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La
mitica nave Argo era un'imbarcazione a vela e a remi (cinquanta), con
cui Giasone e gli Argonauti navigarono per recuperare il vello d'oro (vedi
Ariete). Prima dell'impresa, l'eroe incaricò Argo (da cui il nome
della nave) di costruire una poderosa nave di lungo corso (a detta di
Eratostene e Manilio, la prima nel suo genere: il primato effettivo è
invece da attribuire alla nave costruita da Danao), in grado di
resistere a tutte le insidie che un viaggio del genere avrebbe
comportato. Argo, con l'aiuto della dea Atena (per i Romani Minerva, la
dea della saggezza), protettrice della missione, la costruì nel porto
di Pagase (Tessaglia), utilizzando il legno ricavato dal Monte Pelio.
Atena ci aggiunse sulla prua una trave proveniente dall'oracolo di Zeus
a Dodona nella Grecia Occidentale: questa trave aveva il potere di
profetizzare e rincuorare gli animi. Terminata la costruzione della
nave, Giasone radunò i cinquanta eroi più valorosi, compresi Castore,
Polluce, Orfeo, lo stesso Argo e persino Eracle (Ercole) che interruppe
le sue fatiche per unirsi agli Argonauti; insieme quindi salparono alla
volta della Colchide. La nave affrontò con successo tutte le insidie
incontrate lungo il tragitto, resistendo alle tempeste più devastanti e
mantenendo una velocità elevata. Una delle prove più dure che la nave
dovette sostenere fu quella delle Cozzanti Rupi, o Simplegadi, poste a
guardia dell'entrata del Mar Nero: esse consistevano in una sorta di
porta a due ante rocciose scorrevoli che si chiudevano al passare di
qualsiasi cosa gli capitasse in mezzo, schiacciandola e distruggendola.
Poco prima di arrivarci, gli Argonauti liberarono una colomba e la
lasciarono volare verso le Rupi che al suo passaggio si chiusero
all'istante tranciando la coda del volatile, che comunque riuscì a
cavarsela. Nel preciso momento in cui le Rupi cominciarono a riaprirsi,
gli Argonauti remarono di gran lena per oltrepassarle e riuscirono
nell'intento perdendo solo la mascotte posta a poppa, schiacciata dalle
Rupi che, tornate nella posizione di partenza, si richiusero
prontamente. Argo divenne quindi l'unica imbarcazione che riuscì a
superare questo insormontabile ostacolo e le Rupi, dopo il suo
passaggio, non si chiusero più. La nave giunse nella Colchide dove
Giasone recuperò il vello d'oro e lo riportò indietro in Grecia,
navigando lungo un percorso alternativo. Infine l'eroe a Corinto tirò
in secco la nave e ne fece un monumento, dedicandolo al dio Poseidone
(per i Romani Nettuno, il dio del mare).
In cielo la nave è visibile solo nella sua parte posteriore: la prua,
secondo gli antichi cartografi, scomparirebbe dietro un banco di nebbia
o tra le cozzanti Rupi (come ci racconta Arato). Si dice poi che Giasone
in vecchiaia tornò a Corinto e salì sulla nave in secca per ricordare
le sue imprese, ma il suo legno era ormai marcio e, non reggendo il
peso, crollò uccidendo l'eroe. Poseidone quindi ne immortalò i
frammenti in cielo.
L'enorme costellazione della Nave Argo fu poi suddivisa per comodità in
tre parti (Carena, Poppa, Vela) dall'astronomo francese Nicolas Louis de
Lacaille nel diciottesimo secolo.
La stella più luminosa delle costellazioni della Nave Argo, nonché la
seconda più luminosa in tutta la volta celeste, è Canopo, che prende
il nome dal timoniere di Menelao. Al ritorno da Troia la flotta del re
greco fu trascinata da una tempesta sulle rive egizie, dove Canopo morì
morso da un serpente. Quindi in suo onore gli venne consacrata una
stella e venne costruito un monumento funebre dove nacque la città di
Canopo, l'attuale Arabi Abukir.
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