quando sarà ammaesso il possesso».

 

Certamente, all’inizio del nostro secolo, l’Oratorio era completamente rovinato ed adibito ad usi agricoli.

 

In un articolo, apparso sul ‘Gazzettino’ del 12 giugno 1938, si legge: «In Contrada Campagnola sorge un’antica Chiesetta abbandonata... I Signori Berti, con gesto munifico, hanno provveduto al restauro interno ed esterno  l’hanno dotata di una bella statua di S. Antonio da Padova, protettore della Chiesa stessa».

 

Oggi, appare, esternamente, in buone condizioni di manutenzione, ma è sempre chiusa al pubblico che rivolge la propria devozione al grande Santo in un piccolo frequentatissimo Capitello che sorge poco distante, a metà dello stradone della Campagnola.

 

 L'ORATORIO DI SANT’ANTONIO A FRAINE

 

santoniofraine.jpg (40701 byte)S. Maria del Palù aveva la sua Chiesetta, via Campagnola quella dedicata a Sant’Antonio. E via Fraine poteva rimanere senza luogo di culto popolare?

Per gli abitanti di quella via, oggi  tra le più popolose della Parrocchia, c’era proprio da star male. Tanto più che a S. Maria c’era la sagra e il Parroco diceva la Messa delle Rogazioni; la stessa cosa succedeva in via Campagnola. E’ vero che sopra un albero da tanto tempo una statuetta di Sant’Antonio faceva bella mostra di sé e aiutava la devozione, ma era poca cosa. Aiutati dal Parroco, decisero di erigere una Chiesetta, e la statua di Sant’Antonio (ora mutata in una più artistica) avrebbe avuto un tetto, la Messa durante le Rogazioni ed il fioretto di maggio assicurato.

Don Girolamo chiese a Mons. Fernando Marcolin (titolare del Benefico di rai di San Polo, che godeva dei campi allora lavorati dai Cancian) un pezzo di terra sufficiente per la fabbrica della Chiesa. Fu benevolmente accettata l’idea. La costruzione durò un bel periodo e fu inaugurata e benedetta da don Aldo Rojer l’11 settembre 1960. La spesa per la decorazione, le vetrate, ecc. fu rilevante per quegli anni: 800 mila lire, che in seguito furono pagate dagli abitanti della contrada.

Anche nel 1986 si spesero quasi due milioni per il necessario restauro, sempre coperti dalla popolazione del luogo.

La chiesetta si presenta decorosa, con un piccolo piazzale davanti. Si spera che quanto prima un dipinto ricordi la devozione alla Vergine.

Da alcuni anni, il giorno di S. Antonio, 13 giugno, si celebra la Messa con solennità e si snoda una processione con la statua del Santo. Non manca poi un rinfresco che ricorda la sagra di un tempo.