EDITORIALE (di Claudio Baccilieri)

ARRIVARE DA LONTANO (di Chiara Mazzocchi)

DONNE E LAVORO (di Valeria Engroba)

IL LAVORO INTERINALE DEGLI IMMIGRATI (di Claudio Marra)

RIFUGIATI: ASILO NEGATO (di Giovanni Godio)

IMPRESA E IMMIGRAZIONE: UN INCONTRO POSSIBILE
Ricerca FAI
(di Pierpaolo Bergamini)

VOGLIA DI METTERSI IN PROPRIO (di Miguel Zapata)

GUIDA AI SERVIZI PER IMMIGRATI NELLA PROVINCIA DI BOLOGNA

LA SCELTA DI NAIMA (di Gabriella Ghermandi)

COLLABORARE CON IL SOFA’

PER RICEVERE IL SOFA’

 

  

Emergenza lavoro: numero speciale del Sofà

di Claudio Bacilieri

Numero speciale, questo del Sofà, interamente dedicato al lavoro. Abbiamo raccolto le testimonianze degli immigrati, delle associazioni che operano in questo settore, dei sindacati e dei centri per l'impiego, per fare il punto sulle opportunità presenti in Emilia-Romagna, dal lavoro interinale alla voglia di mettersi in proprio, dai corsi di formazione lavoro alle concrete offerte delle imprese. Non è facile, per i cittadini che provengono da altri Paesi, orientarsi nella grande babele del mercato del lavoro italiano, dove si può trovare tutto o niente. E anche quello che si trova - il lavoro pesante in fabbrica come l'assistenza domiciliare ai nostri anziani – è appesantito dall’ appartenenza a un'altra cultura, che rende tutto più difficile.
Consideriamo questo numero del giornale, un po' diverso rispetto ai precedenti, un intermezzo dedicato alla questione più urgente: il lavoro come lasciapassare per la sopravvivenza. Contiamo di riprendere le pubblicazioni nel 2003 unendo alla solita ricchezza culturale e alla cura della veste grafica un apparato di informazioni più "tecnico", di immediata utilità, di volta in volta dedicato alla casa, al lavoro, alle pratiche burocratiche, a tutto ciò, insomma, che l'immigrato deve conoscere per vivere meglio in Italia e, in particolare, nella nostra regione. Il Sofà vuole innanzitutto essere uno strumento al servizio dei migranti e insieme la voce del dialogo, dell'arricchimento culturale reciproco, dove le differenze tra italiani e stranieri si giocano sul terreno del confronto, della tolleranza e delle opportunità. "Emigrare significa rinascere", ha detto Anna, una colombiana 
da noi intervistata. Rinascere: non morire un'altra volta, non aggiungere disperazione a disperazione. A questa "rinascita" si dedica, nel suo piccolo e con i suoi scarsi mezzi, il nostro giornale.
Voglio ringraziare, infine, tutti coloro che hanno collaborato alla raccolta delle informazioni contenute in questo numero del Sofà, in primo luogo i volontari che hanno operato nel lavoro di redazione.

  

I diversi approdi professionali delle comunità di immigrati
osservati dal Centro per l’impiego della Provincia di Rimini

di Chiara Mazzocchi

“Chi vive all’estero cammina su un filo teso in alto nel vuoto senza la rete di protezione offerta dalla propria terra dove ci sono la famiglia, i colleghi, gli amici, dove ci si può facilmente far capire nella lingua che si conosce dall’infanzia”
  Milan Kundera 
“L’insostenibile leggerezza dell’essere”

Andare via e cambiare città, paese o nazione per scelta, per comodità, per necessità. Andare via con disperazione, paura, curiosità, speranze per poi arrivare. Ma cosa significa arrivare?
Arrivare
è un verbo che deriva dal latino ad ripare cioè giungere alla riva e sta a significare “pervenire nel luogo in cui si è diretti”. 
Possiamo allora dire che il verbo arrivare implichi in chi lo utilizza nel luogo ospitante un sentimento di attesa e di accoglienza? In fondo si attende l’arrivo di amici, parenti, notizie. 
Possiamo allora affermare che il verbo arrivare fa dunque parte di un linguaggio dell’accoglienza?
Lasciamo in sospeso questo interrogativo, lasciamo da parte le parole, pur con il peso che hanno e dedichiamoci invece all’osservazione della realtà.

 

Ogni comunità si specializza in un settore

Per quanto riguarda la Provincia di Rimini, un primo aspetto da cogliere è la crescente eterogeneità e stratificazione della popolazione immigrata.
L’area riminese, in ragione della sua struttura economica, è interessata sia da fenomeni di transito e stagionalità, che danno origine ad un’occupazione temporanea nelle attività legate al settore turistico e in minor misura all’agricoltura, sia da insediamenti tendenzialmente stabili. Questi ultimi legati perlopiù al lavoro operaio nelle piccole e medie imprese, al lavoro domestico ed in parte alla pesca hanno permesso ricongiungimenti familiari fino alla nascita di una seconda generazione, e quindi di domande e processi di inclusione sociale che vanno ben oltre la dimensione economica ed occupazionale.
Resta poi una fascia di immigrazione marginale, impegnata in attività di sussistenza come il commercio ambulante abusivo, è il caso ad esempio
dei cosiddetti vu cumprà, quasi esclusivamente senegalesi maschi e di cinesi, uomini e donne, che tentano di vendere le loro chincaglierie soprattutto lungo le spiagge della riviera romagnola.
Ancora allo stato nascente, ma destinato con ogni probabilità a rafforzarsi, è poi il fenomeno dell’avviamento delle attività indipendenti.
I cinesi, ad esempio, rimanendo fortemente legati all’identità del gruppo familiare, costituiscono la comunità più rappresentata nel tessuto sociale locale e prediligono attività imprenditoriali come quella della ristorazione e del commercio; sempre più di frequente si assiste infatti all’apertura di punti vendita di oggettistica e articoli da regalo cinesi. La scarsa presenza dei cinesi in occupazioni con un contratto di tipo subordinato e la mancata frequentazione dei servizi per l’impiego, testimoniano la difficile integrazione all’interno del tessuto economico sociale. Il problema della mancata integrazione si ripresenta e si ripresenterà in forme diverse per i loro figli al momento dell’entrata a scuola.
I gruppi provenienti dall’Est Europa (in particolare albanesi) sono occupati soprattutto nel settore dell’edilizia e dei servizi e in tale ambito si rileva una forte presenza delle donne nelle attività di cura domestica.
Per completare il quadro occorre evidenziare che i gruppi nord-africani (con particolare riferimento ai tunisini e marocchini) risultano maggiormente occupati nei settori della pesca e dell’agricoltura, mentre quelli latino americani (spesso donne peruviane, argentine, colombiane) sono dediti in particolare alle attività di assistenza alle persone anziane e malate. 
Il quadro delineato non rende comunque giustizia all’ampia gamma di occupazioni in cui sono impegnati gli immigrati. Anche se per lo più si tratta di impieghi a basso contenuto professionale, emergono comunque casi di imprenditoria nel settore dell’edilizia, dei servizi alla persona e la nascita di associazioni di sempre maggiore rilevanza sociale, culturale e politica sul territorio che sono testimonianza di un certo movimento e sensibilità rispetto al tema.

 

Qualsiasi lavoro, per di sopravvivere

Rimane il fatto che esistono settori in cui è difficile trovare manodopera italiana e ciò va incontro alle necessità economiche degli immigrati che spesso sono disposti a fare qualsiasi lavoro pur di garantirsi un livello minimo di sostentamento. Inoltre con questa variabile, che è più legata all’offerta del mercato del lavoro, interagiscono fattori relativi alle caratteristiche della domanda: fattori culturali, religiosi e le differenze di genere.
Le caratteristiche di genere, intrecciate a quelle del paese di provenienza segnano forti differenze per quanto riguarda le ragioni della migrazione e questo fa sì che se da un lato troviamo donne giunte in Italia per un ricongiungimento familiare con un modesto bagaglio formativo professionale alle spalle, dall’altro riscontriamo una presenza femminile altamente qualificata ed istruita, come quella dell’est Europa (Romania, Ucraina per fare un esempio), che si è trasferita da sola con lo scopo di provvedere al sostentamento di sé e della famiglia rimasta nel paese d’origine.
Occorre inoltre sottolineare lo sviluppo di nicchie occupazionali di specializzazione che appaiono alimentate da una sorta di circolo virtuoso, in base al quale ad esempio i peruviani trovano occupazione nel settore di cura delle persone, diventando sempre più abili in questo lavoro e creando una rete di contatti  informali che rendono sempre più facile l’incrocio di domanda e offerta per se stessi e per i propri connazionali.
La questione del riconoscimento sociale delle persone immigrate e dell’apertura di nuovi spazi occupazionali, che non siano solo quelli già accennati sopra, è una necessità che passa soprattutto attraverso il riconoscimento dei titoli di studio ed un atteggiamento di valorizzazione di competenze, capacità professionalità, patrimoni di studi che chi emigra deve lasciarsi alle spalle. Per molte persone che arrivano in Italia con alte aspettative rispetto ad un lavoro e a buone condizioni di vita, significa adattarsi ad un declassamento, uno spostamento verso il basso. Gli immigrati che vengono a lavorare nel nostro paese portano con sé un proprio patrimonio di esperienze, di capacità professionali  e personali, il proprio sistema di comunicazione e di relazione con gli altri, la propria cultura politica e di esperienza nella vita pubblica, cioè in ultima analisi il proprio modo di concepire  il mondo e la vita. Tale bagaglio personale, al quale non viene data la possibilità di esprimersi, se non in qualche raro caso e comunque solo dopo una lunga permanenza, non contribuisce ad attivare  processi di integrazione, né offre possibilità per superare i livelli minimi di sopravvivenza, alimentando con ciò sentimenti di sfiducia, diffidenza, paura e pregiudizio reciproci. In un panorama così complesso e variegato si rendono necessari da un lato interventi di mediazione culturale per facilitare la comunicazione fra persone appartenenti a culture diverse, interventi che favoriscano la contrattazione dei significati, l’interpretazione di esigenze e la costruzione di un territorio di comune incontro; dall’altro interventi di carattere orientativo-formativo finalizzati all’inserimento lavorativo, volti al recupero e alla valorizzazione delle competenze già possedute, in un’ottica di restituzione di un senso di dignità e valore alle persone.
Un atteggiamento di apertura, se non di vero e proprio interesse, potrebbe permettere di scorgere il contributo che queste comunità potrebbero apportare al processo di rivitalizzazione, cambiamento e sviluppo della comunità locale. Ciò permetterebbe di superare interventi basati su un’ottica assistenziale e di favorire nei membri di queste comunità lo sviluppo di un senso di appartenenza e quindi un interesse per il territorio e per la qualità della vita della comunità locale nella quale sono inseriti. 
E’ in linea con quest’ottica che si colloca il Servizio di Mediazione Culturale del Centro per l’Impiego della Provincia di Rimini. Il centro mette a disposizione di cittadini immigrati dei consulenti e mediatori culturali in grado di offrire un supporto nella ricerca delle informazioni e nelle fasi preliminari di contatto e definizione degli accordi con le aziende. 
Per accedervi occorre fissare un appuntamento direttamente con il mediatore culturale, oppure attraverso l’ufficio accoglienza.
Centro per l’Impiego- Sede di Rimini V. Sacramora n.196 0541-358611 Fax 0541 358634
Centro per l’Impiego- Sede di Riccione V. Torino n.19 0541 473111 Fax 0541 473133

Dott.ssa Chiara Bazzocchi
Psicologa e Consulente per l’Orientamento Scolastico e Professionale
Coordinatrice Servizio di Mediazione Culturale del Centro per l’Impiego Provincia Rimini

 

Immigrazione nella Provincia di Rimini
Occupazione principale per nazionalità

Nazione Professione Popolazione residente straniera %
Tunisia Marinaio/pescatore 
Operaio
Muratore
44
31
20
27%
20%
12%
Principale lavoro autonomo: costruzione
Albania Operaio
Muratore
Cameriere
251
76
65
40%
11%
9%
Principale lavoro autonomo: costruzione
Cina Operaio
Cuoco
Cameriere
Artigiano
40
31
22
19
27%
21%
15%
13%
Principale lavoro autonomo: confezione d’articoli di vestiario e preparazione e concia del cuoio.
Marocco Operaio
Muratore
Cameriere
Cuoco
95
25
17
14
44%
12%
8%
6%
Principale lavoro autonomo: costruzione
Senegal Operaio
Commerciante
Muratore
199
41
22
49%
10%
5%
Principale lavoro autonomo: commercio al dettaglio

(Fonte: “Osservatorio sull’immigrazione” Rapporto Provinciale 2001- Provincia di Rimini)

Imprenditorialità: la Provincia di Rimini rappresenta l'incidenza maggiore nella Regione per peso percentuale sul totale delle imprese - 4,35% di imprese con titolare straniero.
(Fonte: Infocamere, Dossier Regionale Emilia Romagna - 2001, pag. 18).

  

I percorsi professionali delle immigrate

di Valeria Engroba

Il Centro italiano d’opere femminili salesiane, (Ciofs) attraverso il programma di formazione professionale e lo sportello di orientamento al lavoro (Codi: centro di orientamento donne immigrate), è da diversi anni un punto di riferimento per le donne immigrate della regione. La missione del Ciofs è rivolta alle persone più disagiate.
Al Ciofs queste donne trovano sostegno attraverso i corsi di formazione per l’assistenza agli anziani.
Il Codi, invece, è un servizio di orientamento per la ricerca del lavoro. Ogni anno riceve circa un centinaio di donne di recente immigrazione che non hanno conoscenza della lingua italiana e senza lavoro.
Giovanna Bertarelli operatrice del centro ci dice “Il Codi non trova lavoro, cerca d’insegnare alle donne come si fa per trovarlo, a quali indirizzi rivolgersi, come preparare i curriculum, come funzionano le agenzie interinali e gli altri uffici che possono aiutarle, come leggere uno stradario, ecc.”.
Le porte dello sportello rimangono aperte alle donne tutte le volte in cui ve ne sia la necessità, fino a quando non siano in grado di trovare il lavoro e di acquistare l’indipendenza.
I corsi sono indirizzati ad una formazione nel campo dell’assistenza socio-sanitaria. Soprattutto è importante il corso per operatori socio-sanitari, il quale “qualifica”, come ci spiega Giovanna, a “svolgere l’assistenza agli anziani tanto in strutture  private come nelle pubbliche, e negli ospedali”.
Giovanna Bertarelli sottolinea la vocazione al servizio che queste donne immigrate hanno nei confronti della società dove sono state accolte: una vocazione forse non pensata inizialmente per loro, ma che è stata costruita mano a mano sulle esperienze vissute e sul desiderio di una preparazione professionale vista come un nuovo progetto di vita prezioso e apprezzato.

Ciofs-FP/ER 
(Centro Italiano Opere Femminili Salesiane
Formazione Professionale Emilia Romagna)

Via Jacopo dalla Quercia, 4 - Bologna
Tel. 051 361654  -  FAX 051 372123

Sede di Corticella:
Via San Savino, 37 - Bologna
Tel. 703422  -  FAX 051 705310
CODI ( Centro Orientamento/ lavoro Donne Immigrate )
Lunedì, mercoledì e Venerdì dalle 9.30 alle 12.30
Sede Corticella
Via San Savino, 35/37
Tel. 051 705062

 

La parola alle corsiste

Il corso per operatrici socio-sanitarie, realizzato dal CIOFS (Centro Italiano Opere Femminili Salesiane), tenta di dare una risposta al bisogno di molte donne straniere in Italia d’accrescere la loro professionalità per trovare un lavoro stabile. Ma viene incontro anche alle esigenze di un paese che necessita sempre più di persone che si curino di anziani e ammalati negli ospedali e nelle strutture private.

Elena
Mi chiamo Elena, vengo dalla Romania. 
Sono da due anni a Bologna. Sono arrivata prima a Roma, da sola, poi sono venuti la mia figlia e mio marito. Mia figlia era già incinta quando è arrivata, così oggi sono anche una nonna.
Ho lavorato a Bologna per due anni con una persona anziana e poi per solo tre mesi con un altra persona.
Piano piano ho trovato una casa e così ci siamo riuniti insieme, io e la mia famiglia.
Una volta insieme, ho cominciato a cercare qualcosa in più da fare e così ho trovato il corso di formazione per operatore socio - sanitario.

Ci puoi raccontare la tua esperienza di lavoro di assistenza agli anziani?
Mi ha fatto molto effetto lavorare con gli anziani. Essendo molto lontana dai miei parenti,  mi sono sentita molto vicina a loro, e sentivo  più vicini anche  i miei parenti. 
Mi  hanno trasmesso non solo affetto e  comprensione, ma soprattutto ho imparato da loro molte cose facendo delle domande. Gli  anziani ti danno  una speranza e un sostegno.
Mi hanno trasmesso  la speranza e il coraggio per continuare. Mi  dicevano sempre: dai, dai che ce la fai, vai avanti che tutto si risolve, e così ho trovato il coraggio. Da quel lavoro sono rimasti gli amici, e si può dire anche  una seconda famiglia.  Per me è come se fossi stata con loro una vita intera, anche se nella realtà  non è stato così.

Perchè hai deciso di fare il corso di formazione?
Lavorando a domicilio, ho pensato che una volta che avessi avuta la casa, e tornata con i miei, avrei voluto continuare a lavorare ma con un lavoro che non mi occupasse 24 ore. Così ho cominciato a fare il corso di formazione  per trovare un lavoro che mi impegnasse meno ore.

Quali erano le tue aspettative quando hai cominciato il corso?
Volevo trovare  un lavoro  in una casa di cura o in un ospedale. Giovanna Bertarelli. mi aveva consigliato il corso per le possibilità di lavoro che offre.

Che cosa facevi prima di arrivare in Italia?
Nel mio paese facevo le magliette, i pantaloni le cuciture, ero una cucitrice. 

Ti piacerebbe ritornare al tuo lavoro di prima?
No, perché già ho fatto 15 anni in Italia e ho iniziato un’altra strada.

Come ti trovi nel corso?
Mi trovo bene, e mi piace molto. Sto cambiando per iniziare un nuovo lavoro, che sarà un’altra esperienza. E’ questo che mi da la  forza per continuare. 

Jasmina
Sono persiana, dell’ Iran.
Sono in Italia e a Bologna da 6 anni. Sono venuta da sola, poi mi sono sposata con un iraniano.

Come hai deciso di scriverti al corso?
Sono analista, ho frequentato per quattro anni l’Università di Bologna, Facoltà di Biologia.  Sono venuta in principio a Bologna per fare un corso di lingua, ma dopo ho conosciuto mio marito, mi sono sposata, e così ho dovuto trovare una nuova strada.

Hai scelto questo corso per una ragione particolare?
L’ho scelto perché è vicino a miei studi di biologia. Non è proprio del tutto simile,  ma si tratta comunque di un lavoro nel campo socio - sanitario.

Cosa ti aspettavi di trovare con il corso?
Soprattutto una formazione e una opportunità di lavoro poiché ora sto lavorando, ma non in un ospedale, e la formazione che ricevo nel corso mi sarà utile per provare ad entrarci.

Anna
Sono della Colombia. Sono in Italia da 13 anni e a Bologna da 6.

Per ché hai deciso di frequentare ilente?
Perché lavorare in un ufficio in Italia, è difficile se non hai la cittadinanza e se non sei di lingua italiana. Allora ho pensato che essendo l’Italia un paese con molti anziani, e sapendo che mi piace il sociale ho frequentato  un corso di assistenza di base. Ho cominciato a lavorare con le persone anziane, e ho trovato che questo tipo di lavoro mi piace, mi soddisfa. Mi sento utile e con questo lavoro  posso scambiare un po’ di amore, e trovare quella famiglia che non ho vicino.

Che cosa ti aspettavi dal corso?
Di prendere una qualifica e di poter lavorare più professionalmente.

Che cosa facevi in Colombia?
Lavoravo come segretaria in banca, ero a contatto con il pubblico. Già mi piaceva lavorare con la gente, e comunicare con loro. Perché non solo si dà ma anche si riceve molto.

Con che parola puoi riassumere la tua vita da quando sei arrivata in Italia?
Bisogna rinascere,  emigrare significa questo: rinascere. Perché devi cambiare le tue usanze, abituarti a un nuovo clima, al mangiare, imparare un nuova lingua, entrare nella mentalità del luogo, devi capire che devi cominciare da capo per andare avanti.

  

Le più recenti tendenze del mercato del lavoro in Emilia Romagna
fanno registrare un crescente aumento degli avviamenti di lavoratori stranieri
tramite le agenzie interinali

di Claudio Marra
Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

Le più recenti tendenze del mercato del lavoro in Emilia Romagna fanno registrare un crescente aumento degli avviamenti di lavoratori stranieri tramite le agenzie di lavoro interinale. Col monitoraggio effettuato dalla Agenzia Emilia Romagna Lavoro, per il 2000 si riscontrava già che l’incidenza della presenza dei lavoratori immigrati sull’occupazione interinale superava il 16%, e che l’utilizzo di tale tipo di forza lavoro fosse assai maggiore di quello riscontrato nella generalità del contesto produttivo regionale.
Più di recente, per altre aree del Nord Italia sono stati rilevati dei segnali di crescita del fenomeno.
L’area interessata del fenomeno comprende il Nord Est (in cui è compresa l’Emilia Romagna), la Lombardia e zone sempre più vaste dell’Italia centrale (come Toscana e Marche), ed è caratterizzata da una struttura produttiva basata sul ruolo determinante delle piccole e medie imprese, de tassi di disoccupazione bassi con carenza di manodopera; e da una richiesta di lavoro operaio in prevalenza regolare,  inquadrato a bassi livelli contrattuali.
In queste aree si osserva proprio un moltiplicarsi di nuove agenzie di lavoro interinale e, soprattutto, il loro dislocarsi in reti di succursali proprio in relazione alla distribuzione territoriale delle aree industriali ed artigianali.

 

Una modalità di lavoro apprezzata sia dagli imprenditori che dai lavoratori

La crescente presenza di lavoratori stranieri in tale settore è motivo di preoccupazione da parte di molti osservatori  in quanto, alle condizioni di precarietà che caratterizzano tali rapporti di lavoro si aggiungono quelle tipiche dei migranti.
Alcuni risultati emersi da una recente ricerca su tali problematiche e condotta su alcune aree del Nord Italia – promossa dall’IRES nazionale e presente nel II° Rapporto sull’Immigrazione e presentato nel giugno di quest’anno – per la loro natura ambivalente inducono ad una riflessione approfondita.
Il successo delle agenzie di lavoro interinale nell’avvio di lavoratori stranieri sembrerebbe indicare, ad una prima lettura del fenomeno, un apprezzamento sia dal lato della domanda, che vede come soggetti principali gli imprenditori e le agenzie stesse, sia dal lato dell’offerta, e cioè gli stessi lavoratori immigrati.
Va ricordato infatti che dal lato della domanda di forza lavoro, uno dei dati registrati è costituito dalla possibilità da parte delle imprese di poter disporre, per un verso, di un’efficace selezione del personale e per l’altro di un meccanismo che possa efficacemente sostituire il periodo di prova di tre mesi, previsto dalle norme contrattuali vigenti e spesso ritenuto insufficiente dalle aziende stesse.
Se è ovvio il gradimento espresso dagli imprenditori, è interessante considerare le  motivazioni che sembrano essere alla base dell’apprezzamento del versante più “debole” del mercato del lavoro.
Dall’indagine è emersa una certa soddisfazione da parte dei lavoratori immigrati nei confronti dell’opportunità offerta da questo meccanismo di avviamento al lavoro. L’indagine registra infatti che circa il 70 per cento dei lavoratori avviati, viene poi assunto a tempo indeterminato, mentre in circa il 90 per cento dei casi i lavoratori immigrati temporanei vengono nuovamente richiesti dalle aziende.
Ma è da tener presente che l’apprezzamento è spesso espresso da coloro che si trovano in una fase iniziale del percorso migratorio, e che non sempre hanno intenzione di stabilizzare la loro presenza nel contesto di approdo. In questi casi, il lavoro è considerato come semplice mezzo che permette di poter disporre di risorse economiche, tanto da indurre ad accettare tipi di lavoro più insicuri, instabili, faticosi, e che caratterizzano uno status socialmente inferiore, e pertanto rifiutati dai lavoratori autoctoni.
Sembra essere infatti più di una coincidenza il fatto che, nella maggior parte dei casi, da parte di questo tipo di lavoratori, la valutazione positiva nei confronti di questa modalità di avvio al lavoro sia apprezzata proprio per il suo carattere di temporaneità e di  flessibilità.

 

C’è anche chi viene scartato / perché ritenuto inaffidabile

Inoltre, non sempre la possibilità di fare diverse esperienze è vista come consolidamento della propria posizione nei confronti del mercato del lavoro italiano: in alcuni casi, soprattutto per quanto riguarda migranti provenienti dall’Est europeo, la dotazione di competenze lavorative è vista in funzione di un migliore reinserimento nella patria di origine.
In realtà, però, nella misura in cui cambia la percezione di temporaneità della condizione di migrante – e soprattutto in relazione ai progetti di stabilizzazione insediativa – sembrano aumentare le aspettative relative alla qualità del lavoro, non soltanto sotto il profilo salariale, ma anche come vera e propria possibilità di carriera. Non va trascurato il fatto che, secondo il Rapporto 2002 del NIDIL-CGIL la maggior parte degli immigrati presenti nel lavoro interinale possiede già un’esperienza lavorativa, sia pure maturata nel paese di origine.
Vi sono però anche i cittadini stranieri che, dopo un primo approccio con le agenzie, sono stati “scartati”, per stessa ammissione degli addetti, in quanto ritenuti “inaffidabili”, e quindi esclusi dal circuito lavorativo. Si tratta di soggetti che è difficile di certo raggiungere con un’indagine conoscitiva, e quindi rilevarne la reale consistenza numerica.
La loro stessa esistenza richiama la difficile condizione di migrante vissuta, in termini di disagio psicologico.  In tali situazioni, l’affidare l’orientamento al lavoro a strutture private, strategicamente orientate dalla logica “efficientista” e concorrenziale del mercato – e quindi non e interessate ad offrire un supporto che possa permettere al migrante di affrontare le difficoltà – pone delle riserve sulla proliferazione non regolata di queste forme di incontro tra domanda e offerta di forza lavoro. D’altronde, come è stato rilevato da alcune recenti ricerche, tale proliferazione sembra essere dovuta anche alle carenze e all’insufficiente funzionamento delle istituzioni pubbliche che, come le Agenzie per il Lavoro, dovrebbero assicurare tale incontro.

  

La nuova legge sull’immigrazione rende più difficile
il riconoscimento dello status di rifugiato

di Giovanni Godio

Italia e rifugiati, ma che succede? Va bene che è emergenza sbarchi, un’emergenza vera, per la quale il nostro Paese ha tutte le ragioni di chiedere aiuto all’Europa. Va bene che, mentre scriviamo, la regolarizzazione dei lavoratori immigrati prende per sé ogni attenzione, anche perché bordeggia fra incertezze e provvisorietà, nonostante la legge di conversione del decreto del Governo sia stata approvata definitivamente nella prima metà di ottobre.
Eppure, le cronache degli ultimi mesi su quella particolarissima questione che si chiama diritto d’asilo lasciano l’amaro in bocca. Proviamo a fare il punto della situazione.
Dunque. L’Italia è rimasto l’unico tra gli Stati dell’UE a non avere ancora una legge organica a favore dei rifugiati. Il governo Berlusconi ha provato a rimediare con due articoli della legge “Bossi-Fini”.
Ma la Bossi-Fini fa confusione. Una cosa è l’immigrato, il “migrante economico”, che lascia la propria terra volontariamente (più o meno volontariamente, ma non stiamo a sottilizzare…) per migliorare le proprie condizioni di vita. Un’altra è quella di rifugiato, colui che se ne parte a causa di persecuzioni razziste, etniche, religiose, politiche o a sfondo sociale: il suo “diritto d’asilo” è riconosciuto dalla Convenzione di Ginevra sui rifugiati, vecchia di mezzo secolo.
La campagna “Diritto d’asilo, una questione di civiltà” (www.dirittoasilo.it) lanciata in primavera da Amnesty Italia, da Msf (Medici senza frontiere) e dall’Ics (Italian Consortium of Solidarity) ha denunciato come il “clima” di tutto il decreto legge sull’immigrazione favorisca nell’immaginario collettivo «un cortocircuito fulmineo: migrante – clandestino -soggetto socialmente pericoloso…», dunque un ospite indesiderato, da “dissuadere” «con un approccio deterrente».

 

In attesa di decisione, gli aspiranti rifugiati sono delle icone della precarietà

Altri due problemi concreti, concretissimi li sottolinea Andrea Accardi, esperto di diritto d’asilo per Msf: «La legge mette sotto detenzione, in appositi “centri di identificazione”, chi arriva in Italia in maniera irregolare per chiedere asilo: visto che si tratta di gente in fuga, dovrebbe essere scontato che gli sarebbe un po’ difficile trovare vie regolari! Inoltre se ti negano lo status di rifugiato puoi fare ricorso, ma a valutarlo è la Commissione Territoriale per il Riconoscimento, integrata da un solo membro della Commissione nazionale: in pratica lo stesso organismo di prima. In più puoi ricorrere alla magistratura, peccato solo che il ricorso non sospenda l’espulsione: ricorri pure, ma intanto te ne devi partire e aspettare la decisione all’estero». Si spera non nei ridenti Paesi di provenienza…
Intanto, legge o non legge, gli aspiranti rifugiati rimangono icone della precarietà. Non possono lavorare (anche se la sanatoria in corso sembra, dato il clima di incertezza che ancora la circonda, lasciare qualche spazio anche ai richiedenti asilo che lavorano in nero).
Passano anche 10-15 mesi prima che una domanda d’asilo riceva una risposta, mentre il contributo di 17 euro al giorno dura solo un mese e mezzo. O piuttosto durava, perché con la Bossi-Fini pure questo è stato sospeso, ad agosto…
E quando (e se) arriva il sospirato riconoscimento con allegato il permesso di soggiorno per due anni, l’appoggio pubblico si esaurisce. Mentre le reti di accoglienza del privato sociale e degli enti locali arrivano dove possono.
Eppure non proprio tutto è da buttare. Nel 2001 è stato bandito il Pna (Programma nazionale asilo), promosso dal ministero dell’Interno d’intesa con l’Acnur e l’Anci per finanziare progetti d’accoglienza e integrazione per i richiedenti asilo e i rifugiati. Si è lavorato bene, ma per il 2002 una circolare degli Interni ha tagliato i fondi ai progetti, ridimensionandoli drasticamente. Ora, nel 2003 il Pna o qualcosa di simile sarà finanziato, ma per quest’anno la frittata è fatta.
Alla fine di settembre, pochi giorni dopo il tragico naufragio di Porto Empedocle (37 morti), in un appello firmato tra gli altri dalla Caritas Romana, dal CIR, dalla Fondazione Migrantes e dal ICS si legge: «I fatti di Porto Empedocle sono stati presentati all’opinione pubblica come l’ennesimo tentativo di sbarco in Italia di clandestini. Poche voci hanno sottolineato la presenza di tanti che sono scappati da realtà di guerra o conflitto, come la Liberia, e che si attendevano di trovare in Italia aiuto umanitario e il riconoscimento del loro diritto di asilo».
L’appello invita il Parlamento «a discutere al più presto le proposte di legge già presentate in materia d’asilo, perché anche l’Italia possa dotarsi di uno strumento capace di prevedere, in forma organica, misure di accoglienza, assistenza e integrazione di richiedenti asilo e rifugiati».

 

ALCUNI NUMERI
  • Da dove vengono:  Nel sito internet degli Interni abbiamo scovato alcuni dati sulle nazionalità dei richiedenti asili (anno 2000): vengono soprattutto dai Paesi dell’ex-Jugoslavia, dall’Irak e dalla Turchia (curdi); ma ha fatto domanda anche un cittadino degli USA.
  • Quanti sono: Nel 2001 in Italia sono state esaminate 13.200 domande d’asilo: i riconoscimenti sono stati appena 2100, i rifiuti 10.500, circa 600 hanno avuto riconoscimenti d’altro tipo.  Alla fine dell’anno nel Paese si contavano circa 9000 rifugiati (stima), 5000 richiedenti asili e 5000 residenti “per motivi umanitari”.
  • Negli ultimi 10 anni hanno chiesto asilo in Italia 0,15 persone ogni 1000 abitanti:
    almeno da noi non è invasione!
    In Francia hanno fatto domanda 0,5 persone ogni 1000 abitanti,
    Nel Regno Unito una ogni 1000,
    In Germania 1,90.
    Ma i Paesi con più domande sono la Svizzera (3,3 richieste/1000 abitanti), la Svezia (2,6) e l’Olanda (2,3).

Fonti: ACNUR 2002,Ministero degli Interni 2002 e Caritas Roma 2002

 

Domande d’asilo
presentate in Europa nel 2002
Germania 78.800
Regno Unito 75.680
Olanda 43.895
Belgio 42.691
Francia 39.775
Austria 18.284
Italia 18.000
Svezia 16.303

Fonti: Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati

 

Legge Fini- Bossi – Modifiche principali in materia d’assistenza finanziaria

Prevede l’abolizione del contributo d’assistenza di prima accoglienza. Nonostante da agosto, prima della entrata in vigore della legge i contributi siano stati sospesi. Inoltre non è  ancora chiaro se la disposizione attuale ministeriale sia temporanea o definitiva.

  

Speciale - Ricerca FAI

di Pierpaolo Bergamini
Direttore Cides

L'Italia è divenuta in pochi anni un paese d’ immigrazione. Ci si deve allora chierdera se l’incontro tra le esigenze delle imprese e le aspirazioni di chi è alla ricerca di un futuro per sé e per la propria famiglia sia possibile.

Il Sofà pubblica in questo numero i risultati di una ricerca effettuata  presso le aziende della Provincia di Bologna, coordinata dal CIDES e condotta dalle cooperative Sociali Etabeta e Maratonda, si tratta del Progetto F.A.I.( Formazione, Accoglienza e Informazione) promosso da ANOLF, CISL, CEFAL, Progetto Marocco, Associazione Pakistani Immigrati, Associazione Cittadini Egiziani e Associazione Algerini, finalizzato alla formazione linguistica e civica e all’inserimento lavorativo degli immigrati dalla regione di Settat (Marocco).

L’Italia è un paese in profonda e rapida trasformazione: in pochi anni si è trasformata da paese di emigrazione a paese d’immigrazione, specie dalle zone più povere del sud del mondo, anche per la sua posizione centrale all’interno del bacino del mediterraneo.

Obiettivo delle persone immigrate, spesso provenienti da zone colpite da povertà e a volte anche da guerre, è la ricerca di un posto di lavoro che dia loro speranza per il futuro e per quello delle loro famiglie. Spesso questa esigenza si incrocia con quelle delle nostre aziende, sempre alla ricerca di figure professionali che risultano non più appetibili dalla popolazione italiana, nonostante il tasso di disoccupazione che affligge, specie in alcune zone del sud, il nostro Paese.

E’ sempre facile l’incontro tra domanda e  offerta, cioè tra gli immigrati che cercano un’ occupazione e le necessità delle aziende? Secondo la banca dati di Excelsior (progetto promosso dalle Camere di commercio industria e artigianato, che  gestisce un Sistema informativo permanente sull’occupazione e sulla formazione), nella sola provincia di Bologna le assunzioni previste nel 2002 di personale extra comunitario sono pari a  3.920 unità, circa il 24% delle intere assunzioni effettuate nello stesso anno.

Complessivamente, le previsioni di assunzioni per il 2002 comprendono una grossa percentuale (circa il 36%) di personale che sarà difficile reperire, o per la mancaza di qualificazione da parte dei lavoratori o per le richieste economiche elevate da parte degli stessi, come conseguenza della concorrenza, del mercato delle aziende nella ricerca per determinate figure professionali.

 

Richiesta delle aziende di personale formato da corsi esterni

Scendendo nel particolare, i settori che più difficilmente riescono a reperire lavoratori sono il commercio (829 unità di difficile reperimento), l’industria di oggetti e minuteria in metallo (572 unità), le industrie di macchinari ed elettrodomestici (542), l’istruzione e sanità private (541), le costruzioni (463), gli alberghi, bar e servizi turistici (404).

Spesso per tali tipologie di lavoro non viene richiesta nessuna particolare formazione (40% delle richieste), mentre per il 31% si richiede la partecipazione a corsi di formazione interni, per il 14% è previsto un periodo di affiancamento in azienda e solo per il 14% la formazione consiste in corsi esterni. Relativamente a questo ultimo dato, le aziende intervistate hanno dato la disponibilità ad assumere personale extra comunitario, se adeguatamente formato da corsi esterni che garantiscano le professionalità richieste.

FIG. 1
Tipo di formazione richiesta per le assunzioni di difficile reperimento


Fonte: Unioncamere - Ministero del Lavoro, Sistema informativo Excelsior, 2002

 

Passando ad una analisi del settore agricolo, si nota che le professioni richieste, tutte per lo più di basso livello di qualificazione (pari a circa il 35% nel caso di assunzioni stabili, fino a d un livello del 63% nel caso di assunzioni di stagionali), non hanno spesso carattere di definitività, ma si rivolgono a prestazioni stagionali, ciò evidentemente anche per il tipo di lavori specificamente richiesti in questo settore (raccoglitori manuali, braccianti, addetti mungitura e allevamenti).

Le aziende della provincia dichiarano nel 33% dei casi di avere difficoltà nella ricerca e assunzione di personale principalmente per due motivi, come sopra accennato: professioni che la forza lavoro italiana non vuole ricoprire (67%), mancanza di formazione adeguata da parte della forza lavoro italiana (32%). Il ricorso a forza lavoro extra comunitaria avviene soprattutto come risposta al primo tipo di problemi, offrendo di conseguenza professioni a scarsa specializzazione e bassa remunerazione. Per quello che riguarda la seconda tipologia richiesta, le aziende hanno indicato difficoltà nel reperire artigiani e operai specializzati di vario genere (tornitori, fresatori, saldatori, carrellisti, cernitori, addetti a macchine a controllo numerico, addetti a macchine utensili, aggiustatori meccanici, assemblatori di componenti elettronici, addetti agli stampi, operai di cantiere specializzati, falegnami, montatori di mobili, montatori di muretti  e recinzioni, giardinieri, vivaisti, potatori di vigneti, conduttori e riparatori di macchine agricole…).

Ma queste aziende si sono effettivamente rese disponibili ad assumere anche personale immigrato?

Il 50,5% ha risposto affermativamente, il 30% negativamente, il 19,5% assumerebbe immigrati solo per determinati tipi di professioni. Per le imprese che hanno le maggiori difficoltà nel reperire addetti, le percentuali salgono al 59% di disponibilità ad assumere per qualsiasi mansione, il 28% solo per alcune, il 13% non assumerebbe immigrati (contro il 41% delle aziende che non hanno problemi nel reperire mano d’opera).

Resta comunque confermato che solitamente le aziende tendono ad assumere immigrati per lavori di bassa specializzazione.

In relazione alla possibilità di organizzare cosi di formazione per immigrati direttamente nei loro paesi di origine, il 23% delle aziende non ritiene affidabili tali corsi, mentre il 76% li considera una utile forma di qualificazione professionale. Nello schema sottostante abbiamo indicato le cause di scarsa affidabilità dei corsi secondo le aziende intervistate.

FIG. 2
Per quale ragione non ha fiducia nei corsi di formazione attivati nei Paesi di provenienza degli immigrati?

La qualificazione del personale immigrato non può, secondo le aziende, prescindere da una buona conoscenza della lingua italiana (l’89% delle imprese lo ritiene assolutamente o almeno abbastanza importante, solo l’ 11% indifferente o non molto importante).

Un  incontro non solo possibile ma anche una necessità imprescindibile

Tutti i dati sopra elencati mostrano abbastanza chiaramente che un’incontro tra le aziende della nostra provincia e gli immigrati non solo è possibile, anzi in parecchi casi è una necessità imprescindibile per le attività produttive locali. Spesso il problema principale resta quello della professionalizzazione del personale proveniente da paesi extra-comunitari, ma anche quello del riconoscimento di tale professionalità, quando essa sia stata acquisita, da parte delle aziende.

In effetti si può chiaramente registrare da parte delle aziende la volontà di assumere (salvo quelle che hanno oggettive difficoltà nel reperire personale specializzato) personale extra-comunitario solo per le mansioni di livello più basso e di più bassa remunerazione.

Risalta chiaramente da tale analisi la necessità da un lato di realizzare corsi professionali per cittadini stranieri in grado di garantire alle aziende la professionalità richiesta, nonché una più approfondita conoscenza della lingua italiana, dall’altro è necessaria quella di attività di sensibilizzazione per  gli imprenditori, al fine di abbattere le diffidenze culturali che spesso si oppongono ad un incontro tra domanda e offerta di lavoro che possa essere quanto più possibile rispettoso sia degli interessi delle aziende, che delle legittime aspirazioni e della dignità delle persone che cercano lavoro nel nostro paese.

  

Imprenditori
Sono oltre 31 mila nella nostra regione le piccole imprese guidate da stranieri

di Miguel Zapata
collaboratore "il Sofà"

Sono diventati un’abitudine gli aromi, i sapori, i sorrisi e i volti multicolori che ci ricordano i mille mondi che, sebbene lontani geograficamente, abitano insieme a noi.
Così come non è più un fatto strano che nelle mattine in cui andiamo a fare la spesa, parliamo di frutta con un fruttivendolo di nome Mohamed, passiamo di fronte alla nuova macelleria con prezzi scritti anche in arabo, attraversiamo la costruzione vicina a casa nostra e ascoltiamo parole di lingua slava, o seguiamo con attenzione i nomi dei piatti che ci raccomanda Lin Yung per mangiare.
Tutto questo ci da un’idea dei nuovi cittadini che vengono da lontano e che hanno scelto l’Italia per realizzare un progetto di vita, il modo in cui lo portano avanti può essere molto vario: il commercio, edilizia, i ristoranti, la piccola industria tessile – come l’abbigliamento e la lavorazione del pellame, ecc.
Negli ultimi anni si è osservata una crescita dinamica e importante nel settore del lavoro autonomo d’origine immigratoria. Ad esempio, dal 1995 ad oggi, la propensione al lavoro autonomo dell’artigianato d’origine migratoria è più che raddoppiata, sono 31.489 le piccole imprese guidate da cittadini stranieri iscritti agli albi delle Camere di commercio. Si calcola che in Italia ci siano 121 mila aziende gestite da immigrati.
Molte di queste aziende sono avviate da stranieri che hanno già alle spalle alcuni anni di lavoro dipendente. I dati indicano che il permesso di soggiorno degli imprenditori stranieri è motivato nel 47,50% dei casi dallo svolgimento di un lavoro subordinato, nel 47,1% dei casi da motivi famigliari, e solo nel 2,9% dal lavoro autonomo.

 

Il freno della burocrazia

Questo ci introduce al principale ostacolo che trova l’imprenditorialità immigrata e cioè quello dei requisiti da compilare per un avere un permesso di soggiorno per lavoro autonomo. Le altre difficoltà provengono “dalle limitazioni e lungaggini burocratiche, e dalla scarsità dei finanziamenti - che la banca locale generalmente lega alle conoscenze o alle proprietà immobiliari -, dalla mancata collaborazione della loro comunità d’origine e dalle istituzioni italiane” ( Miguel Angel Garcia - L’imprenditorialità dell’immigrazione - 1998).
L’imprenditorialità dell’immigrazione è caratterizzata anche da una specializzazione etnica che risponde, come indica Miguel A. Garcia, alle “diverse strategie immigratorie”. Così i cinesi, principalmente titolari d’imprese, hanno una concentrazione verticale e orizzontale in un unico settore, come si osserva nel settore del cuoio, pelle e confezioni. I tunisini, invece, hanno scelto i settori di bassa resistenza all’ingresso, come il settore delle costruzioni.
Bisogna osservare che c’è una presenza di giovani immigrati  tra i 31 e i 50 anni, nella popolazione degli imprenditori, più alta della media italiana.
Tra le regioni che hanno una concentrazione maggiore di ditte guidate da stranieri, l’Emilia Romagna si situa dopo la Lombardia al secondo posto, con un registro di 4.801 imprese artigiane. Secondo uno studio di “Mappamondo” asso. di Ravenna del 2001, sono 14.769 i cittadini stranieri titolari d’imprese nella regione, delle quali la metà sono imprese individuali. Le imprese con titolari stranieri rappresentano il 3,28% delle imprese emiliane - romagnole ( 450.645 imprese).
Nella regione le province che registrano una maggiore concentrazione di queste imprese, secondo i dati del 200, sono: Bologna (28,8%), Modena (17,8%) e Reggio Emilia (13,7%), seguite da Parma, Rimini, Forlì, Ravenna, Piacenza e Ferrara.

La redazione del Sofà ha voluto dare voce a questa realtà dell’immigrazione. Abbiamo intervistato quattro imprenditori stranieri delle città di Bologna e di Rimini.

ASSIF MOHAMMED, Pakistano
Nel mio paese facevo il contadino. Sono arrivato in Italia nel 1996. Prima ho iniziato aiutando mio cugino nel negozio di sua proprietà, poi ho fatto il muratore ed infine, nel 2001, ho acquistato un negozio di frutta e verdura.
Nei primi mesi abbiamo avuto alcune difficoltà nel trovare clienti e nel gestire la burocrazia relativa al negozio, ma adesso, un poco alla volta, la gente ci considera negozianti come tutti gli altri.
Il lavoro mi piace molto, è più facile di quello che facevo in Pakistan ed ora che sono il padrone posso gestire liberamente la mia attività. Qui in Italia la gente è buona è mi trovo molto bene.

CLAUDETTE, Congolese
Sono arrivata nel 1986. Prima ho iniziato facendo la baby-sitter, le pulizie e ho anche lavorato in un fast-food. Attualmente ho un negozio di parrucchiera, faccio soprattutto le trecce, che per il nostro popolo è anche una caratteristica “culturale”.
In Italia mi sono laureata in scienze politiche, ma sia qui sia nel mio paese non ho avuto la possibilità di trovare un lavoro adeguato alla mia professionalità.
Speravo d’avere qualche aiuto dalle istituzioni nella mia attività, che è in regola, ma ciò non si è verificato. Un po’ rimpiango lo stipendio sicuro dei lavoratori dipendenti, anche a causa delle aumentate ansie nel dover rispettare i miei impegni. I miei problemi sono simili a quelli degli imprenditori italiani, anche se come straniera ho qualche difficoltà in più.
Nei primi tempi, senza finanziamenti e senza essere conosciuta ho avuto grosse difficoltà, però alcune persone si sono fidate di me e mi hanno dato merce a credito, quindi ho avuto la possibilità di iniziare, ora si tratta di restituire i prestiti. Spesso, inoltre, la gente fatica ad accettarmi come proprietaria e imprenditrice, a volte chiedono di “parlare con la padrona”, non capiscono come sia possibile che una donna nera possa avere una sua attività.
Nonostante tutto provo soddisfazione quando una cliente, spesso della comunità nera, esce dal mio negozio felice del lavoro che ho fatto. La mia vita qui in Italia si può riassumere in tre parole: Combattere, rassegnarsi e lavorare.

TAHIR SOHAIL, Pakistano
Sono arrivato nel 1998, ho 24 anni. Prima ho iniziato lavorando come dipendente in una lavanderia e il lavoro era più facile perché non avevo responsabilità. Nel 2002 ho acquistato una lavanderia. Non ho avuto tanti problemi perché ho preso l’attività da un mio amico, che inizialmente mi ha affiancato, spiegandomi bene il lavoro.
Ho fatto questa scelta  per avere un maggior guadagno, anche se il lavoro è molto di più. Spero in futuro di poter avere un dipendente per lavorare un po’ meno.
Preferirei fare il disegnatore; vorrei studiare un po’ qui in Italia, come geometra, ma adesso ho troppo lavoro da fare. E’ vero che il guadagno è buono, però non ho tanto tempo per me stesso.
Ho sia clienti italiani che stranieri, ma soprattutto italiani, hanno più soldi per i vestiti. Bisogna saper trattare con i clienti, perché spesso questi si lamentano e vogliono che si rifacciano i lavori.
Apprezzo di viver in Italia: l’onestà nel pagare le tasse, la tranquillità della vita e la possibilità di pregare liberamente.

RAHALI MOHAMED, Marocchino
Sono in Italia da 16 anni, ho una ditta di trattamento tessuti, nell’ambito della moda, ho sia lavoratori stranieri che italiani. Ora ho 12 dipendenti.
Prima ho lavorato per tanti anni nel sindacato, poi appena ho avuto l’occasione di mettermi in proprio, l’ ho fatto. Mi piace molto la variabilità di questo lavoro, il fatto che ogni anno cambiano le cose da fare, e perché si guadagna. Avevo l’idea che fosse un buon mestiere, le possibilità erano buone. Sono un ottimista di natura. Comunque le cose sono andate bene, come speravo.
Per iniziare non ho avuto delle grandissime difficoltà. La costituzione dell’impresa è stata fatta dal commercialista, non ho avuto problemi nei rapporti con le banche e con le amministrazioni, anzi ho avuto quasi un trattamento di favore.  Perciò, il fatto di essere straniero non è stato d’ostacolo. Penso che sia stato così perché credo che l’unica cosa importante sia la voglia di lavorare. Per diventare imprenditori secondo me bisogna essere seri e capaci di lavorare, il resto è difficile da ottenere.
Secondo me,  in Italia la Pubblica Amministrazione non ostacola gli stranieri e nemmeno c’è sfiducia da parte dei miei clienti, che sono grosse ditte. Basta saper trattare le questioni correttamente e tutto va bene.
L’integrazione avviene rendendo lo straniero conscio dei propri diritti, ma anche dei doveri. L’integrazione non avviene solo attraverso una legge, bisogna far sì che la gente capisca che lo straniero non è solo un portatore di problemi, che può diventare una persona normale come tutte le altre se risolve, anche con il suo impegno, le questioni soprattutto del lavoro e della casa (problema abbastanza rilevante).

Incentivi all’imprenditorialità nella Regione - Legge regionale 14/90- Art. 13, 14 e 15. 
La Regione Emilia Romagna incentiva la costituzione d’ imprese operanti nel settore del commercio e  turistico di titolari immigrati non comunitari o emigrati emiliano-romagnoli.
Beneficiari:  imprese costituite in forma individuale o di società e cooperative che operano nel settore commerciale e turistico, e composta in misurea non superiore al 50% da emigrati e/o immigrati.
Investimenti: spese sostenute per l’avviamento, l’organizzazione aziendale nel primo anno, e per l’acquisto di macchinari e attrezzature.
Finanziamenti:  contributo in conto capitale fino al 70% delle spese sostenute fino ad un max. di 25.822, 84 euro.
Tempi: retroattività di 12 mesi.
Chi lo gestisce:
Provincia di Bologna:
Progetti d’Impresa  -  Tel.: 051 659850
Provincia di Parma:
Assessorato Attività Produttive  -  Ufficio Commercio - Tel.: 052- 210899-633
  

  
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A Bologna l'amore, a Londra una vita dignitosa

di Gabriela Ghermandi

Naima ha un viso dolce, occhi a mandorla che luccicano nel viso nero, labbra carnose e turgide.
Naima è bella. Quando parla le sue labbra si arricciano, disegnano forme traboccanti di sensualità. Il suo labbro superiore si contrae ed il suo centro crea una morbida protuberanza a forme di cuore.
Naima… la sua famiglia era ricca, in Somalia, suo padre era commerciante, aveva vari empori, seminati per Mogadiscio, magazzini pieni di suppellettili per la casa e pregiate stoffe per le donne importante dall’oriente e dalla vicina Arabia Saudita.
Quel giorno, il primo dell’inizio di una guerra civile che ancora devasta la Somalia, una nave carica di merci per gli empori del padre di Naima entrava in porto. I primi due colpi di mortaio che aprirono quella danza di morte colpirono proprio quella nave.
Il padre di Naima lesse l’evento come una premonizione di ciò che sarebbe stato il futuro, mentre la madre pensava fosse solo uno di quegli episodi, già vissuti, di attentato al regime, che si risolvevano in un nulla di fatto.
Il padre voleva andare, la madre voleva restare. Per evitare una discussione senza fine, lasciarono che i figli facessero l’ago della bilancia.
Da tempo Naima e le sorelle sognavano gli Stati Uniti e l’Italia, quindi loro propesero per il loro antico sogno: l’occidente.
Una mattina calda ed infuocata, dal sole e dai mortai, la famiglia di Naima si divise: madre, padre ed alcuni figli partirono per gli Stati Uniti, mentre Naima, assieme ad alcune sorelle raggiunse l’Italia.

 

Troppo complicata l’Italia per un immigrato

Purtroppo, ben presto, Naima si accorse che la vita nella tanto sognata Italia era molto diversa da come se l’era immaginata. Problemi su problemi, difficoltà a non finire. Sembrava che ogni cosa fosse stata creata per complicare loro la vita. Nonostante fossero rifugiate politiche di un’ex colonia italiana, non avevano alcun tipo di sostegno: informativo, economico, abitativo. Inoltre, le possibilità di lavoro che offriva il mercato italiano, per loro, straniere di serie b, erano circoscritte a determinate sfere: assistente a domicilio degli anziani, a servizio fisso presso famiglie e, per le fortunate, pulizie ad ore oppure operaia in fabbrica.
Naima e le sorelle provenivano da una famiglia ricca. Resistettero alcuni anni, poi si ridestò in loro il desiderio di migrare verso lidi che garantivano maggiori prospettive per il futuro.
Alcune loro cugine vivevano in Inghilterra, si trovavano bene, dicevano, una vita dignitosa con tante possibilità. Le sorelle di Naima usando piccole strategie e le solite praticucce illegali, necessarie ai migranti del terzo mondo per muoversi da un paese europeo all’altro, scapparono a Londra, lei rimase. Qualcosa di grande la tratteneva a Bologna: l’amore.
Resistette un anno, ma il sistema di vita a cui era costretta la soffocava, inoltre si sentiva sola senza le sorelle, senza qualcuno con cui poter condividere le stesse difficoltà. Trascorse un periodo di lacerante riflessione ed infine abbandonò l’amore, partì.
Qualche mese fa, dopo cinque anni, Naima è tornata in Italia “ per questa volta solo in vacanza” dice “poi vedremo, deciderò”. E’ tornata per l’amore. In questi lunghi anni ha cercato di dimenticare il suo uomo, e lui ha fatto altrettanto. Purtroppo per loro “ lontano dagli occhi lontano dal cuore” non ha funzionato. Ogni persona che hanno incontrato veniva confrontata con la persona amata. E’ chiaro chi vinceva!
Così, eccola qua.
Durante questa sua vacanza abbiamo passato alcune serate a chiacchierare, come ai vecchi tempi, abbiamo soprattutto parlato della nostra situazione, di noi stranieri.
Naima mi racconta “ Sai, in Inghilterra è tutto più semplice. Io sono arrivata, ho detto sono Somala, sono una rifugiata; e loro mi hanno risposto “ benvenuta in Inghilterra. Vuoi lavorare o vuoi studiare? Quella è la fila per chi vuole lavorare, quella per chi vuole studiare. Lì non sei costretta a vivere come clandestina per anni, prima della regolarizzazione, ed inoltre hai varie prospettive per il futuro lavorativo. Ti aiutano con i sussidi, se vuoi studiare oppure se fai un lavoro che non ti da un reddito sufficiente. Puoi studiare fino cinque anni percependo il sussidio. Ti danno anche una casa, piccola, ma una casa tutta tua e dopo cinque anno di residenza puoi fare la richiesta per diventare cittadina inglese. Capisce, cittadina inglese! E’ molto, molto diverso. Io appena arrivata ho fatto un corso di lingua di un’anno, obbligatori per ogni straniero che arriva in Inghilterra, così ho potuto inserirmi con facilità nella vita sociale londinese. Certo non è Bologna, piove sempre, non ci sono gli amici e… lui” dice indicando con un dito il suo uomo “ ma vivi bene, come un essere umano, con dignità senza paura!.” 

 

L’ineluttabilità di un modo interculturale

Naima parla di Londra come se fosse casa sua, un luogo in cui si sente libera ed alla pari, un posto in cui è libera di investire in se stessa.
Alla fine della vacanza Naima è partita con il cuore in pezzi. “ Mi trovo punto a capo, devo scegliere e non so che fare. Qui l’amore, lì la vita. Ti sembra giusto che noi siamo costrette a fare scelte tanto dolorose?”
Purtroppo ciò succede perché l’Italia ancora non accetta l’ineluttabile cambiamento verso il quale sta andando. Resiste e cerca di arginare un movimento di gente che non sarà possibile fermare. Resiste e rende impossibile la vita a coloro che questo paese potrebbero pure rifecondarlo con culture nuove e forza nuova. Resiste per mantenere vivo un sistema obsoleto che ha un movimento opposto rispetto a quello della scienza e della tecnologia che toglie le distanze, avvicina i mondi e le culture e fa vedere al mondo dei poveri il ricco banchetto al quale siede l’occidente, un banchetto che utilizza risorse prese ovunque ma al quale pochi sono invitati.

  

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