La Chiesa Nel Rinascimento

Bramante e Leonardo a Milano

L’attività di Bramante a Milano iniziò nel 1482 con la ricostruzione della chiesa di Santa Maria presso San Satiro, cui seguirono l’abside di Santa Maria delle Grazie, i chiostri di Sant’Ambrogio, oggi sede dell’Università Cattolica, e gli affreschi degli uomini illustri di casa Panigarola, oggi a Brera. Negli stessi anni a Leonardo da Vinci – chiamato alla corte sforzesca da Ludovico il Moro – vennero commissionati la Vergine delle Rocce, il monumento equestre a Francesco Sforza (mai realizzato) e il Cenacolo. Ma a Milano il Rinascimento aveva esordito circa quindici anni prima nella cappella Portinari in Sant’Eustorgio, affrescata da Vincenzo Foppa.

L’esordio dell’arte rinascimentale a Milano, un po’ compromissorio, è dato dal rifacimento, a partire dal 1462, del palazzo Barbò in via dei Bossi, donato nel 1455 da Francesco Sforza a Cosimo de’ Medici come sede del Banco Mediceo, rifacimento curato dal procuratore mediceo Pigello Portinari e viene attribuito dal
Vasari a Michelozzo. Perduto (salvo un cortiletto interno) il palazzo, che dai disegni appare decorativamente fermo all’ambito solariano-filaretiano, ne rimane solo il pastiche lombardo-toscano del portale, trasferito nei Musei del Castello. Rinascimento vero, nella tipica versione “naturalistica” lombarda di uno spazio-atmosfera ben diverso dall’astrazione metrica fiorentina, era quello degli affreschi di Vincenzo Foppa nello stesso palazzo, dei quali è solo superstite un frammento nella collezione Wallace di Londra. Il parallelo, di tempi e di forme, è costituito dalla cappella funebre dello stesso Pigello Portinari (che è anche il fondatore della villa Mirabello), innestata sull’abside di Sant’Eustorgio e dedicata a San Pietro martire, in cui nel Settecento fu portata dalla chiesa l’arca del santo. Nel 1466-68, sotto la ghirlanda di angeli in cotto anch’essa toscano-lombarda, Foppa affrescò il suo capolavoro milanese, le storie di San Pietro martire. Successivi di un ventennio sono gli altri affreschi, fra cui il mantegnesco Martirio di San Sebastiano, staccati da Santa Maria di Brera e oggi nella Pinacoteca braidense.

Una vera corte rinascimentale – con letterati-umanisti, scienziati come Luca Pacioli, musicisti come Jasquin des Près e Franchino Gaffurio – si forma solo con Ludovico il Moro, che peraltro mantiene, per tanti lati di comportamento e di costume, la “lussuosa” tradizione ducale; formalmente solo “tutore” del nipote Gian Galeazzo Maria Sforza dal 1479 (duca a pieno titolo dopo la sua morte nel 1494), è lui, subito, a introdurre a Milano prima Bramante e poi Leonardo.

Bramante inizia nel 1482 la ricostruzione di San Satiro (la cui facciata incompiuta, curata dall’Amadeo su suoi disegni, fu vittima anch’essa dei rifacimenti del tardo Ottocento) e l’erezione della sua sagrestia-battistero, con la collaborazione plastica dell’Amadeo e del De Fondutis; nel 1492 (secondo una tesi, però, scarsamente documentata e non condivisa da tutti gli storici dell’arte) erige la tribuna e la cupola terminali di Santa Maria delle Grazie, e lavora ai suoi chiostri; nello stesso anno avvia il chiostro della Canonica sul fianco sinistro di Sant’Ambrogio, compiuto solo nel lato d’appoggio, bombardato nel 1943 e ricostruito; nel 1497 dà inizio ai grandi chiostri sul lato destro, due completati nel Cinquecento e oggi sede dell’Università Cattolica.

Il modello bramantesco è fondamentale per l’architettura milanese dei primi decenni del Cinquecento, specialmente ecclesiastica; ma anche nell’ambito profano il suo influsso appare già evidente nella casa Fontana Silvestri, fra San Babila e porta Orientale (oggi nel tratto iniziale di corso Venezia), che era decorata da suoi affreschi (frammenti decorativi nei Musei del Castello). L’opera pittorica più significativa di Bramante sono gli Uomini illustri, staccati dalla casa Panigarola in via Lanzone e oggi a Brera, essendo più probabilmente riferibile all’astro nascente del Bramantino l’affresco con la figura di Argo nella sala del Tesoro alla Rocchetta del Castello; in entrambi i casi è evidente la penetrazione tematico-simbolica della cultura umanistica.

Leonardo, “ingegnere” e cortigiano per Ludovico (autore o ispiratore di ritratti di corte), riceve la sua prima grande commissione pittorica nel 1483 dalla
confraternita dell’Immacolata Concezione in San Francesco Grande: la Vergine delle Rocce. Non realizzato il monumento equestre a Francesco Sforza il cui grande modello fu distrutto dai Francesi di Luigi XII dopo la caduta del Moro, la fondamentale commissione ducale a Leonardo fu, nell’ultimo decennio del secolo, l’affresco dell’Ultima cena nel refettorio di Santa Maria delle Grazie, la chiesa privilegiata da Ludovico, fronteggiato dall’affresco della Crocifissione del conservatore Donato da Montorfano.

Al di là dei due vertici, la cultura dei tempi del Moro è più complessa. Tipica, nella sua commistione di tipologie leonardesche, echi bramanteschi e ferraresi, conservatorismo di sfarzi aurei, è la pala della Madonna e santi commissionata dal duca nel 1494 (a un artista che, rimasto sconosciuto, è oggi chiamato Maestro della Pala Sforzesca) per Sant’Ambrogio ad Nemus e attualmente a Brera. Vi lasciano traccia anche le diverse istanze del Rinascimento settentrionale, padovane-ferraresi, rappresentate da Butinone e Zenale, il cui capolavoro milanese sono gli affreschi del 1490-93 nella cappella Grifi di S. Pietro in Gessate, con storie di Sant’Ambrogio. Continua, e continuerà nel secolo successivo, la tradizione delle industrie suntuarie, specie quelle tessili, e in tale ambito rientrano ormai anche le splendide armature da torneo e da parata dei Missaglia.

 

 

Guida d’Italia. Milano, Touring Club Italiano, Milano1998.