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Le varianti non vissute

Le varianti non vissute

(novembre 1983)

 

Avrete certamente notato come il nostro enunciare Verità che sfuggono alla verifica dell'uomo parta, per quanto possibile, dalle certezze che l'umano ha; oppure cerchi conforto nella logica e, in ogni caso, rifugga dal chiedergli atti di fede. 

D'altra parte, quando le certezze dovrebbero derivare da affermazioni scientifiche che certe non sono, ci sentiamo in dovere di criticarle, come per esempio quella che l'inizio della vita depone a favore del materialismo in quanto è un fenomeno riconducibile alla biochimica: semplice incontro di sostanze e materie adatte ed inizio di un processo evoluzionistico.

Certo, una simile scoperta distrugge qualcosa, ma distrugge  solo una concezione errata di Dio, cioè di un Dio che avrebbe creato la vita con un colpo di bacchetta magica, con un intervento diretto al di fuori di ogni ordine; perché se tanto tanto si pensa che l'intervento divino si serva di leggi e stabilisca un ordine secondo cui la vita si manifesta, anche la scoperta delle leggi biologiche attinenti al fenomeno " vita " non aggiunge un punto alla concezione materialistica della realtà.    

Dire che tutto è nato da una esplosione della materia cosmica non basta a spiegare l'origine dei principi in ordine ai quali nasce la vita e la vita stessa, poi, evolve. Ora, se il materialismo serve a distruggere gli errori dello spiritualismo, ben venga il materialismo, ma si sia consapevoli che esso ci fornisce  solo una visione parziale della realtà.

Dicevo che cerchiamo di suffragare le nostre affermazioni, da voi incontrollabili, partendo dalle cose che potete toccare

con mano; anche se attualmente siamo ad un punto tale dell'insegnamento che è difficile trovare punti di similitudine nei mondi della percezione. 

Una delle similitudini più indovinate - anche perché è una applicazione dello stesso principio - è stata quella della visione bidimensionale dei due occhi che, percepita simultaneamente dalla mente, origina in questa una visione tridimensionale, visione che è superiore alla somma delle due. 

Ci siamo serviti di questa similitudine per illustrare il principio della trascendenza, in ordine al quale, nella fusione e nella simultaneità, si fa un salto di qualità, si raggiunge uno stato di conoscenza e di coscienza che è superiore alla somma del patrimonio posseduto.

Il principio di trascendenza è stato da noi rammentato per spiegare come Dio - pur essendo il Tutto e quindi avente

una natura immanente - sia ben diverso dalla somma del tutto e quindi sia, oltre che immanente, trascendente. La coscienza assoluta, pur virtualmente costituita da tutti i possibili sentire relativi, li trascende, ed è cosa ben diversa dalla somma di quelli. Il salto di qualità è enorme dal relativo all'assoluto.    

Tuttavia, il principio della trascendenza si ritrova in ogni coscienza molteplice ed ogni coscienza - tranne l'atomo di sentire - è molteplice nella sua struttura, sempre rimanendo unitaria nella sua espressione, nel suo sentire. Cosicché la coscienza che si manifesta dalla comunione di più sentire è di gran lunga più ampia della somma dei sentire costituente e, per il principio della unitarietà, è un solo essere; ed è a tal punto un essere trascendente i suoi componenti che non necessita del ricordo storico dell'esperienza ampliatrice del sentire per sentire in modo ampliato, ma così, sente in modo non condizionato a quel ricordo, per sua natura. Ne deriva che, nella fase di nuova incarnazione, la consapevolezza dell'uomo risulta ridotta rispetto alla coscienza posseduta perché, come si sa, la consapevolezza implica la mente che, essendo nuova ad ogni incarnazione, non possiede il ricordo delle esperienze avute. 

Tuttavia, ripeto, l'essenza delle esperienze è compresa nella coscienza del nuovo essere e riaffiora indirizzandone il comportamento coerentemente allorché l'essere sia stimolato dalle circostanze.

La consapevolezza dell'uomo è fatta di impressioni sensorie, di emozioni, di pensieri, di ricordi, di sentimenti che lo condizionano; ma solo una parte di essi proviene dalla sua coscienza, cioè dalla parte vera ed indelebile del suo essere; il resto è frutto della sua educazione, del suo carattere e via dicendo. Ma tale resto è una sovrastruttura che gli serve per esperire e trarre la comprensione necessaria all'ampliamento della sua coscienza, della sua capacità di sentire. 

Nelle sue scelte l'uomo è influenzato non solo dal suo vero, indelebile essere, ma anche da quella parte posticcia che proviene dalla sua collocazione umana.     

Questo fatto, se si crede che l'uomo sia responsabile delle sue scelte ai fini di un premio o di un castigo eterni, sarebbe inaccettabile perché gli impedirebbe di scegliere liberamente. 

D'altra parte, per sostenere la verità circa il premio o il castigo eterni dell'uomo, non si può certo rifarsi all'affermazione che l'uomo è libero nelle sue scelte, perché il contrario è così evidente che nessuno può più ragionevolmente sostenere il concetto del libero arbitrio. La libertà dell'uomo consiste nel sottrarsi a certe influenze, nello scegliere fra una catena deterministica e l'altra; ma il fatto di non scegliere in assoluta assenza di influenze, non pregiudica minimamente le conseguenze della scelta, perché il fine della vita non è quello di premiare o castigare, bensì quello di donare ciò che manca. 

Così, se manca la coscienza altruistica, la scelta sarà egoistica, ma la conseguenza di ciò non potrà che portare all'integrazione della coscienza in senso filantropico.    

Vivere significa estrinsecare ll proprio grado di coscienza e, inconsapevolmente, muoversi per integrarlo.

Questo concetto basilare caratterizza tutto l'insegnamento e lo fa diventare una dottrina evoluzionistica. Anche se evoluzione significa solo, in ultima analisi, che il sentire si manifesta in successione d'ampliamento - detto in termini di divenire -, oppure che il sentire è legato logicamente dal meno al più, e perciò il più contiene il meno, detto in termini di essere.       

Ora, se è vero, come è vero, il principio di trascendenza, ne deriva che il più trascende il meno, non solo in senso di quantità ma anche di qualità. Non potrebbe essere diversamente parlando di sentire dove, abbiamo detto, quantità e qualità si identificano. Inoltre, dire che il sentire si manifesta in successione di ampliamento e che è legato logicamente dal meno  al più, significa dire che non esistono scelte errate in senso assoluto, o per lo meno che non incidono o riguardano la manifestazione o la concatenazione del sentire di coscienza - il quale, qualunque sia la scelta dell'uomo, non può che avere un successore più ampio.

Da sempre noi abbiamo affermato che le scelte o le varianti riguardano il sentire in senso lato, la consapevolezza dell'uomo, e non la concatenazione del sentire di coscienza. Per comodità di comprensione si può porre, quindi, che scegliere in un senso o nell'altro può significare seguire una via più o meno dolorosa, ma che in ogni caso il sentire che alfine si ha è sempre quello che attende nella successione logica.

Certo non è indifferente, dal punto di vista contingente, giungere attraverso una via o l'altra.   

Ora, se si ammette che la realtà sia " essere " - ammissione indispensabile per rendere vero il concetto di Dio Assoluto - si deve concludere che nell'Eterno Presente, in cui è tutto ciò che esiste, ad una reale possibilità di scelta devono corrispondere più versioni della storia individuale di eguale realtà, tanto egualmente reali che ad una osservazione esterna nessuno potrebbe sapere quale versione l'individuo vive. 

In altre parole: fra le molteplici versioni una sola è vissuta dalla consapevolezza dell'uomo, e solo chi la vive sa quale sta vivendo; tuttavia nella realtà delle cose realizzabili e quindi realizzare nell'Eterno Presente, debbono esservi realizzate tutte; diversamente non si tratterebbe di una reale possibilità di scelta e l'individuo avrebbe solo una libertà supposta, nominale, riducendo la realtà ad un rigido determinismo.    

L'Eterno Presente è uno stato, non un luogo. Ma supponiamo di poterlo visualizzare, o meglio di visualizzare la reale possibilità di scelta di un uomo, così come appare in stato di Eterno Presente: allora si vedrebbero i fotogrammi, ossia le situazioni cosmiche, di tutte le scelte possibili relative al mondo fisico, all'astrale, al mentale, facenti tutte capo al suo sentire di coscienza.

In altre parole, al sentire di coscienza sono legate tutte le versioni della sua storia nei mondi della percezione, che rappresentano le scelte che possono essere fatte. 

Tuttavia la consapevolezza dell'uomo ne fa sentire in senso lato una sola versione: quella scelta. Ciò non toglie che anche le altre versioni non siano complete di fotogrammi fisici, astrali, mentali, ossia azioni, sensazioni, pensieri; perché se, nel divenire, fossero scelte, dovrebbero dare il relativo sentire in senso lato, più o meno faticoso, più o meno doloroso o gradito, capace di ampliare il sentire di coscienza.

In altre parole ancora, ad un solo sentire di coscienza, laddove l'uomo ha libertà di scelta, corrisponde una pluralizzazione di sentire in senso lato, inerente a una pluralizzazione di fotogrammi dei quali però una sola serie è percepita.

La visualizzazione che ho fatto è assai rozza e contiene imprecisazioni concettuali, tuttavia è abbastanza idonea per spiegare in modo efficace una Realtà così inusitata. L'errore più rilevante in cui si può cadere per tale esemplificazione, è quello di capire che i fotogrammi siano oggettivamente  esistenti al di là della creazione-percezione dell'individuo, mentre essi sono tutti esistenti nello stato di Eterno Presente, perché appunto in quello stato è annullata ogni successione, e quindi sono tutti creati-percepiti simultaneamente, per cui sparisce il senso del trascorrere che invece scaturisce dalla creazione-percezione in illusoria successione. Non per altro.

Riportandosi all'esempio della pellicola che scorre dinanzi all'obbiettivo e proiettando i fotogrammi, noi potremmo dire che nell'Eterno Presente ci sono tanti obbiettivi quanti sono i fotogrammi, e quindi tutti sono proiettati simultaneamente.

L'individuo percepisce in successione quanto esiste nell'Eterno Presente simultaneamente; ma nell'Eterno Presente esiste perché lui lo percepisce, e lui lo percepisce perché il sentire lo crea.

Sorge allora un quesito, a cui feci accenno la volta scorsa: se le varianti esistono egualmente realizzate nell'Eterno Presente, chi le realizza, dal momento che l'individuo ne percepisce una sola? Non solo, ma come mai ne percepisce una sola, dal momento che strutturalmente sono identiche?

Più volte, parlando del sentire, abbiamo usato la similitudine dello specchio; cioè abbiamo accennato alla duplice azione del sentire, l'una di manifestazione di sé e l'altra di appalesamento che conduce alla manifestazione di un sentire più ampio. 

Ultimamente, poi, abbiamo usato i verbi creare-percepire come un solo verbo proprio per riunire in una sola parola la doppia attività del sentire che, in effetti, è sempre unitario. E questo vale tanto per il sentire in senso lato quanto per il sentire di coscienza. Però va precisato che la percezione è un processo che è attinente ai mondi dell'apparenza e quindi al sentire in senso lato; sicché quando l'essere ha lasciato la ruota delle nascite e delle morti non ha più percezione; ma questo non significa che non senta più; anzi, la sua consapevolezza di sé copre l'intera ampiezza del suo sentire di coscienza, cosa che non avviene quando la consapevolezza è legata alla percezione, al sentire in senso lato.      

Soffermatevi su questa affermazione: essa significa che, nell'uomo, la consapevolezza è legata alla percezione in grandissima parte, e che solo una piccola parte è consapevole del sentire di coscienza. Ciò non toglie che il sentire di coscienza si manifesti se stimolato, cioè nell'occasione adatta, perché non è perduto, è solo escluso dalla consapevolezza il cui processo, per abitudine, rivela quasi esclusivamente ciò che l'uomo percepisce. Questo perché, nell'uomo, la consapevolezza è per abitudine un fatto quasi esclusivamente mentale; mentre nell'essere libero dalla ruota delle nascite e delle morti la consapevolezza è un fatto di sentire di coscienza.

Ma torniamo a noi. 

Dicevo della duplice attività del sentire: l'una di creazione o di estrinsecazione, l'altra di percezione o di consapevolezza. 

Ora, il quesito sulle varianti ci fa riflettere che il processo di creazione o estrinsecazione o manifestazione non sia necessariamente legato alla percezione; cioé, che il sentire possa creare e il creato possa non essere percepito. D'altra  parte, siccome il sentire è unitario, non può essere che della sua duplice attività una venga a mancare in assoluto; almeno una creazione, quando le creazioni sono molteplici, deve essere percepita. Non così necessariamente delle altre. Ma quando è che il sentire ha creazioni molteplici? Tutte le volte che un fatto logico lo impone. E perché delle creazioni una sola è percepita? Perché il fatto logico lo esclude. Ossia, le creazioni non sono complementari, ma sono alternative. 

Nella successione logica, o nella catena deterministica, l'uomo può fare così o così, l'equazione si può risolvere così o così, a scelta.

Ripeto: tutte le volte che la successione logica lo impone, nella fase di creazione, le creazioni del sentire sono molteplici; mentre nel processo di percezione, essendo alternative, una sola è percepita, proprio perché ognuna esclude le altre.       

Ora dobbiamo soffermarci sul discorso della creazione del sentire per chiederci: qual è il sentire relativo che crea le situazioni cosmiche ed in particolare le varianti non vissute, non percepite? Il sentire che è in atto? Se così fosse ne risulterebbe un Tutto smembrato, o quanto meno unificato solo in senso verticale, perché si tratta di un sentire individuale che non ha la capacità di fuoriuscire dalla propria limitazione, individualizzazione, per rendere comuni ad altre varie storie. Se fosse quello, ne risulterebbe una realtà sì in essere ma fatta di tanti mondi onirici. Quindi deve trattarsi di un sentire non individualizzato.      

Ricordate quando affermammo che l'intera realtà di una situazione comune a più sentire è conosciuta solo dal sentire che, per ampiezza, contiene tutti i sentire legati a quella situazione?

Ebbene, la risposta è in questa affermazione. Sicché tenendo presente che il discorso vale per tutti i sentire di tutto il cosmo, qual è il sentire che per ampiezza può contenere tutti i sentire di tutte le situazioni cosmiche, tutta la realtà cosmica se non la coscienza cosmica? E qual è quel sentire che nell'ambito del suo ambiente comprende tutti i sentire e quindi non è individualizzato, se non la coscienza cosmica? 

Dunque, la coscienza cosmica sente l'intera realtà cosmica, non solo qual é percepita dai sentire relativi che la costituiscono ma, per il principio di trascendenza, anche quello che pur non essendo percepito, deve esistere per la completezza dello sviluppo del costrutto logico.    

La coscienza cosmica che, come abbiamo detto, è sempre in stato di eterno presente, costituisce una parte di virtuale frazionamento del sentire assoluto. La sua delimitazione deriva dal fatto che essa rappresenta lo sviluppo logico di una data virtuale limitazione del sentire assoluto, ossia il così detto " modulo fondamentale del cosmo ". Ciascun cosmo ha un suo modulo perché rappresenta, con la sua coscienza  cosmica, lo sviluppo logico di una diversa virtuale limitazione del sentire assoluto: sviluppi tutti che sono svolti a catena indipendente, una per ogni cosmo. 

La coscienza di ogni cosmo è indipendente da quella di ogni altro così come lo sono lo svolgimento di una equazione da quello di un'altra. 

Mentre i sentire che costituiscono la coscienza cosmica, dei quali essa rappresenta il punto logico di partenza o di arrivo, non sono indipendenti gli uni dagli altri, ma in virtù della loro duplice attività di creazione, percezione, consapevolezza, sono legati in senso orizzontale a gruppi e in senso verticale secondo un ordine logico e conseguente. 

Tuttavia nella coscienza cosmica si trova la sintesi e la reciproca finale o primitiva dipendenza di ogni sentire del cosmo: coscienza cosmica che, per il principio di trascendenza, è in grado di completare, unificandolo, il discorso logico individuale laddove, per la sua alternatività, non possa essere creato-percepito dall’individuo.  

Siccome le varianti riguardano il sentire in senso lato, essendo solo sul cammino per giungere alla caduta di una limitazione di sentire di coscienza; e siccome sono un fatto alternativo, cioè un fatto che va oltre l'informazione che il sentire ha dalla percezione, la loro creazione nella sostanza divina indiversificata non può avvenire ad opera del sentire che quella informazione non riceve ma solo ad opera di un sentire che nel creare vada oltre la percezione-consapevolezza e vi vada non in senso individuale, come quello di due o più sentire unificati, ma vi vada in senso totale, come quello della coscienza cosmica.

La coscienza cosmica, quindi, per il principio di trascendenza, completa logicamente la  creazione-percezione dei sentire relativi individuali; non attraverso alla percezione ma attraverso al condizionamento della sostanza divina di cui è costituita, e quindi di cui è costituito l'intero cosmo.     

Il condizionamento altro non è che la limitazione basilare della coscienza cosmica, cioè il modulo fondamentale del cosmo; il quale già di per sé enuclea dalla divina  sostanza indiversificata un ambiente, l'ambiente cosmico.   

Tale ambiente - rispetto alla coscienza assoluta in cui tutto  è presente ma niente in modo evidenziato, e questo spiega la trascendenza di Dio - rappresenta già una particolarizzazione, la quale può avvenire solo ad opera del sentire limitato-relativo. 

Infatti, è per la limitazione che il sentire relativo dal Tutto trae fuori, crea, percepisce, sente solo qualcosa; e quanto più il sentire è limitato, tanto più il particolare creato-percepito è elementare. Quindi la limitazione del sentire, conseguenza del virtuale frazionamento del sentire assoluto, pluralizza; ed è la pluralizzazione, conseguenza del virtuale frazionamento, che fa della coscienza assoluta non un sentire, ma il sentire assoluto, il quale, per essere tale, deve contenere la massima pluralizzazione possibile, ossia tutti i sentire possibili.

Se si analizzano le fasi logiche dall’Assoluto al relativo, si ha:

- coscienza assoluta;

- suo virtuale frazionamento con conseguente virtuale scomposizione-composizione delle coscienze cosmiche;

- a loro volta composte-scomposte in sentire relativi individuali;

- creazione, mediante enucleazione dalla divina sostanza indiversificata, dell'ambiente cosmico, completo dei mondi della percezione, ad opera della coscienza cosmica e dei sentire relativi individuali.

L'enucleazione, conseguenza diretta del grado di limitazione dei sentire relativi, ha come conseguenza - come ho detto la creazione dell'ambiente cosmico: il quale tuttavia non esiste oggettivamente ma solo come fatto connesso alle limitazioni del sentire, ed è quindi dipendente, in ultima analisi, dal tipo di limitazione della coscienza cosmica rispetto all'Assoluto, ossia dal modulo fondamentale del cosmo.

Questa fase di svolgimento, di sviluppo, di limitazioni, si può definire di pluralizzazione, e quindi di creazione o manifestazione del sentire. 

Tuttavia la pluralizzazione, essendo contenuta in uno svolgimento logico, non è infinita; essendo soggetta ad una legge che la ordina, è finita. Ecco perché il cosmo è limitato. Quindi, in questo senso, già nella creazione del sentire, nella pluralizzazione, c'è insita una unificazione. 

In altre parole, nel momento non temporale ma strutturale in cui il sentire assoluto si relativizza, v'è una pluralizzazione; la quale comprende tutti i possibili sentire secondo uno sviluppo logico; sviluppo che segna i limiti di ogni cosmo, nel quale ogni sentire - fra le tante altre limitazioni logicamente conseguenti - ne ha una comune: quella di base. In forza di tale limitazione di base, l'ambiente cosmico creato dai sentire relativi, è comune a ciascuno di essi.      

Il sentire che ha solo la limitazione di base è la coscienza cosmica; ed è la coscienza cosmica che, in forza di questa limitazione di base e del principio di trascendenza, opera l'unificazione orizzontale di tutti i sentire che da essa procedono.

Che cosa sia l'unificazione orizzontale lo capite: è quella che c'è fra tutti i sentire equipollenti per la caduta di una limitazione. La sintesi di quei sentire avviene ad opera della coscienza cosmica; diversamente, ciascun sentire rimarrebbe legato solo in senso verticale.

Ciascun sentire è legato in senso verticale quando nella successione logica procede dall’altro, cioè è compreso dall’altro. E questa è l'unificazione verticale, che fa, dei tanti sentire relativi interessati, in se stessi compiuti, un essere che sente anziché  tanti sentire separati.  

La percezione-consapevolezza è il risultato di tale unificazione, ed è la seconda fase del sentire, fase che attiene all'unificazione più che alla pluralizzazione, pur essendo causa dell'illusione del divenire in cui la separazione sembra oggettiva.

Lo stupefacente ordito e tessuto che è l'Esistente, così barbaramente illustrato dal sottoscritto, che di questo e di tanto chiede perdono, non è un meccanismo, ma un meraviglioso organismo in cui ogni parte, anche  il più insignificante frammento, è insostituibile e perciò di capitale importanza, e perciò è immortale.

Se tanto tanto si arriva a credere alla verità di tutto ciò, si comprende il senso della più alta morale, e di colpo si fa chiaro il significato della vita, dell'esistenza, del giusto rapporto con gli altri.

Ma chi sono gli altri?, tanto più scostanti, odiati, cattivi, quanto più confusi e lontani dalla verità, perciò più bisognosi di comprensione e d'amore? Ma che senso avrebbe sapere tutto ciò, se si vivesse come chi l'ignora?  

Tale è veramente il quesito che io lascio alle vostre meditazioni.

 Continua