Materiali / Articoli |
DISCO-GRAFICA - (3)
LE DIVINITA' DI ABDUL MATI KLARWEIN
di Enzo Caffarelli (da Ciao 2001 n. 36 del 10 settembre 1972)
Il fenomeno delle copertine è un fenomeno tipicamente inglese. Questo tipo di arte nasce da esigenze che sono quelle dei nuovi gruppi inglesi, e si rivolge ad un mercato che in Europa assai più che in America tiene conto degli elementi discografici di contorno alla musica vera e propria. In America esistono bellissime copertine ed eccellenti confezioni (segnalo ad esempio quelle della Grunt, l’etichetta dei Jefferson Airplane), ma non possiedono una compartecipazione con il contenuto del disco, e sono piuttosto legate alla tradizione, come la foto a colori del gruppo a tutta pagina: anche se con colori più smaglianti, con albumetti interi, ecc. Una notevolissima eccezione è costituita da Abdul Mati Klarwein, uno strano personaggio dal nome arabo – ma potrebbe essere uno pseudonimo – che curato, fra le altre, le covers per i due più importanti dischi dell’ultimo Miles Davis, alcune fra le copertine di Buddy Miles, ed il secondo LP dei Santana, il 33 dei Last Poets. Mati ha portato una nota sudamericana, addirittura polinesiana ed orientale nelle sue immagini: è soprattutto il creatore di sensazioni primitive, remote, legate al culto della divinità ancestrale e alle forze della natura. Le sua preferenze vanno al popolo negro. Con Miles Davis, il trombettista negro, esiste una precisa correlazione fra suono e immagine: i giuochi cromatici di “Bitches brew”, il volto nero su fondo chiaro, e quello speculare bianco su fondo scuro, sono presumibilmente il simbolo di una unione: quella fra musica bianca e musica nera, fra rock e jazz, come taluni hanno voluto scorgere nel Davis ultimo periodo, quello iniziatosi due anni or sono circa. Tutta l’opera di Davis, che non è catalogabile, come non è catalogabile tutta la vera arte, parte e rimane in un ambito decisamente jazzistico, ma si arricchisce di una nuova ricerca che a livello estetico e sonoro si realizza attraverso un’amplificazione tipica del rock. Cosicché in un certo senso il jazz – musica dei negri – viene a congiungersi con il rock – musica dei bianchi -. In realtà questo atteggiamento è stato contestato dallo stesso trombettista, focoso razzista alla rovescia, deprezzatore senza mezzi termini dei musicisti e degli uomini bianchi; ma la presenza di un bianco come il prodigioso John McLaughlin al suo fianco, al quale è stato espressamente dedicato un intero brano di “Bitches brew”, nega palesemente la drasticità del suo giudizio. In Davis le copertine seguono dunque una loro linea precisa. Con Buddy Miles, il batterista degli Electric Frag, di numerose sessions, e di Jimi Hendrix nella band degli zingari, il discorso e differente. I disegni di Mati possiedono la forza vitale, la focosità travolgente,che è proprio nello stile del musicista, un vulcano in continua eruzione. E’ il tema di entrambe le figurazioni che si riferiscono a “Live” e a “Message to the people”. Qui come altrove le immagini di Abdul esprimono sensazioni forti, virili, e le loro forme sono pronunciate ed esasperate, come la donna sulla copertina di “Live/Evil”, o la stessa immagine di “Abraxas”. C’è nell’autore un amore per il popolo negro.
|