Il Letterato Della Seconda Metà Dell' Ottocento... ZOLA

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  Emile Zola e l'affare Dreyfus

 

Il 13 gennaio 1898 il quotidiano parigino "L'Aurore" pubblicò una lettera aperta di Emile Zola indirizzata Al signor Félix Faure, presidente della Repubblica, nota con il più famoso titolo: J'accuse. Pur essendo già stata pubblicata, insieme ad altri suoi scritti sull'affare Dreyfus in un opuscolo distribuito per le vie di Parigi, Zola ritenne necessario pubblicizzarla maggiormente, sperando che da un tale aperto e pubblico atto di accusa ne derivassero importanti conseguenze politiche e processuali. Zola accusa esplicitamente il comandante du Paty de Clam, che, con il tacito assenso dei più alti gradi dell'esercito traviati da vergognosi pregiudizi antisemiti e da un malsano senso dello spirito di corpo, ha macchinato un atto di accusa completamente inesistente ai danni dell'incolpevole Dreyfus. Il celebre romanziere continua la sua accorata lettera aperta analizzando passo passo la seconda fase del caso: la scoperta del vero colpevole – l'ufficiale Esterhazy – fatta dal capo dell'ufficio informazioni dell'esercito, il tenente colonnello Picquart; e, nonostante questo, la sua assoluzione davanti alla Corte Marziale e di conseguenza, la nuova paradossale condanna di Dreyfus.

 

 

 

 

Signor Presidente, 
permettetemi di prendere a cuore la vostra giusta gloria e di dirvi che il vostro nome è minacciato dall'onta più vergognosa e incancellabile? 
Voi siete uscito indenne da basse calunnie, avete conquistato il cuore di tutti [...], ma che macchia di fango sul vostro nome quell'abominevole affare Dreyfus! Un consiglio di guerra ha avuto il coraggio di assolvere, perché glielo hanno ordinato, Esterhazy: supremo schiaffo sul viso della verità e della giustizia! È finita: la Francia porta sul viso il segno di quello schiaffo, e la storia scriverà che sotto la vostra presidenza si è potuto commettere un simile crimine sociale. Ma dal momento che altri hanno osato, oserò anch'io. La verità, la dirò, perché ho promesso di dirla se la giustizia, come al solito male amministrata, non dovesse farla, piena e completa. Ho il dovere di parlare, e non voglio diventare loro complice. Le mie notti sarebbero un solo incubo al solo terribile pensiero di un innocente che sconta tra i tormenti crudelissimi una colpa che non ha commesso. 
Ed è di fronte a voi, signor Presidente, che urlerò quella verità, con tutte la forze che mi da la mia ribellione di uomo onesto. Per il vostro onore, sono convinto che non sappiate come stiano in realtà le cose. Ed a chi potrei denunciare la turba perniciosa dei veri colpevoli, se non a voi che siete il primo magistrato del paese? [...] 
Io dichiaro semplicemente che il comandante du Paty de Clam, incaricato delle indagini sul caso Dreyfus, è, per quanto riguarda le date e le responsabilità, il maggior colpevole dell'errore giudiziario che è stato commesso". 
[...] Ma come abbiamo potuto sperare che un consiglio di guerra disfacesse ciò che un consiglio di guerra aveva fatto? 
[...] Essi hanno emesso una sentenza iniqua, che peserà per sempre sui nostri consigli di guerra, che getterà l'ombra del sospetto su tutti i loro verdetti. 
[...] D'altra parte l'ho già dimostrato: l'affare Dreyfus era il caso del ministero della Guerra, un ufficiale di Stato Maggiore denunciato dai suoi colleghi di Stato Maggiore, condannato dietro le pressioni dei capi di Stato Maggiore. Lo ripeto ancora una volta: egli non può essere riconosciuto innocente senza che sia denunciata la colpevolezza dello Stato Maggiore, [che ha] hanno coperto Esterhazy unicamente per perdere una seconda volta Dreyfus. [...] 
Che sconforto vedere quella verità, quella giustizia, che abbiamo così ardentemente desiderato, conculcate, oltraggiate e misconosciute! [Ma] lo ripeto con la convinzione più profonda: la verità è in cammino e nulla la fermerà. L'affare ha inizio soltanto oggi, poiché soltanto da oggi la posizione di ciascuno è ben definita: da una parte i colpevoli i quali non vogliono che si faccia luce; dall'altra gli uomini giusti che darebbero la vita perché luce fosse fatta. L'ho già detto in altra sede e lo ripeto qui: quando si seppellisce la verità, essa si comprime ed acquista una tale forza esplosiva, che il giorno in cui avviene la deflagrazione fa saltare tutto. Ed allora si vedrà se non si è preparato, per un domani, un disastro che farà enorme scalpore. 
Ma questa lettera è ormai troppo lunga, signor presidente, ed è tempo che concluda. 
Io accuso il luogotenente-colonnello du Paty de Clam di essere stato il diabolico artefice dell'errore giudiziario, inconsapevolmente voglio credere, e di avere poi difeso questo errore per tre anni, con le macchinazioni più assurde e più colpevoli. 
Io accuso il generale Mercier di essersi reso complice, sia pure per debolezza, di una delle più nere iniquità del secolo. 
Io accuso il generale Billiot di aver avuto in mano le prove certe dell'innocenza di Dreyfus e di averle sottratte alla giustizia; di essersi reso colpevole del crimine di lesa umanità e di lesa giustizia, per uno scopo politico e per salvare lo Stato Maggiore compromesso. 
Io accuso il generale Boisdeffre ed il generale Gonse di essersi resi complici dello stesso crimine, l'uno certamente per clericalismo, l'altro forse per quello spirito di corpo che fa degli uffici del ministero della Guerra l'arca sacra ed intoccabile. 
Io accuso il generale de Pellieux ed il comandante Ravary di aver condotto un'inchiesta scellerata, intendo cioè un'inchiesta della più mostruosa parzialità, che nel rapporto del secondo rappresenta un momento di ottusa audacia. 
Io accuso i tre esperti calligrafi, i signori Belhomme, Varinard e Couard, d'aver stilato rapporti menzogneri e fraudolenti, a meno che un esame clinico non li dichiari affetti da malattia mentale e della vista. 
Io accuso il ministero della Guerra di aver condotto, a mezzo stampa una campagna abominevole per fuorviare l'opinione pubblica e coprire il loro errore. 
Io accuso infine il primo consiglio di guerra di aver violato il diritto condannando un accusato in base ad un documento rimasto segreto, ed accuso il secondo consiglio di guerra di aver coperto questa illegalità, conformemente agli ordini ricevuti, commettendo a sua volta il crimine giuridico di assoluzione cosciente di un colpevole. 
Indirizzando queste accuse non ignoro di poter essere incriminato [...] e mi ci espongo volontariamente. 
Quanto alle persone che accuso, io non le conosco personalmente, non le ho mai viste, non nutro nei loro confronti né odio né rancore. Esse sono per me soltanto delle entità, malfattori sociali. L'atto che ho qui compiuto è unicamente un mezzo rivoluzionario per affrettare l'esplosione della verità e della giustizia. Amo soltanto una cosa: la luce, in nome dell'umanità che ha già tanto sofferto e che ha diritto alla felicità. 
La mia vibrante protesta è solo il grido della mia anima. Che osino condurmi dinanzi alla Corte d'Assise e che l'inchiesta sia condotta alla luce del sole! 
Aspetto. 
Vogliate accettare, signor presidente, i sensi del mio più profondo rispetto.