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Messaggi di Dali (Le tre vie della conoscenza) (Tollerare le opinioni degli altri) (Remore morali...ho conosciuto...) - 

Messaggi di Kempis (L'immaginazione) (Fantasmi della mente) (Lettera aperta a Pindemonte) (Sull'aborto) (La morale) - 

Messaggi di Claudio (Esortazione a rinnovarsi) (Il conformismo) (La successione degli stati di coscienza)- 

 

PARTE SECONDA

L'INSEGNAMENTO MORALE

 

 

Dali

 

Rinnovarsi per comprendere

 

Con l'ingresso nel vostro gruppo di nuovi amici, torna ancora come tema di discussione e di riflessione, l'interrogativo sull'origine di queste comunicazioni; ed è logico che sia così perché tutto deve essere sempre posto nuovamente in discussione. Guai se l'uomo si fissasse per tutta la durata della propria esistenza dei capisaldi dai quali poi mai più volesse prescindere. Non vi diciamo che questi devono essere fissati per il tempo necessario a comprendere, ma con molta semplicità e facilità possono essere, anzi debbono essere, abbandonati e sottoposti, via via, a nuove verifiche.

 

Non è la prima volta, o figli, che vi diciamo che non ha alcuna importanza chi noi in realtà siamo, per molte ragioni.

Noi non vogliamo essere ascoltati da voi solo perché voi siete convinti che noi siamo degli abitatori di una diversa dimensione; se anche questo è vero, non è vero che chi si trova in una dimensione diversa da quella del piano fisico, veda la Realtà.

E quindi, se voi credete che noi siamo Entità, perché questo vi dà una garanzia della Verità di ciò che vi diciamo, ed accettate questa Verità solo perché noi la diciamo, voi siete in errore.

 

Ripeto: al di fuori dell'unica Realtà oggettiva, ogni altra realtà è relativa e soggettiva. Ma in questo movimento di soggettività, l'uomo - creatura stessa della relatività e della soggettività - deve sottostare al giuoco che lo vuole al centro di un suo mondo, completamente suo, nel quale egli riceve degli urti, che sembrano provenire dall'esterno e che suscitano nell'intimo suo qualcosa, una reazione, una risposta, sicché qualcosa di diverso nasce nel suo intimo. In questo giuoco di colpi e di contraccolpi, l'uomo non deve cristallizzarsi, deve continuamente riflettere. Ecco perché noi vi diciamo: "accettate quello che noi pronunciamo, vi prospettiamo, non perché sono delle Entità a dirlo, ma perché è passato al vaglio della vostra comprensione e lo trovate giusto".

Fra una Entità che fosse all'origine di queste comunicazioni bugiarda ed uno psichismo veritiero, non c'è dubbio che sarebbe molto più utile uno psichismo vero di una Entità bugiarda. Così, miei cari, ancora vi ripeto - se non lo avessi ripetuto abbastanza - che è essenziale che voi comprendiate quello che noi vi diciamo, lo meditiate, lo assimiliate.

 

Le tre vie della conoscenza

 

A voi sembra inverosimile essere al centro di queste comunicazioni che a vostro giudizio dovrebbero interessare quasi la totalità degli uomini. L'inverosimiglianza diminuisce allorché assistete ad una divulgazione delle nostre parole, perché con questo fatto la vostra posizione diviene meno eccezionale e quindi più credibile. 

 

In effetti, o figli, noi siamo uno dei moltissimi mezzi che la legge di evoluzione dà all'uomo per farlo riflettere e progredire. Dovete tenere presente che tre sono le vie che conducono a quella che è la meta dell'uomo, uno stato di "sentire" tutt'affatto diverso dalla sua condizione di esistenza nel mondo della percezione; queste tre vie le abbiamo genericamente indicate nella via mistica, nella via dell'azione, nella via della conoscenza non sono che mezzi per giungere a questo "sentire" che è indescrivibile, che tanto vi rammentiamo e che non possiamo che illustrare sommariamente, perché non può che essere provato. Se si tiene presente questo, si comprende che anche la via della conoscenza, cioè più assimilabile alla nostra azione presso di voi, non è la sola che conduce l'uomo a quel "sentire" di cui ora vi parlavo, per cui l'eccezionalità della nostra venuta fra voi diminuisce anche in questa considerazione. 

 

Ma non è tutto. Vedete, figli, conoscere la Verità non significa raggiungere  automaticamente questo famoso "sentire", questa meta che vi attende. La Verità non è una formula magica che, allorché pronunciata, immediatamente in chiunque la pronunci o l'ascolti susciti questo "sentire" interiore, cioè faccia a lui raggiungere quella meta della quale vi parliamo e a cui continuamente vi sproniamo. La conoscenza deve essere vissuta, deve essere continuamente verificata, deve essere sperimentata. 

La conoscenza, come il misticismo e l'azione, non sono che un mezzo per trarre l'uomo in quello stato di tensione interiore propizio al fluire del suo profondo "sentire". Perciò non è necessario che la conoscenza sia una conoscenza del vero; può benissimo essere una conoscenza che nulla ha di contatto con la Realtà. Cioè può essere una conoscenza che rispecchia una storia totalmente fantasiosa, basta che l'uomo la viva profondamente con tutto l'essere suo, basta che l'uomo attraverso a quella conoscenza creduta intimamente, sperimentata e vissuta, raggiunga quello stato di tensione interiore nel quale sbocca il "sentire" suo più profondo.

 

Direte allora voi: "Che necessità v'è che voi veniate fra noi a parlarci della Realtà?". Noi parliamo di una conoscenza in termini accessibili alla vostra mente, alla vostra logica perché pensiamo che forse conoscenze di tipo fantastico e prettamente mistiche, e che riguardino la via dell'azione, non sarebbero in voi di effetto; perciò cerchiamo di catturare la vostra attenzione, di convincervi attraverso a cose che bene si adattano alla vostra mentalità, acciocché voi, attraverso a questa convinzione, troviate quello stato di intima tensione che, come ho detto più volte, è la condizione indispensabile, assoluta, per la quale il "sentire" del vostro essere interiore comincia a fluire. Ecco allora che la divulgazione acquista una nuova luce: non è più importante come la si può credere, non ha quello scopo di missione universale che un certo misticismo d'ispirazione romantica può indurre.

 

Ecco allora che la divulgazione non ha bisogno di un'organizzazione che lavori a livello collettivo, ma, anzi, direi che la divulgazione deve semmai avvenire a livello individuale, perché è allora che ciascuno di voi può vedere quanto i vostri simili recepiscono e che cosa è a loro più adatto di tutto quello che diciamo. Perciò la divulgazione non deve dare spazio ad una nuova organizzazione, ma per essere veramente utile deve essere ispirata dal desiderio di fare agli altri quel bene che voi pensate di avere ricevuto attraverso di noi.

Io spero, con queste considerazioni, di avere chiarito la  nostra posizione nei confronti del resto di tutta l'umanità che, come vedete, non è, in fondo, affatto eccezionale.

 

Tollerare le opinioni degli altri

 

L'affermazione che ciò che c'è da conoscere è già stato detto, al massimo può essere accettata solo come dogma di fede di una religione suicida.

Ognuno, senza difficoltà, è disposto a credere che quanto l'uomo conosce è una piccola parte del conoscibile ed una parte ancora più piccola della Realtà. Siccome nessuno saprà mai quanto resta da conoscere, ogni uomo del presente e del futuro, senza fare atti di fede, può ammettere che la Realtà comprende più di quanto si conosce, più di ciò che si può osservare, più di quello che appare. Questo è quanto basta per rendere legittima ogni opinione della quale non sia stato dimostrato il contrario.

 

Ed è pensando a questo che costantemente vi richiamiamo alla tolleranza nei confronti delle opinioni degli altri, vi richiamiamo alla duttilità, vi incitiamo ad ascoltare, per comprendere, ciò che gli altri intendono significare. Vedete, ogni uomo - veramente degno di essere uomo - deve portare avanti le sue opinioni onestamente: vivere per esse, non rinunciare per interessi in qualche modo contrastanti. Deve, in tutta onestà, far conoscere il suo pensiero, se è richiesto, ma non rinunciarvi; e quando, sul terreno delle dimostrazioni, si scontrano gli interessi, allora deve saper riconoscere chi parla in buona fede e chi, invece, non ha questa buona fede. Molte volte abbiamo detto - ed ancora volentieri lo ripetiamo - che non è tanto importante morire per un'idea, quanto vivere per essa.

Così voi che qua siete riuniti ad ascoltare la nostra voce, tenete sempre presente quanto vi dico. 

Non rinunciate a ciò che credete, siate sempre disposti ad ascoltare il pensiero degli altri e anche ad abbandonare ciò che, fino a ieri, è stato per voi sostegno della vostra esistenza, quando qualcosa di nuovo entra nella vostra comprensione; ma non rinunciate per un interesse materiale. Rinunciate perché avete compreso di più - questo sì - e siate, ripeto, convinti che tanto c'è da sapere, senza cristallizzare il vostro pensiero in ciò che sapete. 

 

Molte volte scopro il pensiero di voi che qua ci ascoltate e che, in una riflessione interiore, osservate di non riuscire a seguirci fino in fondo in ciò  che vogliamo significare. Ebbene, figli, può sembrare un'esagerazione, ma io vi assicuro che quanto voi udite - anche se non è completamente afferrato - rimane trascritto in voi ed al momento opportuno il concetto che quelle parole non hanno saputo mostrare ai vostri occhi ed ai vostri orecchi, risulterà lucido alla vostra consapevolezza.

 

Da quando abbiamo iniziato queste comunicazioni, abbiamo parlato di diversi argomenti. I concetti esposti da differenti punti di vista, costituiscono - checché se ne pensi - un tutto organico che non vuole essere né una filosofia né - tanto meno - una religione, pur trattando argomenti che sono propri di queste materie. L'intento che ci ha animati e ci anima, è quello di fornirvi una sinossi della Realtà in cui trovino risposta i molti "perché" esistenziali ed in cui vi sia la spiegazione del "perché" le cose sono come sono.

 

Per rendere più completo possibile questo compendio, abbiamo illustrato la Realtà da differenti punti di vista che esulano dalla dimensione umana e fisica, molti dei quali incredibili e sconosciuti. Sapevamo che le nostre affermazioni avrebbero suscitato l'incredulità di molti; d'altra parte non farle avrebbe lasciato delle lacune nell'esposizione sistematica del nostro pensiero ed avrebbe privato l'insegnamento della sua parte più pregnante e più originale. Sapevamo che le critiche non sarebbero state di coloro che hanno un temperamento mistico - più che mistico direi scettico - così come la logica lascerebbe supporre. Lo sarebbe se accettare o meno il nuovo non avesse motivi e radici psicologiche; ma sempre quando l'uomo è posto di fronte al nuovo, lo  accetta solo se non contrasta con i suoi interessi intesi in senso lato, comprendendo in ciò anche il solo prestigio personale.

Questo è valido sempre, non solo per il nostro insegnamento.

In ogni caso il nuovo è accettato subito solo se lega con la propria fede, con le proprie esperienze, con la cultura che si ha.

 

Ebbene - dicevo - la parte più originale del nostro insegnamento troverà i suoi maggiori critici proprio in chi conosce dimensioni ultrafisiche, ma solo da un punto di vista del mondo fenomenico e della percezione; dalla prospettiva "soggetto" ed "oggetto", che è una prospettiva estremamente soggettiva e quindi illusoria. Questi non immagina neppure lontanamente che esistano altre dimensioni d'esistenza, in cui si conosce una Realtà non perché la si percepisce, ma perché la si è. Più volte vi abbiamo ripetuto che chi vive in un piano di esistenza, non immagina lontanamente neppure che ne esistano altri, proprio come potete constatare nel piano fisico dove normalmente l'uomo non immagina che esistano altri piani oltre quello in cui egli vive.

 

Se domandate a chi ignora la parte nascosta della Realtà - che vi assicuro è la parte più grande - de domandate a lui cose delle quali non ha mai potuto parlare, neppure per sentito dire, una sola sarà la risposta, specie se v'è l'intenzione di voler apparire più di quello che realmente si è.

Io non mi rivolgo a chi si è sentito dire dal suo Maestro - in senso lato - o a chi se lo sentirà dire, che ciò che diciamo non è vero per convincerlo che invece ciò che diciamo riflette una dimensione d'esistenza della quale poco e nulla si conosce perché dalla quale solo raramente si comunica. Non mi rivolgo a questi per convincerlo, perché non abbiamo interesse a convincere nessuno. Ma mi rivolgo a lui per metterlo in guardia contro chi vuole conservarsi dei discepoli, degli accoliti, dei seguaci. Questi mirano a sfruttarlo e lo dimostrano con il loro interesse a conservarsi un seguito.

 

Noi non abbiamo questo interesse, né la Verità è più o meno vera a seconda che sia più o meno creduta, più o meno condivisa. Non dipendete dagli altri per la vostra comprensione; il comprendere è un fatto estremamente individuale, non può - e soprattutto non deve - essere delegato ad altri. Non permettete che altri comprendano per voi o al posto vostro, siate estremamente aperti alla comprensione. Questo significa sottrarsi ai molti condizionamenti che possono venirvi dall'ambiente e dagli altri; non solo, ma anche dalle errate concezioni che potete avere.

 

La vostra fede religiosa, la vostra cultura, non debbono costituire un ostacolo fra voi ed il nuovo, un ostacolo alla vostra comprensione. Ma al contrario debbono darvi la duttilità di pensiero e la penetrazione dei significati. Debbono rendervi intimamente attenti. Chi fa della propria cultura un diaframma fra sé e il nuovo, tradisce l'unica funzione della cultura, la priva dell'unico scopo che essa ha, che è quello di fare spaziare il singolo in esperienze da altri vissute, di renderlo massimamente aperto ai messaggi di cui gli altri possono essere portatori.

 

Un momento di transizione

 

Riprendiamo questi nostri incontri in un momento in cui gli eventi umani sembrano volgere al peggio, in cui sorgono da molte parti grida di allarme. Sembra - e forse in parte è vero - che tutto vada a scatafascio e che nessuna speranza vi sia per l'uomo di oggi. In questa ridda di opinioni allarmanti e di grave preoccupazione nella quale, vostro malgrado, siete trascinati, mai come ora vi preghiamo di tenere presente il nostro insegnamento; mai come ora vi invitiamo ad essere fiduciosi, soprattutto a non fidare in un "uomo del destino". 

L'uomo del destino è ciascuno di voi, o cari, perché ciascuno di voi, da solo, può essere l'artefice della serenità, della tranquillità, dell'equilibrio, della giustizia, del retto vivere ed operare della società. Quante volte abbiamo ripetuto che la società è fatta di individui e che nessuna legge, nessuna imposizione, nessun ordine imposto può valere la coscienza individuale. Cominciate quindi da voi stessi, dalla vostra famiglia, dalla vostra vita a portare ordine ed equilibrio; cominciate dal vostro mondo a far regnare la giustizia, la serenità.

 

Questo è l'unico rimedio veramente valido che possa ricondurre la società umana su un binario più tranquillo e di maggior serenità.

In questo momento in cui ogni valore che l'uomo aveva tenuto sugli altari dei propri ideali sembra sparire e venire calpestato o tenuto in nessun conto, più di sempre è importante che vi siano delle creature, come voi, che si riuniscono per formare una catena di pensieri e di intenzioni che risulta, all'occhio di chi vede oltre l'apparenza, come una sorta di faro da cui si diffonde un segnale per la nuova strada che l'umanità dovrà percorrere.

 

Parlare di evoluzione in un simile momento, fa correre il rischio di non essere creduti perché, in effetti, udendo i fatti della vostra vita, sembra che l'umanità non sia progredita, ma abbia percorso il cammino all'inverso. 

Voi sapete, perché molte volte lo abbiamo detto - e lo ripeto per chi non ascolta sovente la nostra voce - che tutto avviene secondo un ordine preciso, e che anche quello che può sembrare disordine e confusione obbedisce ad una legge di equilibrio che non falla. Questo momento, che tutto il mondo in generale sta vivendo, è e segna un trapasso da una vecchia epoca ad una nuova.

E' un momento di transizione dove cadono le stampelle, gli appoggi, le grucce, i limiti entro i quali l'umanità di ieri doveva muoversi, per dare respiro a più grandi e più ampi spazi. L'umanità di oggi, e più ancora del domani, si muoverà in direzioni diverse e - quello che conta più di ogni altra casa - si muoverà di moto proprio, in maggior libertà. E' questo cadere dei tabù, delle inibizioni, delle morali coercitive che dà l'impressione di un peggioramento nello spirito degli uomini, ma voi dovete guardare con fiducia al nuovo respiro dell'umanità; non dovete giudicare tutti gli uomini dai fatti di cronaca nera o simili che leggete sui giornali.

 

Di fronte a questi eccessi - pur essi importanti ed essenziali per le creature che li compiono, perché costituiscono l'esperienza che esse debbono fare - vi sono tante, tantissime creature che vivono semplicemente, modestamente la loro esistenza. Forse un po' smarrite perché non credono più alla religione, non credono più all'autorità, non credono più all'onestà di chi dirige la sorte dei popoli, ma conservano nel loro intimo un'intenzione pura, un segreto anelito a qualcosa di buono e di effettivamente accomodante, sanante. 

Vi sono tante creature che non appaiono sulle colonne dei giornali e arrendono di credere ancora a qualcosa di veramente costruttivo. 

Ebbene, quando avvicinate qualcuno che è vicino a voi come vicinanza fisica, e più ancora vicino a voi per questo anelito di cui vi dicevo, sappiatelo riconoscere, sappiate dare a queste creature la speranza che esse attendono. 

Parlate a questo "qualcuno", dite che ciò che appare è un atto ed una rappresentazione che deve essere per fare scaturire nel loro intimo - nell'intimo di questi che vi ascoltano - come reazione, un maggiore impulso ed una maggior ricerca alla rettitudine, all'onestà, questa volta non più imposte dall'esterno, ma ritrovate nell'intimo di ogni uomo. Questo è quello che io vi raccomando, o figli, iniziando questa comunicazione.

Volete rivolgere delle domande?

 

D. - Vorrei chiedere... E' stato detto che il marxismo è un'espressione di questi rivolgimenti. Quando non lo si condivide o quando lo si rifiuta, ci si pone in un atteggiamento negativo? Come si può fare per superare e per accettare i tempi nuovi che si presentano con questo volto?

 

R. - Ogni creatura, ogni essere umano, ha un suo "ambiente", un suo mondo e ciascuno ha fatto addosso a sé questo mondo, lo ha cucito indosso, come si suol dire; e ciò che va bene per te, forse non va bene per chi ti siede accanto o chi fa parte della tua stessa famiglia. Così non possiamo dire, intitolare un'ideologia, una fede, in qualche modo, e dire che quella va bene per tutti gli uomini. Non sia mai! Ciascuno ha le sue esperienze da compiere, figli, e ciascuno indubbiamente le deve compiere nell'ambito di se stesso, dell'ambiente in cui è posto.

 

Ciò che noi vogliamo dire quando diciamo che il marxismo va bene come il cristianesimo, deve essere inteso in questo significato. Perché certe creature abbiano delle esperienze necessarie alla loro esistenza, è utile e necessario che credano in certe ideologie, vivano per quelle. Mentre, per altre creature, sono utili ideologie opposte. Ma quello che conta è che ciascuno creda e pensi con la propria mente e sappia comprendere questo principio che significa, in termini pratici, tolleranza. Comprendere cioè che ognuno ha le sue esperienze da compiere e non giudicare gli altri con il proprio metro e con la propria fede o le proprie idee. 

 

Comprendere che ognuno - ripeto - crede a quello che deve credere, perché anche il credere in qualcosa fa parte di un "ambiente" - non solo fisico ma anche psichico - nel quale è posto e nel quale deve sperimentare. Quindi noi non vi invitiamo a credere in questa ideologia o in quella, in questa religione o nell'altra; ogni pensiero degli uomini è sempre bello. Dicemmo una volta che ogni fede, tutte le fedi, sono paragonabili ai fiori: ciascuno diverso e ciascuno bello in sé; ciascuno segua l'ideologia, le proprie convinzioni, secondo se stesso, secondo le esperienze che deve fare. E, forti di questa convinzione, figli, vi sarà più facile comprendere e tollerare chi non la pensa come voi.

 

Quello che noi cerchiamo di farvi capire è che non esistono ideali morali validi per tutti nello stesso modo; ma ciascuno di voi deve raggiungere la sua meta. Ciò che è ideale morale per un selvaggio non lo è certo per un Santo. Certo questi sono due estremi di una scala di valori, ma fra questi due estremi voi potete  comprendere che anche una leggera sfumatura di ideali costituisce una diversità che ha lo stesso valore della diversità che vi è fra i due estremi. Ciò che vogliamo soprattutto indicarvi come ideale - che può, in un certo senso, avere un significato universale, per tutti - è, invece, la meta e il significato delle umane incarnazioni. 

 

Ogni uomo, dal selvaggio a colui che sta per lasciare la ruota delle nascite e delle morti - che noi possiamo chiamare convenzionalmente santo o superuomo o saggio - deve giungere a vivere al di là del senso di separatività che la sua condizione umana gli imprime; superare, quindi, l'egoismo. Questo ha valore, è lo scopo della vita umana e questo può essere genericamente indicato come ideale che abbia valore per tutti gli uomini, a qualunque punto dell'evoluzione umana si trovino. Ebbene, se questo ideale qualcuno crede di attuarlo o perseguirlo seguendo una certa ideologia, e talaltro invece crede di raggiungerlo seguendo una religione che ad esso s'ispira, è lo stesso. E' lo stesso significato, è lo stesso valore.

 

Questo è importante. Comprendere, quindi, che l'uomo è sulla Terra per giungere a vivere al di là di se stesso, per giungere a capire che egli è uno con tutto quanto esiste. E se egli è uno con tutto quanto esiste, non c'è dubbio che il proprio prossimo è un se stesso. Quando l'uomo ha trovato questa convinzione interiore, fermamente, allora può abbandonare la condizione delle umane incarnazioni ed ha raggiunto lo scopo per il quale ha trascorso una fase di vita umana.

 

Sottrarsi alla strumentalizzazione

 

Voi state assistendo ad un'attività che non è nuova nel mondo umano, ma per la quale si è sentita la necessità di coniare un neologismo: strumentalizzare. Ossia servirsi di un fatto esistente o accaduto, per valorizzare la propria posizione, come se il fatto che si prende in considerazione fosse quello che è perché si sono seguiti - o non si sono seguiti - certi dettati di chi quel fatto strumentalizza. 

Nell'arte dello strumentalizzare non si debbono avere remore; un fatto può essere interpretato in un senso o nel senso diametralmente opposto - in tempi diversi - a seconda di quello che è l'interesse del momento. Non vi sarebbe dunque da meravigliarsi se si assistesse ad un recupero dell'ipotesi spiritica da parte di organizzazioni che fino a qui l'hanno avversata, perché i dirigenti di quelle improvvisamente si accorgessero che lo spiritismo, inteso nei suoi canoni tradizionali, in fondo può servire ad arginare il dilagare del materialismo storico; cosa questa che può far loro comodo nel momento. N‚ vi sarebbe da meravigliarsi se, in campo avverso, vi fosse un lavoro in senso diametralmente opposto, magari affermando che i fenomeni spiritici non sono causati da Entità e che l'ideologia, quando c'è, è un'ideologia di destra.

 

Io vi prego caldamente di non prestarvi al perpetrare del diffuso invalso costume di catalogare, spartire il mondo secondo canoni creati dall'uomo, i quali esistono perché nella società umana non sono realizzate certe condizioni ideali che dovrebbero esservi: è forse giusta la suddivisione degli uomini in ricchi e poveri? E nell'ambito delle buone intenzioni, che cosa è più giusto? Lavorare perché le parti coesistano pacificamente, vicendevolmente si tollerino, oppure lavorare perché nessuna parte, nessuna fazione, abbia ragione d'esistere? Per questo io vi invito a valutare i fatti per quello che sono, e non secondo chi li propone o chi li sostiene, ad avere una vostra opinione fondata sui fatti e non sulle parole, ma soprattutto che sia vostra. 

E' necessario dunque che vi sottraiate ai molti condizionamenti che possono venirvi dalle fonti d'informazione. 

 

Non lasciatevi suggestionare da chi ha interesse a farvi credere che la bellezza e la felicità della vita stiano nell'accumulare beni, nel fare incetta di sensazioni piacevoli. Che cosa dovete aspettarvi che faccia chi non può procurarsi quei beni e quelle sensazioni acquistabili con il denaro che l'odierna concezione della vita pone come supremo bene del vivere? Se educate i vostri figli a dare la massima importanza al mondo esterno, a fare incetta di sensazioni piacevoli, perché vi meravigliate delle conseguenze che questa concezione comporta?

 

Non era giusta la concezione passiva degli orientali, in cui veniva trascurata ogni azione atta a migliorare il vivere di ogni giorno, ma non è neppure giusta una concezione di vita in cui ad una fantasmagoria di viaggi, relazioni, impegni che hanno come protagonista la propria persona, corrisponda un desolante vuoto interiore. Badate, non si tratta di scegliere tra una vita in condizioni di miserevole ristrettezza, perché non necessariamente ad essa corrisponde una ricchezza interiore, ed una vita nell'agio e nell'abbondanza ma vuota, perché non è detto che quest'ultima sia sempre e necessariamente superficiale. Si tratta di trovare il giusto equilibrio fra un'attività esteriore e la propria vita interiore, la vita dell'"intimo essere". Si tratta di guadagnarsi da vivere e trovare il tempo per fare qualcosa di costruttivo per gli altri e per il proprio essere interiore; certamente non intendendo con "costruttivo" cose che appartengano o siano riferibili al mondo dei sensi.

 

Remore morali

 

Eccoci nuovamente riuniti. Riuniti - noi confidiamo - nella ricerca della Verità, animati da uno spirito di analisi, da una volontà di approfondire, di vedere il vero. Voi siete consapevoli che questo "vero" si chiama  "insieme di punti di passaggio" che di volta in volta aprono nuovi orizzonti. E come colui che è intento a camminare lungo il sentiero, di tanto in tanto si volge indietro a guardare i luoghi che ha lasciato, così voi di tanto in tanto ripensate a quello che credevate prima di avere raggiunta ed ampliata una Verità e quasi - da quella che dovrebbe essere stata superata - siete tratti indietro, come se un senso di nostalgia vi impedisse di abbandonare il vecchio punto di vista, di lasciare l'approdo che fu di salvezza ieri, di tentare nuove strade, nuove mete, di azzardare cammini ulteriori.

 

Ma noi siamo qua per questo. Non per incitarvi a rimanere cristallizzati sulle vostre convinzioni, su ciò che credete, per distruggere giorno per giorno ciò che voi credete. Questo significa "nascere ogni giorno". Questo significa "rinnovarsi costantemente". E come potrebbe essere diversamente? Cristallizzarsi è morire, segnare il passo, chiamare il dolore perché rompa la cristallizzazione, perché doni comprensione, quella che manca. Ecco perché vi diciamo: "siate nuovi ogni giorno", ecco perché siamo qua.

 

Abbiate dunque il coraggio di lasciare quei concetti che  possono esseri stati, per voi, di conforto ai quali vi aggrappate per valorizzare la vostra sofferenza, la vostra vita, che costituiscono - credete - sangue del vostro sangue, carne d vostra carne. Siate pronti a ricevere il nuovo, liberi, pensando che questo è il vostro preciso dovere, è quello che dovete fare.

E' lo scopo delle nostre riunioni.

 

E' giusto che voi facciate il punto per chiarire le idee, ma quando si fa il punto, si fa un bilancio, si tirano le somme come si usa dire, bisogna avere coraggio; non affezionarsi a niente, vedere - direi cinicamente - che cosa alla luce delle nuove analisi, delle nuove posizioni raggiunte, è ancora valido e che cosa è superato. Quello che c'è di bello e che può agevolarvi è che ciò che è superato non lo è in senso assoluto. 

Intendo dire che non vi è mai contraddizione fra ciò che vi diciamo successivamente e ciò che vi avevamo detto, ma sempre e solo ampliamento, approfondimento. 

Quindi non si tratta, in definitiva, di rifiutare "in toto" certe Verità che noi vi avevamo dette - a meno che voi non le aveste mal comprese - si tratta di approfondire, di vederle da una nuova luce più ampliata.

Certo che se un concetto è stato da voi mal compreso - perché questo può accadere - allora, se è stato svisato, occorre abbandonarlo nell'approfondimento perché se ne scopre la falsità, il senso falsato. Ma quando così non è, ciò che voi venite a conoscere vi amplia ciò che conoscevate ed il quadro che si presenta di fronte ai vostri occhi deve sempre di più lasciarvi stupiti ed ammirati. 

 

Questo è ciò che possiamo fare allo stato attuale delle vostre conoscenze. Un giorno questo quadro, sempre più precisato, sempre più completo, non desterà più stupore ed ammirazione, ma sarà capace di aprirvi ad una nuova esistenza, sarà capace di far fluire in voi stessi spontaneamente il "sentire".

Stato interiore chiamato in molti modi (non ha importanza) ma che non può essere descritto: solo sperimentato. 

Noi, figli, non vogliamo rappresentare per voi un ulteriore problema; avete già abbastanza problemi da risolvere. Se mai vogliamo aiutarvi in queste soluzioni. Certo è comprensibile che le nostre parole vi pongano di fronte a meditazioni, talvolta anche profondamente sentite, e che esse stesse rappresentino in sé dei problemi.

 

Ma vedete, cari, ciò che intendo dire è che non vogliamo rappresentare per voi una sorta di remora a quello che avreste fatto se non ci aveste incontrati. Cioè non vogliamo rappresentare un rafforzativo delle leggi morali, unicamente crescere il timore di agire in un certo senso, cosa che non avreste avuto se non ci aveste conosciuti. Voi sapete quanto sia importante che l'uomo agisca secondo il proprio "sentire", secondo la propria convinzione. Perciò - come anche questa sera avete udito rileggendo le parole di Kempis _ non dovete avere remore di ordine morale, perché con la nostra presenza noi,  indirettamente, abbiamo rafforzato e resi più validi i principi della morale. La morale è giusta nei confronti dei propri simili, allorché serve a frenare un atteggiamento che potrebbe essere per quelli dannoso; ma non nei confronti del proprio essere interiore.

Noi speriamo sinceramente di essere da voi compresi e di  riuscire a spiegarci in modo chiaro e fattivo. Perché  vogliamo che un giorno - guardando alle esperienze terrene - voi diciate:

 

"Ho conosciuto l'amore degli uomini, ed era possessivo; ho conosciuto la loro amicizia, ed era sfruttamento;

ho conosciuto il loro aiuto, ed era umiliazione;

ho conosciuto la pietà degli uomini, ed era degnazione;

la loro protezione, ma aveva un secondo fine;

ho conosciuto la giustizia degli uomini, ma era parziale;

la loro forza, ma era brutalità;

la loro onestà, ed era apparenza.

Ho conosciuto la fede degli uomini, ma era una prigione;

la loro filosofia, ed era cenere;

la loro scienza, ed era cecità;

ho conosciuto lo compagnia degli uomini, ma non mi riempiva.

Tutto questo ho conosciuto ed assaporato

e restandone turbato ho compreso di non essere morto a me

stesso".

 

Come migliorare la società in cui viviamo

 

Vorrei rivolgermi particolarmente a quelli che ci seguono solo attraverso alla divulgazione di queste comunicazioni, per dire loro: "Non siete degli sconosciuti. Se non avete l'occasione di partecipare direttamente a queste riunioni, per noi non ha alcuna importanza; non siete meno amati di quelli che ci seguono dalla viva voce. In questa breve occasione che io ho di rivolgermi direttamente a voi, vorrei dirvi tante cose che vi fossero utili.

 

Vorrei dirvi che non ha importanza credere che l'uomo sopravvive alla morte del suo corpo, quando poi nella propria vita si fa tutto l'opposto di quello che si dice  di credere. Che non ha importanza credere a Dio, se poi della propria vita si fa un continuo insulto alle sue creature e quindi a Lui. E' importante ciò che "sentite" ciò che fate, più di ogni affermazione di fede resa nel timore di un castigo celeste.

 

Vorrei dirvi di amare di più i vostri figli, almeno i vostri familiari, i vostri amici, i vostri conoscenti, perché è vero che l'amore in se stesso è premio di chi ama. Vorrei dirvi che non è vero che gli insegnamenti fondamentali della morale riducano gli uomini dei gonzi. I cosiddetti insegnamenti mistici sono stati presentati agli uomini come un mezzo per guadagnarsi un premio nell'altro mondo. 

Questo errore d'impostazione non è stato voluto dagli esseri illuminati che hanno rivelato gli insegnamenti di altruismo all'umanità, ma è stato voluto - ad arte e scientemente - da chi aveva interesse che le masse fossero remissive, che ognuno facilmente rinunciasse ai propri diritti in favore di pochi privilegiati. Nessuno può negare che gli insegnamenti di altruismo non sono stati combattuti perché inducevano i singoli ad accettare la loro condizione di miseria e di ristrettezze, senza creare problemi ai governanti. Ma se in passato tanto si è chiesto al singolo, ben poco o addirittura nulla dando, l'uomo di oggi non deve compiere l'errore opposto, tutto esigendo senza nulla dare.

 

In questa vostra epoca di grande intelligenza e razionalità, sembra che gli insegnamenti fondamentali della morale siano privi di logica e di valore pratico; la società si vuol migliorare con nuovi sistemi ed ideologie i cui fautori cercano consensi, ognuno affermando di possedere il rimedio ai molti problemi che affliggono la società. Vedete, la società può essere migliorata solo se muta il singolo; solo se ognuno si sente in dovere di fare e di condurre la propria vita con onestà, con rettitudine, in funzione della società in cui vive. 

Ecco la grande logica dell'insegnamento di altruismo, ed ecco un insostituibile valore pratico che mira a dare coscienza al singolo di se stesso in rapporto alla collettività. Senza questa visione - che è mistica e razionale al tempo stesso - ogni ideologia è destinata a naufragare pietosamente. 

Troppo facile, infatti, sarebbe parlare della mancanza di buona fede in chi si presenta come salvatore della società e del divario che esiste fra ciò che viene detto e ciò che viene fatto. Vi accenno solo all'errore d'impostazione - che anche oggi è ripetuto e di cui vi dicevo all'inizio - a proposito degli insegnamenti della morale; ogni ideologia ed ogni organizzazione che attorno ad essa si è creata, mira a difendere certe forze, certe categorie, certi privilegi. Ogni parte difende i propri interessi cercando di ottenere sempre di più. 

 

Ebbene, questo sistema non può per nulla migliorare la società in cui vivete. La verità di questa affermazione è dimostrata dai fatti. Ripeto: la società può cambiare solo se il singolo intende fare tutto intero il suo dovere, condurre con rettitudine ed onestà la propria esistenza.

Solo così. Perciò questo credete, questo insegnate ai vostri figli, sicuri di dire loro l'unica cosa veramente costruttiva per se stessi e per un mondo migliore.

 

 

Kempis

 

L'immaginazione

 

Quando Dio cacciò Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre dopo aver condannato l'intero genere umano alla fatica e al dolore, fu colto dal dubbio di essere stato un tantino severo e pensò di rimediare facendo agli uomini un dono. Egli disse: "Quando i giorni vi attenderanno l'uno dopo l'altro con il loro carico di fatica e di monotonia, quando umiliati dai potenti sarete costretti a servirli, ad imbandire le loro tavole cibandovi delle briciole che da esse cadranno, quando quando chinerete la testa nella prona condiscendenza di chi può permettersi solo di assentire, quando vi percuoteranno e voi dovrete sorridere perché non potrete fare altro, ecco allora io vi manderò in soccorso l'immaginazione". Immaginazione! Magica facoltà. E' il sale della Terra, il colore del mondo. Che cos'è la vita senza l'immaginazione? Una realtà senza poesia, un sonno senza sogni, la morte.

Chi potrebbe sopportare una vita di fatica e di stenti se non potesse immaginare di essere un Re? Chi resisterebbe alle situazioni più disperate e senza via d'uscita, se non potesse evadere sul filo della fantasia con l'immaginazione? Eccola l'amica dell'uomo, colei che lo riscatta da un'esistenza brutale e lo cinge del serto dei poeti! E' lei che abbellisce la vita, lei che nutre l'arte e crea le civiltà, perché è potere creativo. Che cos'è il genio se non immaginazione controllata dalla ragione? Gli uomini privi di immaginazione non compiono mai nulla di bello perché non sanno andare oltre la pochezza del loro essere.

 

Ma tanta benedizione non poteva essere data all'uomo se non avesse potuto trasformarsi in una droga pericolosa. L'immaginazione è come una lente che ingigantisce la visione di chi vi guarda attraverso; se la si usa abitualmente non si sa più distinguere la realtà concreta dalla fantasia. E chi l'adopera senza controllo, è come se cavalcasse un indomito cavallo senza redini e speroni. Tutto ciò che essa immagina lo crea e ciò che è creato esiste anche se solo nella mente. In questo modo rende credibile ciò che non lo è e per questo molte delle cosiddette tragedie della gelosia in effetti non sono che tragedie dell'immaginazione.

Se con essa guardate i vostri simili, potete farne dei santi o degli assassini e quando l'associate al richiamo sessuale che qualcuno esercita su di voi, cadete perdutamente innamorati.

 

Chi può dire la vera grandezza di Carlo Magno o di Giulio Cesare? I divi divengono idolatrati quando riescono a colpire l'immaginazione delle folle.

Immaginare è sinonimo d'inventare ed inventare può voler dire ideare o mentire. Qual è la regola esatta per usare l'immaginazione? L'immaginazione non va adoperata nei confronti dei propri simili né delle relazioni che con essi si hanno perché potrebbe trarre in inganno: ma è preziosa nella comprensione della realtà. 

 

Sì, perché l'immaginazione non appartiene alla fantasia, ha fini pratici. L'animale che trova sbarrata la strada che lo conduce al cibo, muore di fame se non immagina un percorso diverso. Quale delle Scienze applicate e perfino delle scoperte scientifiche non dobbiamo all'immaginazione? Voi vivete in un'epoca di grande progresso scientifico, eppure siete dei rinunciatari nei confronti dell'immaginazione. La creatività dell'uomo

medio di questa civiltà sta nel seguire la moda, nell'imitare le azioni altrui; perfino il lavoro non è che una ripetizione meccanica di operazioni che nulla lascia all'inventiva del singolo.

 

Beati coloro che possono abbellire la loro esistenza con qualcosa che viene da loro stessi, dalla loro creatività intesa non come operosità ma come inventiva! Tuttavia molte volte anche chi ha questa possibilità non la mente in atto proprio per mancanza d'immaginazione. L'immaginazione è una facoltà superiore della mente che   vi aiuta ad ipotizzare una realtà nella quale i fatti che accadono nel mondo che vi circonda trovano una logica collocazione, ma soprattutto una convincente spiegazione. Una siffatta realtà è sempre stata ipotizzata, ma nessuno ha mai saputo vederla nella sua interezza perché nessuno ha mai saputo immaginare nella misura necessaria.

 

Quando noi vi parliamo di questa Verità da noi conosciuta per esperienza diretta, contiamo sulla vostra immaginazione. Questa sola può essere mediatrice di un colloquio fra noi e voi.

Mediatrice della comprensione del mondo nel quale vivere, mondo in cui nulla veramente è come appare. Noi stimoliamo la vostra immaginazione, ma questo non significa che vi invitiamo a fantasticare. Fantasticare è cavalcare l'ippogrifo dei poeti senza tener conto dell'orientamento. Immaginare è congetturare, ideare, partendo da dati concreti. Il vostro mondo non è che immaginazione della realtà che vi circonda, perfino la visione ottica è immaginazione. Voi ricostruite nella vostra mente gli oggetti con l'immaginazione. Senza l'immaginazione, la percezione degli stimoli luminosi non si tradurrebbe in immagini e non vi sarebbe comunicazione a meno che non vi fosse "comunione". 

Attraverso all'immaginazione voi vedete. Le immagini, dal cervello fisico, passano al corpo astrale, da qui nella mente in cui sono ricostruite con l'immaginazione: da qui la comunicazione. Dal grossolano al sottile, dunque.

Mentre con l'intuizione la via è opposta. Nell'intuizione è la comunione della parte più sottile del vostro essere con una realtà che vi dà la consapevolezza di essa.

Se dunque noi dobbiamo parlare dell'esistenza successiva a quella attuale, noi dobbiamo parlare di intuizione. Ma solo un uso controllato e ragionevole dell'immaginazione può aprirci a questa esistenza successiva.

E con questo - avendo detto la cosa per voi più importante - posso terminare il mio panegirico sull'immaginazione.

 

Fantasmi della mente

 

Un modo sicuro per tramandare la Verità al di là dei periodi di oscurantismo è quello di mascherarla in un giuoco o trasformarla in una favola.

Il Tarocco e la Mitologia sono esempi eloquenti di questa affermazione. I simboli, le idee universali ed assolute passano oltre, fra le mani degli ignoranti e dei severi censori e giungono ad illuminare il cammino dei posteri che sono pronti ad intenderle. Tenetelo presente voi che deridete le credenze degli antichi! Quelle favole possono contenere una sapienza alla quale voi ancora non siete pervenuti.

 

Prometeo ruba il fuoco sacro agli Dèi e per questo la sua condanna è di avere il fegato perennemente divorato da un rapace, ma alla fine è ammesso all'Olimpo. L'idea, il significato di questa favola, bene si adatta all'esistenza dell'uomo; l'uomo che, a differenza di altri esseri del Creato, possiede l'intelletto, paga cara questa sua ricchezza: il prezzo dell'intelletto è il dolore ed in effetti si può dire che il novanta per cento della sofferenza che patisce l'uomo scaturisca dalla sua mente. Togliete quel dieci per cento causato dal corpo, ed il resto è tortura inflitta dalla mente creatrice dell'"io" e dei suoi inestinguibili conflitti.

Uhm! Più che la materia, un sogno ha il potere di farci soffrire!

 

Dimmi, fratello, perché soffri? Perché i tuoi meriti non sono riconosciuti? Perché non sei il primo in senso assoluto, o se sei il primo temi di perdere il primato? Sei incompreso? Non sei amato? Sei tradito? Sei sfortunato? Vedi, la tua sofferenza fa parte di quel novanta per cento di cui ti dicevo: stai pagando lo scotto di possedere una mente.

 

Infatti la causa della sofferenza umana non sta negli eventi che rendono diversa la vita da come l'uomo vorrebbe, è risaputo: accontentandolo, l'umano, non lo si rende felice per più di un fiat. La sua mente lo condurrà su nuovi terreni di contesa e d'inquietudine. Allora, se gran parte della sofferenza che ci amareggia viene dalla mente, meglio sarebbe non possederla e vivere nell'incoscienza di sé.

La mente è un mezzo della nostra evoluzione che ci apre ad una fase successiva della nostra esistenza: quella di coscienza-sentimento, ma dobbiamo imparare ad usare bene questo mezzo, a non essere sua preda; dobbiamo riuscire a percepire al di là del dualismo "io" - "non io" - di cui ci fa schiavi!

 

Se nella possibilità che abbiamo di percepire e concepire il mondo in cui siamo immersi esiste questo errore fondamentale di parallasse, per cui crediamo diviso ciò che non lo è, allora tutte le nostre convinzioni che si basano su questa possibilità, sono errate. 

Riflettete: con queste poche parole la cultura, la civiltà, la storia sono liquidate, ridotte a farneticazioni, brancolamenti di chi non sa intendere e capire la Realtà. Incomprensioni, sospetti, gelosie, brama di possesso, onore offeso e vendicato, farse e tragedie si sono fondate e si fondano su miraggi creati dalla mente che l'uomo non ha imparato a far funzionare correttamente. Povera umanità! Quante lacrime inutili, allora!

 

Partendo da questo allarmante presupposto che noi siamo vittime di noi stessi perché diamo importanza a ciò che non ne ha, allora viene spontanea una domanda: perché Dio ci lascia nell'errore, ci fa soffrire per situazioni che non hanno nessun riscontro reale? Ci fa sbranare gli uni con gli altri per questioni che nessun riscontro hanno nella Realtà? 

Non voglio svalorizzare il dolore, ma vi domando: in Assoluto ha senso una scala di valori? Tutto ciò che non è Assoluto è egualmente relativo ed acquista valore solo se lo si riferisce a qualcuno, ed il valore che acquista non è lo stesso se lo si riferisce a qualcun altro. Allora esiste una scala di valori diversa per ciascuno di noi, in cui trova posto ogni esperienza da ciascuno vissuta e sono esperienze vissute anche quelle che sarebbe più proprio definire "immaginate". 

Ecco la chiave di volta del problema: fisicamente concreta o più immaginata che concreta, una situazione è sempre illusoria nei confronti dell'Assoluto ed è sempre reale e produttiva nei confronti di chi vi è immerso. 

E come potrebbe esistere una differenza fra una situazione fisica concreta ed una più immaginata che concreta, dal momento che lo stesso piano fisico non esiste oggettivamente se non come comun denominatore delle nostre innumerevoli percezioni soggettive! E così tutto il cosmo è l'elemento comune dei nostri sogni. Ma non è importante che le nostre convinzioni e i nostri sogni siano più o meno aderenti a questa parvenza di oggettività perché siano produttivi di esperienze. Non solo, ma ogni tipo di esperienza è valido: l'esperienza del Santo vale quella della prostituta, perché, lo ripeto, ciascuno ha una sua scala di valori inconfrontabile con quella di altri.

 

Se le cose stanno così, allora siamo sempre nel giusto, anche quando crediamo nell'assurdo perché anche questo ci dà esperienza e quindi un progresso; e se progrediamo, qualunque tipo d'esperienza noi abbiamo, che senso ha allora tendere a migliorare noi stessi? Possiamo tenere un'esistenza basata unicamente sui sensi, sicuri del nostro progresso. In ultima analisi è così e voi lo sapete: nessuno regredisce.

Ma se guardiamo all'economia individuale, l'interesse di ciascuno è quello di capire senza soffrire, di usare la mente senza pagare lo scotto. Questo non solo è possibile, ma rappresenta quello che voi dovete fare. 

Se un uomo fosse convinto che lavarsi tutti i giorni fosse un Comandamento di Dio, fosse ciò che lui deve fare, quella sarebbe la sua realtà. Ma quando avesse imparato a tener fede ai suoi principi, a comandare a se stesso, allora sarebbe il momento di capire che la legge è fatta per l'uomo e non l'uomo per la legge, il momento d'imparare ad usare la mente senza rimanere prigioniero dei fantasmi da essa creati.

Non crediate che l'uso non corretto della mente da parte dell'uomo sia un errore del "piano divino", anzi, ne fa parte: i miraggi della mente sono mezzi adatti all'immaturità dell'uomo attraverso ai quali progredisce.

 

In conclusione: le situazioni nelle quali l'uomo è posto in forza della sua mente, per quanto irreali possano essere, costituiscono l'humus in cui affondano le radici della coscienza, ma c'è un momento dell'esistenza individuale in cui queste radici debbono penetrare più in profondità alla ricerca di nuove situazioni che scaturiscano da un nuovo modo di vedere il mondo, una nuova visione che non avvenga più in funzione dell'"io" e del "non io", ed in cui non vi sia spazio per i fantasmi creati dalla mente.

Noi vogliamo aiutarvi nell'opera di rinnovamento che siete chiamati ad intraprendere prima di tutto in voi stessi; aiutarvi a distruggere - superandola -la visione del mondo che avete, che fate in funzione della separatività. Per questo, come novelli iconoclasti, produrremo delle lacerazioni qua e là sul tessuto

delle vostre convinzioni, dei vostri sogni.

 

Teresa - Non è vero che Dio abbia bisogno dell'uomo e che usare violenza in nome di Dio sia una giusta causa. Egli vuole il nostro progresso ed il progresso non può essere imposto.

Alan - Non è vero che sia censurabile chi è lontano da Dio.

Nessuno può essere lontano da Dio. E' censurabile chi si serve delle cose sacre tra gli uomini per soddisfare la sua avidità.

Kempis - Non è vero che la vita terrena debba essere fuggita per farsi meriti in cielo ed onorare Dio. L'inferno - se esistesse - non sarebbe abbastanza profondo per accogliere degnamente chi così avesse vissuto.

Dali - Non è vero che il bene ed il male siano oggettivi e che rappresentino la misura del vostro progresso o del vostro ristagno. Solo chi si pone al centro del dualismo bene e male, per salvarsi, si perderà. A costui è preferibile un perverso perché, per la legge di azione-reazione, quanto più grande sarà stata la perversione, altrettanto lo sarà la spinta evolutiva.

Kempis - Non è vero che l'argomento trattato renda morale od osceno un discorso: i vaneggiamenti di certi cosiddetti mistici fanno impallidire la "vena" dell'Aretino.

Teresa - Non è vero che sia sufficiente amare il prossimo come se stessi: occorre amarlo con imparzialità e per un fine di giustizia.

Alan - Non è vero che solo chi ruba sia ladro, lo è anche chi riceve senza dare.

Kempis - Non è vero che sia spergiuro solo chi giuri il falso: chi tace sapendo e chi nasconde la Verità con un linguaggio ambiguo, è altrettanto spergiuro e propagatore dell'errore. Di ciò dovrà rendere conto.

Nefes - Non è vero che il matrimonio sia indissolubile: ciò che gli uomini congiungono possono dividere. Solo quelli che Dio unisce non potranno mai essere divisi, né dagli uomini, né dagli eventi.

Kempis - Non è vero che "crescete e moltiplicatevi" sia un invito perentorio perché l'uomo procrei senza tener conto delle condizioni in cui dovranno crescere i figli. E' più crudele e perciò più colpevole chi lungamente fa soffrire, di chi uccide.

Dali - Non è vero che la sterilità e l'omosessualità siano delle anomalie della natura; sono mezzi con cui essa tende all'equilibrio demografico.

Paracelso - Non è vero che l'uomo sia arbitro della vita e della morte: nasce chi deve nascere, muore chi deve morire. Tuttavia non è vero, per questo, che l'uomo non sia responsabile delle sue azioni.

Claudio - Non è vero che sia più importante l'azione dell'intenzione: dall'intenzione si conosce l'uomo.

Dali - Non è vero che gli uomini debbano godere della stessa libertà: la misura della libertà deve essere in relazione con l'uso che di essa può essere fatto tenendo presente, a questo fine, che l'umile non è peggiore del regnante.

Claudio - Non è vero che il passato sia trascorso, il futuro di là da venire: il presente è tale solo per te e può essere ad un tempo passato e futuro degli altri.

Dali - Non è vero che chi vedete vicino a voi lo sia veramente e chi vedete agire agisca veramente: ciascuno deve imparare a contare unicamente su se stesso, per questo deve sentirsi solo ed indipendente dagli altri.

Teresa - Non è vero che il bene sia opera di Dio ed il male dell'uomo: tutto fa parte di un grande piano divino in cui non c'è posto per l'errore e l'imperfezione.

Kempis - Non è vero che tutto ciò sia la Verità: ciò nondimeno è vero!

 

Lettera aperta

 

Sarebbe un peccato sciupare questa atmosfera così distesa; converrà perciò parlare di cose semplici, per scoprire poi che le cose più facili a capirsi sono quelle più difficili a tradursi in pratica. Ne approfitterò per scrivere una lettera:

 

"Mio caro Pindemonte, io non so proprio come tu riesca a sopportarci. Noi parliamo, parliamo, sputiamo sentenze una dopo l'altra, ché tanto cosa farne è affar vostro. Tenerle in nessuna considerazione non è possibile: l'acqua, anche quando scivola via, lascia bagnato. Volere applicarle è un'impresa assai ardua perché ha un bel dire il signor Dali che noi non vogliamo costituire per voi un ulteriore problema. 

Vorrei vederlo che cosa farebbe al posto vostro; anzi vorrei vederli tutti quei signori che se ne stanno comodi comodi, seduti lassù, trasportati invece nella macina della vita.

Per esempio, Gesù Cristo, che cosa farebbe al posto tuo? Alzarsi presto tutte le mattine per andare in orario in ufficio, tornare a casa stanco e dover risolvere i problemi della famiglia.

Quando lo troverebbe il tempo per predicare? Perché non lo si vorrà mica far predicare durante le ore di lavoro, ci mancherebbe altro! Tutto sommato, dovrebbe fare il predicatore a tempo pieno, ma allora non sarebbe più nei tuoi panni.

Già, perché forse è necessario stabilire che cosa dovrebbe tornare a fare Gesù Cristo sulla Terra, perché se tornasse a fare Gesù Cristo allora farebbe le stesse cose, né più né meno. Magari sarebbe condannato come extraparlamentare; insomma muterebbero i dettagli perché sono mutati i tempi, ma la sostanza rimarrebbe la stessa. Se invece tornasse a fare il "povero Cristo", sì insomma, uno qualunque, allora sarebbe uno qualunque, né più né meno come io e te.

 

Caro Pindemonte, chissà che cose dirai quando riceverai questa mia lettera, perché forse a te piacerebbe sapere come Gesù Cristo si comporterebbe nei tuoi panni, a prescindere dalla considerazione che se anche non facesse vita pubblica non si troverebbe mai nella tua situazione, come nessuno, in fondo, si trova mai nella stessa situazione di un altro. Forse a te piacerebbe sapere come Gesù Cristo risolverebbe i tuoi problemi, quei problemi che in fondo tu stesso contribuisci a creare, non fosse altro col ritenere problematiche cose che per altri non lo sarebbero. Ma forse a tutti piacerebbe vivere la propria vita e quando si fosse posti di fronte ad una decisione da prendere, fare una telefonatina per sapere che pesci pigliare, scaricando così sugli altri tutte le responsabilità.

 

Ma se poi la risposta fosse di fare cose che sono contro i nostri interessi, o che non si ha la forza di fare?... Perché questo è il punto! Forse qual è il meglio lo sappiamo, anche senza scomodare Gesù Cristo, ma vogliamo farlo? Tu dici che la vita stessa, il posto che ciascuno occupa nella società, impediscono di vivere secondo certi ideali. Hai ragione.

Se io fossi un giudice e fossi intimamente travagliato perché convinto del "non giudicare", è chiaro che dovrei cambiare professione. Non potrei fare il giudice che non giudica. Ma se continuassi a fare il giudice, allora dovrei giudicare, non c'è scampo; magari lo farei nel modo migliore a me possibile, impegnando tutto me stesso e poi scoprendo, alla fine, che forse quel "non giudicare" ha un altro significato.

 

Se io fossi un soldato in battaglia e fossi di fronte al dilemma di uccidere o di essere ucciso, saprei benissimo che Gesù Cristo al posto mio si lascerebbe uccidere, ma lo farebbe non perché un altro al posto suo farebbe così, lo farebbe perché quello sarebbe il suo "sentire". Ora, Pindemonte, forse è necessario scoprire qual è il proprio "sentire" e agire in conseguenza.

 

Certo, la prima considerazione da fare è che non si è soli al mondo e che si deve pure qualcosa anche agli altri; non foss'altro del rispetto. Ma anche questa considerazione deve essere "sentita" .

Se io fossi un avvocato, è chiaro che potrei trovarmi nella circostanza di dover difendere un assassino; oppure di avere un cliente per servire il quale dovrei danneggiare altre persone.

Allora se non mi sentissi di farlo - ma non perché Gesù Cristo al posto mio non lo farebbe, ma perché quello non fosse il mio "sentire" - è chiaro che dovrei cambiare almeno cliente.

 

Capisco, Pindemonte, a te piacerebbe sapere quali sono le cose lecite e quelle non lecite, ma un simile elenco non ha valore assoluto. Si può fare riferimento alle leggi della società in cui ciascuno vive, ma un tale riferimento deve essere considerato come il minimo dei contratti collettivi di lavoro, un minimo sotto al quale non scendere. Una traccia, fra l'altro, ben poco indicativa perché esclude - anche se non potrebbe fare diversamente - quella piccola cosa che è la verità dell'individuo, il mondo delle intenzioni nel quale solo il singolo può entrare.

Ecco perché, Pindemonte, ciò che farebbe un altro al posto tuo, per te non ha senso alcuno perché se anche facesse le stesse azioni, differenti potrebbero essere i moventi.

E poi il codice è eludibile e incompleto perché, vedi, chi sequestra una persona e chiede un riscatto, è certamente un cinico della peggiore specie, ma almeno rischia in proprio i rigori della legge. Ma chi svolge una professione considerata umanitaria, e si servisse della protezione della legge e dell'omertà del perbenismo per arricchire in tutta tranquillità, alla barba di chi soffre, certo sarebbe un cinico peggiore dei dediti ai sequestri di persona.

C'è una pena abbastanza severa per chi semina il vizio per raccogliere più facili e lauti guadagni? Per chi somministra, con alimenti, veleni, sempre  per arricchire? 

 

Per chi si adopera, sempre per il proprio guadagno, a fare approvare leggi che legalizzano il veneficio di massa? Non c'è dubbio che se per certe azioni non v'è una sanzione adeguata, oppure non v'è sanzione alcuna, si tratta di atti altamente delittuosi. Di contro vi sono posizioni che non dovrebbero essere perseguite dalla legge. Che fare? Adoperarsi per migliorare gli strumenti della giustizia.

Invero nulla dovrebbe essere considerato perfettibile come la legislazione di una società, al fine di sempre meglio contemperare le esigenze dei singoli con quelle della collettività, il che non significa un'aprioristica condanna di tutti i principi e gli istituti sociali.

 

Il nostro amico Claudio ci invita a renderci conto di ciò che facciamo e perché lo facciamo; ossia ci invita a scoprire la ragione delle nostre azioni al fine di prendere coscienza di noi stessi. Questo, fra l'altro, sviluppa un certo senso critico, utile nel necessario esame che ciascuno deve compiere dei valori della società in cui vive; ma è indispensabile che la revisione critica, più che avere come oggetto il cangiante quadro dei costumi - l'uno dei quali vale l'altro - sia ispirata dalla logica e dal buon senso, i quali impongono che allorché si è accettato come vero un principio, non lo si voglia far seguire solo agli altri, non lo si segua solo quando il seguirlo è comodo ed utile.

 

Niente passi nell'indifferenza. La responsabilità penale, per certi reati, non è più personale, vedi nella fattispecie il furto per procura: rubate per dare al partito e avrete buone probabilità di farla franca. Ma forse è giusto che sia così perché c'è un precedente storico che fa testo: Caterina da Siena che rubava dalla casa paterna per dare ai poveri, e nonostante ciò fu proclamata Santa.

C'è una certa tendenza a non considerare più come tali, i delitti perpetrati verso la collettività. Ora se c'è un interesse preminente rispetto a quello soggettivo, è l'interesse pubblico.

 

Il patrimonio pubblico è considerato come se non fosse di nessuno ed invece è di tutti. E poiché ognuno è molto attaccato ai propri tesori, ognuno, per coerenza, dovrebbe sentirsi tutore dei beni pubblici. Cosa che non è affatto. Guarda invece, Pindemonte, con quanta accortezza si cerca di mettere al sicuro le proprie ricchezze, magari finendo con lo scegliere il luogo meno adatto. Che vadano gli sciocchi a nascondere i loro capitali in quello staterello più prossimo alla grande potenza che si dichiara anticapitalista; chissà che cosa farà loro credere che là siano più al sicuro!

 

Non credi, Pindemonte, che le frontiere pesino solo sugli onesti e siano invece fonte di illeciti guadagni per chi antepone la ricchezza all'uomo? Curiosi questi ricchi! Sono loro che nella scala dei valori antepongono il guadagno alla vita dell'uomo e si meravigliano se c'è chi uccide per arrivare alla loro ricchezza! Curiosi questi potenti! Qualunque mezzo è stato lecito per portarli al potere, e adesso invocano e sperano nell'onestà degli uomini. Certo lo fanno perché nessuno faccia a loro quello che essi hanno fatto agli altri. Lo sperpero dei ricchi risponde dei delitti e dell'esasperazione dei poveri. Il fanatico rigore dei moralisti paga l'oscena esibizione dei viziosi. Questo significa prendere coscienza di se stessi e del mondo in cui si vive.

Significa capire che non è condannabile il fiore che ancora non è sbocciato: amarlo e comprenderlo, ma amare e comprendere non significa divenire complici. Non è certo immorale la belva che uccide per cibarsi, è da amare e da comprendere. Tuttavia, o Pindemonte, non sarebbe giusto che tu la sfamassi con i tuoi figli. 

 

Perciò, se non ti senti di gettarti in pasto ad essa, ti converrà tenerla a distanza. Sarebbe assurdo interpretare la bontà e l'amore come una sorta di amnistia o di assoluzione generale che, fra l'altro, non togliendo la tendenza a danneggiare in chi ha danneggiato, finirebbe con l'essere dannosa per tutta la società. Che cosa fa la natura con la legge di causa e di effetto, se non realizzare l'ideale della giustizia in cui l'effetto ha lo scopo di riscattare e non di punire? Cioè, perseguendo un fine di misericordia ma al tempo stesso restando inesorabile. Dunque, caro Pindemonte, non ti proponiamo una visione più lassiva della vita, al contrario. Se mai abbiamo la pretesa di dartene una più intelligente perché - vedi - se è osceno ciò che offende il pudore, e se il pudore è la riservatezza che i cosiddetti sani principi debbono ispirare, allora anche l'ostentazione del brutto è oscena.

 

La "maja desnuda" è pudica in confronto a certe immagini sacre.

C'è più male nella morale stupidamente intesa, che in ogni comportamento spontaneo e naturale, ma non si confonda la spontaneità e la naturalezza con l'ignoranza e la mancanza di educazione coltivate quali alibi dei propri comodi. E non si confonda l'educazione con l'ipocrisia; l'educazione è rispetto verso gli altri,

l'ipocrisia è sacrilegio verso il prossimo. 

Ecco perché il sacrilegio più grande è quello consumato dalle religioni che predicano l'unione degli uomini e invece li dividono. Da quelle che maledicono anziché benedire, che fanno dell'altare un banco di vendita ed una fonte di illeciti guadagni per chi non ha voglia di lavorare; che pur di salvare il tempio, l'organizzazione, mandano alla perdizione gli uomini. Perciò, caro Pindemonte, se non vuoi essere ipocrita, quello che fai devi "sentirlo", tenendo presente che non sei solo al mondo e verificando continuamente il tuo "sentire" alla luce della considerazione che noi tutti siamo un solo essere e che ciò che non si accorda con questa realtà - comunque tu la metta - non ha valore universale ed è perfettibile.

 

Basta così. Le troppe parole finiscono col non dire più nulla.

Lo tenga presente chi vive in quest'epoca dai molti discorsi.

Perfino chi è morto parla più ora che prima, quando era vivo. Per tacere poi della Madonna e di Suo Figlio che - stando ai messaggi che sarebbero da Loro invitai - sono più ciarlieri d'una portinaia. Si racconta che Pio IX, al quale stavano leggendo le profezie di Suor Domenica del Paradiso, se ne uscì con questa esclamazione: "Sarà stata anche Santa, ma Gesù mio, quanto parlava!".

Guardiamoci, Pindemonte, da chi fa spreco di parole per somministrare contenuti in dosi omeopatiche, che fa della parola anziché un mezzo di comunicazione, l'arte dell'inganno. "Sia il tuo dire sì, sì, no, no, perché il di più di questo viene dal maligno".

Tuo affezionatissimo

                                                                                                                                                                                                       KEMPIS.

 

Sull'aborto

 

Vedo qua fra voi qualcuno che ha vissuto l'incarnazione precedente all'attuale, al tempo della rivoluzione francese. Parlo del figlio Aurelio. E allora mi ricordo, come voi sapete, che al tempo della rivoluzione francese i rivoluzionari, fra l'altro, deposero dagli altari Dio - ormai ridotto ad un concentrato di assurdità - ed innalzarono al suo posto la Dèa Ragione. Ebbene, se gli effetti della rivoluzione francese fossero stati limitati a questo fatto, certamente quell'avvenimento sarebbe stato ricordato dai posteri come uno dei più salutari della Storia.

 

Questa sera vorrei imitare i rivoluzionari francesi per quanto riguarda la questione dell'aborto. Cioè, guardare questa questione solamente dal punto di vista della logica e del buon senso, sceverandola da tutte quelle implicazioni religiose che la rendono scottante. 

 

Voi direte: "che cosa c'entra la morale con la logica?". C'entra perché, vedete, la morale ha una sua profonda logica, tanto che quando si discosta da essa diventa immoralità. Perciò una cosa quando è assurda, anche se appartiene alla religione, è immorale. Non ha certo la pretesa di dare delle soluzioni folgoranti; sono troppo convinto che si tratta di questioni personali. 

Ma mi piacerebbe sgombrare il campo - come si suol dire - da tutte quelle false morali, quei pregiudizi, quei preconcetti, quelle falsità, insomma, che travisano la questione, per riportarla alle sue giuste dimensioni, già vaste in sé tanto da non doverle dilatare più oltre. Perciò, diamo uno sguardo indiscreto al talamo nuziale del signor Rossi e consorte. "Caro - alita lei - non credi, dopo due anni di matrimonio, che sia giunto il momento di pensare ad un figlio?". "Che fretta c'è - risponde lui, sacrificando il suo amor proprio di maschio - siamo ancora giovani, abbiamo tempo, godiamoci la nostra libertà! E poi fra un anno avrò una promozione e, con quella, un aumento di stipendio. Allora potremo pensare ai figli". 

 

Saggia ed assennata decisione, non c'è che dire, dovrete convenire con me. Intanto il Padre Eterno aspetta l'aumento di stipendio del signor Rossi per creare una nuova vita. Bene fate, signori Rossi, a pensarci molto e non poco prima di decidere, perché una volta tratto il dado non è più possibile tornare indietro. Ci mancherebbe altro! Scomodare il Padre Eterno per un "nulla di fatto"!  Ma cosa credere? Di avere arbitrio sulla vita di un altro essere? Di poter decidere, dopo l'amplesso, se deve o non deve nascere? Prima dell'amplesso sì, prima potete farlo, ma dopo no. Come dite? "Perché prima sì e dopo no?". Mah, si dice: "perché la vita è sacra e nessuno ha diritto sulla vita di un altro ". Ma ogni coppia, senza arrivare all'aborto, disinvoltamente - e non certo con problemi di coscienza - decide della vita o della morte di tutti gli esseri, i figli, che potrebbero da essa nascere. 

 

Si obietterà che nel caso dell'aborto, della gravidanza, si è di fronte ad una vita esistente e nessuno ha diritto di sopprimere un essere vivente. Lo Stato poi dovrebbe prevenire e reprimere i delitti contro la vita. Certo sono d'accordo, anzi sono d'accordissimo, sono così convinto della sacralità della vita, che ne faccio un principio generale valido per ogni sua forma, e non solo per quella umana. Ma ho dinanzi ai miei occhi sterminati campi di battaglia dove giacciono le ossa di tanti poveri diavoli - pardon - di tanti poveri esseri umani mandati d'imperio ad uccidere o ad essere uccisi, comandati dallo Stato di combattere, e non certo in ossequio al principio della sacralità della vita, che lo Stato dovrebbe tutelare. Si obietterà che nelle guerre ci sono gli aggressori e gli aggrediti e che è un sacrosanto diritto anche la difesa, non c'è dubbio. 

Ma allora? Certi ideali morali non sono così assoluti come si vuol far credere; pensavo che la vita fosse così sacra - la vita altrui - da imporre di lasciarsi aggredire e soccombere, prima di uccidere. 

Ma voi mi dite che la difesa dei propri beni o dei propri diritti è più importante della sacralità della vita altrui. E qua sarebbe molto facile fare del sarcasmo! Ma vi chiedo soltanto: se allora lo Stato ammette che quel principio così sacro, passi in sottordine rispetto a motivi la cui fondatezza io non voglio discutere, per quale motivo lo Stato dovrebbe impedire ad una coppia che abbia altre fondate ragioni di decidere di non avere figli, dopo l'amplesso, tanto più quanto questa decisione è legittima prima dell'amplesso? 

 

E qua si aprono tutte le capziose discussioni sul concetto autonomo della vita dell'ovulo fecondato, sul concetto di persona, su vita consapevole e vita inconsapevole. Questioni tutte che fanno tremar le vene e i polsi, perché basti pensare che tutto vive; dal cristallo che si cristallizza, alla cellula, al filo d'erba e su su. E che ogni vita è sempre "consapevole", quanto meno a livello di sensazione.

 

Vedete, posso anche essere d'accordo con un'interpretazione estremamente rigorosa di ciò che può danneggiare la vita; ma allora, il rispetto dovuto alle forme vegetative umane come la vita di un ovulo fecondato, deve essere esteso - non dico alla forma di vita vegetativa naturale, che sarebbe troppo pretendere - ma almeno agli animali. Si cominci con l'abolire assolutamente la caccia, non meno delittuosa dell'aborto nei confronti della vita.

 

Io credo che il vero delitto non stia tanto nell'azione, quanto nell'intenzione; nella ragione per cui l'atto è commesso. Perciò la questione dell'aborto è una questione personale di coscienza, riservata ai soli interessati, e non può essere regolata da leggi dello Stato le quali possono disciplinare i rapporti fra cittadini - fra lo Stato e i cittadini - al fine di tutelare il bene comune dei singoli, ma non pretendere di disciplinare il pensiero e la coscienza degli uomini. Lo Stato non ha alcun interesse, né diretto, né legittimo, né valutabile ecc. ecc. che possa giustificare un'interferenza nella decisione dei genitori di non avere un figlio.

 

E poi la responsabilità dei genitori non è grande solo quando essi decidono di non avere un figlio; e più grande quando decidono di averlo, assumendosi automaticamente l'imperioso dovere di educare il figlio con autorità, ma non con sopraffazione; con amorosa pazienza ma non con lassismo, premiando ma anche castigando, mirando a quello che essi ritengono il bene del figlio, e non solo al suo piacimento. 

I genitori hanno l'obbligo di dare al figlio il necessario, che è più dell'indispensabile e meno del superfluo. Perciò oltre che la loro forza d'animo, debbono valutare le loro possibilità economiche, ed in base a tutti questi elementi, decidere quanti figli avere o non avere. Dal punto di vista dei genitori è molto più crudele far nascere un figlio negli stenti, che non farlo nascere affatto. I genitori debbono essere lasciati liberi di decidere secondo coscienza, perciò la loro volontà non deve essere coartata da propaganda di alcun genere, in special modo di quelle atte ad incrementare le nascite per fini nazionalisti, razziali e perciò razzisti.

 

Vedete, che vi siano delle donne che non sanno rinunciare alla maternità, pure essendo affette da gravi malattie ereditarie - sperando che nel frattempo la medicina progredisca tanto da prevenire, o per lo meno curare le infermità a cui potrebbero essere assoggettati i loro figli - è abbastanza grave. Ma che certi casi siano gabellati dai moralisti come fulgidi esempi da imitare di puro amore e istinto materno, è semplicemente mostruoso. 

 

Questo ci fa riflettere sul fatto che affidarsi alla coscienza degli uomini significa supporre, o presupporre, che si tratti di esseri responsabili, ma il che non è fatto abituale. Allora, quando manca la coscienza, torna necessaria l'imposizione esterna della norma: allora la norma deve essere limitativa delle nascite che possono avvenire ad opera di genitori irresponsabili, e non il contrario. In ogni caso vale il principio che la legge deve essere fatta per l'uomo e non l'uomo per la legge. 

 

Cesso di scandalizzare i moralisti, ma prima vorrei rivolgermi a tutti i probabili genitori e chiedere: "Per quale motivo volete dare la vita? Perché così si deve fare? Per esibizionismo? Per riempire la vostra esistenza di giocattoli viventi? Per continuare la vostra stirpe? Incoscienti! Meritereste di non poter procreare. Siate consapevoli della grande responsabilità che vi assumete, di fronte alla quale tutto passa in second'ordine, la vostra esistenza stessa. E agli altri, a quelli che non vogliono figli, chiedo: "Perché non li volete? Perché vi sono serie possibilità che i vostri figli nascano malati, oppure gravemente mancamentati? Allora fate bene, anzi fate benissimo. Se il Padre Eterno ha qualcuno da punire, che si arrangi da solo; non spetta a voi fare i boia.

 

Oppure non li volete perché le vostre condizioni economiche sono veramente problematiche e temete di non avere il necessario da dare ai vostri figli? Capisco il vostro dubbio; vorrei aiutarvi ma non posso, perché ogni caso è un caso particolare e spetta solo agli interessati risolverlo in sincerità, nella speranza, ma anche nell'incertezza, di chi non sa che cosa il futuro può riservargli di bello o di brutto. Posso solo assicurarvi che nella pura intenzione altruistica non c'è peccato.

E a quelli che non vogliono figli solo perché i figli sono scomodi, creano preoccupazioni, complicazioni, magari fanno apparire più vecchi, chiedo: "Perché optate per la non vita, per la morte? Per il vostro egoismo? Siate per la vita, per la sua crescita, per il suo domani! Adoperatevi a migliorarla vivendola e facendola vivere. Amatela e difendetela anche se costa, date ad essa lo spazio e la fiducia che merita, perché la vita è il più gran dono!

 

 

La morale e le norme di comportamento

 

Generalmente quando l'uomo pensa all'aldilà, s'immagina che se v'è la possibilità di comunicare con questo misterioso spicchio dell'esistente, chi parla certamente dirà cose che ormai sono improntate alla morale conosciuta dalla religione o dalle religioni. Io vorrei, invece, questa sera fare un'azione di rottura nei vostri confronti, dire qualcosa che rientri in un tema attuale, se me lo consentite.

 

Ebbene, potremmo appunto cominciare dalle religioni, dal problema religioso, per dire che indubbiamente ogni uomo si domanda almeno una volta, nella sua esistenza, lo scopo della sua vita terrena. Una risposta a questa domanda può venirgli solo dalle teologie religiose, cioè rientra nel novero delle cose credibili unicamente per fede, e perciò ciascuno può scegliere la risposta che più gli aggrada avendo questa, sul piano oggettivo,

i valori di una semplice opinione, né più né meno. 

 

Ora il fatto che un'opinione possa essere più o meno fondata, voi dovrete convenire con me che non toglie valore all'opinione, almeno dal punto di vista soggettivo. Tant'è vero che molti hanno affrontato la morte, oppure indirizzato in un certo senso la loro esistenza, unicamente in dipendenza delle loro opinioni. Invece sul piano oggettivo, il valore di ogni opinione, anche di quelle che sembrano ben basate e discendenti da principi universali, è sempre aleatorio; questo perché le regole da cui traggono ispirazione sono sempre relative. Lo abbiamo detto tante volte e lo ripetiamo questa sera per voi, che non ci seguite abitualmente.

 

Vogliamo fare un esempio? Bene! Cerchiamo qualcosa che sia contro un principio apparentemente bene identificabile e vediamo se tutte le volte che il principio è leso, il giudizio di condanna si mantiene costante. Potremmo intitolare questo nostro studio: "Degli atti contro natura", titolo meraviglioso che farebbe felice un moralista; pensate che piatto succulento, per lui: azioni condannate e dalla religione e dalla morale; peccati per i quali l'unico destino del peccatore è il fuoco eterno! Non c'è dubbio. Dio ha dato i Suoi Comandamenti - si dice - ha fatto conoscere la Sua legge e ove questa tace, c'è sempre un modello di comportamento a cui rifarsi: la natura che vive costretta nelle leggi del suo Creatore. Tutto ciò che non segue certe regole naturali, anche se null'altro vi fosse a condannarlo, solo per quello sarebbe condannabile.

 

"Mamma - chiede Pierino - quali sono le cose contro natura?". Che rispondere ad una domanda così imbarazzante e per di più fatta da un innocente? - pensa la madre - e cerca di salvarsi con il vecchio sistema di eludere la domanda: "Sono quelle che non si addicono alla tua natura". "E qual è la mia natura?", replica Pierino. "Tu sei un maschietto e male sarebbe - sarebbe contro natura - che ti comportassi come una femminuccia. Vedi gli animali? Ognuno fa la parte che Dio gli ha dato: il leone fa il leone, la pecora fa la pecora e così via".

 

Dolce e ingenua mammina! Se tuo figlio fosse un po' più smaliziato obietterebbe che se allora è naturale secondare le proprie inclinazioni congenite, derivanti dalle caratteristiche morfologiche del tipo somatico al quale si appartiene, allora male fa l'iroso a controllarsi e, al limite, il ladro a non rubare. Pierino può, accontentarsi di questa risposta, ma noi no. Infatti fra le caratteristiche somatiche e le inclinazioni congenite, spesso v`è una netta opposizione. Allora qual è la natura dell'uomo? Quella del suo fisico o quella del suo intimo? Logicamente si può rispondere che per quanto attiene alla sfera d'azione del corpo fisico, la natura è quella del corpo. Benissimo, non fa una grinza.

 

Ma allora è contro natura che l'uomo voli, vada negli spazi, cucini i cibi, si vesta, si trucchi, semini, mieta, raccolga in granai; tutta la vita dell'uomo, dell'intelligenza e del progresso allora è contro natura. - 

Come dite! Che la cosa va intesa per la sola sessualità. La regola vale solo per il sesso. - Capisco. Infatti vedo che in questo campo l'uomo segue scrupolosamente la natura, ritenendo contro natura avere rapporti sessuali che non siano volti al fine della procreazione. - Come dite? Che non è così in effetti; la regola può essere disattesa, pur restando norma naturale, norma generale. - Capisco. In altre parole, allora il comportamento, pur non essendo identico a quello della vita dei regni naturali, rientra tuttavia nella norma della generalità degli uomini. Ma allora la norma non ha a che vedere con la natura, è qualcosa che tiene conto dell'opinione della generalità degli uomini, come le imposizioni tributarie e quelle militari. - 

Come dite? Lì c'entra la ragion di Stato. - Ah, capisco. Ma allora che cos'è la norma? Bello sarebbe rispondere: "un'opera lirica del musicista Vincenzo Bellini" e con una battuta più o meno spiritosa cavarsi d'impaccio. Ma qua stiamo parlando di cose serie e, soprattutto, precise; perché, infatti, se affrettatamente si definisce "norma" o "regola" ciò che rientra nel comportamento generale, nello standard generale di una società, allora - per esempio - fra la genialità e la prostituzione, è molto più singolare e perciò molto più condannabile il genio della prostituta. 

 

Ma in effetti, all'atto pratico, non è così. Allora, qual è la vostra norma? Perché la logica mi dice infatti che se la norma è quella della natura, allora per esempio è contro natura avere rapporti sessuali che non siano volti al fine della procreazione, metodo Ogino incluso, che non fa salva l'intenzione. E chiunque non segue scrupolosamente questa regola, non abbia voce per condannare ogni altro che la violi.

 

Scommetto che non tutti siete d'accordo con me, è inevitabile. Seguite la norma che crea le norme. E' insito nella natura egoistica di ogni uomo stigmatizzare gli altri per innalzare se stessi; naturalmente il giudizio di condanna deve trovare riferimento in qualcosa, nel comportamento degli altri, che sia condannabile da un qualunque punto di vista. Perciò si passa in rassegna la loro vita, la si confronta con la propria e, dal confronto, si pongono in evidenza quelle azioni che - così a freddo e ben lontani dalla contingenza - si crede non facciano parte della propria natura, dimenticando che l'occasione fa l'uomo ladro.

 

Ne consegue che certe azioni che rimangono singole rispetto al comportamento generale, vengono bollate col marchio dell'infamia e così la regola è creata. Sicché la regola non individua certi valori assoluti, non ha un valore in sé, ma è tale in quanto rispecchia il comportamento generale degli individui di una società. Una questione statistica, insomma, ed il giudizio di condanna che subisce chi la viola non deriva dal bisogno del giudice di erigersi a tutore di supposti valori morali, ma unicamente dall'istinto di ognuno di trovare nel comportamento degli altri qualcosa di condannabile da un qualunque punto di vista, perché mostrando il fango che si è gettato sugli altri si crede di nascondere il proprio. Abbassando gli altri si è convinti di innalzare se stessi. La conclusione di questo discorso, e cioè la relatività delle norme morali di una società, è fin troppo scontata.

 

Ma che cosa succede quando queste norme sono credute comandamenti dettati ds Dio? E qua ci riallacciamo ancora una volta al discorso religioso che abbiamo avviato all'inizio; anche senza entrare nel merito della  "dettatura", è chiaro che il valore rimane egualmente relativo. Se infatti ancora una volta - e questa volta per nostra comodità - ci rifacciamo alla natura, osserviamo come ogni specie abbia le sue regole di vita, che sono quelle e vanno bene per quella specie e non per un'altra. In modo analogo, dunque, i comandamenti di Mosè, per esempio, non possono contenere tutta la moralità o la più alta moralità: è evidente che si tratta di principi quanto meno riferibili ad un dato tipo di società, ad una fase dell'evoluzione degli esseri.

Infatti per la fase dell'evoluzione che voi dovete compiere, il "non uccidere" di Mosè è l'inizio di un discorso che si concluderà col superare la visione egoistica della vostra esistenza.

- Quanta strada, eh fratelli?

 

Allora sorge una domanda: nell'ambito di questo discorso, c'è una regola che sia valida in senso assoluto per ogni uomo, dal selvaggio al Santo che sta per lasciare la ruota delle incarnazioni umane? Evidentemente no, perché ciò che è "ideale morale" del Santo, applicato al selvaggio ne paralizzerebbe ogni moto vitale. Non solo, c'è dell'altro. Guardate: nelle società umane una legge è un insieme di principi generali ed astratti che dovrebbero vigere per ogni uomo che si trovi nell'ambito territoriale di quella società. 

Chi è preposto alla promulgazione delle leggi, cura che queste divengano di pubblica conoscenza.

Una volta, quando gli uomini non sapevano leggere e scrivere, v'erano le "grida", cioè gli "editti" gridati dai banditori e in quel modo portati a conoscenza dei sudditi. Oggi, invece, le vostre leggi sono pubblicate nell'intesa che ogni cittadino sappia leggere. E fino a che non è assolta la formalità della pubblicazione, la legge non entra in vigore. Questo, ripeto, nel difettoso e lacunoso mondo umano.

 

Ora, se lo scopo della vita dell'uomo fosse quello di fare la volontà di Dio, cioè di seguire le Sue leggi, come si dice, queste dovrebbero essere eguali per ogni uomo, non solo, ma dovrebbero essere conosciute da tutti gli uomini, cosa che non è in assoluto. Gli indios - o amerindi - per esempio non conoscono i comandamenti di Mosè, né è vero che abbiano delle regole morali innate che li sostituiscano; sicché quelle che dovrebbero essere leggi divine, non hanno quel carattere di universalità che dovrebbero avere, primo perché non sono eguali per tutti gli uomini, secondo perché non tutti gli uomini le conoscono o, quanto meno, hanno l'occasione di conoscerle e ciò esclude che lo scopo della vita dell'uomo sia quello di seguire e di osservare le leggi di Dio.

 

Noi diciamo che lo scopo della vita dell'uomo è quello di superare l'egoismo che in lui nasce dal senso di separatività.

Questo scopo è raggiunto attraverso a molteplici incarnazioni, durante le quali l'uomo, passo su passo, volge verso quella meta.

Ma per raggiungerla ha valore tanto il "non uccidere" di Mosé quanto la dottrina di Marx.

Nelle varie fasi dell'evoluzione umana, l'ideale morale che l'uomo deve raggiungere e fare propria natura acquisita, potrà essere il "non uccidere" e poi il "non fare agli altri quello che non si vorrebbe fosse fatto a sé" ed infine "l'amare gli altri come se stessi". Ne consegue che il giudizio che si può dare, si può fare di un uomo - ammesso che sia lecito giudicare - deve essere rapportato alla sua fase di sviluppo.

 

Il problema non si esaurisce qui. Rimane infatti la questione della "conoscenza". Chi trasgredisce, inconsapevole, la norma morale che deve fare propria  natura acquisita, è colpevole? In altre parole, per evolvere è necessario conoscere la meta che si deve raggiungere? A questa domanda risponderò in un'altra occasione, sempre che vi sia qualcuno che fra tanti bei discorsi ed interessanti dei viventi, preferisca venire ad ascoltare le parole di un trapassato. Ma credo di sì, perché in fondo siete degli idealisti che vivono fuori del tempo e della concretezza.

 

Nel vostro oggi, nel vostro mondo dove tutto è politicizzato, non c'è spazio per voi: a chi vi appoggiate? La destra non ha peso, non è ascoltata; il centro ha una sua religione da difendere, la sinistra è ufficialmente atea. Come pensate di essere ascoltati? E' una prospettiva alquanto sconfortante, dovete ammetterlo. Mi si obietterà che la scienza e la conoscenza del vivere di oggi, tutto insomma conduce l'uomo alla massima concretezza, razionalità e tradizionalità, eppure mai come oggi l'uomo si è sentito attratto dal misterioso e dall'irrazionale. E' vero, dovete convenire con me. L'interesse generale impedisce all'intelligenza dei tempi di porre una bella pietra tombale su quella che è la più deleteria di tutte le pazzie che abbiano afflitto l'umanità: l'occultismo. Ma voi che cosa avete da dare agli uomini, cari fratelli? Predire la loro buona ventura, scioglierli dalla loro mala sorte, uccidere i loro nemici? - perché questo, per l'uomo, è l`occultismo.

 

Vi guardo, fratelli, ed in voi vedo altri uomini, fuori da qui, preda dei sottili inganni della mente: Altri che soffrono, altri ancora - pochi invero - che hanno superato il dolore abbandonandosi alla ricerca del piacere. 

Parlo a quelli e dico: voi che vi siete liberati dai ceppi a cui il terrore della dannazione eterna e della sanzione temporale avvince, voi che credete che tutto sia lecito al più forte e perciò cercate di accaparrare quanto più potere vi è possibile, ascoltatemi. Parlo seguendo la vostra logica che è quella di valutare ciò che dovete fare per vedere se vi conviene; soffocando le giuste istanze di chi è uomo come voi e perciò ha gli stessi vostri diritti, uccidendo chi contrasta i vostri interessi, avversando chi segue l'inevitabile ed irrefrenabile moto di rinnovamento del mondo, che cosa credete di comperare? La vostra immortalità? Bene che vi vada, riuscirete a mantenere i vostri privilegi per la durata della vostra vita, che nessuno sa quanto breve sarà e che certo voi non avete il potere di prolungare. 

 

Voi non credete alla sopravvivenza dell'essere alla morie del corpo: io vi credo. Ma se per caso avessi ragione io, non vi chiedo che sarà di voi fra poco, dopo la vostra morte, ma vi invito a riflettere a quante lacrime dovrete versare prima d'imparare a non fare ciò che fate.

E parlo anche a quelli che si scandalizzano nel vedere prevalere la corruzione sulla rettitudine, il vizio sulla virtù, la facile menzogna sulla scomoda verità. Voi che vedete trionfare chi fa tutto quanto sapete non doversi fare, ascoltatemi: se è il timore che v'impedisce di imitare chi dite vi scandalizza, allora non temete, agite pure, date libero sfogo ai vostri desideri di conquista; finalmente imparerete il valore di ciò che sapete. Certo conoscerete lotte, affanni, amarezze; oh! farete soffrire e crepare d'invidia chi invidia come voi, ma sarete temuti e riveriti. Vi potrete permettere un bel funerale di lusso e forse anche un monumento alla memoria. Vi pare poco?

 

Se invece siete convinti della validità delle vostre opinioni, allora di che v'impicciate? Vivete secondo ciò che "sentite" e tanto vi basti. Siete ricchi di ciò di cui gli altri sono poveri e che non possono comprare.

A chi non è riuscito a realizzare le proprie aspirazioni di ricchezza, i propri desideri di potenza, dico: non questi l'uomo vive per realizzare, ma se stesso e la vera realizzazione e silenziosa ed invisibile.

 

Infine a voi che sopportate il peso della vostra esistenza modesta, nell'ombra e nell'altrui indifferenza, che fate il vostro dovere anche quando nessuno ve lo impone, che siete paghi di ciò che avete, comprendendo che una sola cosa è necessaria; che siete gli ultimi fra gli uomini non perché siete timorosi incapaci, ma perché avete compreso che nessuna ricchezza, nessuna notorietà, nessun potere valgono ciò che sta al di là, essi, io dico: un sottile velo separa la vostra consapevolezza dalla mia Realtà. Caduto quello, queste mie parole di speranza saranno la vostra vivida certezza, e ciò è più di ogni ricompensa.

 

Le leggi divine per la nascita spirituale

 

Questa sera continuerò un discorso che iniziai nello scorso ciclo di riunioni e che lasciai in sospeso con una domanda. Chiedevo: l'uomo è colpevole delle azioni che compie infrangendo la norma morale relativa al suo stadio di sviluppo individuale?

E' bene subito dire che è necessario, anzi indispensabile, sgombrare il terreno dal concetto della colpevolezza e della punizione, tanto caro alle religioni di tutti i tempi. L'idea che le sventure che colpiscono l'uomo siano un castigo di Dio, conseguente all'infrazione di qualche legge divina, è di origine prettamente umana. "Se farai una certa cosa non ne farai un'altra, male te ne incoglierà". Qual è stato il sistema con cui i governanti di tutti i tempi hanno cercato d'imporre le loro regole, se non quello di minacciare gli eventuali trasgressori con una sanzione?

 

Così gli uomini hanno creduto che Dio usasse, per imporre il Suo volere, lo stesso metodo che usa chi detiene il potere. Ma dovete convenire con me che sarebbe ingiusto che Dio punisse chi va contro la Sua legge, quando perfino gli uomini sentono il bisogno di far conoscere le loro regole prima di renderle operanti.

Il discorso muta dalle fondamenta se si toglie il concetto della colpevolezza, comunque ingiusto, ed ancora più ingiusto se la legge non è conosciuta. Dicevo comunque ingiusto perché le leggi non sono universali, come abbiamo visto nell'occasione precedente. Se - come affermiamo - lo scopo della vita dell'uomo è quello dell'evoluzione, allora la differenza che c'è fra un evoluto e un inevoluto, non sta nel fatto che l'evoluto conosce e quindi rispetta il volere di Dio, mentre l'inevoluto lo ignora e quindi non lo segue, non l'osserva; ma sta nel fatto che: l'evoluto ha una diversa natura, rispetto all'inevoluto. 

Sicché se certe leggi o regole esistono, debbono esistere per dare all'uomo una natura ultra umana, e non per punirlo se le viola. Perciò che siano conosciute o ignorate, possiamo rispondere che, di massima, non fa alcuna differenza; egualmente perseguono lo scopo per il quale esistono, che è quello di far evolvere l'uomo.

Per esempio, la famosa legge di causa e di effetto esiste egualmente, che l'uomo la conosca o la ignori, ed egualmente persegue lo scopo per il quale esiste. Guai se esistesse solo per chi la conosce! Ripeto: non si tratta che l'uomo debba astenersi dal fare qualcosa per cui sarebbe necessario che egli conoscesse che cosa gli è vietato, ma si tratta di ben altro.

 

Secondo alcune religioni, Dio crea le anime e poi nel mondo le collauda; quelle che superano la prova godono della Sua visione, le altre patiscono pene talvolta anche senza fine; colpevoli, in definitiva, d'essere un aborto della creazione divina. Noi affermiamo che la vita non è una prova, se mai è una scuola e che l'uomo - proprio perché vive e dalle varie vite - raggiunge livelli di coscienza sempre più ampi. Se allora lo scopo generale della vita dell'uomo è quello di fare evolvere l`uomo, e  ciò attraverso a varie tappe in cui prima impara a non fare agli altri quello che non vorrebbe fosse fatto a lui stesso, e poi a fare agli altri quello che vorrebbe fosse fatto a lui stesso, allora è chiaro che ogniqualvolta l'uomo indirizza se stesso contro lo scopo della sua esistenza, sorga un correttivo naturale; e questo è realizzato attraverso al famoso karma - che ormai tutti sapete che cosa sia - che non è un mezzo punitivo.

 

Se tu danneggi gli altri sarai danneggiato perché questo è un mezzo attraverso al quale, non solo tu impari a non danneggiare, ma acquisisci la natura di non danneggiare i tuoi simili. Non sto qua a ripetere tutto quello che più o meno conoscete a proposito del karma, anche se talvolta in modo impreciso.

 

Vedete, l'essere interiore di ognuno ha un suo ciclo naturale di sviluppo, né più né meno come tutte le cose naturali. Guardate il vostro corpo fisico: inesorabilmente invecchia, nonostante gli sforzi che taluni fanno. Voi state nascendo ad una fase successiva della vostra evoluzione individuale, paragonati alla quale siete come il feto nel grembo materno rispetto al fanciullo nato.

 

Dovete rendervi conto che l'uomo rappresenta il primo balbettio dell'essere, e se rappresenta così poco, nessuno può condannarlo.

Vi sentireste di condannare un fanciullo perché è tale? Di dargli una responsabilità perché non è maturo come un uomo? Eventualmente solo nell'ambito delle cose che il fanciullo deve imparare come fanciullo può essere valutato il suo indice di apprendimento. Solo nell'ambito della meta individuale che dovete raggiungere può avere senso una valutazione delle vostre esperienze.

 

Un selvaggio che avesse imparato a non uccidere, giudicato secondo le leggi della sua società che vogliono il nemico sterminato, sarebbe condannabile. Giudicato rispetto alla norma, alla meta della sua evoluzione, sarebbe encomiabile. Ma ancora giudicato rispetto alla meta del Santo, dell'amare gli altri come adesso amate voi stessi, sarebbe ancora condannabile perché, se è vero che chi ama gli altri come se stesso non uccide, non è vero il contrario... Un uomo della vostra società che dovesse imparare il senso del dovere e fosse alla prima fase dell'apprendimento, quando il senso del dovere diventa cecità, ed avesse supinamente seguito l'ordine d'inviare nei campi di sterminio migliaia di creature, sarebbe assolvibile purché non una sola volta avesse anteposto il proprio tornaconto al suo senso del

dovere, perché ciò starebbe a significare che l'invocato, a sua discolpa, senso del dovere, altro non era che un comodo alibi.

 

E chi è in grado di dare un giudizio così preciso? Sarebbe bello e di effetto rispondere: "Lo stesso interessato nell'aldilà". Ma così non è: nessuno può dare una natura che non abbiamo, se non l'evoluzione. "Ed allora?" - direte voi. "Allora - dico io - occorre abbandonare un altro falso concetto, il concetto del giudizio. L'idea che l'uomo nell'aldilà sia giudicato, è strettamente connessa al concetto della colpevolezza e della punizione e per essa valgono le stesse considerazioni che fin qui abbiamo svolte. 

Non si tratta che l'uomo debba essere giudicato, ma si tratta che l'uomo nasce spiritualmente e ciò avviene in modo del tutto naturale, senza bisogno di giudici e di giudizi". Consentitemi, a questo punto, di aprire una parentesi per spiegare, brevemente, le ragioni per cui ciò che afferma un'entità a proposito di un fatto da essa constatato, spesso è in contrasto con quanto afferma un'altra entità, sempre a proposito dello stesso fatto, con gran gaudio degli animisti, e con mal celata perplessità degli spiritualisti o degli spiritisti. 

 

Vedete, l'aldilà è una "brutta bestia". Molte entità credono che ciò che osservano, per il fatto stesso d'essere in una dimensione ultra fisica, sia la Realtà oggettiva. E non comprendono che anche la dimensione d'esistenza in cui sono, è soggettiva. Solo la Realtà assoluta è oggettiva, ogni altra dimensione è relativa e perciò soggettiva.

 

Se voi domandate ad un'entità, per esempio, chi è che sceglie la prossima sua incarnazione - supponiamo che sia un'entità che non ripeta cose udite dire, cioè che non bari, che sia abbastanza evoluta da vedere qual è la sua successiva incarnazione - ebbene novantanove su cento vi risponderà che nessuno la sceglie, ma che essa stessa l'ha scelta. Ora voi capite che un'affermazione di questo genere può essere vera, in un Cosmo perfettamente ordinato e non improvvisato, solo se chi sceglie fosse tanto evoluto e illuminato da conoscere e seguire l'ordine divino. 

Ma se lo Spirito, il Sè, l'Essere disincarnato avesse questa illuminazione - che diventasse oscuramento solo quando è incarnato - ditemi, fratelli, che cosa sarebbe l'evoluzione? Null'altro che un fatto formale. Badate bene, io non dico che il Sè, l'Ego, lo Spirito evolve, ma dico che ciò che è conosciuto con questi appellativi, è un complesso di stati di coscienza, l'uno apparentemente sfociante nell'altro, i quali sono realtà sempre meno limitate. Ora sarebbe assurdo che ad uno stato di coscienza limitato, ne seguisse uno illimitato con il solo scopo di far operare una scelta in armonia all'ordine divino, e che poi tutto tornasse come prima.

 

"Allora - direte voi - come nasce l'errore in certe entità, di credere che ciascuno sceglie la propria successiva incarnazione?".

E' molto semplice. Quando voi avete sete e decidere di bere, vi recate laddove avete la possibilità di togliervi la sete nel modo più rapido. Se qualcuno vi domanda chi ha deciso per voi di bere, voi risponderete che nessuno l'ha fatto e che voi stessi avete deciso così; non tenendo conto che questa decisione è il risultato di due fattori: da una parte la necessità d'acqua del vostro corpo, dall'altra la possibilità di togliervi la sete nel modo più rapido possibile. Così l'entità che dice di scegliere la prossima incarnazione, non si rende conto che al di là di ciò che le appare, sta la sua necessità evolutiva e la possibilità che ha l'ambiente che essa crede di avere scelto - quello e quello solo - di soddisfare la sua necessità. 

 

Ecco perché verso quello, si è sentita attratta, e quello crede di avere scelto. La legge di Dio - quando non si chiama karma doloroso - è così lieve che l'oggetto di essa non ne avverte il giogo. Solo chi può andare al di là di ciò che appare può cogliere il senso riposto delle cose; tuttavia non escludendo, in umiltà, che un altro senso ancor più profondo possa celarsi ai suoi occhi. 

 

Torniamo a noi. Se nella stagione propizia e in un terreno fertile ponete un seme vivo, il seme germoglia, ed automaticamente segue le leggi che regolano il suo sviluppo naturale, senza che vi sia bisogno di chi amministri o applichi quelle leggi. E come l'acqua scendendo da monte a valle segue la via di maggior pendenza, così in modo del tutto naturale e spontaneo, fra le varie leggi che regolano il ciclo di sviluppo individuale, si applica quella più adatta al particolare momento e caso.

 

Capisco che l'immagine della realtà da cui sia tolto l'umanissimo concetto di un Ente supremo che giudica e perdona ed interviene direttamente nelle vicende umane - anche se di rado e con scarsi risultati, visti gli effetti - contribuisca a fare di questa Realtà qualcosa di inesorabile. Ma come il corpo fisico dell'uomo vive, per lo spontaneo ed automatico svolgersi dei processi biologici, senza che la psiche dell'uomo ne sia turbata dall'automatismo in sé della vita biologica - ma, al contrario, lo sia quando questo automatismo venga meno - così la parte mortale dell'uomo vive per lo spontaneo operare delle leggi cosmiche.

 

Il fanciullo che si forma nel grembo materno segue un automatismo naturale, eppure il risultato di questo automatismo è un evento meraviglioso: una vita autonoma. Allo stesso modo l'uomo nasce spiritualmente in virtù delle leggi cosmiche che via via indirizzano, sostengono, correggono il suo sviluppare.

Esse vogliono il suo vero bene anche quando si chiamano dolore.

E qua è introdotto un argomento che vi preme particolarmente e che non è possibile esaminare in tutta la sua ampiezza questa sera. Perciò vi dico: stando così le cose, cioè senza chiedersi perché, che senso avrebbe un Ente misericordioso che togliesse il dolore della vita dell'uomo, quando solo il dolore è indispensabile in quel particolare momento e caso dell'esistenza individuale? Se una pianta avesse bisogno d'acqua e se il darle acqua significasse farla soffrire, sarebbe pietoso, per non farla soffrire, farla inaridire? 

Badate, io non dico che il dolore sia l'unico mezzo che fa evolvere l'uomo, ma dico che quando l'uomo si ostina a non comprendere, gli eccessi che egli compie richiamano su lui il correttivo naturale. A quel punto, dannoso sarebbe stornare dall'uomo quel naturale correttivo. Il dolore può essere evitato solo non muovendo le cause che lo provocano.

 

Ed ecco un'altra domanda che vi preme: "Come è possibile fare ciò, se non conosciamo le cause che muoviamo?". E' giusto che sia così, perché l'uomo deve agire non per paura di quelle che egli pensa possano essere le  conseguenze a lui dannose, ma perché è convinto che deve fare così, non per paura. Evolvere non significa cambiare l'atteggiamento esteriore e rimanere gli stessi nell'intimo, ma significa trovare una nuova natura, e da quella - se mai - cambiare il proprio comportamento.

Ciascun uomo, nella gioventù pensa di affermarsi nella vita, di diventare qualcuno; è così convinto di questo che pensa che tutti gli altri debbano vivere in funzione di lui stesso. Difficilmente riconoscerà che gli altri hanno gli stessi suoi diritti; anzi cercherà ogni pretesto per diversificarsi da loro e per potersi

ritenere così soggetto ed oggetto di un diritto speciale. In questa concezione egotistica, egli trascura, danneggia, calpesta gli altri che, come lui, si ritengono al centro del mondo. Poi vengono le prime constatazioni, le prime amarezze, le prime delusioni.

 

Il risultato di questo sarà o la reazione o la frustrazione, ma nell'uno e nell'altro caso, consapevole o no, ancora calpesta, danneggia gli altri che incontra nel suo cammino. Lo scopo della vita dell'uomo, però, è quello di fargli superare una concezione egoistica di se stesso e del suo mondo; perciò le cause che egli muove richiameranno su di lui degli effetti che a quel fine lo volgeranno, lo indirizzeranno. Certo una simile meta risulta incomprensibile ad un selvaggio; ma voi che qua siete intervenuti, che siete in grado di andare oltre problemi d'ordine strettamente materiale, siete in grado di capire la giustezza e la bellezza di questo scopo e verso quello indirizzarvi equilibratamente e misuratamente alle vostre forze. 

 

Perciò non vi diciamo: "Abbandonate tutto per servire gli altri", ché questo non corrisponderebbe né alla vostra natura, né a quello che finora ho detto; ma comprendere l'umanità degli altri, comprendere che nessuna società può sopravvivere se ciascun singolo si sente sovrano despota al centro del mondo, potete farlo. Allora cominciate da voi stessi: dal fare bene quello che siete chiamati a fare, non per arricchire o per emergere, ma perché siete convinti che quello è ciò che dovete fare. Tutto ciò vi sembra poco? Bene! Cominciate dal poco! Se non siete fedeli nelle piccole cose, chi vi affiderà le grandi?

 

Ancora poche parole per concludere. Quello che vi diciamo è quanto constatiamo: non pretendiamo che crediate vere le nostre parole solo perché noi le pronunciamo. Colui che pretende che gli altri credano vero o non vero solo ciò che lui stesso così definisce, evidentemente identifica se stesso con la Verità, ed altrettanto evidentemente ha un comportamento che è tipico nella paranoia, il che si commenta da solo.

 

Esaminare i concetti che vi esponiamo, giudicate se essi vi danno della Realtà un'immagine più o meno esplicativa di altre immagini. Obiettivamente a noi sembra ch'essi diano della vita non tanto un diverso significato, quanto un significato accettabile; vi riconcilino con il Divino che non appare più come un Ente misterioso per vocazione, che schiaccia gli uomini con la Sua immensità, per sollevare solo quelli che hanno la ventura d'indovinare come piacergli. Forse con l'ipocrisia? O con l'adulazione? Egli è il Vero creatore dell'uomo che tutti conduce a Sè, anche quelli che lo respingono. Questo concetto fa sentire nel seno di Dio fiduciosi, sicuri che al Suo cospetto non esistono privilegiati, né gli infelici hanno bisogno d'essere patrocinati.

 

Nel mondo che costruite, come i fanciulli castelli di sabbia, vince l'inganno, l'astuzia, la prepotenza. Chi si erige a difensore dei deboli e perciò degli sfruttati, lo fa per poi venderli in cambio di trenta denari di potere. Il più forte vince il meno forte, e a sua volta è vinto. Il debole cerca protezione dall'una o l'altra parte, creando una catena di dipendenza estremamente pericolosa. Ma quale prospettiva può avere un mondo così concepito, se non lo scontro frontale dei forti o la spartizione della Terra fra essi, che paralizza ogni aspirazione di rinnovamento dei singoli?

 

Se le nostre parole non vi convincono non ha alcuna importanza. Tuttavia non vien meno il vostro dovere ch'è il dovere di ogni uomo di chiedersi: "Ma è mai possibile che l'uomo viva solo per perdersi? E' mai possibile che la vita di molti sia nel migliore dei casi un continuo carnevale? E' mai possibile che la suprema aspirazione degli uomini buoni sia crescere figli? Che solo la mira del proprio guadagno e della propria affermazione induca l'uomo ad agire? Le opere più belle sono espressione della creatività dell'uomo, o dei suoi commerci? E' giusto ritenere produttivo solo ciò che dà un utile economico, quando le opere più belle e più utili spesso sono pessimi affari? E' mai possibile che il dolore sofferto da tanti o abbia il non senso della concezione atea, o serva a dimostrare a Dio che la Sua creatura è degna di Lui? E dov'è l'onniscienza divina? E' mai possibile che tante civiltà, crudeli e raffinate, guerriere o amanti delle Arti, siano finite nel nulla perché creazioni del caso, abbiano avuto come unico scopo quello di popolare l'inferno e il Paradiso? O piuttosto non sia che nei mille ripieghi, risvolti, problemi anche sciocchi di ogni forma di vita, nella lotta per la supremazia, nello squallore del proprio vuoto interiore, nel dolore, non nasca la convinzione di un nuovo essere? Che nella saturazione del proprio "io" egoistico, ognuno si convinca che la propria vita appartiene anche agli altri, primo atto di una serie che condurrà ad abbattere quelli che sono ritenuti i confini del proprio essere? Che questo nostro mondo dalle tragiche e confuse apparenze, altro non sia che un crogiuolo dove ogni essere nasce e dove ognuno indistintamente, nell'illusione, trovi in sé la coscienza che lo conduce alla Realtà? Questa è l'unica concezione che si concilia con il pensiero razionale e con le aspirazioni mistiche, senza che né l'uno né le altre debbano rinunciare a qualcosa. Perciò, nel lasciarvi, vi auguro che questa sia la vostra Verità.

 

Claudio

Esortazione a rinnovarsi

 

Oggi il mondo si trascina faticosamente perché l'uomo è schiavo dei propri pensieri, delle proprie idee, di ciò che ha creduto. Noi, figli vi esortiamo ad essere pronti ad abbandonare ciò che è frutto del vostro ragionamento per tenere la mente sempre duttile alla comprensione del nuovo. In questo modo ed in questa Verità, l'umanità di oggi potrebbe evitarsi tanta sofferenza. Ma l'uomo, per non abbandonare ciò che crede, accumula lacrime e soffre fino a che, esaurito per la disperazione, si libera dalle ideologie, dai sistemi di pensiero che lo hanno tenuto prigioniero fino ad allora, in modo violento ed errato. Non aspettate di aver accumulato lacrime e sofferenze fino all'esasperazione per abbandonare ciò che vi si richiede come in una piccola prigione. Siate disposti ad accogliere il nuovo per comprenderlo, per prendere quanto può esservi di buono e per scartarlo quando questo nuovo non costituisca un passo avanti, ma sia qualcosa che è il frutto di un errato ragionamento.

Così, per comprendere se stessi, figli e fratelli, occorre conservare la propria mente duttile, occorre essere disposti a porre in discussione l'intero vostro essere e quindi non solo ciò che voi pensate o ciò che è frutto del vostro ragionamento. Se da questa discussione, ciò che rappresenta il vostro patrimonio di idee si sarà solidificato, consolidato, bene; altrimenti siate pronti ad abbandonare ciò che rappresenta le vostre convinzioni per abbracciarne altre che siano nate da uno scrupoloso e profondo lavoro di costruzione e di vaglio, di cernita e di discernimento.

 

Il conformismo

 

Al fine di comprendere voi stessi, considerate quanto siate condizionati dai modelli che la società impone. Tale condizionamento vi spinge ad imitare quei prototipi e fa di voi degli apostoli, degli attivisti del conformismo. 

Il conformismo è così radicato nell'uomo di oggi che gli anti-conformisti sono degli spostati e chi non si conforma è considerato un anormale; per il timore del giudizio sfavorevole, della disarmonia in famiglia, vi conformate alle opinioni comuni, agli usi, ai costumi della società. La religione, la morale e la politica contano sul vostro conformismo. Conformandovi, esse sperano di condizionarvi e così sfruttarvi, perché il vero scopo di ogni organizzazione politica e religiosa è quello di sfruttarvi per divenire più influente e perciò più potente. A vostra volta, come ho detto, con i vostri silenzi, o peggio con il vostro ostracismo, con il giudizio sfavorevole verso gli anti-conformisti, divenite dei missionari del conformismo. Siate liberi, consapevoli che la forma acquista importanza laddove mancano i contenuti. Il vostro riconoscervi in un partito, in una religione, alimenta la separatività, la parzialità, incrementa il vostro conformismo.

 

Il conformismo impedisce all'uomo di agire secondo la sua vera natura, lo rende ipocrita, incapace di comprendere chi liberamente si esprime. Conformarsi alle idee altrui è uccidere la propria creatività.

Non crediate che io stia incitandovi all'anti-conformismo che è quasi sempre una moda; sto incitandovi a comprendere voi stessi; agire perché così va fatto denota vuoto interiore, così come andare contro le consuetudini sociali per destare l'altrui attenzione, significa volere imporsi agli altri e riconoscere di non avere altri talenti per poterlo fare altrimenti. Badate bene, io

non giudico alcuna condotta, ricerco solamente le ragioni, anzi vi spingo ad agire secondo ciò che "sentite", perché è lecito violentare se stessi solo per non danneggiare gli altri. Pace a voi! 

 

La successione degli stati di coscienza

 

Non di rado la conoscenza di una Verità porta l'uomo ad atteggiamenti errati nei confronti della propria esistenza. E' classico l'esempio dei popoli orientali che pur conoscendo molte Verità, si pongono passivamente verso la vita. Badate che questo non accada anche a voi. L'errore in cui potete incorrere può originarsi dalla naturale reazione ad un vostro precedente diverso modo di atteggiamento verso la vita; una differente valutazione che le vostre idee religiose vi davano di essa. Credere che la vita sia l'unica occasione che l'uomo ha per meritarsi un premio od un castigo senza fine, tiene - o per lo meno dovrebbe tenere desta l'attenzione dell'uomo verso problemi morali, più di quanto non induca a fare la convinzione che l'uomo viva più volte; cioè abbia più occasioni.

 

Invece credere che la liberazione dell'uomo giunga ad un dato punto delle incarnazioni umane, equivale a credere che esista un tempo oggettivo che regoli la cadenza degli eventi e che questi non possano accadere se non è trascorso il tempo dovuto. La successione degli stati di coscienza non è una successione temporale come voi la intendete, è una successione logica e pur essa è un'illusione. Lo stato di coscienza che corrisponde alla liberazione dell'uomo, non è regolato dal trascorrere del tempo che è un'illusione, ma è determinato dallo stato di coscienza immediatamente precedente nella successione logica.

 

Così è di tutti gli stati di coscienza. Lo scopo delle vostre esperienze nel tempo è quello di promuovere il raggiungimento di uno stato di coscienza successivo all'attuale nella sequenza logica. Ciò avviene attraverso ad un processo che comprende tre momenti: il porre attenzione, il rendersi consapevoli, il comprendere o assimilare. 

Se spontaneamente non ponete attenzione, non comprendete e non assimilate, penserà la vita con i suoi colpi a farvelo fare. Ma se non vi fosse questo correttivo naturale, l'intero calendario astronomico potrebbe trascorrere e la vostra illuminazione non giungerebbe. Al contrario, indipendentemente dal trascorrere del tempo - cioè anche in questo momento - se raggiungere la convinzione che la vostra vita non può né deve essere contenuta dal senso dell'"io", voi raggiungete la vostra liberazione, perché essa non è un evento del futuro; è sempre un'occasione del presente.

 

Continua