Santa Maria del Palù

La chiesetta ristrutturata, inaugurata il 28 marzo 2005 Vetrata sopra l'ingresso Alla Vergine molti affidano le loro intenzioni

 

Da «Conventi,  chiese  minori, oratori nella vecchia Oderzo», sempre di Eno Bellis - ed. La Tipografica, Treviso, 1963 - riportiamo i  capitoli  concernenti  la chiesetta di Santa Maria del Palù e l’oratorio di Sant’Antonio  all Campagnola, degni di’interesse storico. Aggiungiamo alcune notizie raccolte sul più recente capitello di Fraine, dedicato anch’esso a Sant’Antonio.

 

LA CHIESETTA DI SANTA MARIA DEL PALU’

 

Dobbiamo, ancora una volta, rifarci alla famosa Bolla di Papa Lucio III (1185), con la quale venivano confermati al Vescovo di Belluno, Gerardo de’ Taccoli, i possessi ed i privilegi di cui quella Curia godeva nel territorio opitergino.

Della Bolla interessa in particolare là dove si dice: «...castrun de Opitergio cum curte et villis et campaneis suis. Capellam S. Blasii, S. Petri, S. Martini et S. Mariae, cum alia capella in campania que omnes dicuntur esse in pertinentiis opitergii...».

S. Maria era certamente l’attuale S. Maria Maddalena e la «capella in campania» la chiesetta di S. Maria del Palù, che dalla Maddalena avere, da sempre, dipeso.

In quella lontana epoca, S. M. del Palù che sorgeva, e sorge ancora oggi, nell’ansa della Lia, lontano dalle vie di comunicazione, perduta nel verde della campagna, era officiata dai Monaci Eremiti di S. M. Maddalena di Oderzo.

Quei Frati avevano laggiù, probabilmente, un loro eremo e vi prosperarono fino a quando o per dilatarsi del vicino palude da cui la Chiesa aveva preso il nome, o per la poca sicurezza dei tempi, o anche per il diminuire, ad una certa epoca, delle vocazioni in quell’Ordine, o per altre cause ancora, quella residenza fu abbandonata, forse nel secolo XV, e i Frati si ridussero nella sede di Oderzo, cioè a S. M. Maddalena. Naturalmente, continueranno ad officiare, nelle ricorrenze prescritte, S. M. del Palù.

Più tardi, nella prima metà del secolo XVI, i Frati cederanno anche il Monastero e la Chiesa di Oderzo e ad essi subentreranno le Monache Domenicane.

S. Maria del Palù rimarrà allora abbandonata a se stessa ed alle cure degli scarsi abitanti della zona.

Ma già nel 1545, in occasione di una visita pastorale, il Rettore della Chiesa di Colfrancui, interrogato se vi fossero altre Chiese nella sua parrocchia, rispondeva: «solamente la Chiesa scoperta (discopertam) di S. Maria del Palù, che possiede in titolo il Sig. Prè Tommaso Castagna chierico veronese».

Ma contineranno ad avere, almeno di nome, un Rettore, che non sappiamo se fosse impersonato, come è pensabile, dal titolare della prossima Chiesa di Colfrancui.

E abbiamo detto solo il nome, perché la Chiesa, di fatto, andò lentamente rovinando senza che al alcuno vi ponesse rimedio.

Difatti, il 9 giugno 1606, il Podestà di Portobuffolè (nel cui territorio, allora, era compresa la zona di S. M. del Palù) informava il competente Magistrato di Venezia che, fra le Chiese, «non officiate e rovinose del suo territorio vi è: S. Maria del Pallù sotto Colfrancui» (1).

Notizia d’altra fonte (2) ci informa che:

 

«Il Rettore della Chiesa di S. Maria del Palù, in territorio di Oderzo, e un altro pio Sacerdote indirizzarono nel 1605 una petizione alla Curia Romana, esponendo: che la detta Chiesa era Chiesa rurale e sine cura, ed  era distante due miglia circa da Oderzo;

 

(1) Archivio di Stato di Venezia: Treviso e Trevisana - Lettere di Rettori

(2) Archivio Curia Vescovile di Vittorio Veneto: busta 125, fascicolo 1, n. 2

 

che sebbene essa si trovasse nella Diocesi di Ceneda, il conferimento del beneficio semplice di essa, quando era vacante, spettava al Vescovo di Belluno: che essendo cadente per vetustà e in gran parte così malandata e rovinosa che non vi si potevano celebrare i Divini Offici; e i suoi redditi non bastando per il restauro sarebbe meglio ridurla ad usi profani (non sordidi): che essendo in Oderzo un Altare dedicato alla B. V. della Neve e a S. Tommaso d’Aquino nella Chiesa del Monastero delle Monache di S. Maria Maddalena, dell’ordine di S. Chiara, desideravano i predetti Sacerdoti che gli obblighi di Messe annessi alla predetta Chiesa del Palù fossero trasferiti al predetto Altare.

 

Il Papa Paolo V, con Lettera Apostolica 4 ottobre 1605, rispose: esser disposto ad esaudirli; e incaricò il Vicario Generale del Vescovo di Ceneda Can. Francesco Pancetta di appurare se le cose stessero come nella supplica: e, nel caso affermativo, che la Chiesa fosse ridotta pure ad usi profani (ma non sordidi); che  si ponesse sul luogo una Croce; che si trasportassero da essa i sacri paramenti e ogni sacra suppellettile (se v’era) nella Chiesa di detto Monastero; e si trasportassero pure al predetto Altare gli oneri di Messe da celebrarsi annualmente.

 

Il Vicario Generale Pancetta chiamò ed esaminò numero 6 testimoni di Oderzo e di Colfrancui, registrando le loro deposizioni sulla stato della Chiesa predetta, i nomi dei quali sono i seguenti: Tiziano Gabanotto di Colfrancui, Maestro Antonio Cavalli di Oderzo, Giuseppe Gaiotto di Colfrancui, Gasparo Bagnolo di Colfrancui, Melchiorre Brisighella di Colfrancui, il Rev. Prè Angelo, Vicerettore della Chiesa di Colfrancui.

Avendo trovate le loro deposizioni concordanti e rispondenti a verità, in data 17 gennaio 1607, emise un Decreto col quale dava esecuzione alla Lettera Apostolica» (1).

Ma l’altare ed il relativo beneficio venivano traslati alla Chiesa di S. M. Maddalena di Oderzo fin dal 1606.

In quell’anno è annotato nei documenti di quel Monastero:

«Translatio Ecclesaie S. Mariae de Paludo in ecclesiam S. Mariae Magdalenae    RR Manalium ad Altare S. Thomae de Aquino» (2).

Il benefico semplice di S. Maria del Palù, come  aveva anche rilevato il Rettore di quella Chiesa nell’esposto già visto, era stato istituito dalle famiglie bellunesi Casteldardo e Zaghis ed era posseduto dal Capitolo di Belluno (provento Ducati 20).

Questa ci conferma ancora una volta l’esatezza della deduzione con la quale si identifica S. Maria del Palù con la: «alia capella in campania» della Bolla del 1185, assegnata in giurisdizione al Vescovo bellunese.

 

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La nostra Chiesa (ed ignoriamo del tutto come fosse costruito ed arredato questo antico tempietto) finì così per cadere in completa rovina. Rimase il ricordo di quel disperso centro di fede, ed il nome di S. Maria del Palù che tuttora la zona conserva.

 

Rimase la piccola fonte perenne che sgorga di sotto l’altare e che allora, ed anche oggi, è ritenuto miracolsa e per le affezioni agli occhi e come viatico per raddolcire il trapasso ai moribondi...

 

 (1) Estratto favoritoci dal Rev. mons. prof. don  A. Maschietto

(2) Col titolo di S. Maria della Neve di Palù

 

Non è un’opera d’arte, e chiunque può rilevarlo, ma ha un suo speciale fascino che trae dalla campagna verdissima che lo circonda, e conserva viva e fiorente la tradizionale fede con ui tutta le gente di quella zona invoca dalla Santa Patrona le grazie celesti ed attinge con devozione alla querula fontanina l’acqua miracolosa.

 

Una volta all’anno l’arcadica quiete è rotta.

Allora il popolo di quelle campagne si raccoglie attorno al tempietto e celebra festosamente la sua sagra.

E’ la festa dell’Annunciazione: il 25 marzo.

 

Unito profondamente alla Chiesetta di S. Maria,  don Sante Visentin scrisse qualche mese prima dell'ultima visita ai luoghi dell'infanzia:

 

La chiesina di S. Maria della Fontanella è stata costruita nel luogo dove secoli fa, non saprei  quando, sorgeva un convento di monaci. Non dimentichiamo che era a poca distanza dalla Chiesa del “Cavalieri del Tempio” della quale il paesetto Tempio mantiene il ricordo. Tale convento   sprofondò sotto terra a causa di un terremoto. “Sprofondò e come? Perché? Perché la zona era ed è ancora impregnata d’acqua. Il Comune è Fontanelle, nome che rivela la presenza di tante sorgenti d’acqua. Era un terreno paludoso; per questo, penso, fu inghiottito il convento e la chiesa.

La chiesetta fu chiamata per questo motivo: ”Santa Maria del Palù”. Ora però la zona è coltivata in una forma superlativa; e perciò è bene chiamarla “Santa Maria della Fontanella”. Sotto l’altare sorgeva e sorge tuttora una fontanella che dava e che dà la sua acqua limpida e fresca: simbolo di quell’acqua di cui parlava Gesù: “ chi ha sete venga a me , e beva”.

Don Emilio Girelli ebbe la buona idea di far rivivere quel passato, le cui rovine si trovano a cinque o sei metri di profondità, per quanto ho sentito. Don Emilio, dunque, fece costruire l’attuale e carina chiesetta ottagonale. E mia mamma, mi diceva, era tanto desiderosa di assistere all’inaugurazione il 25 marzo 1924. Ma non poté: c’ero io nel suo grembo. Io nacqui il 27 Marzo , due giorni dopo. Per questo la considero un po’ la mia chiesetta. E la mamma chissà con quanto fervore avrà pregato per me, non ancora nato. E la Madonna fu buona con lei e con me. Io sono stato parroco a Jafa di Nazaret, un sobborgo di Nazaret, per quarantadue anni. Amo attribuire questa grazia alla preghiere della mia mamma: e così la Madonna mi portò da S. Maria della Fontanella al suo paese dove veramente ricevette l’annuncio dell’arcangelo Gabriele.

Voglio ricordare anche che Jafa di Nazaret, secondo la tradizione, è il paese nativo di S. Giovanni e di S. Giacomo, patrono della Chiesa di Colfrancui, dove sono stato battezzato il 31 marzo 1924.

Ho visto e sentito dire che S. Maria delle Fontanella è molto venerata. Io la vedevo sempre piena di fiori freschi e di lumini. Ricordo che quando ero piccolo, al di sotto di cinque anni, molte persone venivano a casa nostra, per poter prendere l’acqua santa di sotto l’altare. Un giorno la mamma mi mandò a riempire una bottiglia di quest’acqua, per una donna che rimase con lei. Io tornai con la bottiglia vuota e le dissi: “mamma l’acqua è profonda. e io quasi vi cadevo dentro”. La mamma si mise le mani sul viso spaventata e disse: “ Ma cosa ho fatto?”. Non caddi perché la Madonna mi aspettava a Nazaret.

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Alloggi protetti nelle ex scuola elementari

ieri: la scuola elementare negli anni Trenta oggi: il fabbricato ristrutturato dall'Ater 

 

 

Nel fabbricato adibito a scuola fino agli anni Ottanta, acquistato e ristrutturato dall'Ater (ex Istituto Autonomo Case Popolari) sono stati ricavati sei alloggi protetti affidati in gestione all'Unità Locale Socio-Sanitaria per finalità d'integrazione socio-sanitaria. Ne usufruiranno presumibilmente persone in difficoltà che saranno seguite da personale dei servizi sociali.

 

 

Un ragazzo del Palù

 

 

 

 

Ho calpestato per anni la terra a piedi nudi; quando era ruvida e arsa, bruciata dal sole dell’estate, ma anche quando era soffice e umida, aperta dall’aratro che ne girava le zolle. Ho camminato per anni a piedi scalzi sui sassi pungenti del cortile, accelerando il passo per sentire meno dolore. Ho bevuto acqua fresca e limpida dalle risorgive dei fossi del Palù; sgorgava a polle e mi sdraiavo pancia a terra: con la mano socchiusa a mo’ di tazza e mi dissetavo. Ho imparato presto a respirare e a distinguere i profumi della campagna nel naturale “girare” delle stagioni. A raccogliere i nidi scalando salici e gelsi, a distinguere il canto del merlo e quello dell’usignolo, e quello lugubre, notturno, della civetta, a rincorrere le lucciole nelle tiepide sere di maggio quando si ritornava dalla recita del rosario, a sentire il canto assordante delle cicale dei caldi pomeriggi d’estate.

Questo era il Veneto, per tanti ragazzi della mia generazione. Nel cuore resto anche oggi un ragazzo del Palù.

 

                                 (da "Sono un Veneto" di Giuseppe Covre - ed. Santi Quaranta Treviso 2004)

 

 

 

 

   Tante casette con giardino e fiori,fiori, fiori

  

Domenica 28 maggio 1995 : alle 13 circa con gli amici siamo partiti alla volta del veneto per il paese di Colfrancui. Prima di partire ho avvertito Luciano che saremmo arrivati. Che bella campagna quella veneta! Sembra un giardino. Tante casette unifamiliari o bifamiliari, attorniate da giardini e fiori, fiori, fiori; e poi le infinite tonalità di verde, da quello smeraldo dei prati, a quello più cupo dei pini, a quello cenerino dei pini argentati, a quello smagliante delle nuove foglie che spuntano sugli alberi, a quello brillante degli immensi campi coltivati a vigneti: e su tutto l’ordine, il silenzio. Sembra un altro mondo... Imboccata la stradina di campagna che porta alla sua casa siamo andati sicuri. E sulla strada chi  c’era ad aspettarci? Luciano con la sua carrozzella elettrica. Baci, abbracci. e poi silenzio perché era tanta la gioia, che non avevamo più parole. Di questo indimenticabile viaggio ho fatto anche una video-cassetta.

Non potevo però andare a trovare i miei amici, senza andare a un santuario della Madonna, la buona Mamma che ci ha fatto incontrare e che ci tiene uniti. Così mi hanno accompagnato al Santuario della Madonna dei Miracoli. I Padri Francescani lo custodiscono e ne diffondono la devozione.. Nel silenzio di quel luogo sacro, abbiamo assistito alla S. Messa e quella sera ho notato in un foglio trovato per caso: “Gesù tu hai detto che hai pregato per noi, ebbene alla tua preghiera unisco la mia. Tu vedi. Tu sai. Tu puoi. Aiuta chi soffre, chi piange, chi ha paura, chi non ha speranza. Sono una piccola tua creatura, ma sono venuta qui a pregare con Te per tutti».

                                                                                              (da "Un anno insieme...così" di Carla Zecchetti)

 

 

suor Agnese Feletto

Alcuni cenni biografici:

Suor Agnese Feletto, originaria di Santa Maria del Palù, è mancata nella festa di San Giacomo Apostolo, all’età di 66 anni, in Albania, dove si trovava da alcuni giorni e dove le suore Dorotee di santa Paola Frassinetti tengono un centro di assistenza.

Per anni, fino alla chiusura del plesso di via Frassinetti, era stata direttrice e preside all’istituto Santa Dorotea di Oderzo. Si era laureata in lettere e filosofia ed aveva dedicato tutta la vita all’insegnamento. Riposa nel cimitero di Colfrancui.

 

UN RAGGIO DI SOLE

Suor Agnese e il suo sorriso, suor Agnese e la sua vocazione, suor Agnese e la Provvidenza.

La cosa che mi ha colpito di più, nel ricordo della mamma Luigia Feletto, è ciò che le disse una volta la maestra delle elementari, Guerrina Badanai:”Avete un dono di Dio e non lo sapete”.

La maestra aveva visto bene in quella bambina intelligente che era andata a scuola un anno primo del previsto perché sapeva già leggere e scrivere, avendo copiato giorno per giorno le lezioni che la sorellina di diciassette mesi più grande eseguiva nel pomeriggio.

E la maestra che la portò in quinta elementare, quando Agnese le comunicò che avrebbe fatto le medie dalle Suore Dorotee, le raccomandò... di non farsi suora.

Suor Agnese aveva manifestato la sua vocazione all’età di sette anni, durante la visita scolastica di mons. Abate di Oderzo. Com’era tradizione a quel tempo, sacerdoti e religiosi facevano delle visite ‘vocazionali’. La Mamma novantunenne ricorda nitidamente la scena descritta dalla bambina: aveva alzato la mano per dire di sì alla chiamata. In casa non se ne parlò più fino alla fine delle superiori, dopo la maturità classica conseguita brillantemente  a Roma.

Il Papà –  vivo nel ricordo della signora Luigia come fosse ieri – rimase sbalordito quando la figlia, due giorni prima di ripartire per la capitale, alla fine delle vacanze estive,  comunicò ai genitori la decisione di restare per sempre tra le Suore Dorotee di Paola Frassinetti.

Mamma Luigia elenca con grande precisione e amore tutti i successi della figlia. Ogni tanto cenni ai tanti benefici della Provvidenza che ha accompagnato il percorso scolastico e la vocazione di suor Agnese sia dal punto di vista economico – la famiglia era numerosa – sia decisionale; il Papà non voleva fare differenze tra i figli: una a studiare e gli altri al lavoro.

A questo punto, il ricordo diventa personale. Agnese è stata una ragazza piena di fascino e di qualità. La forza della chiamata e la fiducia nella Provvidenza sono ciò che la rendono viva più che mai nel ricordo mio e, penso, di tutti coloro che l’hanno conosciuta.

Il sorriso, poi,  aveva il potere di incoraggiare all’autostima chi l’incontrava.

A dodici anni mia madre mi mandò a ripetizione da lei, durante le vacanze trascorse in famiglia a Santa Maria del Palù. Passai un’estate magica, tutti ipomeriggi a correggere temi e riassunti pieni di errori e d’imperfezioni. E lei, sempre sorridente, incoraggiante, m’invitava a riprovare.

Ammiravo la sua bellezza luminosa e la facilità con la quale parlava un italiano perfetto. Mi affascinava quel nome di città lontana – Roma – nella quale studiava. Il sorriso, rimasto tale e quale, mi stupiva ogni volta che l’incontrava in famiglia o in Parrocchia.

Non avevo mai chiesto la sua età e solo, dopo la sua morte, sono riandata a quella lontana estate: aveva diciassette anni ed era un raggio di sole.

 

Renza Brugnera

 

 

MONS. OLIVO VISENTIN

 

 

Don Olivo Visentin, nato il 9 aprile 1922, era stato consacrato da mons. Zaffonato in Duomo ad Oderzo il 24 giugno 1947.

Era stato nominato monsignore dal Vescovo Giuseppe Zenti ed il 24 giugno 2007 aveva festeggiato il 60° anniversario di sacerdozio a Sernaglia della Battaglia; è stata l’ultima Messa presieduta davanti ai parenti e ai parrocchiani nella chiesa dove aveva celebrato per 42 anni.

Don Olivo aveva prestato servizio sacerdotale in 7 parrocchie delle diocesi; tra queste, Gorgo al Monticano per 6 anni e Sernaglia della Battaglia per 38 da Parroco e poi per altri 6 anni.

 

Olivo Visentin nacque a Colfrancui a Santa Maria del Palù il 9 aprile 1922; frequentò le prime classi elementari nella scuola baracca della località e poi con la famiglia si trasferì ad Oderzo.

Da ragazzo frequentò la scuola apostolica e gli studi poi continuarono in seminario a Vittorio Veneto. Fu consacrato sacerdote da mons. Zaffonato il 24 giugno 1947 nel Duomo di Oderzo.

Fu assegnato s Cison di Valmarino, successivamente a Col San Martino, a San Rocco di Conegliano, a Pieve di Soligo, a Vazzola, a Gorgo al Monticano, infine a Sernaglia della Battaglia dove rimase per 42 anni.

Prete semplice ma di carattere, nel silenzio sapeva ascoltare. Non grande oratore, ha saputo raccogliere il frutto del suo donarsi senza sosta. Sapeva aspettare il momento giusto per parlare senza ferire l'altro. A volte, per risolvere una situazione delicata, gli bastava un semplice sorriso, una stretta di mano, un grazie. Ripeteva che la preghiera è mediatrice.

Il 24 giugno 2007 aveva festeggiato il 60 anniversario di sacerdozio. Di lì ad un mese sarebbe tornato alla casa del Padre. Don Olivo si è fatto voler bene da tanti come ha dimostrato la grande partecipazione al suo funerale.

A celebrare le esequie è stato mons. Giacinto Marcuzzo, Vescovo di Nazaret. Nell'omelia, si è soffermato sul significato di "Olivo", il nome di battesimo. Come una pianta d'olivo, è stato longevo e resistente, ha donato buoni frutti, è stato un ramocello di pace.