Circolo Culturale Albatross: Susanna Tamaro
Intervista



Il numero di Famiglia Cristiana che contiene l'intervista a Susanna Tamaro

 



Susanna Tamaro

 



La copertina del libro

 

Susanna Tamaro, fotografata in montagna durante le pause dell’intervista
per Famiglia Cristiana.

 

Nata a Trieste nel 1957, la scrittrice vive in un casale a Orvieto.

 

Altra immaginedi Susanna Tamaro, fotografata in montagna
durante le pause dell’intervista per Famiglia Cristiana.

(foto di Albino Scalcione)

 

 

 

"Riscopriremo il senso della vita, chi siamo e dove andiamo, soltanto se sapremo di nuovo guardare con occhi di bimbi. Se sapremo stupirci per la bellezza e la gioia del creato e sentirci parte del popolo delle Beatitudini evangeliche, accogliendo in noi la forza del perdono e della riconciliazione, facendo scelte coraggiose e controcorrente, accettando la fatica del sacrificio. Quando vado nelle città e cammino fra la gente, guardo gli occhi delle persone che incontro e vi leggo uno straniamento, una follia che mi fa stare fisicamente male. Vorrei con questo mio libro aprire delle finestre, dare la possibilità di riflettere sulla vita e sulla morte, sulle responsabilità che dobbiamo assumerci. Spero di turbare le coscienze, perché possano migliorare il loro rapporto con l’esistenza"

 

 

Un’opera amara, persino crudele, che non tace nulla delle brutture della società. «Voglio aprire squarci sul mondo», dice la scrittrice, «turbare le coscienze, perché possano migliorare il loro rapporto con l’esistenza». E con Dio, al quale Susanna si è riavvicinata: «Sono tornata alla fede che avevo da bambina. E per scrivere, cioè per comunicare con gli altri, sono diventata una specie di monaca di clausura».

È serena e appagata Susanna Tamaro. Il suo nuovo libro Rispondimi, pubblicato da Rizzoli, le ha ridato quella serenità che le incomprensioni e le polemiche sorte attorno al precedente Anima Mundi le avevano tolto. Il successo strepitoso di Va’ dove ti porta il cuore ne ha fatto la scrittrice italiana più letta e più amata. Un «caso letterario» che ha turbato le acque stagnanti della nostra narrativa e colto tutti di sorpresa. A cominciare dalla stessa autrice, che lo aveva scritto «come un romanzo di passaggio», per concedersi «un momento di pausa e di distensione narrativa».

Ma la celebrità ha le sue spine, può anche diventare un calvario. Me lo conferma Susanna nel piccolo soggiorno di montagna foderato di legno e di libri, dove ha scritto alcuni dei suoi racconti, mentre fuori nevica e nel cielo lame di luce cercano di rompere la cappa plumbea delle nubi. Me ne parla con quella pace del cuore che rende più trasparenti i suoi occhi chiari e le accende un sorriso che trasmette subito calore e amicizia: «Dopo Anima Mundi ero entrata in una grande crisi. Soffrivo molto per le aggressioni verbali e le maldicenze di cui ero stata oggetto. Mi sentivo come un’invalida, ero convinta che non sarei riuscita più a scrivere. Sapevo che cosa volevo, ma non trovavo la voce letteraria per esprimermi. Per due anni ho vagato nel limbo. Poi d’improvviso, l’estate scorsa, tutto si è chiarito. Il libro in poche settimane è fluito come una sorgente, con un flusso ininterrotto. Avevo ritrovato la voce giusta».

Il «piccolo miracolo», come Susanna lo definisce, è avvenuto nel casale, alle porte di Orvieto, che aveva acquistato per poche lire prima di diventare famosa e che ha trasformato in una fattoria dove, fra gli ulivi, vivono cani, gatti, capre, galline, cavalli, e dove accoglie gli amici che vengono a condividere il silenzio di una terra che trasuda spiritualità e dolcezza. Lì ha trovato quella quiete che tanto cercava e che un giorno aveva incontrato nel kibbutz di un piccolo paese della Galilea, raggiunto per trascorrere un periodo di solitudine che, «a contatto diretto con i luoghi del cristianesimo e le proprie radici ebraiche, l’aiutò a rifondare le basi della vita, a rinascere».

Non è stata facile la vita di Susanna Tamaro. La separazione dei genitori poco dopo la nascita, difficoltà personali e familiari, momenti bui che l’avvolgevano come un sudario. Per fortuna c’era quella splendida nonna che ha ispirato Va’ dove ti porta il cuore, e che ha lasciato nella bimba segni profondi: «Era un personaggio straordinario, di quelli che illuminano le famiglie e le generazioni. Aveva sposato un uomo del quale era innamorata, però non avevano molto da dirsi. Lui era un ciociaro, veniva da Subiaco, era rimasto un pastore, un contadino, senza voli culturali. Lei era una donna molto inquieta, spiritualmente complessa: si è convertita alla pratica religiosa a metà della sua esistenza, a cinquant’anni, e da allora in poi ha avuto un’intensa vita spirituale. Tutto questo mi ha molto influenzata: da bambina andavo a Messa con lei. Era l’unica persona religiosa, credente e praticante della famiglia».

Sono stati questi percorsi esistenziali dolorosi che hanno maturato nella giovane ragazza di Trieste, andata a vivere sola a Roma, quella esigenza etica che sarebbe diventata la base di tutta la sua ricerca narrativa e che le fa vivere la scrittura come una chiamata monacale: «Uno scrittore ha oggi una grandissima responsabilità, più che in altri tempi. La pagina scritta è l’ultimo angolino in cui una persona si ritrova in silenzio a confrontarsi con sé stessa. Per me, scrivere è comunicare, mettersi in contatto con il lettore nella sua intimità. Ma tutto questo richiede uno sforzo di concentrazione che consuma, esige il silenzio attorno a te e in te. Quando ho scelto di dedicarmi alla scrittura, ho capito che avrei dovuto rinunciare a molte cose, anche ad avere una famiglia, dei figli. Sono diventata una specie di monaca di clausura che per creare i suoi personaggi deve fare una vita appartata, lunghe passeggiate solitarie, molta meditazione. Deve chiudersi al mondo esteriore per poter vivere con più pienezza e profondità quello interiore. I narratori dell’Ottocento vivevano così, mi sento di appartenere a quell’epoca».

Raccontare per trasmettere un progetto di vita, per aiutare a riflettere, perché le persone si confrontino con domande che spesso hanno paura di farsi. Scrivere storie che fermentino nell’anima e permettano di vedere la realtà che ci circonda con occhi veri, di andare al di là delle apparenze per incontrare significati e valori essenziali. Praticare la semplicità come virtù evangelica e categoria intellettuale. Essere fedeli a quel rigore stilistico e a quell’adesione alla parola che diventa verbo incarnato nella vita quotidiana. Senza lasciarsi distrarre dalle sirene delle mode letterarie e della mondanità. È la poetica di Susanna Tamaro che le ha conquistato milioni di lettori e lettere che le giungono da tutto il pianeta e da ogni ambiente, compresi quelli religiosi, dove anche suore, claustrali, preti, cercano un dialogo con lei; e dove, con il cardinale Carlo Maria Martini, di recente, ha tenuto una lezione sul tempo per la Cattedra dei non credenti.

Anche quest’ultima opera («I miei romanzi sono uno la prosecuzione dell’altro, sono come incastrati, l’uno completa l’altro») è stata guidata da questi passi: «Volevo scrivere un libro che dimostrasse come anche nelle situazioni più buie può arrivare la luce, come ci sia sempre la possibilità di una salvezza che viene dall’alto».

E così, Rispondimi è un unico dramma in tre atti e tre storie. Un libro per tanti versi terribile e crudele, a tratti ironico («Mi piace molto l’ironia, mi serve per prendere moralmente le distanze dalla materia aspra che tratto»), ma anche un cammino verso il riscatto e la speranza. Lo apre una frase del Vangelo di Giovanni (15,9), «Rimanete nel mio amore», che ne diventa il filo d’Arianna che riesce a condurre fuori dal labirinto abitato dai «mostri» della società consumistica, dalle violenze sui bambini, dalle ipocrisie di chi vende l’anima per denaro, dal vuoto di una società in cui le persone non vivono più ma, incalzate da frustrazioni, nevrosi, ossessioni, tradimenti, si trasformano, come ne La metamorfosi, di Kafka in scarafaggi ripugnanti. «Potrà sembrare un libro spietato, ma non ho fatto che guardarmi attorno e raccontare le crudeltà di cui ogni giorno siamo spettatori: purtroppo la realtà supera di molto la fantasia».

Un libro di domande. «Ci guida Qualcuno o siamo soli?». «Rispondimi», chiede Rosa, la giovane protagonista del primo racconto che dà il titolo all’opera, al vecchio cane che assiste alla sua disperazione di bambina e poi di adolescente, tallonata dalla sofferenza, dalla grettezza degli adulti, dalla insensibilità di un mondo che ha tradito l’infanzia. Orfana di una prostituta, la sola ad averle dato amore, non ha fatto che porsi delle domande: sull’amore, sulla vita e sulla morte, sul bene e sul male, sulla solitudine dell’uomo, sulla libertà e sul destino umano, su Gesù. Ma nessuno ha saputo o voluto darle delle risposte. Le uniche che ha ricevuto sono state la sopraffazione e lo stupro.

Sussurra con dolore Susanna: «L’offesa che ogni giorno e nei modi più subdoli facciamo ai bambini mi strazia. Abbiamo sottratto loro tutto, l’innocenza, la poesia, lo stupore, salvo poi innondarli di benessere e doni inutili. È uno scandalo terribile la distruzione programmatica che facciamo delle loro anime, che abbiamo privato di ogni sorgente di bene e di vera gioia. Ma nessuno lo dice e si continua in un genocidio spirituale e generazionale». Lei lo dice. A costo di essere provocatoria. Di passare attraverso la crudeltà dei nostri tempi per dare voce a chi non ce l’ha, per fare esplodere gli orrori quotidiani ai quali abbiamo fatto l’abitudine.

L’inferno non esiste è il titolo del secondo capitolo della trilogia, storia di una coppia di oggi dove il marito, che crede soltanto nella scienza moderna e concepisce il matrimonio come un contratto che gli dà ogni potere sulla moglie, diventa un aguzzino, una sorta di divinità distruttrice, l’emblema del male che non si ferma dinanzi a nulla. Dice la Tamaro: «Un noto teologo ha detto che l’inferno non esiste. Non l’accetto, non vorrei proprio, nell’al di là, trovarmi accanto a Stalin o a Hitler. Sarebbe più giusto dire che si è trasferito sulla Terra. Come scrive la protagonista del mio secondo racconto, trascinata dal marito in un abisso di odio, "l’inferno è attualmente vuoto perché tutti i diavoli, di ogni gerarchia, ormai scorrazzano sulla Terra". Proprio guardando quest’inferno che c’è attorno a noi ho capito che senza l’amore per Cristo la vita diventa una bolgia infernale. Un tempo c’erano più semplicità e genuinità, oggi, complice la televisione, abbiamo deturpato il volto dell’individuo e delle cose. Stiamo violando l’universo, vogliamo modificare il Dna. Questo significa alterare il pensiero di Dio, minare la creazione nelle sue fondamenta. Gli interventi sulle piante e sugli animali sono una progettazione diabolica della distruzione della vita, che si riversa su tutti perché tutte le creature fanno parte di un unico progetto. C’è una follia totale che sta sommergendo il nostro pianeta. L’uomo crede di poter superare ogni limite, decidendo, con l’eutanasia, anche l’ora della morte, un passaggio che appartiene al mistero e che non possiamo scavalcare».

Già, la morte. Una realtà che oggi cerchiamo di cancellare e che invece nei libri della Tamaro è centrale. Fa parte integrante della vita, è accompagnata dal sapore e dagli odori, dai colori legati agli affetti più cari, dai rumori di quel vento che conforta l’anima e viene da misteriose dimensioni.

Dice ancora Susanna: «Sento i miei morti vicini, mia nonna, mio padre che sono felice di avere seppellito in un piccolo cimitero di campagna, dove vado ogni settimana a trovarlo. Non saprei spiegare questa sensazione quasi fisica della loro presenza, suggellata nel mistero della morte, ma la percepisco in ogni momento. Non accettare la morte è una delle cause del nostro dissesto».

Una morte illuminata dalla speranza nella Risurrezione, dall’incontro con un Gesù che non è un’idea astratta, un rito, ma il Salvatore, l’inizio e la fine di tutto. Con un Dio, luogo da cui veniamo e dove un giorno ci riuniremo, «misericordia amorosa che ci guida nel cammino», come scrive alla mamma il giovane Michele, l’innocente vittima sacrificale dell’Inferno non esiste, ucciso dal padre.

Non ha timore la laica Tamaro di invocarlo ad alta voce, questo Gesù, e d’invitare ad abbandonarci nelle sue braccia come neonati, di spogliarci dei nostri orgogli e pregiudizi, per lasciarci avvolgere dalla sua Luce.

Negli ultimi anni, la vita interiore della scrittrice si è arricchita, «sia per un processo naturale legato all’età, sia nell’incontro con personaggi che con la loro grandiosità spirituale mi hanno dimostrato quanto la fede autentica permetta di vivere nella libertà e nel coraggio. Come il peccato sia soprattutto una sottrazione alla nostra ricchezza umana, un impoverimento. Da piccola avevo una grandissima fede, ero una bambina mistica. Poi sono sopraggiunti tanti problemi e mi sono allontanata dalla pratica cristiana, anche se sono rimasta credente. Dopo un momento di dolore e di sofferenza, sono ritornata a quella mia fede infantile che era rimasta lì, come addormentata e mi aspettava. Mi sono anche riavvicinata alla Chiesa. Ma proprio perché me ne sento parte, faccio spesso fatica ad accettarne certe zone oscure che come sempre si manifestano».

In questa luce della fede, anche il dolore assume una connotazione rivoluzionaria; diventa, dice Susanna: «Un dono, perché ci permette di maturare nel profondo della nostra vita. Bisogna accoglierlo, però, questo dolore, farlo germinare. Se lo rifiutiamo diventiamo un muro contro un muro. La sofferenza ci vuole sempre dire qualcosa di nuovo, di molto importante per crescere».

Tutti e tre i racconti di Rispondimi sono attraversati dal dolore. Nell’ultima vicenda, Il bosco in fiamme, la sofferenza della natura si mescola con quella delle persone.

La morte di Anna, che il marito uccide perché ossessionato dai fantasmi della gelosia e da quella confusione mentale che corrode le menti di chi non sa interrogare l’Eterno, si consuma insieme a quella del bosco, colpito da un misterioso male che nessuno riesce a guarire.
Ma anche in questa storia dominata dall’invidia, dall’ipocrisia, dalla ottusità e dalle tante maledizioni dei nostri tempi, si risale dalle tenebre verso la luce dirompente delle Beatitudini.

Accorata, dice Susanna: «Riscopriremo il senso della vita, chi siamo e dove andiamo, soltanto se sapremo di nuovo guardare con occhi di bimbi. Se sapremo stupirci per la bellezza e la gioia del creato e sentirci parte del popolo delle Beatitudini evangeliche, accogliendo in noi la forza del perdono e della riconciliazione, facendo scelte coraggiose e controcorrente, accettando la fatica del sacrificio. Quando vado nelle città e cammino fra la gente, guardo gli occhi delle persone che incontro e vi leggo uno straniamento, una follia che mi fa stare fisicamente male. Vorrei con questo mio libro aprire delle finestre, dare la possibilità di riflettere sulla vita e sulla morte, sulle responsabilità che dobbiamo assumerci. Spero di turbare le coscienze, perché possano migliorare il loro rapporto con l’esistenza».

E per andare al di là anche della parola scritta, per arrivare a fatti concreti, l’autrice di Rispondimi ha deciso di destinare il denaro dei diritti d’autore di questo suo ultimo libro a una Fondazione Tamaro, che aiuterà, con progetti educativi, bambini con handicap, madri in difficoltà, e offrirà assistenza a persone fragili.

È un progetto di vita in sintonia con quell’impegno narrativo che Susanna Tamaro sta vivendo sempre più intensamente come una vocazione e che i lettori di Famiglia Cristiana hanno imparato ad amare nelle lettere pubblicate per un anno nella rubrica dal titolo "Cara Mathilda". Si era creato allora un legame privilegiato fra la scrittrice e il pubblico del nostro settimanale che, quando si è interrotto, ha lasciato molti rimpianti. Ma adesso Susanna Tamaro ha promesso: ritornerà a scrivere su Famiglia Cristiana per riprendere il dialogo che aveva avviato, conquistando tanti cuori, destando emozioni, affetti, ricordi, riflessioni. Aiutando tante persone.

Mariapia Bonanate

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